Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Old Fashioned    20/10/2018    15 recensioni
Dewrich e Herich sono i due figli di re Evertas. Il primo è un guerriero forte e deciso, abituato a farsi obbedire e ad aprirsi la strada combattendo, il secondo è invece timido e intorverso, ed è certamente più a suo agio in una biblioteca che con una spada in mano.
La successione sembrerebbe scontata, ma ecco che inaspettatamente le cose non vanno secondo le previsioni e come erede al trono viene designato il topo di biblioteca. Il primo decide allora di risolvere la questione con mezzi drastici, accordandosi con una banda di pericolosi predoni, ma non ha fatto i conti con un soldato dal passato oscuro...
Prima classificata al contest "In viaggio" indetto da Emanuela.Emy79, a pari merito con "Dies Irae" di Yonoi
Genere: Angst, Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Salve a tutti/e!
Ecco un nuovo capitolo, nel frattempo tantissimi ringraziamenti a chi mi sta ancora seguendo, a chi è passato di qui per leggere, a chi mi a messo in qualche lista, ma soprattutto a chi è stato così gentile da commentarmi!^^







Capitolo 6

Herich si svegliò turbato: aveva sognato di nuovo Resen-Lhaw. L’aveva visto di spalle come al solito, intento a fissare sdegnoso il mare, ma questa volta l’eroe aveva cominciato un movimento come per girarsi verso di lui.
Purtroppo il sogno si era interrotto prima che i suoi lineamenti diventassero finalmente visibili.
Si mise a sedere e sospirò passandosi le mani fra i capelli. Il cuore gli batteva forte e aveva il respiro un po’ accelerato.
Non se ne stupì, quello era il giorno in cui Jeisym lo avrebbe portato al mercato degli schiavi. Era rimasto per giorni in quello strano palazzo, aveva trascorso il tempo sonnecchiando, perlopiù chiuso in casa perché il predone non voleva che il sole guastasse la sua carnagione chiara, e non aveva fatto nulla per cercare di fuggire.
Una parte di sé, quella assennata e razionale, continuava a ripetergli che fuggire sarebbe stato un atto suicida: non aveva sé soldi né armi, e a parte l’escursione al Primo Tempio non era mai stato fuori dai confini di Dyat in vita sua. Cercare di evadere in quelle condizioni avrebbe ottenuto come unico risultato quello di finire in mani probabilmente meno premurose di quelle di Jeisym.
Un’altra parte di sé, quella che si esaltava nel leggere le gesta del Leone Rosso, gli diceva invece che era un debole e un codardo, e che se non aveva il coraggio di lottare per la sua libertà, allora non meritava altro che di finire schiavo da qualche parte.
Per l’ennesima volta si chiese dove fosse suo fratello, se fosse già diventato re al posto suo.
Si alzò e fece qualche passo per la stanza. C’erano tappeti di seta sul pavimento, le cortine del letto erano di broccato intessuto d’oro. Il mobilio, simile a quello che aveva visto nella tenda di Jeisym, era costituito da cassapanche di legno pregiato intarsiate di avorio e madreperla. Vasellame prezioso ne abbelliva le superfici.
Si avvicinò alla finestra dai vetri istoriati e per un po’ rimase a guardare, cercando di distinguere qualcosa dell’esterno tra gli spicchi colorati.
Era lì da un po’ quando Jeisym lo raggiunse. “Sei pronto?” gli chiese l’As’vaan.
Herich si voltò verso di lui. “Cambierebbe qualcosa se ti dicessi di no?”
Le parole se le porta via il vento della steppa, principe. Sono i fatti che cambiano le cose.”
Vorresti dire che dovrei cercare di fuggire?”
Se tu ci riuscissi, avresti guadagnato la libertà.” Il predone fece una pausa, poi soggiunse: “Certo, una volta che l’hai guadagnata, dovresti anche sapere cosa farne, e non mi sembra sia il tuo caso.”
Il ragazzo preferì ignorare l’osservazione. “Cosa succederà ora?” si limitò a chiedere.
Le mie ancelle ti prepareranno, poi ti porterò al mercato degli schiavi. Ci sono già degli acquirenti che ti attendono.”
E così ci saluteremo.”
Jeisym accennò un inchino. “Con affetto, spero.”
Herich si limitò a stringere le labbra e ad aggrottare le sopracciglia. Gli girò le spalle e si allontanò di qualche passo. Con affetto. Probabilmente avrebbe provato più affetto per un tanroth-ath affamato. Quello almeno era un animale che assaliva per nutrirsi, bruto, senza intelletto e senza malizia a parte quella che l'istinto gli conferiva. Jeisym invece era un gatto annoiato e sardonico, che si divertiva a giocare con un terrorizzato topolino.
Manderò Mira e Rehana, se non hai altro da aggiungere, principe.”
Herich si girò con un movimento brusco. “Fa' quello che vuoi,” ringhiò, fissandolo con occhi di fuoco, “tanto lo farai ugualmente, non ha alcun senso che io ti conceda graziosamente il permesso di mandarmi le tue ancelle, sarebbe come se un cavallo ti desse il permesso di cavalcarlo.”
Jeisym annuì. “Inconsapevolmente, hai scelto un paragone molto appropriato, principe. Al mio migliore stallone, io chiedo il permesso di montare in sella.”
Il più giovane gli rivolse un ghigno sprezzante. “E se te lo nega?”
Monto un altro cavallo,” rispose l'As'vaan, come se stesse dicendo la cosa più ovvia del mondo.
Questa è un'idiozia!” sbottò allora il ragazzo, “Un teatrino stupido, che tu allestisci perché ti diverti a prenderti gioco di chi ti circonda. Il cavallo è tuo, è una cosa tua, ci puoi fare quello che vuoi. Che senso ha chiedergli il permesso di montarlo? Allora dagli la libertà nella steppa, fallo vivere con i suoi simili, se sei così rispettoso nei suoi confronti, e se vorrà servirti, allora sarà lui stesso a tornare da te.”
Un guizzo sornione passò negli occhi dorati di Jeisym. “E se io adesso ti lasciassi andare, principe, tu cosa faresti?”
Tornerei da mio padre, ovviamente.”
Ah, sì? E come?”
Come farebbe chiunque altro. Comprerei un cavallo, delle provviste e una mappa, e mi metterei in viaggio.”
L'altro assunse un'espressione addirittura divertita. “Principe, tu non ti rendi nemmeno contro della sciocchezza che hai appena proferito. Ora ti manderò le ancelle, perché su una cosa hai ragione, io posso fare di te quello che voglio. Ma lascia che ti dica una cosa: se sei ancora vivo, intatto e integro, lo devi solo al fatto che spero di ottenere un buon prezzo da te nonostante la tua infantile ottusità.”

§

Il mercato galleggiante era in pieno svolgimento. Molti venditori avevano steso dei teli lungo le sponde dei canali e vi avevano allestito la loro esposizione, ma la maggior parte delle compravendite si svolgeva direttamente sull'acqua, tra snelle imbarcazioni che incrociavano rapide nel Bacino Grande e nei canali limitrofi. Nei piccoli natanti c’erano piramidi di frutti colorati, spezie, fiori e ogni altro genere di merce. In un recesso un po’ discosto dalla confusione della zona centrale, un farmacista vendeva pozioni e accanto a lui un profumiere dispensava essenze racchiuse in fiale di vetro colorato. Più oltre c'era una vecchia che leggeva le carte e alla sua barca era legata quella di una signora in abiti eleganti che si stava facendo predire il futuro.
Merci di tutti i tipi passavano da un'imbarcazione all'altra dopo essere state pesate su stadere d'ottone rese lucide dall'uso; la chiatta di un sarto, con abiti colorati appesi un po' ovunque, si faceva lentamente largo, suscitando le accese proteste di chi veniva spinto via. Da un angolo lungo la sponda saliva il martellare acuto del fabbro.
Una giovane donna su una snella canoa si avvicinò a una barca carica di fiori pagaiando con sicurezza. Ci fu un rapido scambio con il venditore e mazzi di peonie dai petali bianchi e rosati passarono dall'uno all'altra. Poco distante, un uomo stava contrattando animatamente una capra, che tra mazzi di ortaggi e stie di polli chioccianti belava con le quattro zampe legate.
Tra le grida dei venditori, il vociare della folla e la musica di qualche saltimbanco che aveva allestito il suo spettacolo, il chiasso era assordante.
Res si tirò sugli occhi il cappuccio nero e si chiuse sul petto l'ampio mantello sdrucito. Al suo apparire, un uomo si inchinò rispettosamente e si scostò per fargli strada. Poco più avanti, una donna che accompagnava per mano due bambine si fece indietro, gli rivolse una riverenza e spinse le piccole a fare altrettanto.
Il soldato passò oltre distribuendo qualche sobrio cenno del capo.
Un'altra cosa per cui doveva ringraziare Manse era l'avergli ricordato l'esistenza dei santi di Zephan: vestito come un appartenente a quell'ordine di asceti, poteva praticamente girare ovunque senza che gli venisse rivolto altro che qualche segno di rispetto da parte di persone particolarmente devote. Nessuno cercava di convincerlo a comprare cose e nessuno cercava di derubarlo, perché notoriamente i santi di Zephan non possedevano niente che avesse valore.
Percorse il marciapiede che costeggiava il canale, passò un ponte a schiena d'asino e si trovò sul fianco del Palazzo Vecchio. Aggirò l'immenso edificio, così antico che si era persa la persino la memoria della sua fondazione, ed entrò da una delle porte posteriori. All’interno, nell’enorme atrio centrale e nella maggior parte delle sale limitrofe, vi era un secondo mercato, anch’esso in pieno svolgimento. Lì vendevano più che altro gli stranieri, o i locali per qualche motivo non sapevano o non volevano portare una barca.
Coperti di teli sui quali erano disposte le mercanzie, i preziosi marmi del pavimento erano quasi invisibili.
Un vociare continuo, di venditori che magnificavano la loro merce e di acquirenti che contrattavano, si riverberava sulle alte volte del soffitto.
Con un frullo d’ali, un uccello variopinto che era riuscito a entrare, o forse che si era liberato da una delle gabbie, si posò sulla balaustra del secondo piano e prese a lisciarsi le penne. Dal basso qualcuno cercò di manovrare un retino con un lunghissimo manico per recuperarlo, ma il volatile si limitò a spostarsi su uno dei lampadari.
Res si destreggiò attraverso la sala. Chi si accorgeva di lui gli cedeva il passo, gli altri venivano avvertiti da chi lo vedeva passare e a loro volta si spostavano con deferenza.
Una donna gli porse un frutto e disse: “Prega per mio figlio, santo.”
Il soldato si fermò e le rivolse un sobrio cenno del capo, poi accettò l’obolo e proseguì.
Percorse un corridoio, entrò in una seconda sala. Il locale aveva soffitti a volta decorati, dai quali pendevano elaborati lampadari di vetro colorato. Nonostante tutte le finestre fossero aperte, nell’aria stagnava odore di sudore e olio da massaggi, appesantito di quando in quando dal tanfo acre dell’urina.
Tutta la sala era costellata di uomini e donne in ceppi. Vi erano robusti montanari del Nomodu, nudi quanto la decenza lo consentiva per mettere in mostra la muscolatura possente; fanciulle di Eskele, bionde ed eteree, perlopiù strette fra di loro e piangenti; due sdegnose lottatrici di Serhsy, con i capelli color fiamma e corpi lucidi e abbronzati, scolpiti da una vita di addestramento. In un angolo, una sottile catena assicurata alla caviglia, sedeva un dottore di Loldet, sicuramente destinato a diventare il precettore di qualche ricco rampollo. Accanto a lui si trovava una dignitosa matrona che aveva i lineamenti spigolosi delle genti del Garash e indossava quel che rimaneva di ricchi paramenti sacerdotali.
Res vide schiavi di ogni genere e di ogni razza, destinati alle più varie funzioni. L’aria risuonava di lamenti e pianti, e delle grida dei banditori.
A denti stretti, lo sguardo incollato a terra, lasciò a un ragazzino in catene il frutto che la donna gli aveva donato e oltrepassò anche quella sala.

Nel mercato degli schiavi di lusso non c’erano odori, a parte una delicata fragranza di incensi di Imril, e gli unici suoni che si udivano erano una musica soffusa e un lieve brusio. I pochi presenti sedevano intorno a tavolini di marmo intarsiato, conversando a bassa voce mentre graziosi fanciulli servivano dolci e bevande rinfrescanti, oppure sostavano lungo le pareti parlando fra loro e indicandosi l’un l’altro quelli che sedavano ai tavolini.
Il soldato trovò un angolo in ombra, nel quale il suo mantello nero lo faceva quasi scomparire, e da lì rimase a osservare ciò che stava succedendo.
Un uomo si staccò dal muro e si accomodò presso uno dei tavoli. Intorno a esso sedevano già altri due uomini, uno più vecchio, dall’aria autorevole, e uno più giovane e robusto. Con loro c’era una fanciulla silenziosa, di straordinaria bellezza, snella come un giunco, con i capelli neri e gli occhi dal taglio allungato.
Gli uomini cominciarono a parlare tra loro, sembrava stessero conversando del più e del meno. L’ultimo arrivato rivolse qualche domanda anche alla ragazza, che rispose con lo sguardo abbassato.
Alla fine, sacchi di monete passarono da una parte all’altra del tavolo, i tre si alzarono e si scambiarono strette di mano, poi la giovane dai capelli neri si alzò a sua volta e andò via con l’uomo che si era seduto per ultimo.
Il tavolino rimase vuoto per qualche minuto, poi venne occupato da altri due uomini: uno era un predone di stirpe As’vaan, l’altro era un Waishir dai capelli grigi, in abiti di grande sapiente. I due conversavano tranquillamente fra loro.
Da due punti diversi della sala un uomo e una donna, entrambi riccamente vestiti, si avvicinarono al tavolo e scambiarono qualche frase, ma l’As’vaan fece cenno solo alla donna di accomodarsi. L’altro se ne andò senza obiettare.
La transazione si svolse come la precedente, sacchi di monete – molti di più rispetto a quelli pagati per la ragazza – vennero consegnati al predone e la donna si allontanò in compagnia del sapiente.
Res rimase a osservare per un po’. Vide altre compravendite, perlopiù tranquille, a parte sporadici e appena accennati moti di ribellione da parte di qualche giovane schiavo. Frattanto cercava di farsi un’idea dell’ambiente, di quali fossero le vie d’accesso e dove sostasse il seguito di coloro che entravano per comprare.
Si spostò verso la porta che dava sull’esterno: fuori c’era uno spiazzo che ospitava delle portantine e qualche guardia privata. Lungo uno dei lati scorreva un canale in cui erano ormeggiate un paio di barche lussuose.
Perdonami, santo,” disse una voce femminile alle sue spalle. Si voltò e si trovò faccia a faccia con la donna che aveva comprato il Waishir. I due erano fermi a rispettosa distanza e probabilmente stavano aspettando da un po’ che lui decidesse di spostarsi. Arretrò di un passo, i due uscirono e presero posto su una delle imbarcazioni, che subito si allontanò.
Res stava per rientrare nella sala quando vide sopraggiungere un gruppetto di As’vaan a cavallo. Quello più avanzato era di corporatura eccezionalmente forte per la sua razza e montava un morello con la stella bianca in fronte. Lo seguivano quelli che evidentemente erano i suoi uomini. Uno di essi teneva per le redini un cavallo sul quale sedeva una persona di corporatura slanciata, con con il volto nascosto da un ampio cappuccio da cui spuntavano ciocche di capelli neri. Guardando con più attenzione, il soldato si accorse che essa aveva i polsi legati fra loro e assicurati al pomo della sella.
Scivolò nuovamente nella sala e tornò al suo punto di osservazione.
Quando gli As’vaan furono più vicini, senza ombra di dubbio riconobbe tra essi il capo della banda che aveva visto in azione presso i templi di Os’lak e il suo secondo. Il giovane Khan gli comunicò una strana sensazione di familiarità, come se si trattasse di un volto conosciuto ma dimenticato da tempo. Cercò di scacciare quel pensiero: dopo il tau'zeel la sua memoria non era più molto precisa e aveva imparato a non farvi troppo affidamento. Inoltre, l'unica cosa su cui doveva concentrarsi era la situazione contingente.
In quel momento la figura incappucciata si mosse bruscamente sulla sella. Il cappuccio scivolò all’indietro rivelando il volto pallido e contratto da un misto di paura e rabbia del principe Herich.
Res si fece indietro, cercando di scomparire nell’ombra: il ragazzo era spaventato e frastornato e di certo non sarebbe stato in grado di mantenersi impassibile riconoscendo nella folla un volto amico. Molto meglio evitare che con qualche gesto inconsulto rivelasse la sua presenza.
Rimase ad attendere lo svolgersi degli eventi.

Alto in sella, Herich aveva l'impressione di essere su una barca persa in un mare di teste. La gente sciamava intorno ai destrieri, li tirava per le redini, buttava sull’arcione stoffe o monili per convincere gli As’vaan a comprarli, o perlomeno a esaminarli. Nel frattempo gridava a gran voce il prezzo delle merci sperando di avviare una contrattazione.
Jeisym si limitava a scuotere la testa con indifferenza, mentre Therved distribuiva staffilate quando i venditori diventavano particolarmente insistenti. Qualcuno aveva provato a rivolgersi anche a lui, ma immancabilmente uno degli uomini del Khan era accorso per scacciarlo.
Abituato al silenzio del palazzo di Jeisym, Herich si sentiva assediato da quella calca vociante, da chi gli tirava i vestiti, chi si premeva contro il suo cavallo per passare, chi gli rivolgeva la parola cercando di attrarre la sua attenzione, chi gli proponeva ogni genere di affare.
Volse lo sguardo verso il Khan come per chiedergli aiuto, ma questi stava parlando con Therved e non si accorse nemmeno di lui.
Il ragazzo emise un sospiro. Le ampollose cortesie con le quali fino a quel momento Jeisym si era dilettato erano finite: ora l’As’vaan era tornato a essere un predone che cercava di ricavare il maggior guadagno possibile da ciò che aveva razziato. E lui naturalmente aveva smesso di essere il principe suo pari per scadere al livello di cosa da vendere, né più né meno di un cavallo o di un pezzo di stoffa.
Strinse i denti, di nuovo si guardò intorno. Forse al posto suo Resen-Lhaw avrebbe studiato l’ambiente, avrebbe elaborato un piano che gli consentisse di fuggire e far perdere le proprie tracce in mezzo alla calca.
Ma lui non era il Leone Rosso: anche se fosse riuscito a smontare di sella non avrebbe avuto idea di dove andare o come comportarsi, e non riusciva a fare altro che girarsi in continuazione da una parte o dall’altra, sopraffatto dal caos che lo circondava, spaventato come una volpe presa al laccio.
Jeisym smontò da cavallo e gli si avvicinò, quindi sciolse la corda che lo assicurava al pomo della sella e gli disse: “Scendi.”
Herich strinse gli occhi. “E se io non volessi? Se io spronassi questo animale e scomparissi tra la folla?”
L’altro ebbe una smorfia sprezzante. “Non fare lo stupido,” gli disse semplicemente.
Il ragazzo abbandonò di malavoglia la cavalcatura, Jeisym e Therved gli si misero ai fianchi, poi lo spinsero verso una porta. Al di là vi era una sala che paragonata al caos esterno sembrava la navata principale di un tempio. Vi era solo qualche tavolino, al quale sedevano persone intente a conversare. Altre persone si muovevano lente lungo le pareti, alcune parlavano fra loro, altre semplicemente si limitavano girellare con aria svagata. Notò in un angolo un uomo alto, completamente coperto da un manto nero, il volto nascosto da un profondo cappuccio. L’indumento era sdrucito e rammendato in più punti e creava uno strano contrasto con la generale opulenza dei presenti. Nonostante il suo aspetto dimesso, nessuno sembrava intenzionato a scacciarlo, ma tutti gli manifestavano anzi rispetto.
Vieni,” lo richiamò alla realtà Jeisym. Lo spinse verso uno dei tavolini poi gli tolse il mantello, lasciandolo solo con una leggera tunica e calzoni aderenti, e gli fece segno di prendere posto.
Non appena si furono accomodati, un uomo si staccò dalla parete e si diresse verso di loro.
Salute a te,” lo accolse l’As’vaan. “Vuoi sederti con noi?”
Questi si accomodò. Era un dignitario di mezz’età, con i capelli brizzolati sulle tempie e un principio di pinguedine. Portava gioielli al collo e alle dita e aveva abiti di broccato intessuto d’oro. Scambiò qualche convenevole con il giovane Khan, quindi domandò: “Quanto chiedi per questo giovane?”
Jeisym sollevò le sopracciglia. “Hai buon gusto,” rispose. “Questo fanciullo è come il giovane puledro segnato dal pollice di Halmaikah: unico. Non ne troverai nessun altro in grado di rivaleggiare con la sua bellezza e la sua grazia.”
L’altro assentì. “Capisco. Ma ha buone maniere? Sa intrattenere gli ospiti?”
Come un vero principe,” rispose l’As’vaan.
Herich, che aveva seguito lo scambio in silenzio, a quel punto intervenne: “Io sono un principe: sono l’erede al trono del Daishrach e costui mi ha rapito.” Fissò negli occhi l’acquirente e aggiunse: “Riportami a mio padre e ti coprirà d’oro.”
L’uomo rimase interdetto. Mantenne il silenzio per qualche secondo, quindi si rivolse a Jeisym: “Dice il vero?”
L’As’vaan scosse la testa. “È solo un suo modo di rendersi importante.”
Non è vero,” replicò categorico il ragazzo. “Io sono l’erede al trono del Diashrach e costui mi ha rapito. Mio padre, re Evertas, mi sta facendo cercare per ogni dove e ti coprirà d’oro se mi riporterai da lui.”
Sempre più interdetto, l’altro fece saettare lo sguardo da lui ai due As’vaan. “Non voglio complicazioni,” borbottò. Fece per alzarsi.
Aspetta,” gli disse Jeisym, “il ragazzo vuole solo farsi bello ai tuoi occhi.” Si fece scorrere fra le dita una ciocca dei suoi capelli e soggiunse: “Come se ce ne fosse bisogno...”
L’acquirente si alzò comunque in piedi. “Non voglio noie,” ripeté, “voglio uno schiavo che mi dia picere, non una fonte di problemi.” Si allontanò senza girarsi indietro.
Jeisym lo seguì con lo sguardo per qualche secondo, quindi si girò verso Herich e disse: “Immagino che sarai soddisfatto di te.”
Non voglio essere venduto come un cavallo,” replicò per tutta risposta il ragazzo.
L’As’vaan inspirò lentamente come per calmarsi, quindi con voce minacciosamente bassa rispose: “Posto che comunque sarai venduto, perché ne ho abbastanza di sopportare i piagnistei di un moccioso inetto e viziato quale tu sei, hai due scelte: o accetti un acquirente del mercato degli schiavi di lusso, o Therved ti porterà nel mercato degli schiavi normali e ti venderà al migliore offerente, che potrebbe essere il tenutario di un bordello come il gestore di una cava di pietre o il padrone di una conceria di pelli. Scegli con oculatezza, perché non ti darò un’altra possibilità.”
A quelle parole ferali, Herich si limitò a stringere le labbra e ad abbassare lo sguardo.
Ricordati, non voglio più problemi,” lo ammonì severo Jeisym.
Il giovane non rispose.
Mi hai capito?” insisté il Khan.
Sì,” rispose Herich con voce incolore.
Jeisym stava per aggiungere altro quando entrò nella sala un uomo alto e solido, dallo sguardo penetrante. Vestiva una lucente cotta di maglia, portava sulle spalle un manto scarlatto e aveva le insegne di generale. Si guardò intorno con l’aria di chi è abituato a valutare le situazioni con un’unica rapida occhiata, quindi volse lo sguardo verso il tavolo dove sedeva il Khan. Questi chinò la testa in segno di rispetto e gli disse: “Salute a te, comandante Risskel.”
Come sta tuo padre, giovane Jeisym?” chiese il nuovo arrivato.
Molto bene, comandante, come spero di te. Vuoi sederti con noi?”
L’altro si fece avanti. “Volentieri. Sono giusto alla ricerca di un ragazzo per alleviare le notti di solitudine, e quello che hai qui con te mi pare davvero grazioso.”
Come sempre hai buon occhio, comandante,” apprezzò il giovane predone. “Non vi è fanciullo più avvenente in tutta Perechyra.” Si girò verso Herich fulminandolo con lo sguardo, quindi proseguì: “Inoltre ha le maniere di un vero principe, conosce anche la musica e la poesia.”
È molto bello,” considerò il comandante. Gli mise una mano sotto il mento e lo costrinse ad alzare il viso. “Cos’è quel segno che ha in faccia?”
Mio signore, quello è un segno della benevolenza del suo dio. È come l’impronta del pollice di Halmaikah che rende unici i purosangue.” Si rivolse a Herich: “Alzati, fa’ vedere al comandante quanto sei snello e grazioso.”
Il ragazzo obbedì fissando ostinatamente davanti a sé con espressione vacua.
Quanto chiedi?” domandò Risskel dopo avergli rivolto uno sguardo di apprezzamento.
Solo perché sei tu, trentamila pezzi d’oro. A chiunque altro ne chiederei il doppio.”
Il comandante ghignò. “E perché a me solo trentamila?”
Ma perché sei amico di mio padre, ovviamente, e perché nutro la più grande stima nei tuoi confronti.”
Tra i due calò il silenzio. Il militare fissò ancora una volta Herich, gli fece cenno di sedersi, quindi ghignò e disse: “Te ne darò diecimila, e come sempre dirò alle guardie di chiudere un occhio sui carichi che porti in città.”
Jeisym si finse costernato. “Mio signore, tu vuoi scherzare! Guarda che pelle bianca, guarda i capelli: puro ebano!” Fece una pausa, quindi in tono astuto soggiunse: “Ed è intatto, mio signore. Pronto per il tuo piacere...”
Conosco almeno dieci modi diversi per simulare una verginità perduta da tempo.”
Tu mi offendi, mio signore. Offendi il buon nome di mio padre e del clan dell’Aquila Bianca. Ho vegliato io stesso sulla purezza di questo giovane.”
Ma certo, lo immagino. Comunque mi piace, intatto o no. Dodicimila pezzi d’oro.”
Ah, comandante, un ragazzo così non si trova in tutta la regione. Ventottomila, e lo stai già pagando molto meno del suo valore.”
Tredicimila.”
Ventisettemila, non uno di meno.”
Herich cercò di estraniarsi dall’umiliante contrattazione. Fece scorrere lo sguardo sulla sala: nel tavolino accanto al loro si stava svolgendo la compravendita di una donna alta e segaligna, con una crocchia di capelli grigi e delle lenti sul naso. La signora manteneva un contegno sussiegoso e annuiva impercettibilmente ogni volta che il venditore elencava uno dei suoi pregi.
Al tavolo successivo erano seduti solo venditore e acquirente. Lo schiavo che veniva contrattato, un ragazzo del Fjorn straordinariamente bello, biondo e muscoloso come un giovane dio, aveva le mani legate dietro la schiena e strattonava irato la catena con cui tre uomini robusti lo stavano trattenendo, incurante del fatto che le maglie di metallo gli avevano già ferito la pelle sottile del collo. Il compratore sembrava compiaciuto da quella furia e ogni tanto gli lanciava occhiate soddisfatte, pungolandolo addirittura con la punta di un bastone quando lo vedeva troppo calmo.
Herich si chiese perché quel giovane si comportasse così. Forse voleva mantenere intatta la dignità, far vedere che non si piegava. O forse aveva semplicemente capito che al suo acquirente piacevano i ragazzi focosi e si dava da fare per suscitare il suo interesse. Da quello che aveva visto, infatti, lì nessuno schiavo sembrava in realtà scontento di esserlo. Seguivano anzi i padroni come vecchi amici, senza alcun bisogno di costrizioni.
Spostò lo sguardo verso l’angolo della sala in cui aveva visto l’uomo incappucciato, ma esso non c’era più.
In quel momento, una mano pesante gli piombò sulla spalla e una voce disse: “Andiamo?”
Si girò e si trovò faccia a faccia con il generale Risskel. “Andiamo?” ripeté il militare.
Herich tentennò, dardeggiò intorno lo sguardo come alla ricerca di aiuto, poi balbettò: “Io non...”
Forza,” lo interruppe l’uomo, “non ho tutto il giorno.”
Il ragazzo fece un passo indietro frastornato, incapace di distogliere la mente dall’angoscioso pensiero di essere stato comprato, di appartenere a qualcuno esattamente come un animale o un oggetto.
Si sentì cingere il collo da qualcosa di duro e freddo, percepì come in sogno il tintinnio di una catena e l’uomo che diceva: “È meglio che ti metta questo, così non ti farai venire strane idee.”
La vista di Jeisym che si allontanava in compagnia del suo secondo gli suscitò nonostante tutto un’atroce fitta di nostalgia.
Io non voglio,” mormorò con voce incerta. Si accorse che gli occhi gli si inumidivano.

Fermo in un angolo del cortile, Res seguiva attento ciò che stava succedendo all'interno della sala. Certo, Dras, che hai uno strano modo di onorare gli accordi, pensò. Si passò la mano sulla fronte: non stava sudando e nel movimento anche i muscoli sembravano abbastanza sciolti.
Del resto, era stato attento: da quando era arrivato a Perechyra non aveva bevuto una sola goccia di vino, si era trovato un lavoro che lo teneva impegnato tutto il giorno e di sera andava in giro col mantello dei santi di Zephan per conoscere la città, tenendosi scrupolosamente lontano dai quartieri nei quali avrebbe potuto trovare in vendita il tau'zeel. Non aveva preso nemmeno l'erba di Kaladorn o il miech, per essere il più pulito possibile, cosa che peraltro gli aveva fatto trascorrere un bel po' di notti insonni.
La sua parte l'aveva fatta, insomma.
E l'acquirente di Herich era nientemeno che un alto ufficiale della guarnigione di Perechyra, forse addirittura il suo comandante.
Emise un sospiro. Forse Dras non c'entrava nemmeno. C'erano altri dei, nel cielo, che esattamente come il suo potevano avere dei progetti da portare a termine.
Sollevò le spalle. A prescindere da Dras e dai suoi disegni, notoriamente imperscrutabili, aveva giurato di liberare il ragazzo e di riportarlo a suo padre, ed era quello che aveva intenzione di fare.
Arretrò tirandosi maggiormente il cappuccio sugli occhi. Il discorso che gli aveva fatto Balrich, ovvero che nessuno andava al mercato degli schiavi con scorte consistenti, doveva più che mai valere per un ufficiale di quel rango, al quale di sicuro nessuno avrebbe osato nuocere.
Si guardò intorno: in un angolo della piccola piazza c’erano alcuni soldati che come lui tenevano d’occhio la porta del mercato degli schiavi. Quando il comandante comparve sulla soglia, essi abbandonarono la posizione rilassata che avevano fino a quel momento tenuto e si misero sull’attenti. A un suo ordine gli si disposero tutti intorno e il gruppo compatto cominciò a procedere. La strada era ingombra di gente, ma tutti si scostavano non appena si faceva udire il rumore cadenzato degli stivali militari.
Res si mise dietro di loro. Come santo di Zephan, anche a lui veniva frequentemente ceduto il passo, quindi non gli era difficile non distaccarsi troppo dal drappello.
Continuò a camminare in silenzio, stando attento a non cambiare andatura e a non attirare in alcun modo l’attenzione su di sé.
Mentre procedeva con l'aria di non curarsi per nulla di ciò che lo circondava, osservava in realtà i soldati con l'occhio di chi ha passato una vita a valutarli. Perechyra non subiva attacchi da tempo, l'unico pericolo di una qualche rilevanza erano le bande di predoni dell'As'del, che però normalmente abbandonavano la contesa se l'avversario si rivelava troppo ostico. In città c'erano di sicuro criminali di ogni genere, ma anch'essi del tipo che preferiva lasciar perdere, piuttosto che rischiare di finire nelle prigioni. Nessuno che combattesse fino alla morte, nessuno che aggredisse una guardia col deliberato scopo di ucciderla.
Mezzi soldati, concluse fra sé e sé, con l'occhio svelto a cogliere un ladruncolo sul fatto, ma poco abituati a un avversario deciso e addestrato al combattimento.
Sperò di essere ancora così: deciso e addestrato al combattimento. Certo, di guerra ne aveva fatta parecchia, ma era successo anni prima.
Prima del tau'zeel, anche.
Si portò una mano al fianco, soppesando attraverso il pesante manto nero la spada che si era procurato: un buon ferro, robusto e bilanciato. Non certo l'acciaio del Fjorn, ma pur sempre un'arma in grado di fare danni.
Strinse gli occhi, spostò lo sguardo sull'ufficiale. Svettava sugli altri, aveva movimenti misurati ma pieni di forza. Si guardava intorno sicuro e attento come un rapace. Pur parlando con Herich, non smetteva un attimo di tenere d'occhio l'ambiente.
Lasciò che il drappello lo distanziasse di qualche passo: era certo che l'ufficiale l'avesse notato e voleva scomparire dal suo campo visivo per non metterlo in allarme.
Continuò a camminare tenendosi rasente al muro. Ormai conosceva abbastanza bene le strade di Perechyra da capire che il gruppo non si stava dirigendo agli alloggi delle guardie. Stava anzi procedendo verso un quartiere più silenzioso, addirittura signorile. Le strade si facevano man mano più larghe e ariose, nei canali che le costeggiavano scorreva acqua limpida.
Doveva agire subito: nel caos del centro poteva passare inosservato, ma in quella zona poco frequentata la sua sinistra presenza avrebbe attirato l'attenzione come quella di un demone di Vurar.

Herich si portò una mano al collo e infilò due dita sotto il cerchio che lo cingeva: non era stretto e non era nemmeno pesante. Se non fosse stato per la temperatura della sua superficie, non l'avrebbe nemmeno detto di metallo.
Fece scorrere le dita e nel movimento la catena che era assicurata al collare tintinnò.
Smettila di fare la commedia,” gli disse l'ufficiale, in tono seccato. “Quel collare non può essere così stretto, se ci puoi infilare dentro mezza mano.”
Herich sollevò gli occhi su di lui e fissandolo con durezza rispose: “Potrebbe essere largo come la valle dell'Edayr, ma mi soffocherebbe lo stesso, perché è il simbolo della mia prigionia.”
Lungi dal raccogliere la provocazione, l'uomo chiese: “La valle dell'Edayr? Vieni dal Daishrach, per caso?”
Sono il principe ereditario del Diashrach, per la precisione.”
L'altro sollevò le sopracciglia come di fronte alle spacconate di un bambino. “Ma davvero?”
Mio padre ti coprirà d'oro, se mi riporti da lui,” proseguì Herich imperterrito. “Ti darà molto di più delle miserabili ventimila monete che hai sborsato per avermi.”
L'ufficiale annuì con aria divertita. “Ma certo, e poi magari mi accompagnerà a visitare il regno, non è vero? E scommetto che sarò l'ospite d'onore di un banchetto che durerà non meno di una settimana, giorno e notte.”
Non prendermi in giro!” sbottò il ragazzo, fermandosi sui due piedi. “Io sono Herich Averin figlio di Evertas il Saggio. L'As'vaan con cui hai parlato mi ha preso prigioniero presso i templi di Os'lak e mi ha portato qui!” Tacque per qualche istante, ansimando appena nella foga del discorso. L'uomo continuava a fissarlo con un vago sorriso, con l'aria di non credere a una sola parola. “Non vedi questo?” disse allora, toccandosi la cicatrice che gli segnava il viso. “Questo è il segno della benevolenza di Dras, significa che sono l'erede al trono!”
A quel punto, l'ufficiale non poté trattenere le risa. “Se non altro sei divertente,” gli disse. “Quella sarà una frustata, che qualcuno meno paziente di me ti ha assestato infastidito da queste sciocchezze. Però devo dire che alla fine non ti sta male, ti dà un'aria vissuta.” Tirò leggermente la catena come per convincerlo a muoversi.
Herich tese i muscoli strappando all'indietro. “Basta!” gridò. “Basta, ne ho abbastanza! Io non sono uno schiavo, non sarò mai il tuo schiavo!” Tese ferocemente la catena, si divincolò per cercare di sfilarla dalle mani dell'ufficiale. Un soldato si mosse per afferrarlo, ma lui riuscì a sgusciargli fra le mani. Gli sfilò dal fodero il pugnale che portava in cintura e con quello prese a menare fendenti davanti a sé mentre arretrava ansante. Non sapeva che cosa stava colpendo, le lunghe lezioni di scherma del maestro Taman sembravano scomparse dalla sua memoria senza lasciare tracce, ma continuava ad agitare la lama forsennatamente, arretrando passo dopo passo.
Smettila,” lo ammonì l'uomo, “non costringermi a farti male.”
Sta' lontano!” gridò Herich per tutta riposta. La catena si tese, strattonandolo in modo brutale. Egli gemette a denti stretti, d'istinto sfruttò la forza che lo strappava in avanti e riuscì ad assestare un colpo al braccio dell'ufficiale. Questi ringhiò di dolore e sorpresa, quindi fece per colpirlo a sua volta, ma a quel punto qualcosa di nero gli piombò addosso mandandolo a rotolare sul selciato.
Subito dopo, Herich si sentì spingere indietro da una forza che gli parve immane, ma mitigata da una strana connotazione di cautela, come un'attenzione a non volergli fare alcun male.
L'estremità della catena cadde a terra tintinnando, il ragazzo si allontanò di qualche passo, poi udì un grido d'agonia: si voltò e vide uno dei soldati crollare a terra in una sventagliata di gocce purpuree. Nello spazio di un respiro, altri due fecero la stessa fine.
Sbatté gli occhi stupefatto: l'uomo dal manto nero, quello che aveva visto al mercato degli schiavi, stava attaccando le guardie.
Trattenne il respiro, il pugnale ancora stretto in mano, gli ultimi anelli della catena che tintinnavano sul selciato. Se avesse avuto il coraggio di tentare la fuga, quello sarebbe stato il momento ideale. Gli tornarono in mente le parole beffarde di Jeisym: Se tu ci riuscissi, avresti guadagnato la libertà. Certo, una volta che l’hai guadagnata, dovresti anche sapere cosa farne.
Fece un altro passo indietro, pesante come piombo. L'atroce verità era che non ce l'aveva, quel coraggio: non avrebbe saputo dove andare, cosa fare, a chi rivolgersi...
Un altro corpo che cadeva a terra lo fece sussultare. Di nuovo alzò lo sguardo verso la lotta in pieno svolgimento e vide che erano rimasti in piedi solo un soldato, il comandante delle guardie e l’uomo dal manto nero.
Si chiese chi potesse essere: qualcuno che voleva rapirlo e rivenderlo, o qualcuno che voleva liberarlo? E liberarlo per quale motivo, poi?
Fece un altro passo indietro. Si guardò alle spalle, verso la strada vuota. Sarebbe stato facile imboccarla di corsa e far perdere le proprie tracce. Per fare cosa, poi? Dove sarebbe andato, una volta calata la sera? Cosa avrebbe mangiato? In che modo avrebbe racimolato i soldi per tornare a casa?
In quel momento, un urlo d’agonia interruppe il filo dei suoi angosciosi pensieri: l’ultimo dei soldati era caduto, ora rimanevano solo l’ufficiale e l’uomo dal manto nero a fronteggiarsi.
Trattenne il respiro mentre i due si giravano intorno con minacciosa lentezza e letteralmente sussultò quando l’ufficiale balzò in avanti con una punta al corpo del suo avversario. Questi scattò di lato sottraendo bersaglio, prese ferro e colpì fulmineo con un tondo rovescio, ma l’altro non si fece cogliere alla sprovvista, e a sua volta si fece indietro. Di nuovo presero a girarsi intorno e prima che Herich, ansante e con la bocca secca per l'emozione, potesse decidere cosa fare, di nuovo l’ufficiale scattò in avanti con un fendente alto, l’uomo dal mantello nero parò, ma dovette arretrare per non perdere l’equilibrio sotto l’impatto e scompose la sua posizione di guardia. L’altro gli afferrò un polso e in breve si trovarono avvinghiati in un feroce corpo a corpo.
Poi l’ufficiale abbandonò la spada ed estrasse un pugnale, Herich vide la lama baluginare tra le pieghe del manto nero e udì l’uomo incappucciato emettere un gemito. Questi tentò poi di farsi indietro, ma l'altro non abbandonò la presa al polso.
D’istinto il ragazzo si fece avanti e mentre i due ringhiando e ansimando cercavano di sopraffarsi a vicenda, urlò “Tieni!” e tese il pugnale all’uomo col manto nero.
Questi lo ghermì con insospettata rapidità, se lo girò fra le dita in modo da impugnarlo di sottomano e tirò un fendente al suo avversario dal basso verso l'alto, così in fretta che Herich quasi non riuscì a seguirlo con lo sguardo.
Da quel punto in poi, la lotta divenne un rabbioso avvinghiarsi di animali selvatici. I due si giravano furiosamente intorno e solo il fugace baluginio delle lame o lo sgorgare del sangue facevano capire che intanto si scambiavano colpi letali.
Herich fece un passo indietro, arrivando ad addossarsi al muro. Di nuovo lanciò una fugace occhiata alla strada libera, ma in quel momento udì un gemito più profondo e subito dopo il tonfo di un corpo che si accasciava a terra. Si girò e vide che l'ufficiale giaceva esanime. L'uomo dal manto nero era in piedi e ansava pesantemente. Gocce di sangue cadevano dall'orlo dell'indumento come la pioggia da un tetto. “Andiamo,” si limitò a ordinare, premendosi una mano sul fianco. Tese il braccio libero verso di lui.
Herich cercò d'istinto di indietreggiare, ma l'altro fu svelto ad afferrarlo. Subito dopo ripeté: “Andiamo, non c'è tempo.”
Aspetta, chi...” cominciò il ragazzo disorientato.
L'uomo si mise a correre ed egli non ebbe altra scelta che raccogliere l'estremità tintinnante della catena e seguirlo.

Corsero per un tempo che a Herich parve infinito, svoltando di continuo per strade sempre nuove, evitando quelle più frequentate, passando per case diroccate e zone incolte.
Quando gli edifici cominciarono a diradarsi, trasformandosi in una periferia disseminata di capanne e intersecata da canali limacciosi, l'uomo dal manto nero rallentò. Ansava pesantemente e dovette appoggiarsi al tronco di un albero secco per mantenere l'equilibrio.
Ho bisogno di riposare,” mormorò con voce roca. “Devo fasciarmi le ferite, così siamo troppo rintracciabili.”
Herich abbassò gli occhi sul selciato sconnesso e vide una serie di gocce purpuree che si perdeva in lontananza. Rialzò lo sguardo sull'uomo. “Chi sei?” osò chiedergli.
Per tutta risposta, l’uomo si fece scivolare indietro il cappuccio.
Il ragazzo spalancò gli occhi e d’istinto si mise una mano sulla bocca come per frenare un grido. “Res,” mormorò dopo qualche istante di incredulo silenzio. “Sei davvero tu, Res?”
L’altro annuì grave. “Sono qui per riportarti a casa, principe.”
Con un gemito, il ragazzo gli piombò fra le braccia e gli nascose il volto sul petto. “Ti credevo morto,” disse in un soffio. Sulle guance gli rotolarono due grosse lacrime.
Sentì la mano del soldato posarglisi sui capelli in una lenta carezza. “Res,” ripeté.
Sono qui, principe.”
A quelle parole, Herich si sentì attraversare da un brivido. “Sei ferito,” gli disse, costringendosi a staccarsi da lui e a fissarlo in viso. “Dobbiamo trovare subito un guaritore, delle cure adeguate...”
Il soldato scosse la testa. “No, principe. Niente guaritori, non abbiamo tempo e non possiamo farci vedere in giro.”
Il ragazzo deglutì. Si voltò lentamente indietro, come per accertarsi che nessuno li stesse seguendo. “Quelli là...” mormorò poi, “sono… morti?”
Penso di sì, principe.”
Res si diresse poi verso il rudere di una casa abbandonata, vi entrò e lasciò cadere il mantello nero per terra. Subito dopo si sfilò con qualche sforzo la tunica, mettendo a nudo un profondo taglio al fianco. Herich avrebbe voluto aiutarlo, ma alla vista della ferita aperta si sentì invadere dalla nausea e dovette arretrare mentre un capogiro minacciava di farlo cadere a terra.
Non guardare se ti fa impressione, principe,” disse Res, senza nemmeno alzare gli occhi.
Il ragazzo si appoggiò al muro e si passò una mano sulla fronte, ritraendola coperta di sudore gelido. Si diede dello stupido: Res aveva bisogno di aiuto, e tutto quello che riusciva a fare era svenire perché il sangue gli faceva impressione. Di nuovo pensò a Jeisym e alle sue parole beffarde.
Siediti, principe,” gli consigliò il soldato.
Senza abbandonare il muro, egli levò lo sguardo su di lui: era a torso nudo e strappava strisce dal mantello per farne bende di fortuna. Il taglio continuava a sanguinare e rivoli rutilanti gli scorrevano lungo la gamba.
Strinse i denti cercando di scacciare la sensazione di avere la testa piena di bambagia. Fin da quella distanza l’odore ferroso del sangue gli faceva rivoltare lo stomaco ed era certo che se avesse osato alzare di nuovo lo sguardo sul taglio si sarebbe afflosciato a terra in preda al deliquio. “Hai bisogno d’aiuto?” si costrinse a chiedere nonostante tutto.
Res interruppe quello che stava facendo e sollevò lo sguardo su di lui. “Te la senti?” si informò dubbioso.
Herich deglutì. “Ci provo.”
Il soldato gli rivolse un pallido sorriso. “Se tu riuscissi a prepararmi delle strisce di stoffa, principe, sarebbe già un grande aiuto.”
Il giovane strinse i denti e si fece avanti con passo malfermo. Aveva la sensazione di fluttuare nella nebbia e macchie nere gli danzavano davanti agli occhi, tuttavia si sedette su una cassa e prese un lembo del mantello.
Usa il pugnale,” gli suggerì Res.
Herich lo raccolse con mano tremante, sempre cercando di ricacciare la sensazione di debolezza che lo invadeva, e per distrarsi dall’idea del sangue fissò gli occhi sulla stoffa e cominciò a tagliarla.

Dopo un po’, Res fermò la mano del ragazzo e disse: “Credo che così possa bastare.”
Herich quasi sussultò per la sorpresa. Alzò il viso su di lui sbattendo gli occhi come svegliato di soprassalto e sembrò rendersi conto solo in quel momento che aveva già finito di medicarsi. Abbandonò la benda che stava tagliando con un’espressione quasi di imbarazzo.
Il soldato gli diede un buffetto sulla spalla e disse: “Hai fatto un ottimo lavoro, principe.”
Il ragazzo si terse il sudore da un viso bianco come neve appena caduta. “Grazie,” balbettò, poi levò lo sguardo fino a incontrare il suo e gli chiese: “Stai meglio ora?”
Res colse nei suoi occhi un’apprensione febbrile, tuttavia dovette scuotere la testa. “Ho giusto diminuito la perdita di sangue,” rispose con sincerità. “Speravo che saremmo potuti partire oggi stesso, ma devo assolutamente riposare e farmi curare questa ferita, altrimenti...” Non riuscì a finire la frase: una fitta di dolore la troncò a metà.
Il ragazzo scattò in piedi come punto da una vespa. “Troveremo un guaritore, vedrai,” disse con foga, più per rassicurare se stesso, forse, che per incoraggiare lui. “Lo troveremo e io lavorerò per pagarlo.” Fece un pausa, poi aggiunse: “So fare delle cose anch’io, sai?”
Res si terse dal volto le gocce di sudore freddo che lo imperlavano. “Davvero, principe?”
Sì, io conosco tante scritture sacre, la poesia, la musica e cose del genere. Potrei metterle a frutto per fare qualcosa di utile, finalmente.”
Magri più avanti, principe. Per ora devi solo aiutarmi a indossare la tunica e il mantello. E lasciati ricadere i capelli davanti al viso, il segno di Dras è troppo riconoscibile.”
Herich emise un sospiro e non aggiunse altro. Si limitò a raccogliere gli indumenti e a porgerglieli, quindi si pettinò come gli era stato suggerito. Res mantenne a sua volta il silenzio. Si rendeva conto che il ragazzo era rimasto deluso, ma in quel momento non aveva energie da sprecare per consolarlo, e poi aveva provato di persona quanto fossero pericolosi i lenitivi al dolore, fisico o morale che fosse, e non voleva che anche il giovane principe ne rimanesse vittima.
Ora andiamo,” si limitò a dire. “Ci manterremo nelle zone poco frequentate e tramite quelle cercheremo di raggiungere i magazzini del grano. Là dovrebbe esserci una persona che spero ci aiuterà.”
Dovrebbe?” fece eco il ragazzo dubbioso.
Res assentì. “Le cose non sono andate come avevo previsto. Non mi aspettavo che il tuo acquirente fosse il capitano delle guardie, né che avesse con sé una squadra di soldati.” Si toccò il fianco ferito e strinse le labbra per il dolore. “E non pensavo che sarebbe riuscito a ferirmi così gravemente,” concluse in tono duro. Si mise in marcia senza aggiungere altro. Ricordava battaglie in cui aveva fatto il vuoto intorno a sé, in cui i nemici al suo confronto erano solo goffi burattini, che lui poteva colpire come e quando voleva.
Aveva sconfitto campioni, aveva spezzato spade leggendarie.
Tutto questo prima che il tau’zeel lo rendesse una miserabile larva tremante e farneticante, pronta a
ogni bassezza pur di avere un sorso di droga.






   
 
Leggi le 15 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Old Fashioned