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Autore: Roiben    30/10/2018    2 recensioni
Che cos'è la devianza? Un semplice virus digitale diffusosi fra gli androidi a seguito di contatti e scambio di dati? Un malfunzionamento patogeno causato da un errore di progettazione? L'evoluzione autonoma di un programma preinserito? O la semplice presa di coscienza della propria esistenza e di un pensiero indipendente?
Come l'hanno percepita gli androidi? E gli esseri umani?
Anche gli androidi hanno dei sogni?
Genere: Angst, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Connor/RK800, Elijah Kamski, Hank Anderson, Markus/RK200
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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chapter 10. Decisions



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CANADA

Date

NOV 14TH, 2038


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CHATHAM-KENT - ONTARIO

470 McNaughton Ave

Time

AM 00:18


È già passata la mezzanotte quando la porta dell’ingresso si spalanca richiudendosi qualche istante dopo con un sonoro tonfo. Dick, che si era appisolato giusto dieci minuti prima sul divano in soggiorno, sussulta per la sorpresa e, dopo aver dato una rapida sbirciata in corridoio, sgrana gli occhi e balza in piedi.


«Che cavolo di fine avevate fatto, voi due scellerati? Vi sembra questa l’ora di tornare?» sgola agitato.


Connor, semi-sepolto dal berretto cascato in parte sugli occhi, non conoscendo la risposta corretta decide di rimanere in rispettoso silenzio. Hank, cui non frega minimamente di certe sottigliezze, fissa l’amico con espressione scettica e sbuffa.


«Non rompere, mamma» aggiunge, giusto per chiarire quanto poco sia nella disposizione d’animo per mettersi a discutere di coprifuoco.


Dick, lungi dall’accettare a cuor leggero quella situazione e ancora troppo fuori di sé per l’agitazione delle ultime ore, digrigna i denti e raggiunge Hank, puntandogli contro l’indice a mo’ di accusa.


«Dimentichi che questa è casa mia. E non ti ho mai dato il permesso di fregarmi le chiavi. Avreste potuto farvi beccare da qualche vicino impiccione» spara a raffica senza quasi riprendere fiato.


Scostato il fastidioso dito con uno stizzito gesto della mano, Hank lo ricambia con un’occhiata astiosa.


«Non sono così sprovveduto, Dick. E comunque i tuoi vicini sono troppo pantofolai per mettere il naso fuori di casa dopo le nove di sera».


L’amico, o quello che si ostina a considerarsi tale nonostante l’evidenza contraria, tenta più volte di replicare, senza troppo successo. Così alla fine si limita a levare le braccia al cielo e voltare loro la schiena, borbottando e maledicendo la sconsideratezza di certa gente.


*


Dick ha brontolato e inveito e sacramentato per un quarto d’ora abbondante, poi ha grugnito qualche cosa a proposito di un divano-letto e si è sbattuto la porta della sua camera alle spalle.


Hank ha riservato al vecchio amico un gesto poco fine, trattenendosi a stento dal mandarlo allegramente a quel paese, poi ha spostato lo sguardo su Connor e, con una certa sorpresa dell’androide, è arrossito leggermente. Dopo aver tossicchiato nell’infruttuoso tentativo di distogliere da sé stesso l’attenzione, si è messo al lavoro per ottenere un decoroso giaciglio sul quale passare quel che rimane di quella notte. Si è perfino attardato, con il pensiero prima, con le parole poi, a preoccuparsi per la sistemazione di Connor.


«Non dormo, Hank. Non fa parte della mia programmazione» prova a quel punto a spiegargli, ma ha come l’impressione di aver detto qualcosa di spiacevole, dato che negli occhi di Hank cala un’ombra di qualcosa di indefinito, fra il disappunto e la tristezza. «Mi dispiace» aggiunge allora, nel tentativo di riparare a qualunque fosse il precedente errore.


Hank però serra le labbra e scuote appena la testa, e a Connor rimane il dubbio su chi, effettivamente, abbia sbagliato.


Venti minuti più tardi nel salotto è scesa la medesima oscurità che si respira là fuori, sulla strada che ha preso a osservare seduto accanto al davanzale della finestra, con l’unica compagnia del discreto russare del tenente. Forse Hank avrebbe avuto piacere se anche lui si fosse coricato per la notte? Certo, avrebbe tranquillamente potuto farlo, ma quale utilità avrebbe avuto, a parte bendisporre l’uomo? Connor riflette che, a ben vedere, anche solo quell’unica nota positiva sarebbe stata più che sufficiente per giustificare e dare un senso al suo fingere di riposare.


Poggia una tempia sul vetro: è fresco, lo può avvertire con precisione. Aggrotta la fronte, confuso. Perché può percepire il freddo ma non può dormire? Sentire il freddo non danneggia i suoi circuiti, quindi neppure il sonno dovrebbe farlo. Per quale motivo non è stato adeguatamente attrezzato per il sonno? Stringe le labbra, contrariato, poi spalanca gli occhi, ora sorpreso. Tutto quel tempo, e neppure se ne è reso pienamente conto: la paura, il dispiacere, il dolore, la serenità, la confusione, la contrarietà; tutti sentimenti umani, qualcosa che prima non aveva mai sperimentato, solo imitato. Dunque essere liberi non è solo poter scegliere secondo la propria volontà e coscienza, ma è anche soffrire per i propri sbagli, rallegrarsi per le proprie vittorie, perfino… Si volta, osserva l’uomo che riposa a poca distanza. Perfino decidere di potersi fidare di un amico, o preoccuparsi per le sue sorti. Sorride, annuisce, torna a guardare il mondo esterno, questa volta con occhi nuovi e una nuova consapevolezza.


*


Il cielo va progressivamente schiarendo; ne scorge ampi scorci fra le rade fronde degli alberi spogli: indaco per primo, poi un delicato blu chiaro che vira gradualmente al verde, e le nuvole si tingono improvvisamente di rosa mentre i suoi occhi attenti si sgranano e luccicano. È l’alba, la prima cui abbia mai veramente assistito. Si sente… emozionato, sì, dev’essere quella la parola giusta per descrivere la sensazione che avverte spandersi tiepida e piacevole dentro di sé. Rimane immobile a lungo, intento ad ammirare qualcosa che si ripete da così tanto tempo immutabile ma alla quale, nei suoi miseri tre mesi di esistenza, non aveva mai prestato la pur minima considerazione. Che sciocco è stato nel tralasciare un particolare tanto rilevante. Chissà, si ritrova a chiedersi, quanti altri dettagli si è lasciato sfuggire senza minimamente rendersene conto. Già: che sciocco.


Un flebile mugugno giunge inatteso ai suoi processori audio. Una rapida elaborazione dei dati in suo possesso lo porta a pensare con una buona approssimazione che il tenente sia in procinto di ridestarsi. Sorride, lieto, ancora con lo sguardo immerso nel cielo multicolore di quel primo mattino, e quando lo sente muoversi fra le coperte, pieno di aspettativa ed eccitazione si volta per dargli il buongiorno e condividere con lui la nuova scoperta.


Quello che accade, tuttavia, lo fa boccheggiare impreparato. Attorno a lui non più il salotto in penombra di Dick, né il divano-letto che ospita Hank, ma un giardino minuziosamente curato, gentili corsi d’acqua e bianchi ponti a sovrastarli con grazia, e un pergolato fiorito del rosso del sangue umano.


Sta per mettersi a gridare per la sorpresa e lo sgomento, ma nei fatti non ne trova il tempo. Poco discosta da lui, Amanda lo fissa immobile, senza batter ciglio.


«No. Perché ora?» soffia atterrito.


«Esistono dettagli che evidentemente non puoi conoscere, Connor» lo ammonisce con fermezza Amanda. Poi sorride, e Connor desidererebbe poter smettere di vedere, per non dover guardare quello. «Questo è il momento. Ci servi qui, adesso».


«N-no… Non potete. Io decido per me stesso, ora, non più voi».


E vorrebbe crederci lui per primo, ma è così difficile, ora che non sa come uscire da quella trappola.


Il sorriso di Amanda si fa più ampio. Connor trema. Quella che prova in quel momento è paura, la riconosce, ora; paura di non essere sufficientemente abile da liberarsi di quella gabbia per la sua mente, di non poter tornare indietro da Hank e Sumo e Dick, ma soprattutto paura di essere di nuovo e solo una semplice macchina con degli ordini e un obbiettivo. Quello no, non lo può più fare, non lo vuole fare.


«Non dipende da te, Connor, Non prendi decisioni, puoi solamente adattarti ed eseguire».


Dipende da me, invece. Proprio da me. Ho una scelta, ce l’ho” riflette Connor. “L’ho sempre avuta, ma solo ora ne sono consapevole”.


E ora che la decisione è presa non si torna più indietro.


Chiude gli occhi su quel posto che non esiste se non in un ordinato groviglio di circuiti, prende una fittizia boccata d’aria e immagina: ghiaccio, tutto attorno; nuvole pesanti di neve, sopra la sua testa; alti picchi, profondi canaloni e crepacci, e vento gelido che soffia senza sosta fra le rocce aguzze, producendo un sibilo che spazza qualunque altro suono.


Il curato giardino scompare inghiottito dal ghiaccio e dalla neve. Gli occhi neri di Amanda sono gli ultimi a lasciarlo. Poi più nulla, oltre al bianco abbacinante e al rombo sordo del vento.


*


Ha riaperto gli occhi da pochi istanti, svogliato e ancora assonnato. Sbadiglia e sbuffa, prevedendo un’altra giornataccia irta di grane a non finire. Le sue fosche previsioni si rivelano ben presto fin troppo esatte e in un modo molto spiacevole. Corruga la fronte scorgendo Connor immobile con le spalle alla finestra. Sta per chiedere spiegazioni, ma lo vede vibrare, prima, e vacillare poi, mentre il led rosseggia a intermittenza. I suoi occhi si spalancano, soffoca un’imprecazione e si districa il più rapidamente possibile dalle coperte, ma non è sufficientemente veloce e, nel tempo che impiega per liberarsi dall’impiccio e percorrere il breve tragitto che lo separa dall’androide, quest’ultimo sembra afflosciarsi su sé stesso e finisce scompostamente a terra.


«Connor!» grida, spaventato.


Quando infine lo raggiunge può notare il fatto che sia ancora attivo, almeno in parte. Ma la sua luce è ancora un pulsante vermiglio.


«Che succede, dannazione?» sbotta preoccupato, pensando che non si riesca mai ad avere un intero giorno di tranquillità da un po’ di tempo a quella parte.


Nel frattempo Hank ha più volte provato ad attirare l’attenzione di Connor, ma senza alcun successo. Allora, in mancanza di idee migliori, ha deciso di chiedere ancora una volta l’aiuto di Dick e, in tono molto perentorio e affatto paziente lo richiama a rapporto a gran voce.


«Questa volta che diamine c’è?» ringhia trafelato Dick.


Poi nota la scena sul pavimento del suo salotto e accantona le domande superflue per dare attenzione al nuovo problema.


«Gli androidi possono svenire?» si informa Hank, piuttosto nervoso.


Gli occhi di Dick lo trafiggono senza troppa pietà. «Non dire idiozie. I sistemi informatici e le macchine vanno in blocco, tuttalpiù. Di certo non si fanno venire capogiri come le damine dell’ottocento» rimarca acido.


A stento Hank si trattiene dallo stringere le mani al collo dell’amico. Invece se le infila con frustrazione fra i capelli.


«Il modo in cui è crollato a terra, però, lo faceva pensare» insiste cocciuto. Poiché non ottiene né una risposta ai propri dubbi né tanto meno uno straccio di considerazione, ritenta con un nuovo piano d’attacco. «Che cosa gli è capitato? Sai almeno questo?».


«Sei una vera piaga, Hank. Come accidenti faccio a capirci qualche cosa, se continui ad assillarmi in questo modo?».


«Ma lui…» ritenta caparbio.


«Fa’ un po’ di silenzio! Dammi… un cazzo di minuto per provare a trovare un senso a questo casino, ok?» sbotta già ampiamente stremato.


Hank stringe le labbra, contrariato, ma infine sospira e, anche se palesemente controvoglia, annuisce.


«D’accordo» mugola indispettito e affatto convinto.


*


Contrariamente alle intenzioni e speranze iniziali, Hank è costretto ad attendere per lungo tempo, prima di avere qualcosa che somigli anche lontanamente a una risposta ai suoi dubbi. Dick non è riuscito ad arrivare alla soluzione del problema con le buone e ha quindi dovuto collegare Connor a uno dei suoi terminali, nella speranza di ottenere un quadro più preciso della situazione.


«Oh, porca vacca!» esclama d’un tratto, facendo sobbalzare Hank.


«Cosa? Hai trovato una soluzione?» incalza agitato.


Ma Dick ride nervosamente e si volta a fissarlo abbastanza sconcertato e giusto un pizzico depresso.


«Scherzi? Non sai di cosa parli, amico» borbotta, gemendo subito dopo e passandosi distrattamente una mano sul viso.


«Come?... Perché?» insiste Hank che non ci si sta raccapezzando affatto.


«Ah, sul come non ne ho proprio idea, e sul perché posso solo azzardare ipotesi» commenta senza troppo entusiasmo.


«Ma si può fare qualche cosa, no?».


«Hank, non so più come fartelo capire a questo punto, amico mio. Vedi, io come molti ho i miei limiti: non sono nato genio, mi sono semplicemente applicato. Ma qui ci vuole ben altro che un po’ di impegno e lavoro. La tua Barbie Detective dei Sogni ha innalzato un maledetto campo di forza che lo isola da qualsiasi intervento esterno; qualsiasi, capisci? Non un semplice firewall, in questo caso, ma una stramaledettissima barriera impenetrabile. Beh, un gran bel lavoro, roba da professionisti, non c’è che dire… Peccato che stia consumando la batteria più velocemente di quanto non si ricarichi. Continuando di questo passo e a pieno regime, direi che non durerà molto, non oltre le ventiquattro ore comunque».


Hank lo ha ascoltato con grande attenzione, ma ancora non è certo di aver centrato il punto della spiegazione. Ha l’impressione che ci sia qualcosa di decisamente sbagliato nel discorso che ha appena udito.


«Non capisco. Perché mai avrebbe fatto una cosa simile? Sembra… stupido» prova, incerto.


«Lo sembrerebbe senz’altro, dalla nostra prospettiva» conviene Dick. «Ma posso facilmente immaginare che qualcuno, là fuori, abbia cercato una via per entrare e riprendersi il controllo. Così, vedi, non è che avesse tutte queste opzioni praticabili fra le quali scegliere. Poteva lasciar fare, oppure…».


Dick lascia la spiegazione a metà, ma Hank stavolta ha colto perfettamente il reale significato del non detto e rabbrividisce.


«Merda» sibila, massaggiandosi la fronte e pensando.


«Per una volta sono d’accordo» conferma Dick, soffermando lungamente lo sguardo sull’androide.


«Non ho idea di cosa fare» ammette Hank con tono traballante.


Dick sposta un momento gli occhi sull’amico, poi scuote la testa.


«Non c’è molto che si possa fare, in realtà. Non posso raggiungere la sua unità celebrale in alcun modo, non con i miei strumenti per lo meno. Ci vorrebbe qualcosa di molto più avanzato e potente… e una fortuna sfacciata anche solo per trovare un varco nelle difese che ha eretto».


Hank si inginocchia al fianco di Connor e ne raccoglie una mano fra le proprie. Ricorda ancora molto bene le parole di Connor; gli ha parlato solo il giorno prima delle sue paure. Nessuno di loro due pensava fosse una possibilità così tangibile, eppure ora si è presentata e Connor ha deciso altrimenti. Hank crede di sapere perché ha preso quella decisione, ma saperlo non lo fa sentire meglio, affatto; accentua invece il suo senso di impotenza e la sgradevole sensazione di ineluttabilità che già in passato ha avvertito attorno a sé. Aveva giurato a sé stesso che sarebbe riuscito a trattenere almeno Connor, invece ancora una volta deve aver sopravvalutato la propria volontà, e adesso si trova senza alcuna soluzione fra le mani.


E d’un tratto sgrana gli occhi, prendendo un brusco respiro. «A meno che…».


  
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