Fumetti/Cartoni europei > Miraculous Ladybug
Segui la storia  |       
Autore: Florence    02/11/2018    1 recensioni
Scoprirsi, perdersi e ritrovarsi oltre il tempo, oltre il dolore, oltre una lontananza che strappa l'anima.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 27 - This is the End (Sei anni prima)



-L’aereo parte tra quattro ore e noi saremo a bordo-

-Tu sei folle! Non andremo da nessuna parte senza quel Miraculous e senza Ladybug!-, Gabriel, furibondo, scaraventò per terra il suo tablet con un colpo secco del braccio. Davanti a lui Chat Noir lo guardava più determinato che mai a portarlo via di lì: ma come avrebbe potuto avere un senso andarsene senza poter usare quel Miraculous, senza avere la certezza che la merce di scambio fosse effettivamente valida?

-Tua madre è viva e se tu non mi lasci prendere quegli orecchini non la ritroveremo mai!-, tuonò portando una mano alla gola e liberandosi del foulard che, senza la sua spilla, non aveva più senso di essere indossato. Si sentiva soffocare, aveva un mal di testa furibondo, segno che Nathalie, la buona, cara, fidata Nathalie, aveva usato il suo potere su di lui.

La donna lo fissava da un angolo in ombra, il più lontana possibile da lui nella grande sala della sua villa, colpevole e consapevole di esserlo. Era l’unica che avrebbe dovuto tenere a freno, considerò con rabbia Gabriel, e non l’aveva fatto. Era stato uno stupido.

-Se la mamma è morta, e lo sai bene, usare i due Miraculous sarà un suicidio!-, sbraitò Chat Noir, balzando davanti al viso del padre, puntando gli occhi felini ridotti a minuscole fessure in quelli dell’uomo.

-Non mi fai paura, anche se sei trasformato-, lo affrontò lo stilista, allontanandolo da sé con una mano.

-Ho il Cataclisma…-, gli ricordò il figlio, muovendosi silenzioso fino alle sue spalle, -E Nathalie ha il tuo Miraculous: o vieni con noi o rimarrai solo, senza poteri e infelice per l’eternità.

-Non useresti il Cataclisma su di me: tu sei un codardo, Chat Noir! Ti ho studiato a lungo in questi mesi e so perfettamente di che pasta è fatto il biondo micino che salta di tetto in tetto. Tu sei buono solo a penzolare dalle labbra della tua bella coccinella, senza uno scopo, senza una meta, senza una vera ragion d’esistere!-, pestò il tablet, ormai in briciole sul pavimento.

Chat Noir si bloccò, rimuginò sulle parole del padre, si avvicinò a lui: il suo sguardo era cupo, la volontà ormai ferrea.

-Hai ragione-, gli sibilò in un orecchio, -Io non ho alcuna vera ragione di esistere: non ho più una madre, non ho l’affetto di mio padre e ormai non ho neanche più quello della ragazza che amo-, lo spinse indietro fino a farlo sedere di schianto su una poltrona. Un tremito nella sua mano chiusa a pugno a pochi centimetri dal volto del padre tradì la sua paura.

Si allontanò repentinamente dall’uomo di molti metri ed estrasse dalla tasca sul suo fianco qualcosa. Nathalie trasalì e immediatamente attivò la sua trasformazione, lasciando basito e impietrito Gabriel che li guardava, per una volta senza capire cosa stesse accadendo.

Chat Noir avvicinò le mani ad un orecchio e fece qualcosa nella penombra. Gabriel non riusciva a vedere, si alzò per avvicinarsi al figlio che gli ruggì contro: -Sta’ seduto!-

Era sofferenza quella che permeava dalla sua voce roca? Che cosa stava…? Gabriel scattò verso la parete e sollevò con un colpo solo tutti gli interruttori dell’illuminazione, inondando la stanza di luce.


Sangue.


Notò il sangue per prima cosa, mentre la testa pulsava e qualcosa di incomprensibile lo faceva restare immobile, come ipnotizzato dalla sottile striscia scarlatta che scivolava lungo il collo del figlio e si perdeva nel colletto della tuta nera. Non parlò, non chiese, comprese immediatamente quando Adrien, con un gemito sopito, allontanò le mani dal secondo lobo, anch’esso sporco di sangue e una potente luce si frappose tra loro. Una enorme coccinella confusa apparve fluttuando davanti al ragazzo, guardandosi intorno per comprendere la situazione.

-Adrien!?-, squittì Tikki con vocina timorosa -Adrien, che succede? Dov’è Marinette?-, ma venne ignorata dal giovane che fece un passo indietro, aumentando la distanza tra lui e gli altri due portatori nella stanza.

-Io non ho ragione di esistere, padre-, ripeté quindi, -Per questo ti dimostrerò quanto ti sbagli per ognuna delle tue previsioni sulla mamma! Non servirà a nulla quello che farò, ma tanto io non servo a nulla! Sono stato una delusione come figlio e come eroe. Non è così? -, tuonò con il viso coperto di lacrime e schizzato di sangue; -e ho deluso anche la mia Marinette-, sussurrò piano abbassando la testa, tanto che solo Tikki lo poté sentire.

-Adrien, non farlo!-, Nathalie corse verso di lui, pronta a usare il suo potere speciale.

-Nathalie, stanne fuori!-, urlò ferocemente il ragazzo, le lacrime pungevano ai lati degli occhi, -Tikki, trasformami!-



E Tikki non poté fare altro che obbedire ed essere risucchiata ancora negli orecchini che Adrien aveva conficcato a forza nella sua carne. Tikki avrebbe contribuito assieme a Plagg a distruggere quel povero, dolce, coraggioso e cocciuto ragazzo che Marinette tanto amava. Fu quello l’ultimo pensiero che ebbe, prima di provare per la seconda volta nella sua esistenza terrena la fusione che seguì. Fu come essere un tutt’uno con Plagg, come era accaduto in vita, quando erano una donna reale e uno stupido, stupido semidio. Fu come unirsi in un unico corpo, e, tra loro, come un oggetto sacrificale, Adrien. Anch’egli stupido, stupido oltre ogni dire.


-Vuoi ritrovare tua moglie, padre?-, urlò il giovane da sotto una maschera nuova e terribile. Guardò fugacemente il suo nuovo costume e non capì più se fosse un portatore di distruzione o se la creazione ribollisse sotto la sua pelle. Rosso e nero, la passione e la distruzione. Cos’era diventato… cos’era quel fuoco che bruciava dentro di sé, pronto a deflagrare e fare tabula rasa di ogni cosa?

Era una sensazione travolgente, nuova, incredibilmente potente. Era il potere dei Miraculous, qualcosa da cui stare il più possibile alla larga. Allargò stupefatto gli occhi, spostò appena le mani verso il basso e si accorse che poteva alzarsi dal suolo.


Forte! Come Iron Man!


Fu un pensiero fugace, forse il suo ultimo pensiero di senso compiuto, considerò.

-Ho studiato il grimorio, so che devo fare-, dichiarò e si preparò al sortilegio. Non era il suo momento di tenersi alla larga del pericolo: per salvare la sua famiglia e la ragazza che amava doveva invece ficcarcisi a capofitto.


Ho il cinquanta per cento di probabilità di riuscirci.


Se vince Tikki, va tutto bene; se vince Plagg, sono fottuto.


Ne aveva altri, di pensieri di senso compiuto, constatò, e molto più calzanti alla situazione, ma più avesse pensato, più sarebbe stato difficile andare avanti nel suo scopo. Quindi, senza aspettare altro, iniziò a declamare la formula magica.


-Nooo!!!!-, Gabriel Agreste, l’uomo dall’imperturbabilità di granito, quello che non si sarebbe scomposto per nulla al mondo, gli era appena piombato addosso trascinandolo al suolo, travolgendolo, stupendolo e poi bagnandolo con lacrime calde e salate che colavano copiose sul viso e sul collo. -Fermo! Fermo Adrien!-, l’uomo lo placcò come fosse stato un giocatore di rugby e rimase steso praticamente su di lui, singhiozzando sul corpo immobile di quel figlio così testardo eppure così meraviglioso che non aveva mai saputo scoprire davvero.

-Toglili!-, le mani si muovevano febbrili sul viso del figlio, che si fece sfilare in una nuova stilettata di dolore gli orecchini, tornando ad essere per magia solo Chat Noir.

Con un po’ di fortuna le cicatrici non sarebbero rimaste, balenò nella mente di Adrien, troppo sconvolto, troppo stupito, troppo tragicamente grato per quel che stava avvenendo.
Era un potere troppo forte… che cosa stava per fare...


-Basta, basta ti prego…-, Gabriel lasciò cadere il Miraculous della Creazione, che tanto aveva desiderato e si attaccò al collo del ragazzo, -Non farlo più figliolo… Perdonami!-

Era un abbraccio doloroso e spasmodico, c’era tutto il dolore taciuto e nascosto per anni; ormai la tensione aveva rotto la pietra che intrappolava il cuore di Gabriel Agreste e quello che stava implorando Adrien era un altro uomo. Si capiva dagli occhi chiari arrossati per le lacrime, dal torace scosso da tanti, forti singhiozzi, dalle mani tremanti che non stavano ferme e si contorcevano cercando un contatto con la pelle del figlio, dalla bocca umida che si apriva e chiudeva in un lamento continuo. Si capiva dal cuore che batteva all’impazzata come fosse stato quello di un neonato appena venuto al mondo, nell’attimo di terrore seguente al taglio del legame con l’unica ragione di vita conosciuta fino ad allora.

Gabriel afferrò il viso del figlio tra le mani apparentemente fragili: -Perdonami-, ripeté ancora una volta e se lo strinse al petto, come non aveva mai fatto in tutti quegli anni.



Adrien sorrise con il volto affondato nella camicia del padre: ce l’aveva fatta.




***



-E’ qua!-, un grido accanto a lei, mani sulla sua fronte, mani che la spostavano.

-E’ qua, l’ho trovata!-, una voce sconosciuta, oppure no: Kim? Forse era lui.


Kim!?


-Marinette!-, passi in corsa che si avvicinavano, rumore di schizzi nella pioggia.


Era freddo, tanto, tanto freddo.



-Marinette!-, la mamma! Era lei!



Era buio tutto intorno, buio e freddo.


-Oddio, Marinette!-



Un bagliore, ombre nel buio, un po’ più di luce.



-Amore, amore mio!-, sentì le mani piccole della mamma, calde sul suo viso, l’abbraccio minuscolo eppure forte.

-Tom! Corri!-, ed ecco l’abbraccio grande, che la tirò su e per un istante le spezzò il fiato.

-Amore mio, cos’hai? Che è successo... Come… come stai?-

-Sabine, calmati, è confusa-, il papà la strinse di più al suo petto. Era caldo e confortante.




-Ho mal di testa-, la voce le uscì roca, la gola bruciava e gli occhi anche, tanto, davvero tanto, come se avesse pianto fino a diluire i suoi pensieri nelle lacrime, fino a…


-Che ci faccio qua? Dove sono?-, ancora la voce roca, non le pareva sua. Vedeva tutto sfocato come nel ricordo di un incubo.

-Marinette!-, quella era Alya, eccola, eccola proprio accanto a lei, e Nino, anche.

-Per fortuna ti abbiamo trovata…-, l’amica la tirò a sé, quasi strappandola dalle braccia del padre, la strinse forte, farfugliò parole strane, cariche di sensi di colpa per qualcosa che lei avrebbe potuto evitare. Parole familiari eppure stonate, fuori contesto.

-Dobbiamo portarla al pronto soccorso-, propose Nino, rivolgendosi ai genitori della ragazza, indicando, non con un leggero imbarazzo, gli abiti strappati della figlia, i pantaloni sbottonati.

Tom, con l’aria più seria che mai avesse avuto dipinta sul viso stanco, annuì semplicemente e ringraziò silenziosamente il ragazzo. Quindi si affrettarono ad avvertire la Polizia, che aiutava nelle ricerche, e attesero l’ambulanza che li portò al più vicino Ospedale.



***



Adrien aveva sciolto la sua trasformazione e raccolto entrambi i kwami che aveva sfruttato, per consentire loro di recuperare le forze; Gabriel, sempre vicino a lui, seduto per terra spalle al muro, osservava le creature con un misto di attrazione e terrore: tanto vicino a ritrovare la moglie, grazie a loro, così prossimo a perdere il figlio. Si sentiva come se gli fosse passato sopra un carro armato, avesse fatto manovra e se ne fosse andato, lasciandolo moribondo nel mezzo al deserto.

-Avevi ragione, Adrien, sarebbe stato un errore madornale-, constatò sfilandosi gli occhiali e pizzicandosi la radice del naso, a occhi chiusi, -Barattare un affetto per un altro-, riaprì gli occhi chiari sul figlio, avvicinò una mano al suo viso e lasciò una lieve carezza: -Amavo alla follia tua madre-, iniziò sorprendendo il ragazzo e la donna nell’ombra, non distante da loro, -E l’amo ancora. Non sopporto l’idea di averla persa, a ogni respiro mi sento strappare via un frammento di anima, non sapendo dove sia, se sia viva, oppure se non ci sia più-, abbassò il volto, affondò le dita tra i capelli poggiando i gomiti sulle ginocchia.

-Voglio ritrovarla, Adrien, voglio poter guardare ancora una volta quegli occhi verdi e puri, ma non a questo prezzo. Accetto di rimanere per sempre un non vivo, se così posso dire, ma non posso accettare in cambio che tu metta a repentaglio la tua vita per questo scopo.-

Si alzò e fece qualche passo zoppicante, le spalle erano curve, l’eleganza dimenticata, -Sono stato solo uno sciocco, solo uno sciocco…-, tremava, anche se si sforzava di non darlo a vedere. L’emozione, la paura e il dolore nel suo animo erano troppi anche per uno come Papillon, cedette e andò a cercare l’angolo più lontano del salone, dove poter versare in silenzio le sue lacrime amare.

-Padre…-, Adrien si alzò per portargli conforto: era così lontana la figura autoritaria e schiva che aveva vissuto lasciandolo in disparte per tutta la sua adolescenza, che l’affetto più puro premeva per cercare un vero contatto con lui.

Gabriel alzò una mano, bloccandolo, l’altra la teneva stretta ad un lembo della tenda di velluto, muovendola quel poco che bastò per osservare come la sera stesse avvicinandosi.

Voleva piangere il suo dolore e il pentimento da solo.


Nessuno dei due uomini si rese conto di quel che, furtivamente, fece Nathalie: la donna raccolse da terra gli orecchini ancora sporchi di sangue e li raggiunse.


Aveva un piano, aveva uno scopo. E aveva il potere di farlo.


-Signori...-, li chiamò con voce altisonante per farli voltare entrambi. Un attimo dopo, usando il suo potere, li fece suoi e senza indugio sfilò l’anello dal dito di Adrien .



***


-Ti ricordi quello che è successo, Marinette?-, domandò una voce femminile molto gentile, mentre con una torcia, qualcuno le osservava la dilatazione delle pupille,

La ragazza scosse il capo: aveva il vuoto più totale in testa, non ricordava né come fosse finita in quel vicolo puzzolente e stretto, né cosa fosse accaduto prima. Sapeva solo che non aveva più i suoi orecchini e che aveva perso Tikki.

Mentre la trasportavano via, facendola scivolare con la barella su cui l’avevano stesa all’interno dell’ambulanza, aveva scorto per un istante, in mezzo a tanti sconosciuti, il volto teso e preoccupato del Maestro Fu. Avrebbe voluto chiamarlo, chiedergli aiuto, spiegazioni, ma l’aveva immediatamente perso di vista e non aveva elaborato nessuna scusa valida per pretendere di farlo richiamare lì al Pronto Soccorso: in fondo per lei era un emerito estraneo.


Adrien avrebbe dovuto essere lì con lei, ma anche lui non c’era. Aveva provato a chiedere a sua mamma se c’era qualcuno dei suoi amici in sala d’aspetto ed era riuscita a scambiare due parole solo con Alya.

-Lui lo sa?-, le aveva chiesto furtivamente, in un abbraccio, ma l’amica aveva stretto le labbra e scosso la testa, senza poter aggiungere alcuna spiegazione. Forse non lo aveva chiamato, o forse non era stata capace di trovarlo.



***


-Liberi-, Nathalie sciolse il suo controllo mentale su Adrien e Gabriel in un sussurro e li vide sbattere confusamente le palpebre davanti a lei. Adrien ci mise un istante a capire che non aveva più, di nuovo, il suo Miraculous, Gabriel ne impiegò uno in più per capire quello che la sua segretaria aveva in mente di fare.

-Te lo impedisco, Nathalie Sancoeur-, le disse in tono di comando, nonostante la voce ancora lievemente e meravigliosamente rotta dall’emozione provata.

Nathalie affinò lo sguardo e scosse lentamente la testa: -Gabriel, credo che, stranamente, tu non abbia molto potere su di me, in questo momento-, gli disse lasciandosi andare ad un familiare “tu”, che lasciò entrambi gli Agreste perplessi.

-Ho il Miraculous del Pavone, quello della Farfalla, l’anello del Gatto Nero e adesso anche gli orecchini della Coccinella-, constatò aprendo il palmo della mano destra davanti a loro, -E nessun kwami, al momento, mi può impedire di fare quello che posso e voglio fare-, si avvicinò al suo titolare, allungò una mano fino al suo cuore e lo sfiorò, da sopra la giacca, il gilet e la camicia di seta. Gabriel non mosse un muscolo, si limitò a guardarla di nuovo preda del terrore.

-Farei tutto per te-, gli sussurrò Nathalie in un orecchio e gli rivolse il più addolorato degli sguardi, -Ogni cosa, come tu hai fatto per Emilie-, posò un bacio sulla guancia dell’uomo e si allontanò di nuovo da lui, con un salto all’indietro possibile solo grazie alla trasformazione ancora attiva. Avrebbe voluto baciarlo sulle labbra che mai aveva osato violare, ma non era una ladra, non si sarebbe comportata in quel modo.

-Non farlo…-, soffiò tra i denti Gabriel, sapendo cosa stesse, di nuovo, per accadere. Allora anche Adrien comprese.

-Non farlo Nathalie!-, urlò correndo verso la donna. Non poteva finire a quel modo, lei glielo aveva promesso.

-Per tutti e due, per la vostra famiglia-, sorrise Nathalie scoprendo un nuovo potere: puntando l’indice verso Adrien riusciva a tenerlo lontano da lei, come se ci fosse una barriera invisibile. Si stupì per prima di quanto fossero inattese e astruse le possibilità dei Miraculous; dopo aprì la mano destra davanti a sé, soffermandosi un istante a pensare quale fosse il modo più semplice per arrivare al suo scopo.

Si lasciò sfuggire un lieve gesto di stizza, comprendendo l’assurdità della situazione: doveva assumere il potere del Gatto e della Coccinella, ma per farlo doveva sciogliere la sua trasformazione e quindi Adrien si sarebbe catapultato su di lei, impedendole ogni mossa.

-Non farlo-, ripeté il ragazzo, in tono più calmo, smettendo di opporsi a quella mano invisibile che lo manteneva fermo, -...tanto non ti riesce!-, la schernì bonariamente, -Come quella volta che provavi a insegnarmi i sistemi di equazioni-, rammentò sorridendo alla donna, che immediatamente si accigliò e comprese di essere arrossita, lanciando uno sguardo furtivo verso Gabriel. Non aveva mai ammesso di aver fallito nell’educazione del ragazzo, era andata lei stessa a ripetizioni di matematica, per poter essere una brava educatrice per lui.

-O come quella volta che non ti riusciva il passaggio in Do maggiore nella sesta di Schubert e allora me l’hai messo su Youtube e sei rimasta con me fino a notte fonda finché non l’ho imparato…-, Nathalie strinse le labbra, lasciando l’indice puntato contro il ragazzo, deglutì. Erano colpi bassi. Un nuovo sguardo furtivo verso l’uomo che amava e che non avrebbe mai voluto deludere.

-O ancora come quando avevi deciso di farmi i cupcakes per il mio compleanno, tre anni fa, che eravamo solo tu e io, e ti sorpresi di notte in cucina, tutta sporca di crema al burro perché ti era esploso il coperchio della planetaria…-, Adrien si lasciò scappare una risata, Gabriel si morse l’interno della guancia, per non perdere l’espressione seria che aveva di nuovo impostato, dopo quell’inatteso gesto affettuoso della sua segretaria. Nathalie era umana e lui non se n’era mai reso conto. Umana e passionale, attaccata come non aveva mai neanche immaginato alla sua famiglia e a quel figlio che invece lui aveva abbandonato.

-Sei un traditore, Adrien!-, sibilò Nathalie e ficcò gli occhi in quelli del ragazzo. Si guardarono in cagnesco per un tempo indecifrabile, poi entrambi si lasciarono andare a un sorriso tenero, che sciolse la tensione creata. Nathalie abbassò la mano liberando dal suo potere Adrien e lui, completamente sbilanciato verso di lei, quasi le cadde addosso, finendo per stringerla in un abbraccio.

-Sei stata come una madre per me, Nat… Non fare stupidaggini proprio adesso!-, il ragazzo si allontanò appena e posò le mani sulle braccia di La Plume Bleu, subito sotto le sue spalle, -E non rifarla mai più quella cosa con il dito per favore!-, con una lievissima esitazione si allungò verso la donna e la abbracciò di nuovo, affondando con la testa sulla sua spalla.

-Ne ho già persa una, di mamme, non voglio perdere anche te, che sei madre, amica e complice-, sussurrò in modo che solo la donna potesse ascoltare quelle parole, poi aumentò la stretta trasformando un abbraccio timido in un vero e proprio gesto di affetto.



-Se volete scusarmi, credo che abbiate prenotato dei posti su un volo che partirà tra… tre ore, se non erro-, si intromise Gabriel, spezzando quel dolce attimo. Era attratto da quel calore desueto, attratto come non avrebbe mai pensato di esserlo dalla complicità della donna con il suo ragazzo. Se lo sarebbe ripreso tutto il tempo buttato via, oh sì! Lui, Adrien ed Emilie, se l’avessero trovata. Si sarebbe ripreso la sua vita e avrebbe lasciato alle spalle gli errori, le fissazioni e tutte le gabbie che aveva costruito attorno al figlio e al suo cuore.

-Giusto-, annuì la donna liberandosi dall’abbraccio del ragazzo, -Dusuu, trasformami-, comandò e il suo kwami fu sbalzato via dalla spilla blu e prontamente afferrato dalla donna.

-Prendete-, disse agli Agreste, passando loro l’anello e la spilla viola e permettendo anche a Plagg e Nooroo di comparire tra loro.

-Wow! Cos’è, una festa?-, domandò il gatto nero, rivedendo finalmente dopo secoli il suo amico alato.

-Che ne facciamo di questi?-, domandò Nathalie soppesando gli orecchino rossi e neri che ancora tenevano intrappolata Tikki. Adrien guardò il padre, che annuì.

-Cercheremo mia madre in Tibet con i nostri poteri, senza che sia necessario arrivare a scomodare quella magia estrema-, stabilì il ragazzo, -Quegli orecchini sono troppo pericolosi in mano nostra. In tre non siamo riusciti a fare altro che ferirci e metterci paura senza arrivare a concludere nulla. Fai in modo che tornino a Marinette, ma non subito: fallo… quando noi saremo ormai lontani-, aggiunse e sentì una mano posarsi da dietro sulla spalla destra.

-Se mai potrai perdonarmi per tutto il male che ti ho fatto, ti prometto che d’ora in poi sarò al tuo fianco nelle tue decisioni-, gli disse Gabriel, lasciando che la sua voce solenne e al contempo pentita trasmettesse la sua buona volontà e anche l’ammirazione per la strabiliante maturità che il figlio aveva dimostrato nell’ultimo periodo.



-Due ore e tre quarti...-, aggiunse dopo un po’ e si congedò dalla sala.





***


Nathalie, in subbuglio come un mare di magma ribollente sotto la calma superficie del vulcano, radunò le sue cose e si avvicinò alla porta, ma Adrien la fermò trattenendola per un polso.

-Che è successo con Ladybug-, domandò preoccupato.

-Ho fatto quello che mi hai comandato-, gli rispose la donna, si voltò senza battere ciglio e uscì.

Aveva di nuovo indossato la sua maschera da cyborg, constatò il ragazzo: non avrebbe cavato una parola in più dalla bocca della donna.




Nathalie percorse il corridoio buio lasciando che i suoi tacchi producessero un ticchettio sgradevole e si diresse verso il suo studio, per prendere le cose che aveva preparato per il viaggio. Soppesò gli orecchini e li mise in un cofanetto di legno. Aveva mentito ad Adrien: non aveva raccontato a Marinette quello che lui le aveva detto di dirle, in ogni caso nessuno avrebbe mai davvero saputo cosa aveva fatto.

E lei sapeva di aver fatto la cosa giusta.

Mise il cofanetto in una busta e la sigillò; prese le sue borse e uscì, spegnendo la luce dietro a sé.




***




Adrien le aveva rubato gli orecchini e a breve sarebbe partito per l’estremo oriente. Avrebbe fatto una sciocchezza solo per proteggere lei e la sua meschina esistenza. Adrien l’amava con tutto se stesso, glielo aveva detto qualcuno di affidabile, ma che non riusciva in nessun modo a ricordare chi fosse, come se avesse rubato parte dei ricordi di quella orrenda serata insieme ai suoi preziosi orecchini.

“Nonostante quello che penserai, nonostante quello che lui vuole che tu pensi, ricorda sempre che Adrien l’ha fatto anche per te e che tornerà, ma tu non dovrai cercarlo, mai, o per lui sarà la fine”.



Facile…


Marinette decise che avrebbe dovuto trovare il modo di andar via da quell’ospedale il prima possibile e correre da lui, accertarsi che stesse bene e lasciare che ogni cosa, lentamente, fosse tornata a un giusto equilibrio. Doveva fermarlo prima che partisse, maledizione, anche se lo scopo di quelle parole che le riecheggiavano nella mente era esattamente il contrario. Ma chi glile aveva dette? A chi doveva dare ascolto: a voci di fantasmi ignoti o al suo cuore?

Sarebbe corsa a Villa Agreste e avrebbe affrontato Adrien di petto: qualunque cosa, l’avrebbero fatta insieme, ma... per farlo avrebbe dovuto aspettare almeno la mattina successiva, quando la mamma fosse tornata a trovarla: forse l’avrebbero dimessa all’ora di pranzo o nel pomeriggio e allora avrebbe agito. Doveva anche parlare a tutti i costi con Fu, doveva farsi aiutare da Alya, doveva trovare una scusa, ritrovare subito Tikki, doveva…

E invece era intrappolata in un ospedale.

Guardò la notte oltre il doppio vetro della finestra della sua stanza: sarebbe tornato il sereno, a quanto lasciavano presagire le tremule stelle che punteggiavano il cielo abbagliato dalle luci della città. L’indomani avrebbe cercato di convincere ancora una volta Adrien a non andar via. Ce l’avrebbe fatta.

Prese un profondo respiro e si sfiorò un lobo nudo, mettendo a fuoco la sua immagine riflessa nella finestra. Poi chiuse gli occhi e appoggiò la fronte sul vetro freddo, aspettando il sonno che avrebbe spento la sua coscienza per un po’.


In lontananza le luci lampeggianti di un aereo di linea, l’ultimo di quel lunghissimo giorno, solcarono una fetta di cielo e scomparvero nella notte, andando verso est.



Marinette fu scossa da un brivido e aprì gli occhi.

Inutile rimanere rannicchiata davanti a una finestra chiusa sul nulla. Si trascinò con lentezza fino al letto e vi si rintanò.


Doveva solo passare la nottata, poi si sarebbe ripresa Adrien.




   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni europei > Miraculous Ladybug / Vai alla pagina dell'autore: Florence