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Autore: NPC_Stories    21/10/2018    2 recensioni
“Holly... come si dice in elfico?”
Holly sollevò un angolo della bocca in un lievissimo sorriso. Era quasi invisibile, ma era il primo sorriso sincero che vedevo da quando era morto.
“L'amicizia non genera debiti” si corresse, recitando la frase che gli avevamo attribuito nel corso della cerimonia in cui lo avevamo nominato Amico degli Elfi. Ogni Ruathar ha una sua frase personale in lingua elfica, intrisa di una nota magica che lo identifica infallibilmente come Ruathar davanti a qualunque elfo.

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[Jolly Adventures, capitolo L'altra mia tomba è sempre un albero (Parte 3)]
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Quando Johel ha portato il suo strano amico (all'epoca vivo e vegeto) a conoscere la sua famiglia, inizialmente non è andata molto bene.
Questa non è la storia di come è cominciata, ma è la storia di come la più improbabile delle creature è diventata un Ruathar, aiutando un elfo che era stato rapito e preso prigioniero. È una storia di gesta eroiche, manipolazioni a fin di bene, gente morta e sensi di colpa, ma anche di amicizia e rapporti familiari, insomma come tutte le loro storie.
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Warning: più avanti si parla di tortura, sesso e violenza non descrittivi; si sconsiglia la lettura ad un pubblico troppo giovane.
Genere: Angst, Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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1294 DR: La loro missione



Da qualche parte nel sottosuolo, ai piedi delle Montagne del Cammino

Thalaelsia Battlegrip aveva una missione, ma le cose non stavano andando proprio benissimo.
No, anzi. Quando l'avevano scoperta ad intrufolarsi nel magazzino più segreto dell’antica capitale del regno di Ultoksamrin non andava proprio benissimo. Quando era scappata in fretta e furia non andava proprio benissimo. Adesso si era infilata in una galleria che credeva fosse quella giusta, credeva che l'avrebbe riportata nel Buio Profondo e poi verso nord, verso Iltkazar, invece si era rivelata un vicolo cieco e davanti a lei c'era un crepaccio. Ma non un crepaccio da cui ci si potesse calare per scendere gradualmente, no: un crepaccio ripido e sdrucciolevole. Adesso le cose andavano proprio malissimo.
Come se non bastasse, cinque drow le stavano dando la caccia.
Sarebbe morta in quel modo vergognoso, fallendo la sua missione, senza la sua folta chioma castana e con la pelle pitturata di grigio.
Non era il modo giusto di morire, per una nana del Regno di Mithral.

Daren aveva una missione, e le cose stavano andando abbastanza bene, fino a quel momento.
Aveva trascorso gli ultimi cinque anni fingendosi un tiepido seguace di Vhaeraun, e non c’erano stati problemi. Le comunità drow sotto le Montagne del Cammino erano abbastanza di mente aperta, la maggior parte dei maschi erano seguaci di Vhaeraun, ma c’erano anche drow atei e fedeli di altre divinità oscure. Tranne Lolth. Il culto di Lolth era nemico, bandito, e lui non poteva davvero lamentarsene.
Gli scontri e i tafferugli non erano rari, molte volte aveva combattuto a fianco di quei drow contro i mostri delle gallerie, una volta perfino contro dei quaggoth guidati da un beholder, ma soprattutto contro i seguaci di Lolth della città di Guallidurth. Quelle sacerdotesse erano davvero molto agguerrite e testarde, e i vhaerauniti passavano tanto tempo ad approntare le difese quanto a ricostruire i templi che venivano distrutti nella guerriglia.
Daren trovava ironico il pensiero, ma non aveva mai combattuto tanti seguaci di Lolth agli ordini del culto di Eilistraee quanti ne stava combattendo ora fingendosi al servizio di un dio che le era nemico.
Aveva scoperto moltissime cose interessanti, ad esempio che c’erano tre insediamenti drow appena al di sotto della Superficie, sotto le colline pedemontane dove le Montagne del Cammino cominciavano ad essere ricoperte dagli alberi della Foresta di Sarenestar. Questi tre insediamenti occupavano roccaforti che un tempo appartenevano ai nani, nani degli scudi di un impero decaduto molti secoli prima. Non sapeva se fosse caduto proprio a causa dei drow, ma non lo credeva; questi erano chiaramente dei rifugiati, non un esercito di conquistatori. Le tre cittadine erano indipendenti nella propria gestione, anche se tutte e tre facevano capo alla città-tempio che sorgeva nel cuore dell’antica capitale di Ultoksamrin, una grande caverna che ora i vhaerauniti chiamavano Volta della Mezzanotte Ammantata. Non era una vera e propria città, perché ci vivevano solo le persone adibite alla cura del tempio, ma era l’insediamento più vasto e più protetto, ed era la residenza del chierico capo di tutta la comunità. Daren non era mai andato da lui per cercare di conoscerlo, non voleva attirare così tanto l’attenzione; aveva vissuto tranquillamente la sua vita di guerriero per alcuni anni, e poi l’occasione era capitata: l’aveva visto abbastanza da vicino, dopo una funzione religiosa. Daren non partecipava mai alle funzioni religiose, ma si teneva appena fuori dal tempio per far credere di stare facendo la guardia. Il chierico capo dei vhaerauniti si chiamava Vokkrzyr Rualfren, ed era un drow molto intelligente e lungimirante, anche se tutta la sua lungimiranza si concentrava sul desiderio di distruggere Guallidurth. Quando ne parlava, s’infervorava molto e la sua voce echeggiava dal pulpito attraverso mezza città. Nonostante la sua aspirazione ultima fosse a dir poco delirante (qualcosa sul fatto che i drow seguaci di Vhaeraun potessero prosperare sotto e sopra la Superficie, conquistando l’intera regione), i suoi metodi erano molto innovativi. Non parlava mai della perduta città di Allsihwann, ma ogni tanto parlava degli elfi dei boschi. Proponeva di stabilire una tregua con gli elfi. Di generare figli con gli elfi. I tratti drow erano spesso dominanti, e in quel semplice modo, presto avrebbero avuto una foresta in Superficie largamente abitata da drow. Secondo lui, quello era il destino della loro stirpe: inglobare le razze elfiche inferiori, non con la violenza ma soppiantandole un poco alla volta. A Daren, le sue parole ricordavano i dolci effluvi velenosi di alcuni fiori del Buio Profondo: ammalianti, ma pericolosi e tossici.
Al di là delle peculiari figure di potere che gestivano l’insediamento principale, Daren aveva avuto occasione di conoscere (non di persona, ma di fama) anche i drow che dominavano sulle tre cittadine di Dallnothax, Iskasshyoll e Holldaybim. Erano personalità molto più comuni, per gli standard drow, e ognuno aveva le proprie idee. Dallnothax era l’insediamento più addentro nella foresta, e aveva appreso che il gruppo di Zeerith era partito da lì. Tutta la cittadina, di stampo rigidamente patriarcale e teocratico, condivideva le sue idee espansionistiche. Anche Iskasshyoll aveva un’organizzazione patriarcale, ma era governata da un Consiglio di pochi chierici e figure più mondane come guerrieri e mercanti. Era l’unico insediamento in cui fosse presente un piccolo mercato interno per i commerci con i duergar ed altre razze. Una volta, alcuni anni prima, perfino un umano si era azzardato ad arrivare fin lì; Daren aveva visto la sua pelle in un negozio, l’avevano usata per disegnarci una mappa.
Holldaybim era una cittadina molto più interessante, largamente abitata da drow senza una particolare fede, o seguaci di divinità come Mask, Shar, perfino Kiaransalee, una dea drow minore e nominalmente alleata di Vhaeraun. Le singole ideologie degli abitanti, come anche la loro manifesta crudeltà, erano un boccone amaro da mandare giù, ma la reciproca tolleranza era davvero degna di nota.
C’erano anche cittadini comuni. Daren avrebbe dovuto aspettarselo, questi non erano profughi appena arrivati, vivevano nella zona da secoli. Quindi naturalmente avevano una loro economia e organizzazione sociale. C’erano artigiani, fabbri, mercanti, gente che aveva una vita normale e delle aspirazioni. C’erano bambini. Vedere i bambini era stato come un pugno nello stomaco. Era così strano che avessero il permesso di andarsene in giro per la città, come se potessero vivere una vita migliore di quella che avrebbero avuto a Guallidurth o a Menzoberranzan, eppure per la maggior parte i loro genitori e i loro maestri non li trattavano con maggiore affetto. C’erano cose che non sarebbero cambiate semplicemente cambiando religione, e una di queste era la paura che un individuo più giovane, come un figlio o un fratello, prima o poi diventasse abbastanza bravo da sostituirti.
Daren guardava quei bambini e si chiedeva se fra qualche decennio si sarebbero trovati sui fronti opposti di una guerriglia e se avrebbe dovuto combatterli, ucciderli. Spesso il culto di Eilistraee si dedicava al salvataggio e al recupero di bambini, ma bambini schiavi; questi invece avevano delle famiglie, dei genitori che li volevano, e in qualche raro caso, perfino che li amavano. Sarebbe stato giusto portarglieli via? L’elfo scuro allontanava quel pensiero dalla mente ogni volta che si presentava: non importava che fosse giusto o ingiusto, perché tanto non era possibile.

In cinque anni aveva scoperto molte cose sull’organizzazione dei tre insediamenti e del tempio centrale, ma c’era ancora tanto che avrebbe voluto scoprire… e poi era arrivata quella maledetta nana, che nel giro di poche ore aveva mandato tutto all’aria.

Thalaelsia andò ad incastrarsi nel punto più stretto del cunicolo, dove quantomeno avrebbe affrontato un solo bersaglio alla volta. Se doveva morire, avrebbe venduto cara la pelle.
Sollevò il suo martello da guerra appena in tempo per parare i rapidi affondi del drow che aveva davanti. “Moradin, dammi la forza.” Sussurrò, per tenere a bada la paura. Non era una guerriera. Sapeva usare un’arma, come qualsiasi nano, ma era una studiosa e un’esploratrice, non una combattente.
Non avrebbe dovuto farsi carico di una missione così folle, cosa credeva di dimostrare?
Il drow sbatté una delle sue spade corte contro il martello da guerra, il rumore del metallo che impattava contro metallo fu accompagnato da una piccola scintilla elettrica. La nana deglutì a vuoto. L’altra spada si unì alla prima incrociandosi intorno al manico del martello e il guerriero alzò le braccia di scatto, cercando di farle volare via l’arma. Thalaelsia non si aspettava che un drow avesse tanta forza, ma la sua presa resistette. La mossa costrinse le sue braccia verso l’alto per un momento, ma per fortuna non c’era spazio perché un secondo nemico si inserisse nella mischia e la colpisse in quel momento in cui era vulnerabile.
Resistette, ma dovette fare un passo indietro per sottrarsi ai rapidi colpi del nemico. Poi un altro. Presto la comoda strettoia diventò solo un ricordo, le pareti intorno a lei si stavano nuovamente aprendo. Il crepaccio era sempre più vicino, alle sue spalle.
Sentì i drow ridere e dire qualcosa nella loro lingua crudele, e il guerriero con cui stava combattendo rispose allo stesso modo, con voce strafottente; poi rimise nel fodero una delle sue spade come per far vedere che poteva ucciderla anche con una mano sola. Thalaelsia provò il fortissimo desiderio di spaccargli la faccia con il suo martello. Se solo fosse riuscita a colpirlo una volta...
La punta della spada del nemico descrisse un arco orizzontale più o meno all’altezza del suo viso. Thalaelsia non aveva altra scelta, anzi non ebbe nemmeno il tempo di pensarci, fu una reazione istintiva: si sbilanciò all’indietro. Era una nana molto giovane e in piena crescita, di corporatura esile (per gli standard della sua razza) e non aveva ancora il comodo baricentro basso dei suoi simili. Era per questo che era venuta lei ad infiltrarsi ad Ultoksamrin, dopotutto: era l’unica con un fisico abbastanza asciutto da potersi far passare per un duergar. Purtroppo, anche se i mercanti duergar erano accettati nella cittadina di Iskasshyoll, non significava che avessero il permesso di muoversi in territorio drow e raggiungere gli altri insediamenti. Si era messa nei guai a causa della propria ignoranza e ora il suo mascheramento da duergar non l’avrebbe aiutata.
Nemmeno il suo fisico la stava aiutando. Se fosse stata una nana adulta, piegarsi all’indietro non l’avrebbe fatta sbilanciare. Invece stava accadendo. Stava per cadere...
Thalaelsia spostò il piede sinistro all’indietro, per cercare di recuperare stabilità. Il terreno cedette, e lei continuò a cadere.
La sua ultima possibilità era cercare di aggrapparsi da qualche parte, ma l’unica cosa a cui poteva aggrapparsi era il drow. Ci provò comunque, in modo istintivo. Lui era ancora molto vicino.
Straordinariamente, ci riuscì. Afferrò un suo avambraccio, quello che non reggeva la spada. Poi la gravità la reclamò all’improvviso. Il suo corpo divenne pesante come un macigno, e sentì che avrebbe perso la presa su quel fragile appiglio.
Il drow ruotò l’avambraccio nella sua stretta e con la mano le afferrò il polso. Thalaelsia non fece in tempo ad accorgersene, e nemmeno a stupirsi: lo trascinò nel crepaccio con sé, e un istante dopo stavano cadendo nel vuoto.

Thalaelsia sbatté la schiena contro una parete obliqua, pochi metri più in basso, ma la velocità della caduta le impedì di aggrapparsi o fermarsi. Il drow rimise nel fodero anche l’altra spada - non sembrava preoccupato per la caduta - e afferrò la nana con entrambe le mani. Le sembrò, per un assurdo momento, che lui le stesse dando uno strattone per farla girare… e poi erano di nuovo in caduta libera.
Provò una sensazione di capogiro, che poteva essere dovuto alla caduta, o al fatto che stesse ruotando su sé stessa. Poi vide la luce.
Un momento prima era immersa nella completa oscurità e doveva basarsi sulla sua abilità innata di scurovisione per poter vedere qualcosa… e un momento dopo era tutto tremendamente luminoso, accecante.
E freddo.
L’atterraggio fu doloroso e traumatico, ma non quanto aveva temuto. Erano atterrati nella neve. Il sole splendeva alto in cielo, erano circondati da alberi appesantiti da una bianca coltre fredda, e il terreno era coperto da uno strato di neve alto almeno quanto uno gnomo.
Il drow era un altro fattore che aveva attutito la caduta. Si trovava proprio sotto di lei, e si lamentava debolmente massaggiandosi la testa.
Thalaelsia gli era caduta addosso, o meglio, erano caduti insieme e lei si era ritrovata sopra. Quindi alla fine era riuscita a colpirlo, in un modo o nell’altro.
“Ouch… levati… levati!” Le ordinò lui, parlando nella lingua comune degli umani. La giovane era così sconvolta che si alzò davvero. “Oooh… nota per il futuro: mai più. Mai più atterrare sotto a un nano!” Si lamentò l’elfo scuro, passando a massaggiarsi il naso. “Che cosa diavolo credevi di fare, eh?” Thalaelsia lo guardò completamente destabilizzata, poi si accorse che aveva ancora il martello da guerra in mano. Lo brandì con aria minacciosa, anche se non aveva intenzione di colpire prima di aver avuto qualche risposta esauriente.
“Resta immobile o ti ammazzo, drow!” Minacciò in modo quasi credibile, facendo ondeggiare il martello vicino alla sua testa. In quel momento, dopo una caduta vorticosa, non si fidava molto della sua mira o della sua stabilità, ma il nemico non aveva bisogno di saperlo.
Un momento dopo però le venne preclusa qualsiasi possibilità di mettere in atto la sua minaccia, perché si ritrovò intrappolata all’interno di una sfera trasparente, costretta a guardare il drow attraverso quella parete arrotondata senza poterlo colpire. Provò a toccare quella strana sostanza che sembrava vetro: in realtà era abbastanza elastica.

Daren nel frattempo si guardò intorno, stupito per quell’aiuto tempestivo. Uno gnomo stava fluttuando nell’aria, circa tre metri al di sopra del manto nevoso. Il volto del drow si rilassò all’istante, aprendosi in un sorriso quanto mai entusiasta.
“Valni Wilhik! Sei migliorato un sacco!” Lo salutò. Lo gnomo lo guardò con espressione incredula per quel complimento, e Daren capì che da lui non se lo aspettava. “Be’, dopotutto, non è che potessi peggiorare” concluse, per non deluderlo.
“Ah! Mi pareva. Per un attimo ho creduto che qualcuno ti avesse sostituito” rispose lo gnomo, in tono sarcastico.
Daren si alzò in piedi e si spazzolò gli abiti, scrostando un po’ di neve dal suo mantello e facendo scrocchiare le spalle e la schiena, che nella caduta avevano preso un po’ di botte.
“No, che dici. Lord Fisdril dice che sono insostituibile. Penso che intenda questo, nessuno mi può imitare.”
Lo gnomo rise e si avvicinò camminando nell’aria. Il guerriero capì che non era un incantesimo di levitazione, ma qualcosa di un po’ più avanzato. Sì, il piccoletto era davvero migliorato.
“Lord Fisdril lo dice solo perché è gentile. Allora, sei andato in una città di drow e hai pescato un duergar?” Domandò, guardando dall’alto in basso la nana nella sfera.
“Non è un duergar, è una ragazza della stirpe dei nani.” Lo corresse Daren. “Se guardi con attenzione, la pittura sulle sue mani sta iniziando a venire via. Tutti si preoccupano sempre della faccia, ma le mani sono più soggette a sfregamenti… sono loro la parte da trattare con più cura. Perché si spacciasse per un duergar, non glie l’ho chiesto e non sono affari miei. Ma stavano per ucciderla e francamente non mi andava di guardarla morire.”
Lo gnomo guardò la nana con più attenzione, e quella ricambiò lo sguardo. Nessuno dei due lo poteva immaginare, ma Thalaelsia Battlegrip era una nana istruita e sapeva parlare la lingua elfica, almeno i rudimenti. Aveva capito buona parte del loro discorso.
“Capisco le tue ragioni, amico.” Commentò Valni alla fine, in tono solenne ma comprensivo. “Ma secondo la legge dei nani, ora che l’hai salvata la devi sposare.”
Thalaelsia sussultò a quell’affermazione ridicola e oltraggiosa e anche un po’ sessista.
Ehi! Dannato prestigiatore scaccola-draghi con la polvere nel cervello! Non è affatto vero!” Protestò a gran voce, in nanico, perché gli insulti in elfico semplicemente non rendevano.
Valni Wilhik si stava godendo l’espressione sconvolta e affranta del drow, ma quando la nana gli rovinò il divertimento si girò a guardarla con sufficienza.
“Voi nani non ce l’avete il senso dell’umorismo, vero?”
L’esploratrice diventò rossa, poi livida di rabbia.
“Ho appena fallito una missione per recuperare l’onore del popolo nanico del Profondo Shanatar, sono stata attaccata dai drow, da questo drow nientemeno, sono caduta in uno schifoso crepaccio, sono piena di lividi, ho freddo e sono in una bolla per pesci rossi. Scusa se il mio umorismo non è al suo meglio.”
Lo gnomo agitò una mano e la sfera magica si dissolse.
“Va bene. Pulisciti quella faccia da duergar. C’è un villaggio qui vicino, gli elfi ti daranno alloggio finché non ti sarai ripresa dalla caduta.”
Thalaelsia arrossì di nuovo.
“Non ho bisogno di riprendermi. Sono una nana. Sto benissimo!”
Lo sguardo vacuo di Wilhik non vacillò nemmeno.
“Non possiamo lasciarti andare da sola… ovunque tu debba andare… così, nella neve, senza una direzione. Rimani, finché non avremo capito come farti tornare a casa tua.”
La cocciuta nana valutò rapidamente le sue opzioni. Fra poco sarebbe calato il buio, avrebbe fatto ancora più freddo, lei si trovava in una regione sconosciuta e davvero non sapeva da che parte andare.
Accettò l’invito dello gnomo.

Prima di sera arrivarono ad un villaggio che nominalmente faceva parte del clan Arnavel, ma tutti sapevano che apparteneva al clan Gysseghymn, ora non più indipendente. La notizia del loro arrivo si era sparsa molto rapidamente, ed il mattino dopo Johel, Merildil e Lord Fisdril erano già lì al loro risveglio.
Daren aveva atteso il loro arrivo per cominciare a raccontare tutto; non scese nei dettagli delle cose che aveva scoperto, quelli erano solo per le orecchie del Consiglio, ma descrisse la situazione generale, raccontò come se l’era cavata, e come alla fine era dovuto scappare attivando il teletrasporto di emergenza che il maestro di Wilhik gli aveva fornito cinque anni prima.
Nessuno lo biasimò per quella scelta, Johel meno di tutti, anche perché dopo cinque anni sentiva davvero la mancanza dell’amico ed ogni giorno era sempre più preoccupato che fosse stato scoperto e ucciso. Anzi, quella scelta si rivelò doppiamente valida quando Thalaelsia rivelò qualcosa su sé stessa: proveniva da Iltkazar, apparteneva ad una gilda che si occupava del ritrovamento di antichi tesori e leggende dei nani, ed era imparentata con la famiglia reale. Fisdril decise subito che l’avrebbero riaccompagnata a casa con una delegazione, e sarebbe stata una buona occasione per riallacciare rapporti diplomatici con i loro vicini nani. Forse in futuro avrebbero potuto essere utili alleati contro i drow, se si fosse arrivati a tanto.

Qualche giorno dopo, a Myth Dyraalis, mentre si facevano i preparativi per la partenza di Thalaelsia, Daren trovò il tempo per aggiornare il Consiglio sulle cose che aveva scoperto in quegli anni.
“Difficile dire quanti siano.” Spiegò. “Spesso si spostano fra una città e l’altra e non è mai stato fatto un vero censimento. Però, a spanne, direi che sono più di diecimila, divisi fra i quattro insediamenti. Il loro capo è un chierico molto potente, di sicuro più potente di Zeerith, altrimenti non sarebbe il capo. E quanto a questo… non sembrava che fosse granché dispiaciuto per la morte di Zeerith.” Passò a raccontare della politica violenta ed espansionista del villaggio di Dallnothax, che non era condivisa dalle altre cittadine.
Gli elfi e gli gnomi si guardarono a vicenda, discussero molto quel giorno, ma non arrivarono ad una conclusione. Erano tutti preoccupati per la presenza di quei drow, ma erano anche troppo timorosi per attaccare. Daren aveva visto di persona le molte difese di cui quella regione disponeva, ma soprattutto nessuno di loro voleva andarsi ad invischiare in una zona così turbolenta e squassata dalla guerriglia.
Una cosa però la decisero all’unanimità: lasciar trapelare nei regni umani la voce che l’intera zona nord-occidentale della foresta fosse invasa dai drow. Decisero di esagerare i numeri, perché gli umani stavano diventando sempre più molesti, tagliando alberi e cercando di guadagnare terre per i campi. Se li si poteva scoraggiare con le minacce, anziché con le frecce, gli elfi lo preferivano. Dopotutto c’era un fondo di verità.

Prima della fine del mese, Johel e Daren si stavano preparando a lasciare la città, per tornare ai doveri di pattuglia nella zona settentrionale. L’elfo dei boschi però si accorse che il suo amico stava impacchettando tutti i suoi averi, senza lasciare nulla in città, come se non si aspettasse di tornare a breve.
“Ehi, nessuno ruberà le tue cose.” Scherzò. “Saremo di ritorno in città alla prossima luna piena.”
Il drow interruppe il suo lavoro e si sedette sul divano di giunchi che di solito usava per fare la reverie. Sembrava che qualcosa lo rendesse esitante.
“Daren? Va tutto bene?”
“Sì” rispose sbrigativamente. “Più o meno. Sono stato a lungo lontano, in mezzo a persone con cui non potevo parlare. Ho mantenuto la facciata del drow diffidente e quasi paranoico, come scusa per non allacciare rapporti personali con nessuno. Per questo, nessuno ha sospettato che fossi una spia: una spia avrebbe cercato di fare amicizia con persone importanti. Io credo nel valore dell’apprendere lentamente, attira di meno l’attenzione. Ho impiegato cinque anni ad acquisire quelle informazioni, e in quei cinque anni mi sono chiesto spesso come procedesse la vostra vita qui, se andasse tutto bene. Adesso sono tornato, ed è… strano. Poter di nuovo parlare con le persone è strano. La gente è amichevole con me, non ci sono abituato e non capisco bene per voi dove finisce la gentilezza e comincia l’amicizia, o qualcos'altro. La confusione che provavo in questi primi giorni mi ha impedito di riconoscere un particolare approccio per quello che era.”
Johel ascoltò con attenzione, ma gli ci volle qualche secondo per parafrasare le frasi criptiche del suo amico.
“Oh. Oh, capisco. Qualcuno… o meglio qualcuna… è stata troppo amichevole con te? Hai ricevuto delle avances?”
Daren aveva la pelle nera, come tutti i drow, quindi non si vedeva quando arrossiva. Per fortuna.
“Già questo sarebbe difficile da gestire, per me. Ma è peggio di così.”
“Peggio? Cosa c’è mai di male in un flirt? Io non ti ho mai capito, insomma, ti piacciono le donne o cosa?” Domandò Johel, ma senza cattiveria, solo per curiosità.
“Sì, sì, mi piacciono” mugugnò Daren. “Sono carine, sono fatte nel modo giusto, è solo che… se ti leghi ad una donna le darai il controllo della tua vita. E non se ne parla, amico. Assolutamente, da parte mia, non se ne parla.”
“Non devi per forza legarti.” Il ranger si strinse nelle spalle. “Io ho avuto un sacco di avventure, e non mi riferisco a quelle con arco e spada.”
Daren ridacchiò, ma solo per allentare la tensione che sentiva.
“Mi dispiace. Sono condizionato dal mio passato, concedere ad una donna il potere di sapere che la desideri per me è pericoloso.”
“Potere? Che cosa stai dicendo, le relazioni non sono una questione di potere.” Johel agitò una mano come a voler dissolvere quell'idea ridicola. “Non sei più in mezzo ai drow.”
“La malizia e l’astuzia femminile non sono una caratteristica solo dei drow.” Borbottò il guerriero. “E comunque ci penserò se e quando incontrerò una persona con cui io possa liberamente intrattenermi, cosa che finora non è successa.”
“E questo flirt…?”
“Totalmente non richiesto da parte mia” sottolineò Daren. “Questa ragazza è attratta da me solo perché sono una curiosità, perché sarebbe una cosa trasgressiva.”
A questa spiegazione, Johel cominciò ad avere un tremendo sospetto. “No, aspetta, non vuoi dire…? Mia cugina?”
L’amico si limitò ad annuire.
“Ho parlato con i tuoi zii. Ovviamente hanno capito la situazione e non mi imputano alcuna colpa, ma quando ho proposto che avrei lasciato la foresta per un po’ di tempo mi sono sembrati sollevati.”
Johel si passò una mano sul viso, sconcertato. Aveva sperato che, dopo cinque anni di assenza, avrebbe potuto passare un po’ di tempo con il suo amico. Che Daren avrebbe avuto occasione di inserirsi nelle dinamiche sociali del suo popolo e avrebbe sentito sempre meno di essere diverso. Invece ora questo, e lui che se ne voleva andare subito.
“I miei zii si sono comportati molto male.” Mormorò alla fine, sentendosi a terra.
“No” obiettò Daren in tono calmo ma deciso. “Non fare il bambino, io posso essere un Ruathar, posso essere completamente accettato dalla tua gente, ma nessuna figlia di un capoclan elfico dovrebbe mai intrattenere una relazione con un drow. Sono io il primo a capirlo, e soprattutto non lo voglio. Mi offende che lei sia attratta da me solo per spirito di ribellione, o perché sono esotico. È molto giovane quindi ci passerò sopra, ma nel suo capriccio non capisce che non può essere davvero attratta da me, non ci conosciamo affatto, e non capisce neanche che in questo modo mi costringe ad andarmene finché non sarà cresciuta e maturata.”
“E se per allora dovesse essere ancora attratta da te?” Indagò il ranger. “Non hai pensato che la sua infatuazione potrebbe essere genuina?”
Daren scrollò le spalle. “È una sciocca domanda ipotetica, ma diciamo che quando sarà cresciuta sarà anche abbastanza matura da accettare un rifiuto.”
Johel ci pensò un attimo, poi annuì. “Se te ne vai, verrò con te.”
“Adesso? Con la tua foresta in fermento perché deve capire come gestire la vicinanza di quei drow?” Gli fece notare. “Forse non è il momento giusto. Potresti rimanere qui qualche altro anno e poi raggiungermi, e allora potremmo ricominciare a girare il mondo e tornare qui di tanto in tanto, come abbiamo fatto per decenni.”
Johel si passò di nuovo una mano sul viso, riflettendo sui suoi doveri di ranger, verso la foresta e verso la sua famiglia. Era nipote del capoclan e figlio del ranger più rinomato e importante della foresta, certo che non poteva andarsene all’avventura in un momento del genere.
“Va bene. Odio che tu sia così ragionevole. Fra qualche anno…” Accettò quel compromesso. “Ma non partirai subito, vero? Verrai a pattugliare nel nord, con me?”
Daren lo rassicurò con un sorriso. “Verrò a pattugliare nel nord della foresta, ma quando tu tornerai a Myth Dyraalis fra un mese, io andrò via.”
“Oh, bene! Ho un mese per farti cambiare idea.”
“Non cambierò idea.”
L’elfo gli sorrise come in segno di scuse; sapeva che non avrebbe cambiato idea, ma ci avrebbe provato comunque.

I due guerrieri dovevano dirigersi verso nord, ma decisero di allungare la strada uscendo dalla porta meridionale, la Porta dell’Acqua, e poi costeggiare la città spostandosi verso nord. Volevano passare dalla Quarlamne.
Quando arrivarono davanti all'imponente quercia, Johel posò a terra il suo zaino e si arrampicò velocemente sul tronco. Arrivato alla prima biforcazione, estrasse dalla tasca un nastro di stoffa verde e lo legò attorno a uno dei rami, facendo un nodo lasco che potesse sciogliersi facilmente. Voleva mandare un messaggio alla quercia, non ostacolare la sua crescita.
“Io non ti ho mai conosciuto, Arrik Amico degli Elfi.” Cominciò a parlare all’albero, accarezzando la ruvida corteccia con una mano. “Mio zio Fisdril mi ha parlato un po’ di te, del tuo coraggio e del tuo cuore sincero. Mi verrebbe spontaneo ringraziarti, perché hai salvato la vita di mio nonno e perché ora io sono vivo grazie a te. Ma se ti ringraziassi, il mio amico mi potrebbe tirare un sasso, e ha una buona mira anche a questa distanza. Quindi… ti prometto che sarai ricordato. Dovresti essere dentro la città. I bambini dovrebbero poter giocare sotto le tue fronde e vederti ogni giorno. Dovresti essere circondato dalle voci delle persone che hai amato. Ma tu sai che sei più utile qui, a difesa della città, quindi ti prometto che sarai ricordato. Racconterò le tue gesta ai miei figli, un giorno, e ai figli degli altri elfi di Myth Dyraalis.”
L’albero ovviamente non rispose. Le fronde si agitarono debolmente al vento, ma Johel era di umore troppo tetro per accorgersi che non c’era vento. Scese dalla quercia, tornando accanto a Daren.
Il drow fece un passo avanti a sua volta, sorprendendo il ranger con quella decisione improvvisa.
“Io… ah… non ho mai parlato con un albero.” Cominciò. “Mi sembra una cosa stupida perché non credo che tu possa capirmi. Però, se mi capisci… io non so come si fa il Ruathar. Mi hanno detto che non è una cosa che fai, è una cosa che sei, ma io non so bene chi sono e non so come devo comportarmi. Me ne andrò dalla foresta, e non so se questa è una cosa da Ruathar. Temo che ogni cosa che farò sarà una decisione sbagliata. Quindi… chiederò a Johel di raccontarmi le tue imprese, e spero che mi siano d’ispirazione.” Piegò le labbra in un ghignetto, anche se sapeva che una quercia non poteva vederlo. “Nessuna pressione, eh?”

Qualche minuto dopo si lasciarono alle spalle la quercia benedetta e la città di Myth Dyraalis.
“Non pensavo che gli avresti parlato” commentò Johel, rompendo il silenzio.
“No. Nemmeno io” confessò il drow “ma a volte mi chiedo se lui abbia avuto i miei stessi dubbi. Era mezzo elfo e mezzo umano, e non è strano per loro avere dei conflitti di identità. Ma magari mi sbaglio. Magari era una persona felice e realizzata e pienamente in controllo della sua vita.”
Johel rimase zitto ancora per un lungo momento.
“È questa la simbologia della quercia, sai? È un albero sacro e rappresenta la stabilità, la sicurezza.” Guardò Daren con aria critica, poi gli rivolse un sorrisetto. “Secondo me, tu romperai la tradizione. Sulla tua tomba nascerà un agrifoglio.”
Il guerriero fece una faccia che lasciava trapelare solo dubbio e incertezza.
“È una specie di battuta elfica? Perché non capisco…”
“L’agrifoglio è una pianta con foglie spinose e bacche tossiche, che ingerite provocano vomito e problemi intestinali.”
Daren spalancò gli occhi. “Sembra proprio il mio albero!”
Johel rise, pensando alle astruse teorie di certi druidi e sciamani sulle corrispondenze fra uomini, animali e piante.
“Sì, decisamente. Hai in te lo spirito dell’agrifoglio!”
Anche Daren rise. Non aveva avuto molte occasioni di scambiare battute umoristiche negli ultimi anni, e ridere gli era mancato.


***** Fine *****



           

   
 
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