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Autore: 09Chia    03/11/2018    2 recensioni
Purtroppo per me, quando frugo tra gli armadi di casa non ritrovo manoscritti seicenteschi da cui ricavare best seller mondiali, ma scatole di braccialetti di perline che risalgono ad almeno quindici anni fa.
Eppure, un'idea è arrivata comunque: realizzare un nuovo braccialetto, ma questa volta di "perline narrative". Storie brevi, semplici, varie, divertenti; piccoli squarci di quotidianità da portare al polso tutti i giorni, da prendere in mano per strapparsi un sorriso quando la giornata si fa un po' troppo grigia.
Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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GRIGIO 

… e storie di sintonia.

Non vivo a Londra, ma stamattina il cielo sopra la città di Brescia dev’essere simile al suo. E’ ciò che di meno mediterraneo potrei immaginare: grossi nuvoloni scuri trasformano la luce del sole in un opaco riflesso. Si sviluppano in altezza, come giganteschi palazzi sospesi in aria, e rendono l’idea dell’abisso che ci separa da loro.

Un vento furioso si incastra tra i vicoli del centro storico e sembra cerchi di strapparmi la testa dal collo. Se mi portasse via anche tutti i pensieri, con quella, non sarebbe male.

Le case e gli alberi sembrano tenersi aggrappati al terreno e gli uni con gli altri, nell’affannato tentativo di non essere spazzati via.

Eppure non piove.

Sono lì, le gocce di pioggia: pesano nei nuvoloni neri e li trascinano verso il basso, ma qualcosa le blocca: forse temono il vento? Forse vogliono darci ancora qualche istante di tregua.

 

 

Stamattina il mio umore è ciò che di meno mio potrei immaginare: piccoli e grandi cumoli di tristezza velano il naturale entusiasmo di inizio giornata e lo trasformano in nulla di più che un opaco riflesso. Sembrano pesi immensi accumulati da qualche parte tra il cuore e lo stomaco, e mi sorprende quanto grande sia l’abisso che riesco a percepire se mi fermo a pensarci.

Folate di rabbia si incastrano tra i miei tentativi di pensare lucidamente, come se volessero trascinarli via per fare spazio a qualcosa di diverso. E lo facessero, una buona volta.

I pezzettini in cui mi sento divisa, dentro, sembrano tenersi stretti tra di loro per sopravvivere a questi pesi e a questa rabbia, nel tentativo di non esserne travolti definitivamente.

Eppure non piango.

Sono già lì, le lacrime: premono dietro agli occhi, ma qualcosa le ferma. Sarebbe ammetterlo: accettare di fronte a me stessa la ragione e la vera portata di quei cumoli di tristezza e delle folate di rabbia impotente.

Ho bisogno ancora di qualche istante di tregua.

 

Davanti alla stazione, la fontana sputa fuori con il solito brio il suo zampillo, che però si perde dopo poche spanne e viene trascinato via, bagnando le macchine in coda.

Mi stringo nel mio cappotto rosso, un insulto a questa giornata, e mi infilo nelle strade del centro con passo veloce. È grigio l’asfalto, grigio il cielo; grigie le case, le nuvole, i riflessi sui vetri dei negozi, gli alberi sul colle del Castello. Persino la cupola del Duomo, di solito così sgargiante nel suo verde acqua, sembra ricoperta di una patina grigia.

Anche il vento sembra grigio, mentre mi butta i capelli da una parte all’altra e mi fa fischiare le orecchie. Ho rinunciato agli auricolari e alla musica: il vento fa troppo rumore, ed è quasi piacevole sentirselo urlare in testa, a impedire di pensare. Ho rinunciato anche alla coda ordinata che avevo fatto a casa: che si diverta pure a spettinarmi; non c’è nessuno che mi aspetta per accorgersene.

Cerco di fissare il mio cappotto, e di sforzarmi per assorbirne un po’ di energia. Ma mi sembra di avere davanti agli occhi solo grigio, azzurro, blu.

Insopportabili combinazioni di colori, troppo conosciute, troppo poco familiari.

Mi chiedo quanto ci metta una tempesta a formarsi: giorni? Settimane? Mesi? Noi umani siamo decisamente rallentati. La mia ci ha messo anni, e sono piuttosto sicura che non abbia intenzione di sfogarsi definitivamente nemmeno oggi.

E non posso farci nulla.

Rabbia impotente.

Un tuono sbotta nel cielo e fa tremare l’asfalto sotto i miei piedi.

Sorrido leggermente a questa nuova, insperata prova di sintonia.

Accelero il passo, svolto un angolo e il vento si ferma un istante. L’improvviso silenzio che ho in testa lascia parlare tristezza e rabbia e finalmente do un nome a quel magma ingombrante che mi si è fermato in gola: si chiama rifiuto, inutilità. Non sono abbastanza.

Un singhiozzo mal camuffato da colpo di tosse mi scuote le spalle.

Davanti a me, finalmente, cade la prima goccia di pioggia.

   
 
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