Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: Crilu_98    19/10/2018    1 recensioni
La fame ed il freddo invernale non sono nemici che l'uomo possa sconfiggere da solo. Ma il prezzo che gli dei chiedono in cambio della salvezza è molto alto: i nati di quella primavera maledetta saranno tutti consacrati a Mamerte, sanguinario e crudele dio della guerra.
Tra di loro, Sattias è il più gracile, il meno abile, per nulla carismatico; tuttavia, quando giunge il momento di partire verso la terra che è stata loro promessa, è lui che il picchio di Mamerte sceglie come guida.
In un viaggio pieno di pericoli, profezie ed incontri inaspettati, Sattias dovrà ricorrere a tutta la sua astuzia per tenere al sicuro le persone che ama: perché nel loro mondo ci sono poche certezze, ma una di queste è che gli dei non ripongono mai la loro fiducia nell'uomo sbagliato.
Genere: Avventura, Guerra, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Hostius fissava le armi poggiate ai suoi piedi, pronte per essere affilate, senza davvero vederle dato che era perso in mille pensieri diversi.
Era sempre stato un uomo d'azione, ma a volte, la sera, sentiva la necessità di raccogliere le idee davanti ad un otre pieno di idromele, come in quel momento. Era solo e questo gli permetteva di lasciar vagare la mente in tutta libertà.
Pensava soprattutto a Sabidia, che si era allontanata alla ricerca di legna per il fuoco e non era ancora tornata: dopo aver ascoltato il racconto di Hiccia e Pileius, Hostius nutriva grande preoccupazione per la sua sicurezza.
Quando si era sentito chiamare dalla sua voce melodiosa, quattro giorni prima, non poteva crederci: Sabidia l'aveva preferito a Sattias!
Invece, aveva capito poi, si trattava solo di una decisione impulsiva dettata dall'amarezza e dalla paura legata al cattivo presagio; la ragazza forse lo riteneva un guerriero migliore, un capo più adeguato, ma non l'uomo giusto da amare.
"Oh no, lei vuole quella mosca! Lo desidera nel suo giaciglio, vuole dargli dei figli… Anche dopo che lui l'ha cacciata via in malo modo! Come si può essere cattivi con lei, che non ha mai fatto del male a nessuno?"
Bevve un'altra lunga sorsata di idromele, ignorando il senso di colpa che lo avvertiva di star finendo tutta la loro scorta in una sola sera:
"Ne ho bisogno!" pensò, convinto, anche quando la vista iniziò a vacillare.
I nemici misteriosi erano la sua seconda preoccupazione: dove erano finiti? Avevano superato l'altopiano ed il villaggio bruciato attraverso un largo giro, ma non avevano visto segni del loro passaggio. Questo, anziché rallegrarlo, lo riempiva d'ansia.
La terza, grande preoccupazione di Hostius era Sattias:
"Va bene, non siamo mai andati d'accordo e lui non sarebbe mai stato un grande re. Ma forse dovevo convincere quei tre pazzi a venire con noi, invece che lasciarli lì, su quel sentiero. Sattias non sarebbe in grado di sopravvivere un giorno senza qualcuno che gli procuri il cibo, ma sono sicuro che Manlios ed Etrilia non lo abbandoneranno… Sì, ma se poi incontrano i nemici? Le nostre armi sono inutili contro le loro spade magiche!"
Era talmente nervoso che quando sentii un fruscio alle sue spalle agì senza pensare: rotolò a terra, afferrò la lancia e la puntò sul nuovo arrivato, che lanciò un grido di terrore.
“Sabidia!” ringhiò lui, confuso dalle diverse emozioni che lo invasero nello stesso momento: sollievo, timore, felicità e rabbia. E desiderio, tanto ed inatteso, quando i suoi occhi si soffermarono sui seni della ragazza che si alzavano e si abbassavano con affanno sotto la veste.
Lei lasciò andare la fascina che reggeva sotto il braccio e che toccò terra con un tonfo secco:
“Ti sembra il modo di accogliermi, Hostius?” borbottò, arrabbiata, portandosi una mano al petto e giocherellando con la spilla che teneva ferma la tunica sopra la sua spalla.
Più tardi, il ragazzo non riuscì a spiegarsi quella smania improvvisa ed irresistibile di poggiare le dita sulle sue: l’amava, certo, ma nonostante la sua forza non aveva mai pensato di soggiogarla con la violenza. Il solo pensiero lo faceva vergognare.
Eppure quella sera le si avvicinò con una luce pericolosa negli occhi scuri, una luce che Sabidia riconobbe istintivamente e di cui ebbe paura: provò a sottrarsi alla stretta ferrea che l’aveva imprigionata, tentò di sfuggire alle sue labbra pressanti che le lasciavano umidi baci lungo la linea del collo e alle mani che scivolavano possessive sulla sua pelle, fredde e dure come pietre.
Alla fine la sua salvezza arrivò nelle sembianze di Pileius, che si avventò sull’amico e strinse il braccio attorno al suo collo finché Hostius non vide un lampo nero danzargli davanti agli occhi. Hiccia, arrivata anch’essa in silenzio, si acquattò come una gatta accanto all’otre abbandonato sul terreno, sbirciando all’interno con aria critica:
“L’ha finito!” borbottò, laconica. Pileius era furioso:
“Ma sei scemo, Hostius?” ringhiò, battendogli un altro pugno sulla spalla e facendolo incespicare all’indietro “Ubriacarti durante il turno di guardia, quando sai che una tribù nemica pattuglia il nostro stesso territorio? E poi avventarti su Sabidia a quel modo… Ma che ti è preso?”
Si girò verso la ragazza per rassicurarla, ma con un singulto di apprensione scoprì che era scomparsa: una veloce occhiata gli confermò che i suoi averi erano ancora attorno al fuoco, ma in preda allo spavento doveva essere arretrata nella boscaglia.
“Sabidia!” urlò e l’eco della sua voce risuonò tra i tronchi mutato e distorto, come la sinistra risata di un dio. Provò a seguirla tra i tronchi, ma al buio non riusciva a capire che direzione avesse preso:
“Lascia perdere!” intervenne Hiccia, più pratica, richiamandolo indietro.
“Aiutami a spostare Hostius… Si è addormentato, l’idromele deve avergli dato alla testa!”
“Ma è sola e non conosce la strada…”
“Non è stupida, tornerà sui suoi passi non appena si sarà calmata. Manterrò acceso il fuoco per indicarle la nostra posizione.”
 
La mattina dopo Sabidia non era ancora tornata. Hostius, ora perfettamente sobrio e lucido, era roso dal senso di colpa e non aveva alcuna intenzione di condividere il suo fardello con gli altri due, che si erano addormentati dopo aver vegliato a lungo sulle braci nell’attesa della ragazza.
“Sono io ad aver sbagliato” pensò. Ammetterlo fu un duro colpo per il suo orgoglio, ma lo aiutò a trovare la determinazione per mettersi in cammino sulle tracce sconnesse e confuse di Sabidia.
Doveva aver corso per un lungo tratto, lasciando dietro di sé impronte ed arbusti spezzati, ma poi aveva raggiunto un torrente ed Hostius non riuscì a capire che direzione avesse preso.
Un pensiero bizzarro lo colpì e lo fece fermare, come instupidito:
“Sattias saprebbe trovarla!”
Si guardò attorno per sincerarsi che nessuno spirito del bosco lo stesse prendendo in giro, sussurrandogli malefiche bugie nelle orecchie. Ma no, era solo accanto al rigagnolo.
“Il fatto è che io sono un guerriero imbattibile, un buon cacciatore e so anche seguire le tracce senza stancarmi mai. Ma Sabidia è una donna, non un daino, ragiona e pensa… Ed io non l’ho mai capita. Sattias forse sì. E’ un incapace buono a nulla, ma sa comprendere le persone che gli stanno a cuore.”
Per la prima volta nella sua vita Hostius si sentì inutile e rimuginando su quel senso di inadeguatezza con cui tante volte il suo rivale si era dovuto confrontare prese a risalire il corso del torrente, sperando che Sabidia avesse deciso di salire verso la sommità delle montagne per individuarli oltre le cime degli alberi.
“Sabidia!” urlò a gran voce per l’ennesima volta.
A rispondergli non fu la voce musicale della donna di cui era innamorato, ma un ringhio basso e potente come il tuono di Mamerte.
Da dietro alle rocce spuntò un orso dalla pelliccia scura, il corpo smagrito dal letargo invernale, gli occhi neri accesi dalla fame e dalla vista di una preda. Hostius sobbalzò, ma non perse la presa sulla lancia, l’unica arma che aveva portato con sé. L’orso ringhiò di nuovo, scoprendo le zanne gialle mentre usciva dal suo rifugio: per qualche istante l’uomo e la belva rimasero perfettamente immobili, cercando di fiutare la morte nell’aria, per capire chi sarebbe caduto a terra senza vita.
L’animale si rizzò sulle gambe anteriori e ruggì, avanzando a grandi passi verso il ragazzo, che lanciò il grido di guerra più disperato a cui avesse mai dato voce, caricando l’avversario a testa bassa.
Lo scontro gli fece volare la lancia dalle mani: l’arma roteò nell’aria e sbatté contro le rocce, rotolando tra i cespugli, oltre la sua portata. L’orso era ormai sopra di lui e ad Hostius sembrò di scorgere in quegli occhietti feroci ed affamati il riflesso di Diana, dea della caccia che ama circondarsi di creature forti e spietate. Era perduto, nel giro di pochi istanti gli artigli scuri avrebbero dilaniato la sua carne e le zanne sarebbero affondate nel suo petto, fermandogli per sempre il cuore che ora batteva all’impazzata.
Poi l’orso ruggì di nuovo, ma di dolore: una lancia sporgeva dalla base della schiena e la bestia si dibatté disperata nel tentativo di liberarsene. Ma furono due mani d’uomo a sfilarla dalla sua carne per poi affondarla più in alto, tra le costole, fino a perforare il cuore: l’orso graffiò il vuoto con le enormi zampe, digrignando i denti davanti alla sconfitta, deciso a rimanere ostinatamente attaccato alla vita. Alla fine, però, il respiro si spezzò e l’animale cadde a terra, facendo tremare il terreno con il suo peso; dietro di lui, coperto di sangue denso e grumoso fino ai gomiti, c’era Sattias.
Aveva il fiato corto e tremava:
“Io…” balbettò, mentre le ginocchia gli cedevano. Svelto, Hostius lo afferrò per un braccio e lo tirò a sedere accanto a sé sulla roccia, accanto al cadavere dell’orso: neanche lui si sentiva molto saldo sulle gambe. Sattias fece un respiro profondo:
“Io ti ho sentito gridare. Vi stavamo cercando, sapevamo che non eravate lontani e così… Quando abbiamo sentito l’urlo di guerra io e Manlios abbiamo iniziato a correre. Non avevo capito che eri tu, però. Vedevo solo l’orso e… Ho capito che aveva intrappolato qualcuno ma…”
Sembrava sorpreso lui stesso dalla rapidità e dal coraggio con cui aveva agito.
Hostius lo osservò con attenzione: sedeva con le ginocchia ossute strette tra le braccia, lo sguardo fisso sulla bestia immobile, la corona di bronzo tutta storta sul capo per la corsa. La spada doveva essergli caduta per strada, abbandonata insieme all’arco e allo stendardo.
“E’ corso incontro al pericolo con quel misero bastoncino tra le mani, lui che non sa neanche usarla, la lancia… Troppo debole per lanciarla, si è avvicinato all’orso senza esitare pur di salvarmi…”
“Perché sei da solo?” chiese Sattias a quel punto “Dove sono gli altri?”
Ed Hostius, pieno di vergogna, gli raccontò tutto: dall’incontro di Hiccia con i prodigiosi guerrieri che avevano massacrato il popolo delle capre alle sue preoccupazioni, fino al motivo per cui si era separato dagli amici.
“Mi ero sbagliato su di te” ammise infine, senza avere il coraggio di guardarlo “Credevo di possedere le qualità necessarie per essere re e non riuscivo proprio a comprendere perché il picchio avesse scelto te al mio posto. Ora lo so. Io non avrei mai potuto compiere un’impresa del genere.”
Dopo anni di insulti e botte, Hostius si aspettava un’amara rivincita, ma Sattias lo sorprese di nuovo. Lo fissò a lungo con gli occhi grandi, dello stesso colore delle foglie bagnate, poi scoppiò a ridere di gusto.
“Impresa? Hostius, guardami, mi tremano ancora le mani! Non me la sono fatta sotto solo perché non ho avuto il tempo!”
“Ma lo stesso hai agito!”
Sattias scosse la testa:
“No, no, non ti ingannare. Io sono la stessa mosca di sempre; ho agito in maniera sconsiderata, forse per la prima volta nella mia vita. Ma ho capito che se gli dei possono giocare con la nostra vita a loro piacimento, solo a noi è concesso il potere di guidarla ed io ho deciso di vivere cercando sempre di fare la cosa più giusta, a prescindere dal volere di Mamerte! Forse non avrò la forza necessaria per farlo, forse non vivrò a lungo… Ma avrò vissuto una vita degna.”
L’altro stava per replicare, ma voci agitate e preoccupate li raggiunsero:
“Sattias!”
“Hostius!”
Quasi contemporaneamente giunsero sulle rive del torrente sia Manlios ed Etrilia, sia Hiccia con Pileius alle calcagna: i sei ragazzi si scambiarono qualche occhiata incerta ed imbarazzata, ma nessuno sembrava trovare le parole giuste per spezzare il silenzio che era sceso sulla radura.
Poi Hostius capì cosa doveva fare: lo vide nella sua mente, chiaro come un riflesso sulla superficie ghiacciata di uno stagno. Come aveva detto Sattias, era la cosa più giusta da fare. Mentre il giovane re si alzava in piedi raddrizzandosi la corona sui capelli, Hostius si buttò ai suoi piedi:
“Potrai mai perdonarmi, mio re?” borbottò “Per averti mancato di rispetto tante volte e per averti abbandonato nel momento del bisogno? Che Sanco mi sia testimone, giuro di proteggere te e le insegne che sorreggi anche a costo della vita!”
Sattias aprì la bocca, pronto per sbuffare e rifiutare una sottomissione così plateale: in fondo entrambi sapevano che non la meritava, che aveva ucciso l’orso perché aveva agito con rapidità ed era stato aiutato dal Fato, che Hostius era più forte ed abile di lui… Però alla fine rimase zitto. Si limitò ad offrire l’avambraccio per aiutare il ragazzo ad alzarsi e con un cenno a Manlios si fece riconsegnare la spada e lo stendardo.
“Assurdo, mi sembrano molto più leggeri!”
I due gruppi tornarono ad essere uno, anche se il silenzio accompagnò il lavoro di coltello sul corpo dell’orso: Sattias insistette affinché prendessero solo la carne e lasciassero lì la pelliccia.
“Ma è un trofeo meraviglioso!” obiettò Pileius, perplesso.
“Sta arrivando l’estate!” replicò lui, stringendosi nelle spalle “Non è un peso utile da trascinare in salita!”
“Proseguiamo verso le montagne?”
“Sì. Se Sabidia sta bene, ormai avrà recuperato il senno e cercherà di ritrovarci, oppure andrà in cerca di un rifugio sicuro. Non scenderà a valle, sa che al villaggio l’aspetterebbe la pena di morte. No, in qualsiasi caso sarà andata verso nord!”
Fiduciosi e pieni di speranza, decisero di risalire il torrente.
“E i guerrieri?” chiese ad un tratto Hiccia, dopo che Hostius ebbe spiegato a tutti la minaccia che incombeva su di loro. “Cosa faremo, se ci capiterà di incrociare il loro cammino?”
Istintivamente portò una mano alla saccoccia che teneva legata al collo e in cui era riposta l’impugnatura d’osso del suo arco, spezzata ed inservibile; il resto era stato bruciato e Pileius, per consolarla, le aveva promesso che alla prima occasione gliene avrebbe costruito uno nuovo. Per una volta Hiccia non aveva trovato nessuna battuta pungente e scostante con cui replicare.
Sattias, però, non aveva una risposta per la sua domanda ed il timore divenne il loro settimo compagno, silenzioso ed invisibile, ma sempre presente.  


Angolo Autrice: 
Beh, Sattias questa volta si è dato da fare ed è riuscito a saldare una frattura che sembrava insanabile! Neanche Hostius è perfetto, ma almeno ha l'umiltà di riconoscere i suoi erroi... Ma ora dove è finita Sabidia, secondo voi?

  Crilu

 
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: Crilu_98