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Autore: Trivo    18/10/2018    0 recensioni
Le informazioni che ho, riguardanti gli avvenimenti, verranno descritti senza però utilizzare la medesima metodologia, con cui ne sono venuto io a conoscenza, altrimenti, non credo potreste capire, nemmeno dopo aver letto la fine della fine, le vicende che involontariamente, hanno contribuito, al far finire tutto.
Genere: Fantasy, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
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Questa volta, finir all'interno di un portale dimensionale, mi scombussolò più del primo salto, forse perché non era esattamente un portale fisso ma era stato fatto attraverso la stregoneria, finendo col chiedermi come si componesse un cunicolo spazio-temporale, ma fortunatamente, in quel momento, mi schiantai di faccia su un terreno morbido, caldo e abbellito da corti filamenti d'erba, distraendomi dai miei pensieri.

Rialzandomi frettolosamente, stordito e sentendomi le faccia e le gambe di gelatina, persi l'equilibrio finendo col sedermi in terra goffamente, prendendomi bene ad osservare quindi, il luogo nel quale mi avevano spinto:

 

L'erboso manto vermiglio costituiva una gran parte del, sembrava, disegno che osservavo, mentre, una immensa montagna di cui non scorgevo la cima se non come un piccolo punto lontanissimo, stava lì, al centro di tutto quel ritratto splendidamente dettagliato, ed il riquadro, la cornice, era indefinita, non sembrava esserci una fine ma al contempo, il tutto era ben delimitato dalla mancanza di qualsiasi altra cosa al di fuori di quell'inaspettato luogo, avente un ché di maestoso, mellifluo e a

tratti, eloquente.

Restai allibito.

Non sento odori, sapori ne rumori, ma il tatto, sembra un aglomerato di tutte queste, e gli occhi, ammaliati dal quadro generale nel quale mi ritrovo, non sono motivati a placare il loro sgomento.

Il nulla che stracolma l'indefinibile riquadro, non ha colore, è intriso di vibrazioni impalpabili, come se, composto da sensazioni, emozioni, stati d'animo, che gorgogliavano nel cuore del pittore, mentre, pensai, avesse deciso di pennellare, non solo un bel posto, ma il suo posto.

Resto seduto, accorgendomi di alcuni dettagli fra le rocce, fra i corti fili d'erba, che non si sarebbero mai potuti disegnare realisticamente, facendomi rendere conto che tutto, era reale.

Una realtà virtuale, tanto vera, quanto falsa.

Indubbiamente vi ero all'interno, ma al contempo, percepivo qualcosa di irreale.

Non potevano essere i soggetti del dipinto dato che li percepivo, li potevo toccare, ed incuriosito dalla verità, mi alzai in piedi incamminandomi verso la montagna, toccandola dopo aver beatamente passeggiato per alcuni minuti in quel gigante giardino.

La roccia era vera come temetti, quanto i fili d'erba che mi abbassai a sfiorare nuovamente con le dita, quindi -”cosa, chi, dove, si trovava il virtuale?”- la falsità, la crepa -”certamente”- mi dissi -”mettere in dubbio la cornice”- colei che mi faceva percepire emozioni opposte, che mi faceva credere d'essere all'interno di un sogno, come se fossi un ologramma spinto a forza all'interno di un surreale effige -”non è opinabile”-.

Per quanto mi guardai attorno con gli occhi spalancati, per quanto sentii attraverso il tatto, nulla....

-”Pare sia reale, quanto irreale”- conclusi.

Non potevo rispondermi nient'altro, dato che il mio cervello percepiva la realtà, ma il mio cuore no.

Affrontai la montagna cominciando a scalarla, sperando di non morire provando a cercare quel qualcosa, che sembrava mancare, rendendo quella raffigurazione, incompleta.

Arpionandomi fra spuntoni e cavità, ricordai Sara mentre mi spiegava che il primo portale attraversato, collegava il mondo umano, ad una dimensione alternativa, mentre, il monte, risiedeva in un luogo differente.

-”Fra poco dovrai andare in un luogo, nel quale, persone con particolari abilità, vengono mandate. Più specificatamente, una montagna, insita in un una dimensione artificiale, un luogo irraggiungibile se non per chi sapesse già dove si trova”- così mi aveva detto....

Artificiale. Aveva usato proprio quella parola per descriverla e non poteva trattarsi di un caso.

Mi incespicai parecchie volte prima di raggiungere il primo piccolo spiazzo di roccia sul quale riposarmi, ed aver passato ore a scalare, pur non essendo riuscito ad avvicinarmi tanto alla cima da definirla meglio, mi fece respirare affannosamente, sudato ed impensierito, sia da quante volte avevo rischiato di cadere fino a quel momento e sia, da quante volte rischierò sempre di più, in caso decidessi, dopo il meritato riposo, di proseguire.

A tratti, ciò che avevo provato prima di svenir sull'uscio della villa, ricompariva, ed era come un sentore di nausea misto a liberazione, piacevole, ma nel frattempo, doloroso.

Riprendendo fiato, notai di poter guardare verso l'alto e compresi cosa mancava.

Il pittoresco affresco era illuminato, ecco perché non capivo cosa mi faceva credere d'esser all'interno di una finzione, ma data l'ormai palese mancanza del tipico caldo sole, compresi qual'era la domanda che mi stavo ponendo dall'inizio -”come fa ad essere tutto illuminato, se non c'è nulla che illumini?”-.

La domanda non ebbe risposta, benché non riuscissi a pensare ad altro, finché, sfortunatamente, le fitte, si fecero sempre più disagianti e frequenti all'interno della mia testa, causandomi difficoltà persino a pensare.

Mi dimenai con la testa fra le mani, graffiandomi con le rocce appuntite sul quale ero sdraiato, tentando di far smettere quelle fitte, che cominciavano a farsi sempre più nitide, più forti, alzandosi di volume, finendo col farmi sentire, non più solo il dolore lancinante e una ripetitiva pulsazione, ma proprio, come se qualcuno dall'interno, stesse giocando a suonare, come fossero corde di una chitarra, le connessioni fra i neuroni del mio cervello.

Non avevo più controllo.

Avevo chiuso gli occhi, e dopo averli riaperti, mi ero accorto d'esser tornato nudo nello scrigno, il quale però, ora, era stato lasciato aperto, ed il buio tutt'attorno, non mi persuadeva dal non provare ad uscire dal suo interno, facendomi fare da spettatore, nuovamente, della mia stessa vita:

Sbattevo le palpebre, mi scrocchiavo il collo, in poche parole, me la prendevo comoda.

Sembravo felice.

Per qualche motivo, mi incuriosì della sensazione, della percezione di me stesso, del non dovermi più preoccupare di sbagliare nella vita, potendo non perdere più tempo a pormi domande, alle quali non riuscivo a rispondermi, ritenendomi momentaneamente tranquillo, al sicuro, dentro me stesso, probabilmente, perché cominciavo ad inebriarmi della mancanza di responsabilità....

 

Conclusa l'iniziale comprensione, della capacità da marionettista, l'ora responsabile delle mie azioni, alza lo sguardo inclinando la testa, cercando con gli occhi la punta della montagna, e di conseguenza, senza nemmeno darmi l'impressione d'essersi dato una spinta, finisce con l'essere in movimento verso essa, mentre l'aria nella quale sembrava volare, generava un boato continuo, che sentivo rimbombare nel cervello, facendomi capire, d'esser all'interno di uno scrigno, nudo, all'interno di uno spazio vuoto, nel quale il suono, non faceva altro che riecheggiare.

Mi sentivo in un videogioco, tralasciando l'attuale frastuono ed il fatto che non potessi far muovere il personaggio a piacimento, osservando la scena come su stessi usando occhiali della realtà aumentata.

Per un lungo periodo, il mio corpo, fendette l'aria a velocità sostenuta fissando la sua destinazione, finché, arrivò alla cima senza problemi, dato che la spinta che si era dato, era stata data con accuratezza, una precisione millimetrica che gli consentì di poggiare delicatamente i piedi sull'innevata vetta, finalmente, facendo calare il silenzio.

Con semplicità sconvolgente, aveva percorso circa 300 volte, e 300 volte più velocemente, la distanza che avevo percorso io e senza alcuno sforzo, mentre, mi limitai a stupirmi, cercando una posizione comoda all'interno dello scrigno, ormai abbandonato all'idea, che qualcun altro, possa vivere meglio la mia vita.

 

Il panorama che avevamo davanti a noi, era una distesa di dune innevate a perdita d'occhio, accompagnate dalla mancanza di vento e da quel tipico silenzio prima della tempesta.

Attraverso il mio punto di vista ristretto, osservai il suo, mentre entrambi, pur restando fisicamente immobili, viaggiammo:

 

Perdemmo la percezione di ciò che avevamo davanti, dato che il nostro sguardo planò oltre le dune, sorvolò un enorme stabilimento, finendo con il farci dare un'occhiata da una prospettiva più alta, concedendoci di poter osservare la cima nella sua interezza.

Lo strano viaggio mentale durò un attimo, una frazione di secondo ma fu esaustivo.

Ora possedevamo la completa planimetria dell'area circostante ed il mio corpo, con tale sapere, si incamminò con indifferenza verso l'enorme stabilimento posto al centro della vetta.

 

Fino a quel momento mi ero sempre visto come un ragazzo dalla mente aperta, in grado di cavarmela anche in situazioni difficili, ma dopo quel viaggio illuminante, compresi che il punto di vista realista dal quale ero abituato a vedere la realtà, non era nemmeno comparabile, al punto di vista dal quale mi sembrava di guardare, seduto comodo, all'interno dello scrigno, con la schiena poggiata a uno dei suoi lati corti, con le braccia poggiate ai bordi e una gamba sdraiata sull'altra, proprio mentre stavo seduto comodo al suo interno e osservavo la mia vita scorrere, senza bisogno che io stesso, potessi sentirmene partecipe, interessato, il comandante, divenendo il giocatore, che vince se smette di giocare, di pensare, dato che in questi casi, era il corpo a comandarsi, io, non potevo far nulla, se non l'immedesimarmi in un tranquillo ragazzo nudo, che se ne sta comodo all'interno di uno scrigno, all'interno della propria mente, incapace di reagire mentre comprende, d'aver scambiato i comportamenti saccenti del proprio corpo, con un punto di vista alternativo, ricolmo di una triste consapevolezza della realtà, dalla quale, la osservava con risolutezza.

   
 
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