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Autore: Roiben    06/11/2018    1 recensioni
Che cos'è la devianza? Un semplice virus digitale diffusosi fra gli androidi a seguito di contatti e scambio di dati? Un malfunzionamento patogeno causato da un errore di progettazione? L'evoluzione autonoma di un programma preinserito? O la semplice presa di coscienza della propria esistenza e di un pensiero indipendente?
Come l'hanno percepita gli androidi? E gli esseri umani?
Anche gli androidi hanno dei sogni?
Genere: Angst, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Connor/RK800, Elijah Kamski, Hank Anderson, Markus/RK200
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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chapter 11. Compromises



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CANADA

Date

NOV 14TH, 2038


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CHATHAM-KENT - ONTARIO

470 McNaughton Ave

Time

AM 09:02


Da più di dieci minuti Hank non fa altro che andare avanti e indietro per la sala, ogni momento più nervoso di quello precedente, tanto che alla fine perfino Dick, spazientito, gli ringhia contro di darsi una regolata perché lo sta seriamente facendo diventare pazzo.


Hank però lo fissa senza realmente vederlo, con le palpebre assottigliate e i nervi tesi. «C’è qualcosa che posso fare, forse» accenna pensoso.


Dick si fa sospettoso e ricambia nervosamente il suo sguardo perso nel vuoto. «Di che diamine vai blaterando?».


Gli volta le spalle, torna a camminare con agitazione, si blocca poco discosto dall’androide, sospira.


«Pochi giorni fa Connor e io siamo stati alla casa di quel Kamski, per via di un’indagine. Speravamo che avesse delle risposte, ma…».


«Immagino non sia andata come vi auguravate» offre Dick, accomodante.


«Per niente» conferma Hank. «Quell’uomo ha dei problemi, e anche belli grossi. Ma non è questo il punto» borbotta spazientito.


«Ah no? E qual è, allora, questo punto?» gli fa il verso Dick.


Hank lo fulmina con un’occhiataccia, poi torna a camminare, incapace di rimanere in un unico posto per più di pochi secondi.


«Il punto è che ho ancora il suo numero in memoria, quello che ho usato per farmi dare un appuntamento per la scorsa visita».


Dick spalanca la bocca e lo fissa attonito. «Starai scherzando, spero! Non… Per carità, dimmi che non vuoi veramente chiamarlo per raccontargli che il suo ex cacciatore di devianti è in mano tua e si è appena messo fuori combattimento da solo» prega con fervore.


«Non vedo altra soluzione» esclama tetro. «L’hai detto tu stesso che non possiamo fare nulla da soli» gli ricorda sulla difensiva.


«Sì, ma…». Si inceppa, rimugina, scuote la testa. «Non è una buona idea, Hank. Non lo è per un cazzo».


«Non ne ho altre. E tu?».


Abbassa lo sguardo, si sfrega i palmi delle mani sul viso, sospira. «No, nessuna» ammette con amarezza. «Dimmi solo una cosa, Hank: perché questo androide sembra così importante?».


Con sua sorpresa, Hank accenna uno striminzito sorriso. «Perché lui non è solo un androide, è un amico».


«Già. Beh, lo sono anche io, se è solo per quello» borbotta stizzito.


«Sì, è vero. E ti assicuro che se tu fossi nei guai mi impegnerei ad aiutarti proprio come sto cercando di fare per Connor».


Gli occhi di Dick si fanno enormi come quelli di un gufo. «Veramente?».


«Certo che sì, per chi mi hai preso?» protesta Hank, storcendo il naso un poco offeso dalla palese incredulità dell’amico.


*


Finalmente Hank sembra decidersi a fare quella telefonata che, seppur sofferta e controversa, ritiene la sua unica speranza di trovare una soluzione a una situazione che, al contrario, non sembra averne. Rapido ritrova il numero in rubrica e fa partire la chiamata. Questa volta qualcuno risponde già al secondo squillo, quasi fosse stato attaccato all’apparecchio ad aspettare la sua telefonata.


«Villa Kamski, come posso esserle d’aiuto?» lo accoglie una voce dolce e tranquilla, ma una voce femminile.


Hank ingoia un fastidioso bolo di saliva che gli si era incastrato in gola e si schiarisce la voce, prima di replicare. «Sono il tenente Hank Anderson del dipartimento di polizia di Detroit. Ho necessità di parlare con il signor Kamski» spiega con la massima dignità possibile.


Pochi attimi di silenzio seguono le sue parole, poi la medesima voce di poco prima lo informa che «Sono spiacente, tenente Anderson, ma purtroppo il signor Kamski non si trova alla villa in questo momento, pertanto non ho la possibilità di metterla in contatto con lui. Forse potrebbe riprovare nei prossimi giorni…» azzarda con calma cortesia.


Hank digrigna i denti e respira piano. «No, guardi, nei prossimi giorni sarà già troppo tardi. Devo parlargli adesso, non posso aspettare» replica, un po’ allarmato a quel punto.


«Comprendo che per lei possa essere urgente, tenente Anderson. Purtroppo il signor Kamski non mi ha autorizzata a prendere contatti esterni per sua vece e in questo momento…».


«Senta… signorina» ringhia, perfettamente conscio che dall’altra parte della linea si trova con tutta probabilità una di quelle androidi dall’aspetto di bionda ragazza, del tutto simile a quelle che ha incontrato nella precedente visita. «Non mi interessa quali siano i suoi ordini. Non mi interessa affatto che cosa stia facendo il signor Kamski in questo momento, né tanto meno in compagnia di chi si trovi. Parlerò con lui, ora, e lei farà in modo di mettermici in contatto, oppure dovrà informarlo che presto riceverà una visita da alcuni miei colleghi del dipartimento, con un mandato. Pensa di aver ben compreso, questa volta? La avverto: non ho troppa pazienza al momento, e oggi mi sono svegliato veramente male» ringhia minaccioso.


Può quasi figurarsela a mente, mentre è occupata a elaborare i dati in suo possesso e a vagliare le sue opzioni, con quel maledetto led che brilla d’ambra.


«Farò un tentativo per lei, tenente Anderson» giunge infine la replica, sempre in tono pacato e rispettoso. «Mi attenda gentilmente in linea, grazie».


Per me, come no!” sibila mentalmente Hank, cercando come può di trattenere la propria tensione.


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DETROIT

Date

NOV 14TH, 2038


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CYBERLIFE TOWER

Belle-Isle

Floor 43

Time

PM 12:21


Markus lo sta ancora fissando con un misto di disgusto e incredulità, quando nel laboratorio si ode il lieve bussare di qualche visitatore, evidentemente inatteso vista la smorfia di fastidio comparsa sul volto altrimenti rilassato dell’uomo.


«Avanti» concede seccamente Elijah, seppur di malavoglia.


Dalla porta entra, come del resto già sospettava considerato che nessun altro ha accesso ai suoi appartamenti, Chloe, la quale non mostra il minimo segno di rincrescimento né imbarazzo per l’interruzione fuori programma.


«Hai una chiamata, Elijah. Potrebbe trattarsi di qualcosa di prioritario» viene subito al punto l’androide.


L’uomo solleva un sopracciglio, interdetto. «Non di nuovo il professor Phillips, voglio sperare?». Anche perché quella grana d’uomo ha il suo numero diretto e, come ha già dimostrato, non esita neppure troppo a servirsene.


«No, Elijah. Si tratta del tenente Anderson della omicidi» lo informa Chloe con pronta solerzia.


Il secondo sopracciglio va a fare buona compagnia al primo, mentre l’uomo riflette su quell’inaspettata notizia.


«Non ho idea di cosa possa ancora desiderare sapere da me» ammette, sorpreso e un po’ seccato dalla propria ignoranza.


«Non ha accennato al problema, ma è sembrato piuttosto impaziente. Credo si tratti di una qualche urgenza» soppesa Chloe con prudenza.


L’uomo storce il naso, contrariato. «Oh, certamente. Guai a fare attendere un solerte tutore dell’ordine, non è vero?».


Ma gli è sufficiente una discreta occhiata alla sua Chloe per sapere che non è quello il momento per fare il difficile. Tanto alla fin fine l’avrà comunque vinta lei, perché disturbarsi a lottare? Donne! Persino artificiali sono dei seccanti grattacapi dittatori.


Emette un fievole sbuffo, poi annuisce. «Molto bene, trasferisci pure la chiamata qui; sentiamo quale altro guaio è in vista» concede.


Chloe sorride, facendogli digrignare i denti per lo smacco e la beffa.


«Provvedo immediatamente, Elijah. Con permesso».


Detto ciò gira sui tacchi e lascia il laboratorio. Meno di sessanta secondi dopo uno dei suoi terminali prende vita e apre la comunicazione audio con l’esterno segnalandola con un discreto lampeggiare di led rosso.


«Sono Elijah Kamski. Parli pure, tenente Anderson» invita incuriosito.


«Era dannatamente ora» ringhia la voce spazientita del poliziotto. «Aspetto da più di quindici minuti» protesta seccato.


«In verità può considerarsi più che fortunato. Avevo dato ordine di non essere disturbato». Elijah sogghigna, in qualche modo compiaciuto, senza però avere la certezza del motivo. «Mi dica, dunque, come posso esserle utile questa volta?».


Un protratto momento di silenzio lo fa dubitare che dall’altra parte ci sia ancora qualcuno.


«Ho una… difficoltà» torna a farsi sentire Hank, «e non ho modo di superarla, non senza il suo intervento» ammette, seppur contro voglia. «Si tratta di un androide».


«Come sempre, no?» soffia Elijah, divertito.


«No, non direi» lo contraddice Hank. Elijah può udirlo sospirare. «Uno dei suoi RK800 è con me, quello deviante per essere precisi. Ha un… problema» tentenna.


Elijah ha già scordato il fastidioso contrattempo che ha interrotto i suoi studi. Uno dei suoi Connor ancora in circolazione è una notizia molto più interessante cui prestare orecchio.


«Che tipo di problema?» indaga impaziente di saperne di più.


«Mi dicono che qualcuno, dall’esterno, ha probabilmente provato ad accedere ai suoi circuiti cerebrali. Connor ha bloccato l’intrusione, ma nel far questo ha finito con l’isolarsi completamente» spiega impacciato.


«Isolarsi? Si spieghi meglio» incalza, avido di particolari.


«Signor Kamski, non sono né un informatico né tanto meno un ingegnere robotico, non ci capisco molto di quello che è successo e anche se ne avessi un’idea non saprei come spiegarla in un modo che abbia un senso. Tutto quello che so è che al momento la sua batteria si sta scaricando e che a quanto pare finirà per spegnersi senza che si possa intervenire per evitarlo. Per questo motivo l’ho contattata: speravo che lei potesse fare qualche cosa per… aiutarlo» soffia confuso.


Hank non è l’unico a essere confuso. Elijah sta riflettendo sui pochi dati in suo possesso per trovare una spiegazione plausibile a quanto accaduto. Ci sono molti particolari che non gli tornano, primo fra tutti il motivo per cui un RK800 è ora nelle mani di un poliziotto di Detroit. Ma forse questo particolare non è dei più urgenti, in quel momento. Il suo rimuginare viene interrotto da un mormorio ruvido che proviene dalle sue spalle; la voce di qualcuno del quale per lunghi istanti aveva scordato la presenza, troppo occupato a esaminare la sua nuova e interessante scoperta.


«Per favore».


Distoglie l’attenzione dai propri pensieri e dalla conversazione con il tenente Anderson e fa ruotare la sedia tornando a osservare con interesse l’androide custodito nel suo laboratorio. Ha gli occhi chiusi, ma la voce udita poco prima era la sua. Socchiude le labbra per chiedere spiegazioni, ma viene anticipato da una nuova richiesta.


«Per favore» ripete l’androide, il tono appena un poco più alto del precedente.


Reclina il capo, incuriosito.


«Kamski, è ancora lì?» borbotta Hank, spazientito.


«Sì, sono qui. Mi lasci qualche momento, gentilmente. Devo riflettere» lo liquida, ora più interessato all’androide in sua compagnia.


Markus ha recentemente realizzato che l’idea di perdere qualcun altro della sua gente gli risulta del tutto intollerabile. Fino a una manciata di minuti prima non sapeva che farsene della propria esistenza, certo oramai di essere rimasto da solo e senza uno scopo. Ora è diverso: qualcun altro esiste ancora, qualcuno che credeva perso. Ma per quanto lo sarà? Non può permettere che accada di nuovo, non più, non se può evitarlo, non se può fare qualcosa al riguardo. E lui sa di avere qualcosa da offrire in cambio, per ottenere ciò che desidera.


Riapre gli occhi, li fissa sull’uomo, serra le dita per impedirsi di dire la cosa sbagliata. Non c’è altra scelta, nient’altro che sia importante ora.


«Tu puoi farlo. Ti prego» soffia.


«Forse sì, potrei» replica l’uomo, pacato.


«Puoi… chiedermi ciò che desideri» concede, visibilmente riluttante alla prospettiva, eppure anche deciso ad andare fino in fondo.


Il pigro sorriso che compare sulle labbra dell’uomo mette in allarme il suo sistema e lo avverte del pericolo. Ma Markus non può farci proprio nulla. La decisione è stata presa e non intende tornare indietro.


«Lo farò» promette Elijah.


Ma non è per nulla chiaro se si stia riferendo alla promessa di tener fede all’impegno per aiutare l’RK800 oppure all’idea di approfittare della gentile e interessata offerta di Markus.


*


Decine di mirabili idee frullano nella mente di Elijah, quando infine si decide a distogliere la sua attenzione da Markus per riprendere la conversazione lasciata in sospeso con il poliziotto.


«Tenente Anderson» si accerta.


«Sempre qui. Ha finito di… riflettere?» domanda sarcastico.


«Certamente. E sono pronto a offrirle la mia collaborazione. Può lasciare a Chloe l’indirizzo presso il quale si trova l’androide in questo momento. Provvederò a recarmici a breve, ha la mia parola».


«Sarò presente anche io» lo informa Hank. «Non che non mi fidi…» insinua.


«Naturalmente. A presto, tenente» promette, prima di ripassare la chiamata a Chloe.


Sarà meglio per te” pensa Hank, chiedendosi per l’ennesima volta se abbia fatto la scelta giusta.


«Verrà?» chiede Dick, nervoso, indeciso se preferire una conferma o meno.


«Così dice» replica Hank, più o meno con lo stesso sentimento dell’amico. Si volta e lo scopre a fissarlo con agitazione. «Credi che abbia fatto una cazzata, vero?».


«Sì, lo credo…» tentenna Dick. «Ma penso anche di capire perché lo hai fatto».


«Che grande consolazione» bercia, sbuffando e lasciandosi cadere sulla poltrona.


Dick prova un sorriso, fallisce nel tentativo e avanza una proposta. «Vuoi qualcosa da bere, mentre aspettiamo?».


Hank posa gli occhi stanchi su di lui, scuote la testa. «Non posso. Lo vorrei, ma… semplicemente non posso. Una cazzata si può perdonare, due sono già troppe».


Una piccola risata spezza il pesante silenzio. «Sei diventato un filosofo in questi ultimi tre anni» scherza Dick.


Ma Hank non sorride. La sua espressione rimane seria, troppo per i gusti dell’amico.


«Sarei già morto, più d’una volta, se non avessi incontrato Connor».


Dick si fa pallido, scuote la testa. «Non puoi dirlo» protesta in tono abbastanza disperato.


«Chi altri potrebbe se non io?» mormora Hank, chiudendo gli occhi e poggiando la testa sulla spalliera della poltrona.

  
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