I
Ero
a casa da sola.
E
avevo paura.
Ma
non c’era assolutamente niente che non andava, niente per cui
dovessi essere allarmata.
O
almeno doveva essere così se fossi stata una normale sedicenne.
Per
mia sfortuna non lo ero. Riuscivo a
percepire cose che gli altri non avvertivano. Spesso mi capitava di
riuscire a vedere le anime delle persone, vive o morte che fossero.
Per
questo, adesso che ero seduta sul divano in salotto cercando di concentrarmi
sul libro che tenevo davanti, sentivo che nei dintorni della casa c’era una
presenza terribile e oscura che si stava avvicinando.
Ripresi a leggere per l’ennesima volta l’inizio della
pagina, cercando di escludermi dal mondo intorno a me. Ma il silenzio era anche peggio per certi versi.
Scoraggiata,
chiusi il libro e lo appoggiai sul tavolino basso davanti a me.
Andai
in cucina per bere un bicchiere d’acqua. La sensazione di pericolo
sembrava non volermi abbandonare, facendomi stare con tutti i sensi all’erta.
All’improvviso
il suono del telefono spaccò il silenzio. Sobbalzai violentemente rovesciando un po’ d’acqua e poi mi
affrettai a rispondere.
-Pronto?
– mi sentivo la gola stranamente secca.
-Tesoro?
Sono io.
La
voce resa metallica dal telefono era quella di mia
madre.
-Ah!
Sì… come va la cena di lavoro?
-Ecco
proprio per quella ti ho chiamato. Non siamo ancora
arrivati al ristorante, ci siamo persi e… insomma credo
rincaseremo un po’ più tardi del previsto. Sai, ora che ritroviamo la strada e
tutto…
-Uhm…ok…quindi a che ora sarete qui?
-Bah,
credo per mezzanotte…vero, John?
Sì, più o meno mezzanotte.
Guardai
l’orologio. Erano quasi le dieci. Dovevo sopportare più o meno due ore di ansia creata da qualcosa di sconosciuto. Sbuffai.
-Che c’è?
Perché sbuffi?
-No,
niente… ci vediamo dopo. Ciao.
-Sì,
vai pure a letto, ok?Ciao.
Riattaccai.
No,
non potevo sopravvivere per due ore in tutto quel silenzio o sarei
impazzita.
Ritornai
in salotto e accesi la televisione. Poi pescai dal portagiornali
il telecomando e cominciai a fare un giro di canali.
Sport,
una sit com, un quiz…mi
fermai solo quando beccai un film. Era una ridicola commedia romantica piena di
sentimentalismo gratuito, ma me la sarei fatta andare
bene.
Mi
stravaccai sul divano e mi ripetei per l’ennesima
volta che era tutto tranquillo e non sarebbe successo niente.
Verso
le undici sentii il bisogno di andare in camera mia.
Non ne capivo il motivo, il film non era ancora finito, non dovevo andare a
letto, né prendere chissà cosa.
Sapevo
solo che dovevo andarci.
Salii
con calma le scale e feci il corridoio fino alla porta della camera. La aprii e l’oscurità più totale mi avvolse. Stavo per
accendere la luce quando due punti rossi attirarono la
mia attenzione.
Mi
girai.
Fuori dalla
finestra era accovacciata una figura che si confondeva con la notte. E i punti
rossi che emanavano luce propria erano posizionati
all’altezza dei suoi occhi.
L’ansia
che aveva lambito la mia coscienza fino a quel momento
divampò come un incendio e si trasformò in panico.
Chi
era quella cosa davanti alla finestra? Che ci faceva
lì? Cosa voleva?
-Fammi
entrare.
Aveva parlato e la sua voce mi sembrò innaturale, asessuata. Ma anche così suadente da non
riuscire ad opporvisi.
Sentii
il mio corpo muoversi verso la finestra. Volevo farlo entrare.
Ma
non ero io a muoverlo. Non era la mia volontà.
Sentivo
la mente leggera, incapace di intendere e volere. Cercai di riprendermene
possesso.
Andai
a sbattere contro una sottile barriera. Ritentai e quella barriera si ruppe.
NO! Urlai mentalmente.
Il
mio corpo si fermò a un soffio dalla finestra.
Riuscivo
a vedere gli occhi cremisi baluginare di fiamme di rabbia.
-Fammi
entrare.
Questa
volta la sua voce aveva assunto i toni bassi e prolungati di un
ringhio.
-Non
sei il benvenuto.
Non
so perché dissi così, sentivo solo che, per quanto
assurda in quel momento, era la frase giusta da dire.
Lo
sentii sibilare furioso.
-Fammi
entrare, Helizabeth.
Ritentò
cercando di dare alla voce un tono il più suadente possibile.
Non
gli risposi. Mi voltai e presi ad uscire dalla stanza.
-HELIZABETH!!!
Ringhiò
per attirare la mia attenzione.
Feci finta
di niente e raggiunsi di corsa il salotto.
Mi
buttai sul divano e presi a stringere convulsamente un cuscino. Ero agitata,
tremavo.
Guardai
senza vederla veramente la televisione. Alle orecchie mi arrivava distante la
musica che accompagnava i titoli di coda.
Dentro
di me, sentivo che quell’essere
se n’era andato.
Almeno
per ora.