Anime & Manga > Lady Oscar
Segui la storia  |       
Autore: _Agrifoglio_    24/10/2018    16 recensioni
Una missione segreta, un’imboscata vicino al confine austriaco e il corso degli eventi cambia. Il senso di prostrazione dovuto al fallimento, il dubbio atroce di avere sbagliato tutto, un allontanamento che sembra, ormai, inesorabile, ma è proprio quando si tocca il fondo che nasce, prepotente, il desiderio di risorgere. Un incontro giusto, un’enorme forza di volontà e, quando tutto sembrava perduto, ci si rimette in gioco, con nuove prospettive.
Un’iniziativa poco ponderata della Regina sarà all’origine di sviluppi inaspettati da cui si dipanerà la trama di questa storia ricca di colpi di scena, che vi stupirà in più di un’occasione e vi parlerà di amore, di amicizia, di rapporti genitori-figli, di passaggio alla maturità, di lotta fra concretezza e velleitarismo, fra ragione e sogno e della difficoltà di demarcarne i confini, di avventura, di duelli, di guerra, di epos, di spirito di sacrificio, di fedeltà, di lealtà, di generosità e di senso dell’onore.
Sullo sfondo, una Francia ferita, fra sussulti e speranze.
Davanti a tutti, un’eroica, grande protagonista: la leonessa di Francia.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Quattro corteggiatori e un poetastro
 
André si era lasciato alle spalle la stazione di posta, dove aveva accompagnato il Conte di Canterbury e Sir Percy Blakeney. I due gentiluomini avevano soggiornato presso di lui per tre giorni, giusto il tempo di riprendersi dai disagi del viaggio per mare e, poi, erano ripartiti alla volta di Parigi. Fortunatamente, nel pomeriggio dello stesso giorno in cui li aveva incontrati, André era riuscito ad assumere un maggiordomo e alcuni servitori e ciò gli aveva consentito di offrire ai due ospiti – peraltro molto adattabili e già muniti dei loro camerieri personali – una sistemazione sufficientemente confortevole.
Si stava, adesso, dirigendo alla volta dei suoi possedimenti per attendere al lavoro quotidiano, quando, sulla via dove sorgeva la stazione di posta, incontrò la Marchesa di Amiens e la di lei figlia.
La Marchesa era una donna di quarantadue anni, alta e smilza, con occhi e capelli castani chiari e un volto giallognolo e piuttosto antipatico, ma attraversato da mille sorrisi, quando le conveniva. La figlia, Mademoiselle Geneviève, era una spilungona nubile di ventotto anni, magra come la madre, dai capelli biondo paglierino già un po’ radi, gli occhi celeste pallido e il volto scialbo e perennemente annoiato. Era leggermente claudicante, a causa della poliomielite che l’aveva colpita a due anni, lasciandola viva, ma con un arto leggermente più corto dell’altro. La Marchesa aveva cercato di far sposare la figlia con tutti i gentiluomini della città e dei dintorni, ma i tentativi ripetuti e quasi ossessivi di lei non erano mai stati coronati dal successo. Non le era parso vero, pertanto, quando aveva saputo che Lille avrebbe avuto il suo nuovo Conte, la cui condizione di celibe le era parsa un segno del destino. Tramite alcune sue conoscenze parigine, aveva reperito delle informazioni su di lui ed era partita, quindi, all’arrembaggio dello scapolo.
– Che bella sorpresa, Conte di Lille, è un vero piacere incontrarVi – miagolò la signora, atteggiando il viso arcigno e spigoloso alla sua migliore risata.
La figlia fece seguire alle parole della madre un sorriso che assomigliava, piuttosto, a uno sbadiglio, data l’espressione eternamente corrucciata che mai l’abbandonava.
– Signora Marchesa, Signorina, il piacere è tutto mio – rispose André – rivolgendo un inchino a entrambe.
– Signor Conte, è già da qualche giorno che Geneviève ed io ci diciamo: “Ma perché non invitiamo a pranzo il Conte di Lille, uno di questi giorni?”. Vero Geneviève?
– Sì, Madre.
– Potreste venire fra tre giorni, cosa ne dite? La nostra cuoca è una delle migliori della regione.
– Signora, sono arrivato da poco e ho molte cose da fare – si schermì André che non nutriva un’eccessiva simpatia per le due donne e che aveva intuito, oltretutto, lo scopo di quell’invito.
– Insisto, Signore! Potreste venire giovedì a mezzogiorno e mezza.
– D’accordo, Marchesa. Sarò lieto di essere Vostro ospite – si arrese André, desideroso di non fare una cattiva impressione ai suoi nuovi concittadini e di non guadagnarsi, appena arrivato, una reputazione da uomo selvatico, presuntuoso o strano – Vi porgo i miei omaggi – e si accomiatò con un inchino.
– Arrivederci! …. Saluta, Geneviève.
– Arrivederci – obbedì la signorina, col suo solito fare imbronciato e la voce atona e strascicata.
Quando André fu lontano e fuori della portata delle loro voci, la Marchesina protestò con la madre.
– Oh, Madre, ma cosa Vi viene in mente? Era un plebeo fino al mese scorso…. E’ stato un servitore per tutta la vita! Cosa dovrei fare dopo averlo sposato? Giocare a carte col mio maggiordomo?
– Oh, per l’amor di Dio, Geneviève, non dire sciocchezze! Ho raccolto informazioni su di lui e si tratta di un gentiluomo molto distinto che gode delle simpatie del Re, della Regina e di tantissimi altri personaggi di spicco. Ha un’unica parente, una nonna quasi centenaria che ti toglierai dai piedi quanto prima. Per il resto, è completamente solo: niente genitori, fratelli, zii o cugini zappaterra che ti possano piombare in casa col loro lezzo di formaggio e di letame. Ricordati, poi, che un uomo senza madre e senza sorelle vale tanto oro quanto pesa.
– Ma l’avete vista quella cicatrice sul volto?
– E’ sottile e molto ben cucita e, poi, tu sei zoppa!
– Madre, non sono convinta – piagnucolò Geneviève.
– Tu non sei mai convinta. Nessuno dei gentiluomini che ti sono stati presentati ti è mai andato a genio! E il Conte di Beauvais era vecchio e gobbo e il Visconte di Calais era uno gnomo e il Marchese di Roubaix aveva il volto sfigurato dal vaiolo e l’alito pestilenziale….
– Ma è vero!
– Le tue sorelle minori sono già tutte sposate e, in casa, mi sei rimasta soltanto tu! Giovedì, sfoggerai il tuo vestito più elegante e i tuoi modi migliori e cerca di non apparire un chicco d’uva rinsecchito, una volta tanto!
 
********
 
Venne, così, il giorno. Un giorno non lieto per André che andò a Palazzo d’Amiens tirato per la giacca; non lieto per Geneviève che aveva voglia di sposarsi quanto una mosca di finire nella tela di un ragno; non lieto per la madre di lei che non amava offrire pranzi eleganti, data la notoria tirchieria che la contraddistingueva; non lieto, infine, per le bestie che erano morte per imbandire quella tavola. Venne il giorno e basta.
André si presentò a palazzo con un bel completo azzurro di velluto e le calze e lo jabot di pizzo color crema. La Marchesa, essendo vedova, vestiva sempre di nero mentre Mademoiselle Geneviève indossava un vestito verde che faceva a pugni col colorito giallognolo che aveva ereditato dalla madre. Nelle intenzioni della Marchesina e della sarta di lei, quell’abito avrebbe dovuto essere di un’eleganza sopraffina. Ad André, parve, invece, un monumento all’horror vacui e al cattivo gusto, tanto era una concentrazione di fiocchi, balze, trine e coccarde in uno spazio che avrebbe dovuto ospitare, al massimo, la quarta parte di quegli addobbi. Il completo era, poi, decisamente fuori moda e per nulla adatto al primo pomeriggio.
Il maniero era massiccio, più piccolo e antico di Palazzo Jarjayes. Sorgeva su una lieve altura immediatamente fuori dalla cinta muraria di Lille e aveva delle mura esterne di pietra brunita dai secoli ove, fra una fessura e l’altra, si insinuavano dei ciuffi d’erba, alcuni dei quali erano abbelliti da fiori. Gli interni non erano privi di fascino, con volte a botte e a crociera sorrette da numerose colonne, una scala a chiocciola che congiungeva i piani e degli enormi arazzi, con scene di caccia e di guerra, che arredavano il salone principale, ma era anche buio e immerso nel silenzio e comunicava un senso di oppressione.
Ansiosa di fare bella figura, la padrona di casa aveva tirato fuori il servizio migliore e l’argenteria di famiglia. Tutto, però, era molto meno elegante che a Palazzo Jarjayes e anche i camerieri, pur essendo abbigliati in livrea e collocati dietro a ogni commensale, come l’usanza comandava, parevano piuttosto goffi e impacciati, tanto che André ebbe il sospetto che fossero degli uomini di fatica occasionalmente ricollocati. Tutto il pranzo diede all’uomo l’idea di essere eccessivo e ostentato, con troppe portate non curate nei dettagli. Se quella di Palazzo d’Amiens era la migliore cuoca della regione, figurarsi cosa dovevano essere tutte le altre! I tortelli erano scotti e affogati in un brodo sciapo e annacquato mentre la carne era malamente tagliata e condita ancora peggio. Le patate erano mezze crude e la crema del dolce sembrava albume colorato. Il vino era di scarsa qualità e il pane vecchio di un giorno. Praticamente, era buona soltanto l’acqua! Se alla nonna fosse stata presentata una soltanto di quelle portate – neanche tutte insieme, come era toccato in sorte ad André – avrebbe fatto passare un brutto quarto d’ora alla cuoca, altro che eccellenza regionale di cui vantarsi!
Insieme alla padrona di casa e a Mademoiselle Geneviève, era seduto a tavola il figlio più giovane della signora, il Marchese attualmente in carica, venuto al mondo dopo innumerevoli tentativi, un giovanotto di diciotto anni, pallido e scostante, con la voce nasale e una grande consapevolezza di sé e del proprio ruolo nel mondo.
L’ultimo commensale era Monsignor d’Amiens, il fratello minore del defunto Marchese, un vecchio prelato asciutto e sbilenco, col bastone sempre a portata di mano, che parve, però, ad André, munito di un’energia di gran lunga superiore a quella che i malanni continuamente lamentati avrebbero lasciato presagire.
– Vi trovate bene a Lille, Signor Conte? – chiese, con la voce strascicata, il Monsignore.
– Oh, sì! Ritengo che sia una città molto bella, con degli abitanti estremamente ospitali – rispose André.
– RicordateVi, dopo che Vi sarete sistemato, di pensare anche ai meno fortunati.
– E’ mia intenzione fare delle elargizioni all’ospitale e al brefotrofio cittadino e anche promuovere la cultura a ogni livello.
– Non esagerate, però – lo esortò il prelato – La vanga e Virgilio non vanno molto d’accordo fra loro. Finisce che il villico si mette a declamare le Georgiche e perde la voglia di lavorare.
– Temo che il Conte di Lille non concordi con le Vostre idee, Monsignor Zio – chiosò il Marchese, con un sorrisetto beffardo, guadagnandosi un’occhiataccia da parte della madre.
– A proposito di Virgilio – si inserì la Marchesa, desiderosa di rimediare – Geneviève, di’ al Conte cosa ti è piaciuto delle Georgiche.
– Mi è piaciuta la parte in cui Enea sbarca nelle rive del Lazio e incontra Lavinia – rispose la Marchesina.
– Sì, come no! – biascicò il fratello, alzando gli occhi al cielo.
Erano giunti alla frutta – uva piccola e fichi poco succosi – quando la Marchesa, rompendo gli indugi, domandò:
– Cosa Ve ne sembra, Conte, di Geneviève? Certo, è zoppa, ma Voi, del resto, siete di nobiltà recente e, poi, al giorno d’oggi, chi vuol più ballare?
– Il ballo è il veicolo del demonio – fece eco il Monsignore mentre la Marchesa annuiva con aria severa e grave.
– Credo che Vostra figlia sia una nobile Signorina molto distinta, certamente meritevole di un gentiluomo che la eguagli – rispose diplomaticamente André, pensando, con un sorriso, che, se, soltanto il mese prima, il nome di lui fosse stato accostato a quello della Marchesina, i Signori di Amiens avrebbero amaramente rimpianto di non vivere nel medioevo, quando avrebbero potuto rinchiuderlo nelle segrete del castello.
– Oh, Conte – cinguettò la Marchesa – Sapete perché Vi ho invitato a pranzo e non a cena? Per avere la possibilità, in queste giornate ancora tiepide, di tenere aperte le finestre – mosse il braccio a indicare le vetrate spalancate – Così da farVi sentire, mentre mangiate, il profumo del roseto del nostro giardino. Sapete, Geneviève, per profumarsi, usa un’essenza esattamente uguale!
– Chiudi quella cazzo di porta, Jacques – urlò una voce forte e sgraziata dal cortile sottostante – se no la puzza di merda esce dalla stalla!
E il pranzo ebbe termine nell’imbarazzo generale.
 
********
 
Oscar e Girodel erano seduti alla scrivania del lussuoso ufficio di lei, intenti a commentare gli esiti infausti di una perquisizione cui avevano partecipato due Guardie Reali. Un paio di settimane prima, era stato rubato l’anello di smeraldi di una Baronessa e le indagini avevano individuato come principale indiziata una cameriera che la nobildonna aveva assunto da poco. Il Capitano de Valmy aveva inviato le due Guardie a perquisire, da cima a fondo, gli alloggi della domestica, con l’incarico di trarre in arresto la donna, qualora fosse stata trovata in possesso dell’anello. Fatta irruzione in quelle stanze, le Guardie Reali avevano constatato che tutto era sparito, compresa la cameriera. Della donna e dell’anello non vi era più traccia.
I due alti ufficiali si rammaricavano che, nel giro di pochi giorni, ben due missioni fossero fallite e, nelle loro menti, si faceva sempre più strada il sospetto che una spia stesse boicottando i loro piani.
– Dobbiamo tenere d’occhio tutti coloro che ci gravitano intorno, Colonnello – disse Oscar, con la consueta aria decisa – Guardie, attendenti, camerieri, conoscenti e persino le nostre ombre.
– Sarà fatto, Comandante.
– Io partirei dai nuovi arrivati, la cui fedeltà è meno comprovata, per, poi, risalire a coloro che sono in servizio da più anni.
– Mi sono permesso di stilare una lista delle Guardie Reali, dei loro attendenti e dei servitori che sono qui da meno di un anno, con delle piccole biografie accanto a ogni nome.
– Ottimo! – esclamò Oscar.
Girodel colse il lampo di gioia e di soddisfazione che era balenato negli occhi di lei e ne approfittò per rispolverare una questione non del tutto accantonata.
– Comandante, la ripresa delle nostre quotidiane frequentazioni ha rinverdito nel mio cuore dei sentimenti mai del tutto sopiti, spingendomi ad alcune riflessioni….
– Le riflessioni slegate dai fatti concreti inducono la mente a vagare troppo e la fanno smarrire negli anfratti di pensieri senza sbocchi – lo interruppe prontamente Oscar – Non lasciate che delle vane congetture prendano il sopravvento, mettendo a repentaglio amicizie consolidate.
Egli chinò il capo e tacque. Era stata molto più gentile della volta precedente e lo aveva anche promosso al ruolo di amico consolidato. Soprattutto e in modo del tutto inaspettato, ebbe la sensazione che quel secondo, implicito rifiuto lo avesse turbato molto meno di quello passato. Nessun forte imbarazzo, nessuna cocente delusione erano lì a tormentarlo e nella mente di lui aleggiava la gradevole fantasticheria che due occhi marrone chiaro con striature verde oro lo stessero guardando compiaciuti.
 
********
 
– Vattene con quella donnaccia, che aspetti!
………………………………………………………..
………………………………………………………….
……………………………………………………………… 
– Brutto ubriacone!
………………………………………………………….
…………………………………………………………….. 
…………………………………………………………………
– Vostro padre è morto.
……………………………………………………………….
………………………………………………………………
……………………………………………………………….. 
– Eroe dei miei stivali! Era una maledetta spugna!
…………………………………………………………………
…………………………………………………………………….
……………………………………………………………………..
 
Diane si destò all’improvviso, col fiato mozzo, a causa di quel suo incubo ricorrente. Come al solito, impiegò del tempo a recuperare il senso della realtà e a capire che ciò che l’aveva tanto turbata apparteneva al regno dei sogni e a un passato ormai lontano che, teoricamente, non avrebbe più potuto colpirla. Adesso che André l’aveva rifiutata e che la separazione dalla madre e il trasferimento a Palazzo Jarjayes erano imminenti, però, la tensione era diventata enorme e gli incubi si erano intensificati.
Sedette sul bordo del letto, si portò una mano alla fronte e iniziò a ricordare.
 
Aveva quattro anni la piccola Diane, quando aveva udito i suoi genitori litigare furiosamente e vomitarsi addosso un torrente di parole acrimoniose di cui non aveva capito, subito, il significato, ma che le erano rimaste, comunque, impresse a fuoco nella mente.
– Sì, sì, brutto ubriacone, vattene con quella tua sgualdrina!
Alain, a quel tempo, era un giovanissimo soldato, viveva in caserma ed era all’oscuro dei dissapori che angustiavano i genitori. La madre aveva raccontato ai figli che il padre, anch’egli soldato, era in missione col suo reggimento.
Trascorsi due mesi, Albert de Soisson era tornato a casa affranto e svuotato, perché la “sgualdrina” lo aveva buttato fuori, ritenendolo un ubriacone buono a nulla e la moglie se lo era ripreso, per carità cristiana e per amore dei figli. Tre settimane dopo il ritorno all’ovile, Monsieur de Soisson, sempre più ubriaco e amareggiato per l’abbandono dell’amante, era caduto dalle scale, aveva battuto violentemente la testa ed era morto sul colpo. Alain continuava a vivere in caserma, Diane era troppo piccola per accorgersi di ciò che la circondava e Madame de Soisson aveva raccontato ai figli che il padre era morto per i postumi di una polmonite, contratta mentre era in missione con l’esercito.
All’età di dieci anni, la bambina aveva udito un’altra lite furibonda, intervenuta, questa volta, fra la madre e il fratello.
– Madre, io Vi rispetto e Vi onoro, ma Voi dovete smetterla di usare sempre questi toni astiosi quando Vi riferite alla memoria di quell’eroe di mio padre, morto nell’adempimento del dovere!
– Morto nell’adempimento del dovere?! Innanzitutto, quel santo di tuo padre, al momento della sua morte, non era più soldato da mesi! Eh, sì, che cosa ti credevi! L’avevano congedato con disonore dall’esercito per costante ubriachezza! In secondo luogo…. In secondo luogo, non era andato in missione, ma dalla sua amante e non è morto per i postumi di una polmonite, ma a seguito di una caduta dalle scale mentre era ubriaco fradicio!
Diane aveva ricordato le parole udite sei anni prima, era, finalmente, riuscita a dare ad esse un significato e, da quel giorno, aveva iniziato a sviluppare un forte trauma a causa dell’abbandono paterno.
All’età di sedici anni, aveva conosciuto un giovane nobile squattrinato, ci si era fidanzata e aveva iniziato a idealizzarlo. Con lui, aveva avuto più di quei tre o quattro incontri in presenza della madre che risultavano ad Alain. I loro rapporti si erano sempre mantenuti casti, ma si erano estesi a delle passeggiate, a dei the in casa dei genitori di lui e a dei rendez vous in qualche caffè, avvenuti quando Madame de Soisson era fuori casa o credeva che la figlia fosse con un’amica.
Durante i due mesi della loro frequentazione, Diane, ragazza disadattata, immatura, infantile e propensa a fare castelli in aria, si era avvinta al fidanzato come un’edera e, dopo il brusco e inatteso abbandono di lui, aveva rivissuto il dramma dell’abbandono paterno, tanto da tentare il suicidio.
Qualcosa, però, non era andato secondo i piani e, aprendo gli occhi, la ragazza non aveva visto il messaggero della morte venuto a ghermirla, ma un angelo salvatore, bellissimo e splendente, mandato dal Signore a restituirle la vita.
Nei giorni seguenti, aveva iniziato a fantasticare e a parlare sempre più spesso di André e Alain aveva intuito che l’amico aveva fatto breccia nell’immaginario, se non nel cuore, di lei e si era messo a incoraggiarla, reputando che André fosse l’uomo ideale per prendersi cura della fragile sorellina. A forza di parlare di André e di essere incoraggiata da Alain, la cotta di Diane aveva preso piede e si era consolidata.
 
La giovane pose fine ai suoi ricordi e si munì di carta, penna e calamaio.
 
A Sua Signoria Eccellentissima il Conte André de Lille
 
Parigi, 8 settembre 1788
 
Mio eccellente amico, mio valoroso salvatore, mio unico amore, mio diletto, sebbene Voi mi abbiate chiuso le porte del Vostro grande e nobile cuore, sappiate che il mio è e resterà sempre Vostro.
Malgrado la distanza che ci separa, io continuo a custodirVi, come il più prezioso dei tesori, nella mente e nel cuore.
Per Voi è il primo pensiero, quando mi sveglio e per Voi è l’ultimo, prima di dormire.
Se, un giorno, riuscirete a volgere i Vostri sentimenti nella mia direzione e a farmene dono, troverete in me la più fedele e amorevole delle spose.
Con immutato amore, la Vostra devota
 
Diane de Soisson
 
La fanciulla rilesse accoratamente, come fossero state il Vangelo, quelle poche, toccanti e disperate righe, le ricoprì di polverina assorbente e, quando il foglio si fu asciugato, lo ripiegò, lo sigillò e se lo strinse al cuore. Subito dopo, uscì di casa e consegnò il plico alle poste.
 
********
 
La stazione di posta di Parigi, alle undici antimeridiane, brulicava di decine di persone in attesa di salire su una vettura o di accogliere qualche congiunto proveniente da fuori città. In questa seconda schiera di individui, quella mattina, si collocava anche Oscar che si era recata lì, nel giorno e nell’ora indicati nella missiva speditale, per accogliere i suoi parenti inglesi.
Lasciati carrozza e cocchiere nella piazza antistante, era entrata nell’edificio e si era apprestata a far fronte a un’attesa di circa mezz’ora, dato che, come sempre, era in anticipo. Le persone intorno a lei appartenevano, in larga parte, alla media borghesia e alla piccola nobiltà, perché i grandi nobili e i ricchi borghesi, quando dovevano spostarsi all’interno del regno, preferivano usare i mezzi propri mentre i poveri viaggiavano a piedi. Oscar guardava i loro visi, grigi e anonimi, quasi tutti innervositi o annoiati dall’attesa e pronti a rischiararsi soltanto quando questa aveva termine. Chi poteva ingannava il tempo recandosi al caffè della stazione di posta, ma Oscar, come al solito, preferiva non indulgere nelle frivolezze.
Fu a forza di scrutare volti che ne scorse uno a lei noto.
– Generale, quale felice coincidenza! Sono qui per accogliere un mio conoscente che viene da Lione e non immaginavo certo che la mia attesa sarebbe stata allietata da una così gradevole compagnia.
Il Conte di Compiègne la salutò con la consueta voce carezzevole e suadente mentre la guardava con i suoi intelligenti occhi, grigi e sornioni. Aveva annodato i capelli castani con un nastro di seta blu scuro dello stesso colore della leggera redingote che indossava e, consapevole e compiaciuto della sua notevole avvenenza, era sicuro che anche lei l’avrebbe percepita e ammirata.
– Sono lieta di VederVi, Conte. Temo di non potere offrire un lungo rimedio al tedio della Vostra attesa, perché la diligenza che aspetto arriverà fra venti minuti.
– Giusto il tempo per offrirVi una cioccolata.
Il Conte di Compiègne si era dedicato, con pazienza certosina e metodo scientifico ante litteram, a individuare i gusti e le inclinazioni di Oscar e a scovare informazioni, anche le più insignificanti, sulla vita di lei. Si era affidato al suo notevole spirito di osservazione, a un istinto da segugio e, molto più prosaicamente, a delle mance allungate a qualche compiacente servitore, col risultato di riempire di copiosi appunti un taccuino che aveva, poi, diligentemente studiato.
Prima ancora che l’interlocutrice potesse opporgli un rifiuto, chiamò al volo un cameriere, indicandogli il tavolino che gli interessava e conducendovi Oscar il cui braccio aveva lievemente cinto con la mano destra. Ella non fu lieta del contatto, ma, abituata a padroneggiarsi sin dalla prima infanzia, non lo diede a vedere.
– Mi dispiace che questo locale non abbia potuto offrirVi una stecca di cannella da far sciogliere nella cioccolata. Mi rendo conto che si tratta del ritrovo di una stazione di posta e non di un caffè alla moda, ma, in fin dei conti, siamo pur sempre nel cuore di Parigi e non in mezzo agli ottentotti!
– Non preoccupateVi, Conte. Come militare, sono abituata anche ai digiuni – rispose Oscar, pensando che il problema della pessima cioccolata che stava svogliatamente sorseggiando non era certo l’assenza di una stecca di cannella.
– La vita militare tempra l’animo e indurisce il carattere di fronte alle avversità, ma mi chiedo se possa opporre un serio baluardo alla solitudine – osservò, con voce fattasi bassa, il Conte mentre girava elegantemente il cucchiaino nella sua tazzina di caffè.
– Quella fa parte delle nostre vite e non possiamo sfuggirle – rispose Oscar, riponendo sul tavolino la tazza di cioccolata che aveva bevuto a metà.
– Sapete – aggiunse lui, dopo avere corrucciato la fronte e rivolto lo sguardo verso il basso – Io sono un uomo di mondo e mi atteggio di fronte agli altri in modo brillante e spensierato, ma la solitudine mi ha colpito duramente. Un paio di anni fa, a causa di un’incomprensione, i rapporti con un mio caro amico d’infanzia subirono un’interruzione. Era l’unico vero amico che avessi, un fratello, un confidente, un alleato, il solo che mi parlasse con sincerità. Da allora, la mia vita si è notevolmente impoverita, diventando incommensurabilmente vuota e grigia.
– Vi comprendo perfettamente.
– Noi ci atteggiamo in mille modi diversi, ci trinceriamo dietro ai nostri ruoli e, così riparati, fuggiamo da noi stessi e dagli altri, ma penso che, alla fine, l’unica cosa di cui avremmo veramente bisogno è una persona sincera e onesta con cui dividere il peso dell’esistenza.
– Conte, Vi ringrazio della cioccolata – lo interruppe improvvisamente Oscar che, avendo scorto, in lontananza, il Conte di Canterbury e Sir Percy, non aveva prestato attenzione alle ultime parole di lui – e mi rincresce davvero lasciarVi, ma sono arrivate le persone che attendevo e devo andare ad accoglierle. Vi auguro una buona giornata.
– Buona giornata a Voi – rispose l’altro, dissimulando perfettamente il fastidio per l’interruzione e seguendola con gli occhi mentre spariva tra la folla.
 
********

André era rientrato nel suo palazzo sito nella Grande Place di Lille, dopo un pomeriggio passato a sovrintendere la fase iniziale dei lavori nelle sue terre e, prima di andare a rinfrescarsi in camera, aveva fatto una piccola deviazione verso lo studio. Fu così che gli occhi gli caddero su un plico bianco, adagiato sulla scrivania. Lo aprì, iniziò a leggerlo e, dopo alcuni attimi, sospirò, aggrottò la fronte e assunse un’espressione addolorata e commossa. Si sedette alla scrivania e iniziò a scrivere.
 
Alla Distinta Signorina Diane de Soisson
 
Lille, 12 settembre 1788
 
Gentilissima Mademoiselle de Soisson,
mi rincresce scriverVi delle righe che nessuna donna dovrebbe mai leggere, ma anche i miei sentimenti sono immutati e la mia risposta è la stessa che Vi diedi in Piazza Luigi XV.
I Vostri meriti sono innumerevoli e un’intera vita Vi si pone davanti. Non sprecatela con un uomo non più giovane che mai potrà darVi quello che è diritto di ogni donna avere.
Vi auguro di tutto cuore un’esistenza ricca di gioie e di soddisfazioni, da trascorrere accanto a colui che Vi avrà meritato.
Vi saluto rispettosamente.
 
André de Lille
 
Dopo avere sigillato la missiva, si apprestò a chiamare il maggiordomo per consegnargliela, con l’incarico di portarla, l’indomani, all’ufficio postale, quando udì l’uomo bussare spontaneamente alla porta.
– Signore, c’è un giovane poeta, soprannominato Maurice Le Barde, che chiede di vederVi. Gli ho già detto che l’ora è tarda e che Voi siete stanco, ma ha insistito.
– Che tipo è?
– Un poeta – rispose il maggiordomo, aggrottando impercettibilmente le sopracciglia.
– Fatelo accomodare in salotto.
Appena André vide il suo ospite, dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo e a tutta la sua buona educazione per non scoppiare a ridergli in faccia. Si trattava di un giovane uomo dall’aria eccentrica, con un voluminoso plico di fogli di carta sotto il braccio, abbigliato e acconciato in una foggia che ricordava quella dei trovieri medievali. André si stava ancora chiedendo dove il poeta avesse scovato quegli abomini, quando quello, con voce impostata e aria solenne, lo salutò, cimentandosi in un profondo e ridicolo inchino, culminante in un ampolloso e volteggiante scappellamento. A causa di tale acrobazia, alcuni fogli presero una direzione autonoma e si sparpagliarono sul pavimento. Il giovane, rosso in volto, si chinò di scatto per raccoglierli, col risultato di far cadere a terra anche quelli che gli erano rimasti in mano.
– Lasciate che Vi aiuti – disse André, afferrando alcuni di quei fuggitivi.
L’uomo gli si avvicinò per ringraziarlo, col risultato che le due teste si urtarono.
– Ooohhh, Signor Conte, sono mortificatoooo!
 – Non Vi preoccupate – disse André, massaggiandosi il capo – Ora, io mi siederò su questa poltrona e Voi farete altrettanto su quel divano.
Dopo che i due si furono seduti a una ragionevole distanza l’uno dall’altro, il maldestro e pretenzioso troviere palesò le ragioni della sua visita.
– Grazie dell’ospitalità, Signor Conte. Sono qui per leggerVi alcuni versi di una romanza che sto componendo. So che Voi avete frequentato, per lunga pezza, la corte di Versailles e, sicuramente, conoscerete qualcuno che potrà aiutarmi a pubblicare.
– Signore, mi rincresce, ma le mie frequentazioni non sono così nutrite e variegate.
– Ooohhh! Signor Conte, non fate il modestoooo! – disse quello, muovendo solennemente il braccio e proseguendo – Vorrei intitolare il mio poema: “Delle armi e degli amori di Corisandro”, però….
– Però?
– Però, finora, ho scritto soltanto degli amori e mai delle armi – gemette quello.
– In effetti, ciò potrebbe costituire un problema – chiosò André, assottigliando le labbra.
– La storia, in estrema sintesi, ruota intorno al giovane Corisandro, innamorato, da tempo immemore, di Rutgonda….
– Rutgonda?!?!
– Sìììììììììì!!!!!!!!!!!!!! Rutgondaaaa!!!!! Costei, però, gli preferisce Branciforte e Corisandro si strugge dal dolore! Col Vostro permesso, Signor Conte, vorrei leggerVi alcune strofeeeeee!!!!!
– Veramente, io, domani, dovrei alzarmi di buon mattino e….
Quello, però, si era già levato in piedi.
 
Branciforte abbrancò forte il mio cuore
E, immantinente, lo riempì d’amore
Nei suoi grandi occhi vidi due laghi
E la mia anima fu punta da mille aghi
 
– Qui, è quando Rutgonda rivela a Corisandro i suoi sentimenti per Branciforte.
– Notevole – mentì André.
 
Madonna del mio cuore
Voi chiamate amore ciò che non lo è
Riscuotetevi, tornate in voi,
oh cuor crudele! oh anima senza pietà!
 
– Qui, Corisandro tenta invano di perorare la sua causa. Adesso, invece, Rutgonda cerca di dissuadere Corisandro.
 
Trovo i suoi modi molto interessanti
E voi smettetela di farvi avanti
 
– Ma Rutgonda parla sempre in rima? – chiese André.
– Sììììììììììì!!!!!!! Rutgonda è una gentildonna molto raffinataaaa!!!!! Adesso, Vi leggerò di come Rutgonda ha conosciuto Branciforte e di quando, sempre Rutgonda, dice chiaramente a Corisandro che non lo vuole, ma, data l’enorme delicatezza d’animo di cui è fornita, lo invita a non fare sciocchezzeee!!!!
 
Mi salvò un dì dalle zingare ladre
E voi non tirate in ballo sua madre
Le vostre profferte accettar non posso
Deh! Non gettatevi in un fosso
 
– Che ne dite?
– Mi piace l’uso della parola “fosso”….
– E, adesso, la reazione di Corisandroooo!!!!!
– Signore, non voglio essere scortese, ma, domani, dovrò alzarmi proprio all’alba….
– LeggeroVVi soltanto le ultime battute, Signore.
 
Gemea Corisandro
Piangea dagli occhi
E…..
 
– E? – domandò André.
Il poeta alzò il volto teatralmente in alto a sinistra, dischiuse e arricciò le labbra, appoggiò alla fronte il dorso della mano destra, arcuandone le dita e si premette la sinistra, a pugno, sul cuore.
 
E pronunciato un lacrimoso saluto
 
Il bardo girò di scatto la testa in basso a destra e si portò entrambi i pugni sul petto.
 
Andossene.
 
Il poeta si inchinò all’improvviso, protendendo le braccia all’indietro.
Il maggiordomo lo guardava con gli occhi esterrefatti, perché, pur conoscendone, per fama, la stranezza, mai l’aveva visto all’opera.
André approfittò del silenzio di lui per dirgli:
– Bene, Signore, Vi ringrazio della dotta declamazione. Lasciate che Vi accompagni personalmente all’uscio.
Dopo che André ebbe chiuso la porta dietro le spalle del giovane, tornò in salotto, guardò il maggiordomo e gli disse:
– Andossene.
   
 
Leggi le 16 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Lady Oscar / Vai alla pagina dell'autore: _Agrifoglio_