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Autore: Eli Ardux    03/11/2018    0 recensioni
"Ho spesso pensato a come ti avrei detto addio un giorno. La morte è inevitabile, in fondo. Eppure non pensavo sarebbe successo così in fretta. Mi sono spesso immaginata invecchiare al tuo fianco. E sai, ricordare tutte quelle bellissime bugie fa male. Ma fa ancora più male pensare che tu stia leggendo tutto questo mentre io non sarò al tuo fianco. Mi dispiace, Sirius. Mi dispiace provocarti questo nuovo peso. Mi dispiace non averti suscitato un’altra volta un sorriso. O forse ci riuscirò ancora. Forse, tra molti e molti anni, ricorderai ancora quella stramba ragazza che ti ha insultato così pesantamente. Ricorderai ancora, magari, il calore di un abbraccio, quando il mondo inizierà a diventare freddo."
***
Dal capitolo 46
«Non è stata una mia scelta!» Sirius aprì le braccia, esasperato. Entrambi avevano alzato di nuovo la voce. «Sì invece» «Cosa?! Donna ma ti senti quando parli?» La bocca di lui si contorse dalla rabbia. «Calmati per Merlino» Elisa raccattò una borsa appoggiata al suo fianco, sulla panca, gettandogliela. I libri andarono a cozzare contro il braccio proteso dal ragazzo per difendersi, rotolando poi a terra poco più in là. «Non dirmi di calmarmi!»
Sirius x nuovo personaggio
Genere: Avventura, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Lily Evans, Nuovo personaggio, Severus Piton | Coppie: James/Lily
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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The beginning of the end



La sentì irrigidirsi al suo fianco. Non aveva bisogno di voltarsi per poter scorgere l’espressione di puro panico che doveva aver assunto. E benché sapeva che avrebbe incontrato solo il viso di terrore della donna che più odiava al mondo, il suo cuore si strinse un po’ quando, con la coda dell’occhio, scorse la paura che, sotto la maschera, la ragazza provava.
 
La grande mano ruvida di Orion si chiuse su quella di Walburga in una presa ferrea. Nessun muscolo in quella piccola mano si mosse. Sirius tentò di assumere il sorriso più cordiale che potesse mai fingere. «Signor Asterion, che piacere».
 
Non lo aveva mai visto. Non dal vivo, almeno. Forse qualche foto qualche anno prima, mostratagli da Dorea Black, probabilmente. Ricordava solamente di aver guardato l’uomo nella foto e aver cercato disperatamente un qualche indizio che potesse ricordargli la ragazza con cui, a quel tempo, si vedeva di nascosto. Non ne aveva trovati e ancora adesso, mentre osservava con fare composto l’uomo davanti a sé, non riusciva a scovarne.
 
Checché provasse a paragonare i due, Elisa non aveva ereditato né gli occhi scuri né i capelli chiari. Ma la compostezza e l’audacia dello sguardo, quello era tutta un’altra storia. Sirius desiderò poter tornare indietro nel tempo e convincere il giovane Black a chiudere quel maledetto giornale e a non sprecare un’ora della sua vita. Perché non avrebbe mai trovato una somiglianza nell’aspetto. L’avrebbe trovata tutta nella lucida intelligenza che traspariva da quegli occhi attenti, o dall’inclinazione delle spalle mentre, a piccoli passi, gli si avvicinava.
 
«Spero stiate bene». Orion inclinò lentamente il capo da un lato, ostentando falsa gratitudine. Sicuramente, pensò Sirius amaramente, suo padre adesso stava bene. Un lampo di genio gli oltrepassò la mente. «Ho saputo di sua moglie. Le mie condoglianze». L’uomo scosse la testa con espressione amara. «Moriamo tutti, prima o poi». La mano minuta stretta nella sua aumentò la presa.
 
Sirius si arrischiò a lanciare uno sguardo allarmato alla donna al suo fianco. Il viso di Walburga era deformato da un’espressione di rigida disapprovazione, un grado talmente esagerato che perfino l’uomo a cui quello sguardo era rivolto parve accorgersene.
 
«Non mi deve fraintendere, signora Black. La morte di mia moglie mi addolora molto più di quanto sembri» «Dal suo tono di voce avrei detto il contrario». Sirius trasalì impercettibilmente. Sembrava che sua madre avesse preso il sopravvento. Il tono, il portamento e l’inclinazione che il mento creava con il collo erano tipici di un’istruzione rigida che lui conosceva bene. Forse era vero che ce l’avevano nel sangue, come se quell’ostentata superiorità fosse ormai parte di loro come un organo piantato nel loro petto.
 
Asterion aveva assottigliato le labbra in una linea dura. «La morte di mia moglie ha, come dire, portato delle funeste notizie, oltre ovviamente al dolore che essa ha comportato». Orion si chinò impercettibilmente in avanti, incuriosito. «Cosa intende dire?». L’uomo sorrise tristemente, come se si aspettasse la domanda. «Avrete certamente saputo dell’onta a cui la mia famiglia è stata sottoposta negli ultimi anni». Sirius annuì senza sapere la risposta. Sicuramente suo padre l’avrebbe saputa. «Come scordarsela». Trasalì quando sentì dal suo fianco le parole taglienti di Walburga. «Quella piccola ingrata… spero che almeno abbia avuto la decenza di scomparire» «Vive a Londra, sapete. Non so bene dove, mi sono solo giunte voci».
 
L’uomo sorrise. Sembrava un sorriso nostalgico, senza allegria. «Mia figlia… chi l’avrebbe mai detto che quella piccola bastarda sarebbe sopravvissuta» «Deve essere stato sicuramente per il vostro sangue». La voce melliflua della donna parve farlo tornare al presente. Le lanciò uno sguardo divertito, poi annuì tra sé. «Probabile, è l’unica ragione».
 
Sirius strinse più forte la mano dell’altra. Fu sollevato quando quelle dita fredde restituirono la sua presa.
 
«Ecco, dicevo, non immaginerete mai cosa abbia fatto» «Non avrà avanzato pretese, spero». La voce amara di Orion si fece più profonda. L’uomo annuì teatralmente. Walburga, al suo fianco, trasalì. «Non ci credo» «Dovrebbe farlo, signora. Quella mocciosa dal sangue marcio ha avanzato delle pretese sull’eredità di mia moglie. Per essere precisi, se ne è mangiata una bella fetta» «Non può averlo fatto!». Sirius si appuntò mentalmente di fare i complimenti all’altra per la recitazione. «Incredibile, vero? Fortunatamente, la situazione si risolverà presto» «Cosa intende?». Asterion sorrise furbescamente a quella domanda. «Conosco gli attacchi giusti al Ministero, naturalmente. È bastato discutere con le persone giuste e questo luglio la sua camera alla Gringott verrà confiscata per degli accertamenti. Un abile gesto e…». L’uomo ruotò la mano in aria con fare divertito. A Sirius ribolliva il sangue nelle vene.
 
«Certo, capisco che anche per voi la situazione non sia tanto migliore. In un certo senso la nostra situazione è simile» «Si sbaglia, temo». La voce di Walburga apparve candida nell’aria. «Almeno lei non ha dovuto sopportare il tradimento così vistoso del proprio sangue» «Ha ragione, devo ammetterlo. Almeno io non ho dovuto sprecare tempo per la sua educazione». Per un attimo Sirius pensò a come sarebbe sembrato strano se Orion Black avesse tirato un pungo in faccia ad un esponente così in vista della casata Asterion. «Per non parlare  della relazione tra i due reietti. A volte si creano degli sprechi di sangue così vistosi».
 
Erano stati quello? Erano stati uno spreco di sangue?
 
«Credo di dover andare a discutere con il signor Malfoy per la nuova donazione. Voi cosa ne pensate?». Sirius deglutì sonoramente. Lanciò uno sguardo disperato al suo fianco, dove una Walburga alquanto pallida squadrava con superiorità l’uomo di fronte a sé. «Una donazione per una buona causa… cosa ne dovremmo mai pensare?». L’ignaro padre sorrise alla figlia con fare compiaciuto. «Non mi aspettavo un’altra possibile risposta da una donna come voi. Vogliate scusarmi». Sirius osservò l’uomo allontanarsi con il cuore che pompava nel cervello. Sovrappensiero, si passò una mano sul viso.
 
«Orion non lo farebbe». Il sussurro alla sua destra gli fece abbassare il braccio. Sorrise impercettibilmente prima di ritornare ad indossare la sua maschera.
 
«Qualcosa da bere?». La donna annuì sovrappensiero. Nessuno dei due avrebbe mai voluto toccare qualcosa da quei vassoi incantati che volteggiavano per la stanza evitando gli invitati. Eppure, come da tradizione, i due si diressero verso quello più vicino. Orion afferrò due calici e porse quello dal contenuto minore alla moglie. Sirius avrebbe voluto nuovamente afferrare la mano dell’altra. Si limitò invece a sorseggiare il contenuto del suo bicchiere con aria assorta, così come suo padre avrebbe fatto. La moglie al suo fianco, invece, si limitò ad assaporare piccoli sorsi per volta, scrutando gli invitati. Le bastarono pochi minuti prima che individuasse il loro prossimo interlocutore. Glielo indicò con un lieve cenno del capo, facendolo sembrare un casuale gesto per scacciare i capelli dal viso.
 
Lucius Malfoy era impeccabile come sempre. Sorseggiava il suo vino con aria distratta, osservando la giovane moglie sistemarsi una ciocca di capelli. Orion ebbe appena il tempo di fare qualche passo avanti prima che una fitta allo stomaco rischiò di farlo piegare su sé stesso. Sirius sentì distintamente Walburga alle sue spalle gemere piano, prima che due mani gli afferrassero il braccio. Si voltò quel tanto per osservare la bocca dell’altra sillabare lentamente la parola bagno a denti stretti. Lottando contro la voglia di vomitare il contenuto del suo bicchiere sul chiaro pavimento di pietra, Orion Black prese sotto braccio la sua consorte e, con schiena dritta e volto impassibile, si diresse verso l’uscita dalla stanza.
 
Non sapeva se il loro comportamento potesse sembrare sospetto. Non che gliene importasse. Fecero appena in tempo a percorrere un’altra stanza prima che la donna lo tirasse con forza verso una porta chiusa contro la parete. La maniglia si piegò facilmente sotto il suo tocco. I due si catapultarono in quello che sembrava un corridoio elegantemente arredato. Sirius sentì il proprio viso iniziare a bruciare mentre osservava l’altra gettarsi in una corsa nel corridoio. Se solo il suo corpo non fosse stato sul procinto di andare a fuoco, probabilmente il ragazzo avrebbe trovato parecchio divertente la visione di sua madre impegnata in degli scatti fulminei.
 
Inseguì la corsa di Walburga lungo tutto il corridoio finché questa non si gettò in una stanza sul fondo. La porta si richiuse dietro di loro con un tonfo. Sirius intravide con la coda dell’occhio la figura di sua madre avventarsi verso l’uscio e girare freneticamente la chiave nella serratura. Solo quando si voltò Sirius si accorse che il vestito ricadeva troppo largo, tanto che la ragazza, che ora aveva preso il posto della donna, doveva trattenerlo al suo posto con un braccio sul seno. Il ragazzo boccheggiò un paio di volte, sentendo improvvisamente il bruciore scomparire dal suo corpo e la giacca ricadere troppo morbida sul suo busto.
 
«Per Merlino». Si trovavano in un bagno. Probabilmente l’unico luogo in cui non sarebbe sembrata strana o indecente la loro permanenza. «Per Merlino» ripeté ancora il ragazzo specchiandosi sul grande specchio alla parete. Se da una parte rivedere il suo viso sembrava la cosa più rassicurante del mondo, un leggero senso di panico prese ad attanagliargli le viscere. «Doveva durare un’ora. Saranno passati solo quaranta minuti». Sirius osservò il suo viso contrarsi in un’espressione di dolorosa consapevolezza. Si staccò quindi dallo specchio, puntando gli occhi verso la figura dall’altra parte della stanza. Estrasse poi la bacchetta dal fodero della sua giacca. «Lumos». Il suo cuore si contrasse quando nessuna luce fu sprigionata dalla bacchetta. «Cosa diamine sta succedendo?».
 
Sirius osservò la ragazza nel vestito troppo largo, cercando le parole adatte. Forse, però, quando capisci di essere in trappola, non ci sono parole giuste da usare.
 
«Il vino che abbiamo bevuto. Doveva contenere qualche pozione che blocca la magia». La bocca della ragazza si contrasse in una smorfia di sorpresa, seguita da una di cupa rassegnazione. Si sedette poi sul bordo della vasca, una mano sul viso. Sirius pensò stesse per piangere. Forse, si disse, ci sarebbero stati dei pezzi da mettere insieme quella notte.
 
***
 
«Scusa». Elisa si sorprese nel sentire quelle parole. Riaprì gli occhi, puntandoli sulla figura che, qualche passo più in là, era appoggiata al lavandino di pietra. «Avrei dovuto immaginarlo». Elisa non rispose, limitandosi ad osservare il gesto della mano con cui aveva descritto la loro situazione.
 
«Anche se lo avessi immaginato non sarebbe cambiato niente. Sai cosa impone la tradizione». Sirius assottigliò le labbra. Evidentemente sapevano entrambi che aveva ragione. «Cosa possiamo fare?» «Finché abbiamo quella brodaglia in circolo nulla, temo. Persino tu credo non possa fare nulla». Elisa scosse la testa tristemente.
 
Si sentiva debole e stanca, come se qualcuno le avesse tolto tutte le energie. La corsa verso quel bagno era stata l’ultima sua impresa. Abbastanza triste, a dire il vero.
 
«Quindi stiamo per morire». Il sussurro la fece voltare verso il ragazzo. Non sembrava averla presa troppo male. Forse avrebbero dovuto prendersi del tempo e soffermarsi sul momento in cui li avrebbero trovati in quel bagno. Ma non aveva senso pensarci adesso. Non aveva più senso pensare a niente.
 
«Non puoi dire che però i Malfoy non abbiamo gusto in fatto di bagni». L’altro sembrò divertito dalla sua constatazione. Si guardò in giro con aria curiosa, individuando l’attimo dopo la vasca su cui era appoggiata. «Quella vasca è enorme! Dovremmo prenderne una così per il bagno-» il ragazzo si bloccò giusto in tempo per rendersi conto di cosa aveva appena detto. «- di casa» completò lei con un sospiro stanco. Era inutile fare finta che anche lei non ci avesse pensato. «è troppo grande, temo. Non ci passerebbe dalla porta». Sirius sorrise un po’, prima che la sua espressione tornasse nuovamente seria.
 
«Stai bene?» «Stiamo per morire e tu mi stai veramente-» «Sai cosa intendo». Elisa sospirò stancamente alla domanda.
 
In quell’ultimo mese si era sentita porre quella domanda così tante volte che la risposta rischiava di lasciarla stordita ogni volta. Certo che sto bene! Non era la verità, ma tutti preferivano ascoltare ciò che volevano e quindi andava bene così. Ma ora? Aveva senso mentire? Probabilmente di lì a qualche ora sarebbe morta. Il pensiero le lasciò una fredda indifferenza addosso, come se improvvisamente non le andasse più di lottare. O di mentire.
 
«Non mi pento di ciò che ho fatto. È stato uno schifo e forse ripensandoci non riuscirei a superarlo di nuovo. Ma lo rifarei». Non lo stava guardando. Se avesse puntato i suoi occhi in quelli dell’altro era sicura avrebbe scorto lo stesso colore che tempestava i suoi incubi . «Perché quando questo pomeriggio sono entrata nella stanza, avrei rivissuto cento volte quella situazione per vederti di nuovo così». Spostò lo sguardo sul suo viso, sorridendo tristemente. Lo sguardo di lui era impassibile e fisso nel suo. «Stai meglio, Sirius, e non ci vuole un genio per notarlo» «Ho smesso di bere». La voce del ragazzo era bassa, un sussurro nel silenzio del bagno. «Anche io» commentò Elisa in risposta.
 
«Remus ti insegna presto a smettere se vuoi vivere sotto il suo tetto» «Ho saputo che ora vivi da lui» «Dove altro potevo andare?». Sirius si morse il labbro, pensieroso. Poi aprì la bocca, quasi fosse sul punto di dire qualcosa, ma la richiuse l’attimo dopo, spostando lo sguardo verso il basso. L’attimo dopo, incontrando i suoi occhi, parve convincersi del tutto. «Cosa intendeva dire Remus quando ha detto che ha passato notti a rimettere insieme i tuoi pezzi?». Elisa quasi si strozzò con la sua stessa saliva. Le implicazioni che quella domanda comportava la fecero arrossire mentre abbassando il capo, si affrettava a spiegare. «Mi svegliavo piangendo e beh, Remus è rimasto delle notti alzato a sentirmi frignare». Si vergognò lei stessa di quanto patetica dovesse sembrare.
 
Sentì Sirius inspirare profondamente, come se si fosse liberato di un gran peso. Si staccò quindi dal lavandino con impeto, voltandosi a guardarla. «Bene, stiamo per morire giusto? Carpe diem dunque». Elisa riconobbe la citazione latina, ma non commentò. Non era sicura che cogliere l’attimo fosse quello che Orazio nella loro situazione avrebbe fatto. Fu come se qualcuno le avesse colpito con un pugno lo stomaco quando Sirius si inginocchiò davanti a lei.
 
«Io non ho rinunciato a te. Non rinuncerò mai a te. Ho amato la ragazza che eri quando ti ho incontrata e amo la donna che sei diventata. Amo come mi fai disperare ogni giorno e amo come cerchi di farmi apparire migliore di ciò che sono. Mentirei se dicessi che ti capisco sempre e mentirei ancora di più se fossi convinto di riuscirci, con il tempo. Non ci riuscirò e continuerò a sbagliare, ma ne vale la pena se tornando a casa ritroverò il tuo viso, felice o incazzato che sia. Voglio passare con te le giornate quelle spese a far ridere il piccolo Harry, ma anche quelle chiuse in casa mentre ti rotoli così bella tra le lenzuola». Elisa non sentiva più il sangue nel cervello. Forse sarebbe svenuta. Sentiva circa un rombare indistinto nel petto, proprio all’altezza dello stomaco. Non era da escludere che avrebbe vomitato.
 
«E lo so che sarà un casino, che siamo in guerra e che con te ci sono sempre problemi, ma giuro che in questa vita o in un’altra io riuscirò a passarla con te. E so anche che questo discorso ha fatto schifo, ma non pensavo sarebbe finita così e quindi non ho avuto il tempo di impararmene uno a memoria». Il ragazzo si bloccò quel tanto da afferrare nella tasca interna una piccola scatola di velluto consunta. Elisa trasalì.
 
 
«Elisa Mirzam Stevenson Asterion, vuoi sposarmi?».
 
***
 
La vita riservava delle scelte. Ne era stata consapevole fin da piccola, fin dalla notte in cui era scappata di casa. La vita riservava anche gioie. La vita le toglieva. Non era sicura in che grado tutto ciò fosse ripartito e non era sicura neppure sulla differenza tra le due. Gioie e dolori si compenetravano in un gioco continuo molto più spesso di quanto si soleva pensare e lei lo aveva capito. O almeno ne era convinta.
 
Non decise d’impulso, né perché pensava di morire e quindi la sua scelta non avrebbe avuto nessun peso. La risposta, in qualche modo, si era costruita da sola, dopo anni e anni in cui, svegliandosi, la ragazza aveva trovato l’altro accanto nel letto, i capelli scompigliati e l’odore delle lenzuola che sapevano di casa.
 
Non rifletté sulle conseguenze, né si curò di pensare al suo piano di fuga che, lentamente, si sbriciolava nel fuoco che le ardeva dentro. E fu proprio questo il suo errore. Avrebbe dovuto aspettare solo qualche attimo, forse secondo in più, giusto il tempo per pensare a cosa avrebbe fatto, a come avrebbe risolto la situazione mentre le parole del demone la ammonivano alla prudenza.
 
Fu proprio questo che mancò. E mentre le parole le fluivano dalla bocca, il suo stesso destino veniva scritto, un marchio indelebile che, tracciato a forza nella sua anima, bruciava ogni speranza rimasta.
 
***
 
«Sì».
 
Il sussurro scolpì sul volto del ragazzo il più bel sorriso che gli avesse mai visto. Fu con dita tremanti che Sirius prese l’anello e con ancora più difficoltà glielo mise al dito. Elisa avrebbe voluto urlare. Forse stava solo piangendo.
 
Puntò gli occhi in quelli del ragazzo, decisa a dirgli quanto l’amava. Prima che potesse aprir bocca, però, un rumore sordo le fece balzare il cuore in gola. Lanciò uno sguardo allarmato all’altro, intento ad alzarsi e a pararsi davanti a lei.
 
Qualcuno aveva bussato alla porta.
 
***
 
«Sono morti». L’anziano alzò gli occhi al cielo al commento della donna. «Non ti pare di esagerare, Minerva?» «Albus sai anche tu a quali rischi sono andati incontro». L’uomo alzò gli occhi dalla rivista tra le sue mani, osservando il viso preoccupato dell’altra. «Ho addestrato io stesso Elisa ad ogni evenienza. Ho fiducia in quella ragazza». L’altra sbuffò in risposta, appoggiandosi al tavolo alle loro spalle. Silente, dalla sua sedia imbottita, non poté fare altro se non spostare lo sguardo sugli altri membri, raggruppati a piccole crocchie per ingannare l’attesa.
 
«Stevenson ha tutto il diritto di sbagliare. È ancora solo una ragazza». Per la prima volta da molto tempo, l’immagine di una buffa ragazzina gli attraversò la mente. La sua prima trasfigurazione in umana, quando solo a lui si era mostrata per chi era veramente: una ragazza a piedi scalzi vestita con quello che, forse molti anni prima, doveva essere stato un pigiama di ottima fattura. E ancora il ricordo della sua prima magia volontaria, quando la piuma si era librata nella stanza al solo terzo tentativo.
 
Una nuova immagine era ora comparsa nella sua mente: Elisa camminava tranquilla per la scuola, accarezzando quasi con disinvoltura le pareti, come se ne potesse sentire la storia. Non si era accorta della sua presenza fuori dall’ufficio mentre, con pazienza, la stava attendendo per il loro thé. Era stato un attimo. Aveva abbassato il braccio, spostato lo sguardo e lo aveva visto. Silente rammentava abbastanza della sua vita per sapere che non si meritava che gli fosse rivolto un sorriso del genere. Non così felice e sicuro, come se lui rappresentasse la soluzione a tutti i suoi problemi. Lui non avrebbe mai potuto esserlo. Eppure ci avrebbe provato, fino in fondo, a cominciare dalla via di fuga che le avrebbe procurato. «E non c’è giorno che non me lo ripeta».

 
***
 

Le stelle quella sera sembravano più luminose. James si passò una mano sulla spalla, sovrappensiero, scrutando con fare assorto la distesa luminosa al di là della finestra. Chissà se Orion Black fosse consapevole che la sua morte era avvenuta in una giornata con una notte così bella.
 
«Stai ancora pensando a Sirius, vero?». James annuì alla domanda. Non aveva bisogno di voltarsi per sapere che la moglie era ormai alle sue spalle, probabilmente con il piccolo Harry in braccio. «Non ti convince il suo piano». Annuì ancora, sovrappensiero, ricordando l’espressione di insensata euforia che si era dipinta sul suo volto. «Pensi l’abbia fatto solo per rivederla?». Una smorfia gli deformò la bocca. «No. Penso abbia studiato bene il piano, a parte qualche imprecisione» «Ovvero?». James si voltò verso la moglie.
 
Lily pareva bianca nell’oscurità di quella sera. Allungò un braccio, accarezzando con la punta delle dita il profilo della mandibola diafana. «Non credo riesca a rimanere lucido. Se Elisa è lì, lui farà di tutto per far sì che lei rimanga al sicuro» «Dici che abbasserà la guardia?».
 
Il piccolo Harry dormiva in braccio alla madre. Le manine strette a pugno, la testolina ripiegata, nessuno avrebbe detto che fino a poco prima aveva sfrecciato per la casa con la piccola scopa che il suo padrino gli aveva regalato.
 
«Dico che sarà talmente preso dalla sua presenza che potrebbe rischiare di metterli entrambi in pericolo». Lily avrebbe voluto rispondere. Vedeva il dubbio e il disappunto crescere in lei come una diga che si rompe, pronta a rovesciare litri e litri di proteste. Ma un bussare sommesso alla porta troncò ogni cosa in quella stanza. Compresi i loro respiri. Nessuno avrebbe mai potuto bussare a quella porta, nessun conoscente o amico. James puntò per qualche secondo gli occhi in quelli di lei. Poteva vedere il suo stesso panico riflettersi in quelle iridi verdi che conosceva così bene. Prima che facesse il primo passo, entrambi avevano già estratto la bacchetta.
 
James percorse la distanza che lo separava dalla porta d’ingresso con un palpitare crescente nel cuore. Appoggiò una mano alla maniglia, la presa sulla bacchetta tanto ferrea da aver fatto sbiancare le nocche. Fu con uno scatto che aprì la porta e lanciò l’incantesimo. Nella foga del momento, il suo animo esultò nel sentire il tonfo tanto sperato spezzare il silenzio. Poi il suo sangue si congelò.
 
«CHE DIAMINE HAI FATTO?!». L’espressione di completa confusione e rabbia dipinta sul volto di Sirius avrebbe anche potuto essere stata divertente, se solo Sirius non fosse stato così impegnato a soccorrere la figura accasciata a terra che, tra un gemito e l’altro, tentava di rialzarsi.
 
«Oh per Merlino». Lily sopraggiunse da dietro, appoggiando una guancia alla spalla del marito e osservando la ragazza a terra rialzarsi. «Stai bene?» «Se risponderò di sì eviterete di affatturarmi?» «Pensavamo foste altri. Sono le undici di sera, per la miseria. Non vi aspettavamo!» «E dimmi, Ramoso, non hai mai pensato di guardare dalla finestra?». James si morse il labbro mentre, facendosi da parte, permetteva ai due nuovi ospiti di entrare, richiudendo poi la porta alle loro spalle. «Beh, la prossima volta lo farò, okay?»
 
   
 
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