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Autore: hirondelle_    03/11/2018    2 recensioni
[hiromido][masahika][past!gazemido]
What if in cui Midorikawa è il padre biologico di Kariya, che torna a vivere con lui dopo moltissimi anni a causa della morte prematura di sua madre. L'inizio della sua nuova vita non è dei più facili. Per comprendere suo padre e soprattutto se stesso, Kariya dovrà venire a patti con il suo passato.
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Kariya buttò fuori l’aria che non si era accorto di star trattenendo, un singulto trattenuto all’altezza della gola che sembrava volerlo soffocare di secondo in secondo.
“Senpai?” chiamò una voce timida. Hikaru era al suo fianco, ancora avvolto dalla coperta, gli occhi stropicciati di sonno ma vigili puntati su di lui. Gli appoggiò una mano sul braccio e gli sorrise.
Kariya spostò lo sguardo da Hikaru a suo padre e seppe che sarebbe andato tutto bene.
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[50k words]
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hikaru Kageyama, Jordan/Ryuuji, Kariya Masaki, Xavier/Hiroto
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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ombrelli sotto la pioggia
Non aveva ancora smesso di piovere e la città sembrava avvolta dalla solita atmosfera pigra e triste. I due ragazzi camminarono impazienti sotto lo stesso ombrello per un lasso di tempo che a Masaki parve eterno, prima che Tsurugi scoppiasse in un grugnito esasperato e iniziasse a setacciare nella sua borsa a tracolla. Quando Masaki lo vide tirare fuori un altro ombrello non poté fare a meno di indignarsi: “Non avevi voglia di tirarlo fuori, vero?” esclamò scocciato, e l’altro alzò le spalle.
Masaki si era trasferito da poco nella zona e non conosceva molto bene la città al di fuori del suo piccolo quartiere e la strada che portava alla Raimon. Tuttavia Kyosuke pareva conoscerla come le sue larghe tasche e al ragazzo sembrava bastare, anche se non riusciva a capire perché ci stessero mettendo tanto. “Non potevamo prendere i mezzi?” borbottò, ricevendo un’occhiataccia dall’amico, che lo rimproverò: “Che hai contro il camminare, eh?”
“Niente, niente…” si affrettò a rispondere Masaki, ricordandosi del pessimo carattere di Kyosuke. Non aveva mai capito il perché ma gli piaceva fin troppo andare in qualsiasi posto a piedi, al massimo in bicicletta, come se mal sopportasse la sola idea di un treno o un autobus. Si chiedeva ogni tanto se fosse per via del suo smisurato orgoglio o per una paura inespressa.
“Piuttosto… perché mi porti in un posto del genere?”
Kyosuke si grattò il naso. ”Allora non sei tutto scemo… beh, te l’ho detto, penso che ti farebbe bene. In ogni caso non ci faranno entrare da nessuna parte, siamo troppo piccoli. Devo solo prendere una commissione.”
Quelle parole suscitarono un certo sospetto da parte di Kariya: aveva capito ormai che il ragazzo non era estraneo a certi ambienti, di conseguenza non doveva essere una sorpresa che fosse in qualche affare losco. Decise comunque di non indagare, non volendo suscitare la mia irritazione.
Arrivarono davanti all’Happy Sugamo che era ormai mezzanotte: da lì, intese, iniziava il quartiere a luci rosse. Si strinse istintivamente nel cappotto fingendo di avere freddo e nascondendo il disagio. Si ricordò che era già stato in quella via, molto tempo prima, quando sua madre non aveva posti dove lasciarlo e lo portava con sé a lavoro. Erano ricordi che sperava fossero stati cancellati.
“Che hai? Forza, andiamo.” si lamentò Kyosuke facendogli cenno e proseguendo oltre il locale. La strada era disseminata di locali con accecanti insegne luminose e musica assordante. Non c’erano vicini che potessero lamentarsi: non era esattamente conosciuta come una zona residenziale. Kariya sospirò e seguì l’amico, all’inizio non sapendo bene dove guardare, poi decidendo di puntare alle sue scarpe. Midorikawa gliene aveva comprato un paio nuovo appena arrivato, ma si ostinava ancora a usare quelle vecchie, che ormai erano tutte sfilacciate.
“Non siete un po’ giovani per gironzolare da queste parti?” gracchiò una voce dall’altra parte della strada. Masaki si girò ma Tsurugi fece come se niente fosse, premendo le mani più a fondo nelle tasche dei pantaloni e camminando ancora più impettito. A questo punto Masaki lasciò che gli facesse strada attraverso i gruppetti di avventori che si appostavano davanti all’entrata dei locali o si intrattenevano con qualche prostituta. Più si addentravano nel quartiere più il suo disagio cresceva, eppure sapeva che doveva nasconderlo in qualche modo a Kyosuke, o non lo avrebbe più preso sul serio. In qualche modo riuscirono a infilarsi dentro un vicolo cieco. Accanto alla porta di servizio di un locale rumoroso, li aspettava un uomo incappucciato.
Kyosuke si avvicinò e lo salutò con un cenno serioso del capo, alzando il mento per darsi un’aria ancora più minacciosa. Masaki pensò comunque che non ci fosse nessun rischio che lo prendessero sottogamba: sembrava uno a cui piaceva farle pagare.
“Yo, Tsurugi.” lo salutò l’altro togliendosi il cappuccio viola, rivelando una zazzera di capelli rosso mattone e un ghigno serafico. “Ti stavo aspettando.”
“Poche chiacchiere, ho fretta” sibilò Kyosuke, allungando un mazzetto di banconote. “Sgancia”.
Masaki non era sicuro che stesse accadendo sul serio di fronte ai suoi occhi: gli sembrava di essere in uno di quei film noiosi, zeppo di stereotipi e cliché vari. L’uomo si intascò i soldi dopo averli contati meticolosamente, si tastò le tasche, poi controllò nel cappuccio, fino a scovare una confezione di plastica sigillata. “Tieni,” disse. “Non fare troppe storie.”
Kyosuke si accigliò. “Prega piuttosto che sia roba decente. Conosci le conseguenze.”
Lui rise, come se trovasse l’idea ridicola. Il suo sguardo si posò su Masaki, rimasto in disparte, mantenendo quel suo ghigno tremendo. “Fai da mamma chioccia stasera?”
La domanda sembrò pungere Kyosuke sul vivo, “Vaffanculo,” sbottò, strappandogli di mano la busta e voltandosi di scatto. Masaki si sentì trapanare da quel suo sguardo improvvisamente irritato e per un attimo ebbe paura.
“Dai, dovresti rilassarti un po’! Ehi!” L’uomo li chiamò con un cenno, senza aver perso la sua agghiacciante allegria. “Ho qua dei biglietti, ti potrebbero interessare.”
Prima che potessero allontanarsi riuscì a ficcargli in mano due pezzi di carta stropicciata. Kyosuke li passò a Masaki con fare scocciato e senza neanche guardarli, per poi avviarsi verso l’uscita del vicolo a pugni stretti.
Solo dopo che si furono allontanati abbastanza, e Masaki riuscì a raggiungerlo nel tentativo disperato di tenere il passo, che gli rivolse la parola. Sembrava quasi fuori di sé, come se Masaki non fosse neanche lì. “Quella merda… lo sa perché lo faccio, lo sa a che cosa serve ‘sta roba. Mi tratta come un bambino.”
Kariya avrebbe voluto replicare, “noi siamo bambini”, ma capì che non era il caso. Kyosuke si stava riferendo a qualcosa che non riusciva a comprendere e che forse non avrebbe mai scoperto: sarebbe stato meglio per lui lasciarlo in pace per un po’. In silenzio, spostò lo sguardo verso i due pezzi di carta che teneva inconsciamente in mano.
E si bloccò.
Le parole di Kyosuke gli arrivarono distanti, probabilmente non si era nemmeno accorto che lo aveva lasciato indietro. “Sai, è stata una pessima idea portarti qui,” stava dicendo, “sei una noia mortale.”
Ma i suoi occhi erano catturati da quell’insignificante pezzo di carta e dalle stampe a colori impresse sopra come sigilli. “Biglietto intero”, c’era scritto, “Un posto in platea, un drink a scelta”. La scritta in caratteri argentati riportava il nome del locale: “Parnaso”. Il gruppo che si esibiva quella sera aveva un nome evocativo, tra il mistico e il pacchiano: “Le Nove Muse”.
E tra i nove uomini fotografati per l’occasione c’era un viso famigliare, anche se era al buio e non poteva distinguerlo bene.
“Ehi, che fai? Ti sei incantato?”
Kariya non alzò neanche lo sguardo e avanzò lentamente, fino a fermarsi sotto la luce del lampione più vicino. Il cuore sembrava volergli saltare via a furia di battere.
E poi lo vide.
Kyosuke gli strappò di mano i biglietti, ma Kariya era quasi certo che li avrebbe fatti cadere tanto gli tremavano le mani. Il ragazzo sembrò visionarli con molta non-chalance. “Ah, quello stronzo. Ci manda pure al gay club. Ehi, ma quello non è-“
Kariya lo anticipò, tremante, non sapeva ancora se per paura, sconcerto o rabbia. “Mio padre. Sì.”
E Tsurugi per la prima volta in quella sera alzò gli occhi su di lui, e lo guardò davvero: restò per un attimo a fissarlo dubbioso, incredulo, quasi non sapesse bene in che tipo di situazione si trovasse: in effetti, nemmeno Masaki poteva dirlo con certezza. Non stava capendo più niente. Gli girava la testa, aveva un freddo tremendo, e non smetteva di tremare.
Per la prima volta sul viso di Kyosuke era comparsa una nota di sincera preoccupazione: “Aspetta, lo sapevi no? Pensavo…”
Ma a quel punto Masaki non voleva più sentire niente. I suoi occhi erano ormai fissi su quell’uomo bello, bellissimo, fasciato elegantemente da una tuta di pelle, i capelli sciolti che cadevano sbarazzini sulle spalle e un violaceo orecchino pendulo. Midorikawa Ryuuji gli sorrideva attraverso la carta e Masaki non avrebbe mai ricordato in vita sua immagine più tremenda.

Modificato: 21/07/20
   
 
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