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Autore: fumoemiele    21/10/2018    6 recensioni
(Questa storia partecipa a “Una festa in zucca” - Challenge di Halloween” indetta dal gruppo facebook Il Giardino di Efp)
[Brooke/Jake] - [Noah]
E se Brooke fosse morta in quel freezer?
Genere: Dark, Horror, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: Violenza
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Vetri rotti
 
 
 
                                         
Brooke odiava quell’idiota di Jake.
Nonostante la pugnalata al petto, aveva affermato che non l’avrebbe lasciata da sola a quella festa del cazzo. Eppure Brooke si trovava lì, circondata da studenti che chissà perché aveva invitato in casa sua mentre dei suoi amici, ancora, non c’era ombra.
Si versò del whiskey invecchiato in un bicchiere di vetro, portandolo alle labbra e mandandolo giù in pochi sorsi, lasciando che la sua gola chiedesse pietà per il bruciore amaro dell’alcool.
Aveva chiesto di evitare le maschere, in un periodo pieno di omicidi non servivano idioti travestiti da Brandon James. Non aveva nessuna intenzione di ritrovarsi davanti a quel volto grigio e inquietante, riusciva a darle i brividi anche quando sapeva che c’era solo un idiota dietro al costume.
Sospirando si sfilò il cellulare dalla tasca, sperando con tutta se stessa di aver ricevuto notizie da qualcuno di più apprezzabile. Audrey, Emma, quello svitato di Noah, Jake… nulla. Nessuno di loro sembrava intenzionato a partecipare a quella maledetta festa. Tutti scomparsi e impossibili da rintracciare.
Stanca di tutti quelli che le stavano intorno e di cui non le importava nulla, iniziò a cacciare gli invitati, procedendo per zone perché si erano dispersi nell’immenso giardino e nel resto della villa. Non li cacciò tutti, erano troppi. Il numero calò notevolmente, comunque. Restarono solo quelli troppo sbronzi per guidare. Talmente ubriachi da non vedere un assassino mascherato girare nei dintorni. Talmente fatti da non sentire le urla giungere dal magazzino.
Suo padre l’avrebbe uccisa al suo ritorno a casa. Regnava il delirio lì dentro. Abbassò il volume della musica per evitare di impazzire.
La casa si era svuotata più rapidamente di quanto pensasse. E Jake non era arrivato, come non lo avevano fatto Emma, Audrey o chiunque altro avesse invitato.
Si sentì sola nel vedere la piscina quasi vuota. Non c’erano più le coppie occupate a pomiciare sulle sue sdraio, anche se qualche idiota seduto a bordo piscina e intento a vomitare l'anima era presente.
Sospirando rientrò in casa, chiudendosi la porta alle spalle e versandosi dell’altro whiskey. Non aveva altra compagnia, a parte quella dell’alcool. Gli invitati rimasti erano ancora meno gradevoli di quelli che erano andati via. La voglia di far festa e chiacchierare era sparita.
Sussultò all'improvviso, appena il volto freddo e macabro di Brandon James comparve sul vetro trasparente della finestra. Il cappuccio contornava i bordi di quella maschera orripilante. Imprecando, iniziò a raccogliere con lentezza i cocci del bicchiere che, cadendo sul pavimento, si era frantumato ed era arrivato a contare un’infinità di schegge aguzze.
“Che idioti. Hanno lasciato l’umorismo rinchiuso nell’armadio”, borbottò mentre lasciava scivolare i frammenti di vetro più grandi nel cestino.
Non era la prima volta che i ragazzi di Lakewood acquistavano su internet quelle stupide maschere e si divertivano nell’indossarle e spaventare le persone. Con un assassino ancora libero non era uno scherzo piacevole.
Un brivido la percorse, gelido.
“Magari era il vero assassino”, pensò. Poco dopo scosse il capo a destra e sinistra. No, quello non era un film dell’orrore. Nella realtà l’assassino non gioca con te, non compare alla finestra prima di entrare dentro casa senza permesso e ucciderti. Se fosse stato vero, lei sarebbe già morta. Inoltre, c'era una festa in corso... più o meno, se non si calcolava che i partecipanti rimasti erano quasi in coma etilico.
Pensò di avviarsi verso il piano inferiore per prendere una birra. Non aveva nessuna voglia di rimettere in ordine la casa, sebbene dovesse farlo. Attraversò il corridoio e si fermò al centro.
Qualcosa non andava.
Che cosa?

Con il respiro bloccato dall’ansia che era arrivata piano ed era scoppiata come un palloncino troppo gonfio, si voltò in direzione della porta e, sebbene una parte di sé sapesse già cosa aspettarsi, non riuscì a evitare di lasciarsi sfuggire un urlo acuto alla visione della maschera di Brandon dietro il vetro della porta d’ingresso.
Fu difficile capire che cosa fare. Aveva già rischiato di morire per mano di quell’assassino del quale nessuno conosceva ancora l’identità, tuttavia non riusciva a pensare con calma né in modo lucido.
Era il vero assassino?
Sicuramente, altrimenti perché cercare di  aprire la porta chiusa a chiave con tutta quella forza?
Con il respiro sempre più affannato iniziò a correre e si chiuse la prima porta del corridoio alle spalle, ascoltando i rumori provenienti dall’esterno e comprendendo che, con rapidità, l’assassino era riuscito a entrare in casa.
Era arrivata in magazzino. L’auto di suo padre era parcheggiata al centro della stanza. Cercò di aprire la porta che l’avrebbe condotta direttamente fuori, ma – ovviamente, altrimenti che film horror sarebbe? – quella non si era aperta, così aveva continuato a cercare di sfondarla senza ottenere risultati e, alla fine, era scivolata in un’altra stanza di quelle abbandonate della casa; magazzini utilizzati solo per riporre roba vecchia e da buttare via.
Come quel maledetto freezer.
Inizialmente aveva pensato di nascondersi dietro un tavolo. Era stata un’idea sciocca e se n’era resa conto quando aveva ascoltato il silenzio occupato solo dai suoi pesanti sospiri e, nell’ansia, aveva identificato i passi dell’assassino che la stava cercando per placare quella sete di sangue.
Con poca convinzione s’infilò nel freezer, controllando rapidamente la spina per capire se fosse attaccato alla corrente oppure no. Sentì ancora i passi pesanti dell’uomo con la maschera di Brandon sempre più vicini e sollevò leggermente il coperchio per controllare quale fosse la situazione all’interno del garage. Sperava che, nel non vederla da nessuna parte, sarebbe andato via e l’avrebbe cercata altrove, lasciandole il tempo di scappare via da quella casa maledetta.
Lì nel freezer c’era solo il buio. Afferrò il cellulare dalla tasca dei jeans stretti e accese la torcia, non sopportava di essere chiusa lì, nel nero più assoluto, con un assassino fuori da quel rettangolo bianco, quello stupido congelatore destinato a marcire in garage per l’eternità.
Riabbassò il coperchio con uno scatto. La maniglia della stanza si era abbassata.
Lui era lì.
Cercò di trattenere il respiro e le lacrime per evitare di essere scoperta, ma non servì a nulla.
Il freezer rotolò su un fianco, spinto dall’esterno e lei cacciò un sonoro urlo per lo spavento.
L’aveva trovata. 
Il cuore di Brooke pompava sangue in modo disumano, batteva talmente forte che per un momento pensò sarebbe riuscito a scappare via dalla gabbia toracica, lasciandola senza. In fondo non le serviva nemmeno, il cuore, la gente dimenticava sempre che ne aveva uno più che funzionante.
Si risistemò a pancia in su dopo la breve capriola del freezer, respirando affannosamente. E adesso?
Un coltello affilato oltrepassò il materiale del congelatore, lasciandole il tempo di spalancare gli occhi, disorientata. Il panico iniziò a scorrerle nelle vene con più forza di prima, mentre arrivava una seconda pugnalata più laterale mentre Brooke si spostava urlando di volta in volta, cercando di non prendere la lama affillata.
Non voleva morire. Non poteva farlo. Era solo un’adolescente, non meritava di essere uccisa da uno psicopatico.
Eppure non c’era modo di fermarlo.
Le suppliche, le lacrime, le urla e le preghiere servirono solo a lasciare l’assassino impassibile, mentre altre coltellate superavano il freezer e arrivavano dritte a lacerarle la pelle.
Mentre le prime tre pugnalate arrivarono da sopra, la prossima entrò con forza dal lato destro e, quella subito dopo, dal sinistro, mentre Brooke si spostava nel poco spazio che aveva per cercare di ferirsi il meno possibile e di sopravvivere.
Si ricavò diversi tagli. La sua pelle perfetta era stata lesionata più volte, lasciando zampillare via scie di sangue scarlatto e in netto contrasto con il bianco mostruoso del freezer. Sentì il dolore propagarsi in tutto il suo corpo, anche se le ferite erano solo alcuni tagli superficiali. Non era arrivato troppo a fondo, quando aveva smesso di pugnalarla e di sentirla urlare.
Quei secondi di pace la lasciarono disorientata e confusa. Che cosa stava facendo? Sarebbe sopravvissuta? Quel dubbio s’insinuò in lei e le regalò un barlume di speranza.
Sensazione abolita presto dal freddo pungente che arrivò all’istante, come una giornata di sole che viene allontanata via da una grossa nuvola nera.
L’assassino aveva collegato il freezer alla corrente elettrica e, sorridente dietro alla sua maschera grigia, era andato via da lì a uccidere qualche altra persona e a generare il caos.
Nell’assoluto silenzio della casa, Brooke aveva urlato fino a perdere la voce, mentre il ghiaccio aveva iniziato a ricoprirla con una patina bianca e sottile.
Aveva urlato il nome di Jake un centinaio di volte. E aveva urlato quello di Emma, quello di Audrey, anche quello di Noah, nonostante quell’idiota fosse più talentuoso nel commentare gli horror e risolvere casi, più che nel salvare vite partecipando a delle stupide feste. Per un po’ pensò che era solo colpa loro. Non erano venuti a quella maledetta festa in maschera e lei si era ritrovata con l’assassino. E poi completamente sola, rinchiusa in un freezer.
La morte, sadica, era arrivata con lentezza mentre il sangue scivolava via dalle ferite superficiali e mentre il ghiaccio le congelava la pelle e il cuore.

Jake era arrivato troppo tardi. La porta di casa Maddox era spalanca – distrutta, sarebbe più opportuno dire – e quello era stato il primo segnale. Doveva entrare o andarsene da lì? Aveva ancora una ferita aperta sul petto a causa dell’assassino.
Ma, lo sapeva: si trattava di Brooke, non poteva tirarsi indietro.
Non sapeva quanto fosse arrivato tardi.
Eppure c'era ancora qualcuno, in giardino; possibile che nessuno avesse notato tutto quel caos?
Scivolò nel magazzino della grande villa.
Trovò Brooke e la tirò fuori da quel maledetto freezer. Cercò di scaldarla. L’abbracciò e la tenne stretta fra le braccia, anche se era maledettamente fredda, anche se era morta e, in fondo, ne era consapevole mentre le lacrime gli rigavano le guance. Sapeva che Brooke se ne era andata appena l’aveva vista lì dentro, privata del solito colore roseo sulle gote e incapace di ribattere e di insultarlo anche per averla salvata.
Non era riuscito a impedirne la morte e, forse, non sarebbe mai potuto arrivare al momento giusto.
Alcune cose devono accadere e basta. Noi esseri umani non abbiamo nessun potere in merito.
Poteva pensare qualsiasi cosa, consolarsi in ogni modo razionale, ma Jake lo sapeva. Brooke era morta, era andata via per sempre e non sarebbe mai più tornata.
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Buonasera, amici di The morgue, come sempre è Noah Foster che vi parla!
Il discorso che sto per fare, Brooke Maddox l’avrebbe considerato un monologo raccapricciante. Mi rispondeva sempre così quando esponevo le mie teorie al gruppo dei sei di Lakewood. Non pensava che, un giorno, sarei arrivato anche a parlare di lei, qui. E mi dispiace doverlo fare.
Forse preferirei lasciare l’horror, abbandonare queste stupide ricerche che sembrano non portare mai a nulla, ma se mollassi tutto queste morti non avrebbero fine e gli amici che ho perso non avrebbero una conclusione per la loro macabra storia. Vorrei camminare all’indietro, ma ci sono troppi vetri rotti.
Molti pensavano che Brooke fosse una stronza e basta. Credevano fosse come Nina e, per molti, ha meritato di morire.
Nessuno lo merita davvero, sapete?
Beh, forse quelli che finiscono nelle trappole dell’Enigmista sì, loro lo meritano.
Un’adolescente come Brooke Maddox, che non ha mai fatto del male a nessuno, però, non lo meritava affatto.
Brooke era una stronza e questo è vero. Ma era una stronza con un cuore e mi dispiace che sia morta. Come mi dispiace per tutti gli altri. Come mi dispiace per Riley.
Però, lo sapete anche voi, soprattutto i seguaci di Final destination: quando la morte ci sceglie, non c’è modo di fermarla ed è difficile ostacolarla. Anche se ci riesci, sai che ritornerà. Quando arriva il tuo turno non puoi evitarlo.
Il mio poadcast fa bene alle persone.
Per questo continuerò a parlare della gente di Lakewood. E, credetemi, troveremo un assassino.


                                         

Non so bene da dove cominciare, perché ho un po' combinato un mezzo casino. Alloooora.
Il promt che ho utilizzato è il numero venti della lista: X muore durante una festa.
Questa one-shot appartiene all'episodio 1x10 di Scream. Nella versione originale, però, Brooke sopravvive - viene salvata da Jake, Emma e Noah -. Io ho deciso di ucciderla, anche se è praticamente il mio personaggio preferito dopo Noah, perché la scena del freezer mi è piaciuta troppo e volevo dare un po' di soddisfazione al killer.
La scelta di piazzarci Noah, alla fine, è venuta perché il suo poadcast e le sue ricerche sono state, per me, l'elemento più interessante della serie. Noah mi ha insegnato tanto come personaggio, lo adoro, non potevo non inserirlo.
Se non conoscete il fandom, magari vi sentirete un po' disorientati.
Innanzitutto, i personaggi citati (Brooke, Jake, Noah, 
Audrey, Emma e Kieran -che non ho menzionato-) sono i sei di Lakewood. Cioè i sopravvissuti al killer, e sono tutti amici perché, fra una ricerca e l'altra, era inevitabile che lo diventassero. Inoltre, ho citato Nina e Riley, le prime vittime di Brandon James, il personaggio ormai morto a cui il killer attuale ha preso la maschera.
Ci sono inoltre due citazioni alla serie, entrambe contenute nel pezzo di Noah: la frase in corsivo sui vetri rotti è una vera citazione di Noah. Poco prima, Noah afferma che Brooke troverebbe il suo discorso un "monologo raccapricciante", anche questo elemento l'ho ripreso dalla serie. :)
Per il resto, spero vi sia piaciuta questa piccola lettura. :)
 

 

   
 
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