Storie originali > Introspettivo
Segui la storia  |       
Autore: Martocchia    06/11/2018    1 recensioni
Sequel di "Ojos de Cielo"
Sono passati pochi mesi dalla scomparsa di Clara, ma tutto sembra essere cambiato nel mondo di Luca: tutto è nero, niente ha più valore per lui, neanche ciò che lo legava così strettamente a "lei". Sì, perché quel nome è impronunciabile per chiunque.
Le persone intorno a lui stentano a riconoscere in quel ragazzo cupo, sarcastico e menefreghista, Luca. Ma delle promesse sono state fatte e delle persone faranno di tutto per mantenerle e per farle mantenere.
Riuscirà Luca a trovare la forza per andare avanti? Riuscirà a cantare. suonare, amare ancora, come lei gli ha chiesto? E se sì. come?
Genere: Malinconico, Sentimentale, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 4 – I bambini fanno oh

La guancia di Luca da rossa è diventata di un colore fra il blu e il viola, perfetto con i suoi occhi in tinta con il lago nelle giornate più assolate.
Quando sua madre ha visto il livido, l’ha guardato di sbieco per un attimo, per poi sorridere con soddisfazione:
- Finalmente qualcuno ti ha tirato un pugno. Cominciavo a chiedermi come le persone fossero ancora in grado di sopportarti! – esclama allegramente, versando del latte caldo nella tazza del figlio.

- Sto bene, mamma. Grazie per avermelo chiesto. – replica quest’ultimo, alzando gli occhi al cielo.

- Oh, ma dai. Adesso pretendi che ti chieda come stai? Dopo mesi in cui non hai mai voluto darmi una risposta? Poi non venirmi a dire che non ho ragione. Sei davvero una persona difficile, tesoro! – risponde la donna con le mani sui fianchi e un’espressione esasperata stampata sul volto.
- È stato Marco? – gli chiede.

- Sì. – sospira Luca – Ma tu come lo sai? -.

 - È l’unico che abbia ancora la forza e la pazienza di tentare di parlarti e poi… Ieri quando sei rientrato da scuola stavi bene, poi in casa è entrato solo Marco, da quanto so io. Non ci vuole molto a capirlo. Comunque ha fatto bene. -.

- Ma non sai neanche perché l’ha fatto! – esclama il ragazzo, con la bocca piena di biscotti al cioccolato.

- Per lo stesso motivo per cui avrei voluto farlo anch’io tante volte e per cui potrei farlo ora se non ti dai una mossa. Basta ritardi! – e detto ciò l’ha sbattuto fuori dalla porta di casa.

Ora Luca sta osservando con occhio critico il proprio livido allo specchio. Appena prova a toccarlo con la punta delle dita, trattiene un gemito.
“Cavolo se ci è andato giù pesante…” pensa, ricordando la rabbia bruciante di Marco.
Non lo aveva mai visto così, non pensava che qualcun altro provasse il suo stesso dolore e che fosse in grado di nasconderlo meglio di lui. O forse il suo amico sta semplicemente reagendo, elaborando il lutto, detto con le sue parole. Comunque Luca non è in grado di prendere in giro proprio nessuno: i suoi occhi parlano per lui, quell’abisso scuro è insostenibile anche per lui.
Non può dare tutti i torti né alla madre né al suo migliore amico. Dal momento in cui ha posato il proprio sguardo nei suoi occhi allo specchio ha compreso di essersi completamente perso, di non essere più in grado di andare avanti, non da solo almeno.
La sua mente ritorna a quella canzone dettata dalla rabbia… Nell’esatto istante in cui ha sfiorato con le dita i tasti del pianoforte, si è sentito percorrere da nuova energia, è ritornato per un attimo in sé, ma Marco ha ragione: quando canta vede lei. È lì, davanti a lui, che canta con lui. Allungando una mano potrebbe toccarla, ma non può, è un’illusione e se anche non lo fosse ne avrebbe troppa paura, anzi, terrore, di ciò che lei gli direbbe, di leggere delusione nel suo sguardo per non aver rispettato la promessa, o, al contrario, amore e perdono, che Luca non pensa di meritare. È troppo doloroso e per questo, nonostante il bisogno e la mancanza delle sette note, se l’è impedito per tanto tempo.
Anche quel dannato pomeriggio, cantando la sua stramaledetta canzone, l’aveva vista e all’inizio ne era stato rincuorato: se con la musica poteva averla sempre accanto ce l’avrebbe fatta a riprendere in mano la propria vita. Ma poi i suoi occhi sono calati sulla bara in legno chiaro… E tutto è diventato nero.

Il telefono vibra, annunciando l’arrivo di un nuovo messaggio. Luca lo cerca per la stanza, fino a trovarlo sul tavolino all’ingresso, allunga un braccio per prenderlo, per poi sospirare davanti alle solite conversazioni sul gruppo della sua classe. Infine i suoi occhi si posano sul piccolo foglietto bianco ripiegato, che era proprio di fianco al suo cellulare. Non lo aveva toccato da quando il don lo aveva lasciato lì. Aveva pensato di buttarlo, ma per qualche motivo non lo aveva fatto, se n’era dimenticato, o forse sapeva di aver bisogno di quella conversazione più onesta già allora.

Il ragazzo prende in mano il biglietto, se lo rigira per un po’ fra le dita indeciso, finché, preso un gran respiro, lo apre, digita il numero e preme il tasto di chiamata:

- Pronto. – la risposta arriva dopo qualche squillo.

- Sì, ehm… Sono Luca. – balbetta lui a disagio.

- Oh, ciao! Alla fine hai usato il mio numero. -.

- Ehm, già… Ecco, ti ho chiamato per sapere se sei ancora disponibile per una chiacchierata… - chiede Luca timidamente.

- Ma certo. Venerdì pomeriggio per te va bene? – risponde immediatamente il prete.

- Sì, credo di sì. -.

- Cinque e un quarto? -.

- Va bene. -.

- Perfetto. A venerdì allora. -.
Chiamata terminata. Luca guarda il proprio cellulare sospirando: ora non può proprio tirarsi indietro.

È venerdì pomeriggio, cinque e un quarto spaccate, e Luca è davanti al cancelletto dell’oratorio di Luino. È la prima volta che vi mette piede: il cortile in asfalto davanti all’edificio principale è circondato da aiuole e da un muro di sassi, che separa l’oratorio dal cimitero retrostante; alla sinistra dell’entrata vie un breve sentierino lastricato, che porta alla sacrestia della chiesetta di San Pietro in campagna, luogo in genere adibito ai funerali, per la sua vicinanza al camposanto. Su questa chiesa circolano diverse storie di spiriti, alcune più vecchie, altre molto recenti, ed altre ancora fomentate dal don stesso per prendere in giro ragazzi ed educatori paurosi. In fondo al cortile, dalla parte opposta rispetto alla chiesa, vi è un ampio spazio di gioco con campo da calcio, basket, beach volley, altalene e anche una carrucola, presa d’assalto da bambini che hanno appena concluso il proprio incontro di catechismo.
Proprio davanti al campo, sotto un portico, c’è il don, il quale sta accogliendo fra le proprio braccia una bambina tutta affannata dalla corsa fatta per poterlo raggiungere.

- Oplà! – esclama il sacerdote tirandola su con un braccio e facendole il solletico sulla pancia con l’altra mano.
La risata cristallina e innocente della bimba si spande nell’aria, come a voler diffondere particelle di felicità in modo da farle respirare a chiunque si trovi nelle vicinanze. Lo stesso Luca non può fare a meno di addolcire il proprio sguardo davanti a tanta tenerezza e piegare le labbra in un piccolo sorriso.
Le risa si fermano quando la bambina si accorge della presenza del ragazzo:

- Don, qualcuno ti sta cercando. – dice lei, picchiettando le sue piccole dita su una spalla del prete, il quale si volta immediatamente verso il suo ospite, aprendosi in un grande e caldo sorriso. Mette giù con delicatezza la sua piccola amica, dicendole di tornare a giocare e finalmente posa i propri occhi su Luca, concentrandosi subito sul livido violaceo.

- È stato Marco? – chiede.
Il ragazzo annuisce. Ha oramai smesso di chiedersi come le persone sembrino leggergli nel pensiero.
- Cavolo, certo che l’ha presa proprio alla lettera la sua promessa… - borbotta il sacerdote con un sopracciglio alzato.

- Ah… Anche questo fa parte delle sue ultime volontà? – chiede Luca, indicando il proprio occhio nero.

- Diciamo che quello che voleva dire Clara era leggermente diverso… Lei desiderava che noi non ti abbandonassimo, a qualunque costo, ti saremmo dovuti rimanere accanto a romperti le scatole, fino a quando non saresti stato in grado di cavartela da solo. Marco ha solo applicato alla lettera le sue parole… - spiega il don, per poi aggiungere subito: - Ma non preoccuparti, Clara non l’ha messa giù così con me. E poi non sarebbe appropriato che un prete di mezz’età come me si mettesse a far rissa con un ragazzo come te. Qualche seminarista che conosco non si sarebbe risparmiato, ma da preti si incomincia a farsi degli scrupoli. – e ridendo dà una leggera pacca sulla spalla del ragazzo, il quale ora lo guarda imbarazzato, portando una mano dietro la nuca – un’abitudine che non è mai cambiata – non tanto per le parole dell’uomo, quanto più per la domanda che frulla nella sua testa.

- Per cui, se tu e Marco ultimamente avete così urgenza di parlarmi e farmi parlare è perché, a quanto pare, non sono in grado di stare in piedi da solo? – chiede infine.

- Questo devi dirmelo tu. Noi possiamo avere una certa opinione a proposito, ma in realtà dipende tutto da te. – risponde il sacerdote con serenità – Ma, prima di affrontare con calma il discorso, ti dispiace darmi una mano? Devo spostare degli scatoloni dal salone a una delle aulette di sopra. -.

Luca scuote la testa e i due entrano nell’edificio. Il corridoio del pianoterra colpisce immediatamente per il colore accesso, verde evidenziatore e lime; davanti alla porta d’ingresso se ne apre un’altra, che dà sulle scale che portano al piano superiore. Il don e il suo ospite, però si dirigono verso una porta sulla destra, in fondo al corridoio, proprio di fianco ai bagni. Entrando nella stanza Luca rimane sorpreso dalla presenza di un gruppo di ragazzini, delle medie presumibilmente, e di alcune persone più grandi, alcune all’incirca della sua età, altre con qualche anno in più di lui, universitari, giovani lavoratori.
Devono aver interrotto qualche discorso, poiché appena la porta si apre cigolando il silenzio cala nel salone, a parte per il chiacchiericcio sommesso dei ragazzi.

- Oh, non preoccupatevi. Prendiamo questi due scatoloni e togliamo il disturbo. Continuate pure l’incontro. – spiega sorridendo il prete, scompigliando i capelli a uno dei ragazzini.
Ed infatti in pochi secondi sono già nel corridoio e si stanno approcciando alle scale, con voluminosi contenitori fra le braccia. Il colore delle pareti cambia, da verde diventa blu e azzurro. Giunti al piano superiore si sentono altre voci di adulti e ragazzi, impegnati in discussioni, attività, giochi. Il don apre un’aula chiusa a chiave in fondo al corridoio ed appoggia le due scatole a terra, dopodiché richiude la porta e apre, invece, quella affianco, rivelando dall’altra parte un piccolo appartamento.

- Ti va bene se parliamo in casa mia? È più tranquillo, comodo e nessuno dovrebbe disturbarci. – domanda il sacerdote.

- Va bene. Per me è indifferente. -.

Appena entrati nel soggiorno un gatto bianco e nero corre incontro al don, il quale lo prende in braccio e lo coccola un po’, per poi lasciarlo andare. Il batuffolo di pelo si va subito a strofinare sulle gambe di Luca, miagolando in cerca di attenzione.

- Lui è Marcellino. Tranquillo che non graffia, al massimo mordicchia un po’, ma solo perché gli piace giocare. In realtà è quasi più simile a un cane che a un gatto. – commenta l’uomo ridendo e prendendo posto al tavolo da pranzo. – Accomodati pure. – lo invita cordialmente a sedersi.
Luca non se lo fa ripetere due volte e subito il gattino gli salta sulle ginocchia, accoccolandosi lì. Il ragazzo immerge le dita nel manto morbidissimo, osservando la lunga, soffice coda dondolare da una parte all’altra ad un ritmo ipnotico, e facendogli dei grattini dietro le orecchie e sul collo, provocandone le fusa.
- I ragazzi che hai visto prima sono il gruppo di preadolescenti di cui Clara era educatrice, lavorando in equipe con i giovani che ora stanno tenendo l’incontro. – incomincia a parlare il don.

- Hai fatto apposta a farmi entrare in quella stanza? – chiede il ragazzo, senza alcun tono d’accusa.

- Non è stato premeditato fino al momento in cui oggi mi hanno detto che sarebbero rimasti in salone. – risponde lui pacificamente.

- Ora che mi ci fai pensare, credo di averne visto qualcuno al funerale… - mormora Luca sovrappensiero.

- È molto probabile. Clara è sempre stata molto affettuosa con tutti loro e le volevano bene. Non è stato facile metabolizzare la cosa, ma con l’aiuto e il sostegno degli altri educatori hanno ritrovato un certo equilibrio. -.

- Questo è un modo sottile per dirmi che ho bisogno d’aiuto? – chiede ancora il giovane, guardando dritto negli occhi il prete, mentre le mani continuano ad accarezzare meccanicamente Marcellino.

- Non è ovvio? Perché saresti qui altrimenti? – commenta l’uomo con un sorriso rassicurante stampato sulle labbra.
Luca abbassa lo sguardo, colto in fallo.
- Oggi posso chiederti come stai? – continua con cautela il don.
Il ragazzo si guarda intorno con sguardo vacuo: l’appartamento è molto piccolo, essenziale, decisamente segnato dalla presenza del gatto, con giocattolini, tira-graffi e sabbietta; dalla finestra del soggiorno si vede parte del campo, dove i bambini ancora giocano spensierati, ignari, fortunatamente, di quanto dolore la vita possa riservare.

- Male. – risponde dopo un lungo istante di silenzio.

- Cosa ti è successo per rendertene conto? È stato il pugno di Marco? -.

- No, no, anche se sicuramente è servito a schiarirmi le idee. – ridacchia Luca – Mi sono semplicemente guardato allo specchio e… I miei occhi… La canzone che ho cantato al funerale… - balbetta nervoso, ricordando il vuoto riflesso nei propri occhi.

- Non sono più gli stessi. – conclude per lui la frase il sacerdote.

- Esattamente come mi hai detto tu. – annuisce il ragazzo.

- Noto però che ora permetti alle altre persone di dire il suo nome. Clara. -.

- Sì, insomma… Non ha senso negare agli altri la possibilità di dirlo, di ricordarla. È stato egoista da parte mia ed è sembrato un tentativo di cancellarla, ma non è assolutamente ciò che voglio. -.

- Allora cosa vuoi, Luca? – il don lo fissa dritto negli occhi, scavando sempre più in profondità. Il ragazzo sente la propria bocca inaridirsi, non riesce a sostenere a questo sguardo, deve sfuggirgli.
Si schiarisce la voce e cambia argomento.

- Per quanto riguarda pronunciare io stesso il suo nome, è tutta un’altra storia. È già così onnipresente nelle mie giornate, senza che lo dica. La sua immagine è sempre davanti ai miei occhi, basta una parola, anche stupida, per rievocarla. Se la chiamassi per nome, sarebbe troppo doloroso non sentirla rispondermi con un sorriso come faceva sempre… -.

- O forse è più forte la paura che lei ti possa rispondere davvero… -.
Luca sgrana gli occhi, come se gli avessero tirato un altro pugno, e ancora una volta cambia argomento per evitare di rispondere alla provocazione del prete.

- Io vorrei solo sapere cosa l’ha portata a prendere determinate decisioni. Lei mi ha spiegato delle cose, ma non è abbastanza, il tempo che abbiamo avuto è stato troppo poco. A te invece ha parlato, altrimenti non saresti venuto da me. – chiede il ragazzo con franchezza.
Il gatto intanto è saltato sul tavolo, per giocherellare con le mani del padrone, il quale, prima di iniziare a parlare, prende un grande respiro, con sguardo pensieroso, perso nel ricercare ricordi passati.

- Durante il periodo del coma sono andato a trovare Clara tutti i giorni, sai? I genitori mi hanno informato subito delle sue condizioni, ritenendo che, se lei fosse stata sveglia, me lo avrebbe detto immediatamente. Non credere che per me non sia stato un duro colpo… Le volevo molto bene, me la ricordo ancora la prima volta che l’ho conosciuta, in seconda superiore, così timida, introversa e silenziosa; ricordo la sua prima confessione con me e il cambiamento che a piccoli passi ha cominciato a farsi largo in lei; e ovviamente la sua splendida voce, il modo in cui i suoi occhi brillavano di vita quando cantava. Era destinata a grandi cose, già… - gli occhi gli si inumidiscono, tanto da costringerlo a tirare fuori dalla tasca un fazzoletto – L’unica cosa che ho potuto fare in una situazione tanto critica è stato starle accanto, parlarle, darle dei motivi per svegliarsi, anche solo per dire addio. C’ero anche nel momento in cui Clara ha ricevuto la notizia e ha reagito con una forza d’animo ed una lucidità mentale davvero straordinari. Penso di non averla mai vista così determinata. – ora sorride al ricordo di quella piccola e pallida ragazza, che tiene testa al proprio chirurgo.

- Non si poteva davvero fare nulla? – lo interrompe Luca, con voce tremante.

- L’unica via d’uscita sarebbe stato il trapianto, che alla fine, come si è visto, è stato del tutto inutile ed avrebbe richiesto giorni, al massimo settimane, di attesa in ospedale, ma non era ciò che Clara voleva: ha accettato di essere inserita nella lista trapianti, un’opportunità di vivere la voleva, ma se quelli dovevano essere i suoi ultimi giorni, lei desiderava trascorrerli a modo suo, facendo ciò che amava più di se stessa. -.

- E fin qui posso capirla, per quanto sia comunque da sconsiderati, ma non le avrei mai impedito di farlo! – commenta nervosamente il giovane.

- Non è per questo che ha deciso di tenerti all’oscuro. – lo rassicura il don.

- Allora perché? – chiede lui impaziente.

- Ha voluto tenerlo nascosto a tutti, per poter vivere fino all’ultimo istante come aveva sempre fatto, come Clara e non come una malata terminale. Non voleva che gli sguardi, i commenti, le preoccupazioni di coloro che la circondavano si concentrassero su di lei, perdendo di vista chi lei davvero fosse. -.

- Ma perché mi ha allontanato? Avrebbe potuto semplicemente non dirmelo. – insiste Luca.

- Rimanendoti accanto non sarebbe stata in grado di mentirti e dirtelo ti avrebbe distrutto, ti avrebbe fatto sentire ancora più in colpa. Lei voleva solo risparmiarti tutto ciò ed in quel momento di concitazione il modo migliore di farlo è stato quello di allontanarti da lei. Non credere però che per lei sia stato tutto indolore… Si sentiva una persona orribile per quel segreto… -.

- Ma non lo era… - si lascia sfuggire il ragazzo in tono amaro.

- È ciò che le ho detto anch’io. Il dolore era evidente nei suoi occhi, nel suo sorriso tirato. La lacerava dall’interno costantemente, ma lei sopportava in silenzio. Anche Clara non capiva che quel male doveva condividerlo, così in quegli ultimi giorni è solo sopravvissuta ad esso e non ha vissuto come avrebbe voluto. Purtroppo l’ha capito troppo tardi… -.

- Ora credo di cominciare a capirla meglio… - afferma tristemente Luca.

- Capisco che sia difficile e che tu possa anche essere arrabbiato con lei, ma, se questo ti può consolare, lei non ti ha mai dato alcuna colpa per quanto successo e non ha mai smesso di amarti. – lo rincuora dolcemente il sacerdote.

- Grazie, don. – il giovane gli rivolge un pallido sorriso, per poi scuotere la testa, come se si fosse appena ricordato qualcosa d’importante.
- Hai ancora quel CD? -.

- Certo. Ora te la senti di prenderlo? – gli chiede l’uomo, alzandosi in piedi e mettendosi a frugare in un cassetto.

- Non so se sono ancora pronto per ascoltarlo, ma prima o poi dovrò trovare la forza di farlo e, prima che cambi idea, è meglio che lo abbia a portata di mano. – risponde lui, tormentandosi l’orlo della felpa con le dita.

- Tieni. – il don gli porge il CD – E, mi raccomando, ascoltalo fino alla fine. – gli suggerisce con un occhiolino.

- Cosa intendi? – domanda Luca confuso. In fondo lo ha già sentito al funerale…

- Intendo dire che forse quella che hai sentito tu non era la vera conclusione della registrazione. -.
Il ragazzo prende in mano il CD, osservandolo tristemente. Il prete invece guarda l’essere fragile, spezzato, davanti a lui, che sta cercando pian piano di raccogliere i cocci della propria vita per riattaccarli insieme, in qualche modo. 
- Senti, Luca… - incomincia infine in tono serio – So che hai deciso di abbandonare la musica… - il suo giovane ospite corruccia la fronte in un’espressione frustrata -  Ma onestamente penso che sia ciò di cui hai maggiormente bisogno. So anche che è il metodo più difficile e doloroso, perché è l’elemento che ti lega a Clara al di sopra di qualunque altro e perciò ti mette davvero davanti a lei, totalmente scoperto, la rende più concreta; ma d’altra parte solamente affrontando questa paura, potrai accogliere in te il dolore, trasformandolo in luce, ricordo e rinascita. – e detto ciò gli appoggia, con affetto paterno, una mano sulla spalla.
Luca cerca di farsi piccolo, piccolo nella sua carezza, senza proferire alcuna parola.
- Bene, direi che ti ho rubato abbastanza tempo. Dovrai studiare, immagino. Ma lascia che ti lanci un ultimo invito: hai detto di voler capire di più Clara… Perché non conosci i suoi amici, il gruppo Giovani? Venerdì prossimo ci troviamo in chiesa per l’Adorazione. Se vuoi venire, siamo lì. -.
Luca annuisce, poco convinto, per poi ringraziare il don per la sua disponibilità e congedarsi. Uscendo dall’edificio deve sedersi un attimo su una panchina a riprendere il fiato, è stata una conversazione decisamente intensa. Appoggia la testa contro il muro retrostante, chiudendo per un attimo gli occhi. Quando li riapre per poco non si lascia sfuggire un verso di spavento: davanti a lui c’è una ragazzina, sbucata da non si sa bene dove, che lo sta scrutando attentamente.

- Ehm, hai per caso bisogno di qualcosa? – prova a chiederle.

- Tu eri il ragazzo di Clara. Ti ho sentito cantare al suo funerale. – afferma lei, ignorando del tutto la richiesta.

- Sì, sono io. Tu invece devi far parte del gruppo di preadolescenti di cui si occupava lei… -.
La ragazzina annuisce.
- In realtà la conoscevo già da prima delle medie. Mi ha fatto d’animatrice fin dalle elementari e anche da catechista. – spiega sorridendo, poi punta i propri occhietti vispi di nuovo sul ragazzo, squadrandolo per bene.
- Perché sei così triste e tetro? -.

- Tetro? – Luca la guarda interrogativamente.

- Sì, come se una cappa nera ti avvolgesse, o nuvola piena di pioggia ti seguisse ovunque… Stai ancora male per Clara? Perché? – chiede stupita.

- Beh, era la mia ragazza, le volevo molto bene… - cerca di spiegare il giovane, non capendo perché dovrebbe giustificare la propria tristezza.

- Anch’io le volevo bene, mi manca tanto, ma, se lei fosse qui, mi sgriderebbe vedendomi tutta triste. Cercherebbe di tirarmi su il morale. Il modo migliore per dimostrare quanto effettivamente ci tengo a lei è sorridere, non farmi abbattere da nulla ed essere felice. Dovresti provare anche tu. – e senza dire altro, neanche un ciao, com’è arrivata la ragazzina se ne va, trotterellando verso la carrucola.

Luca rimane a fissarla sbigottito: “Fantastico… Una preadolescente sa rispettare meglio di me delle promesse, senza neanche averle fatte.”.

Angolo dell'Autrice
Buonasera!
Finalmente questa chiacchierata più onesta è avvenuta. Avrà aiutato Luca? E lui avrà davvero detto tutto al don? Il prossimo capitolo sarà una grande batosta per il protagonista, più forte anche del pugno di Marco...
Buona lettura!
Marta

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: Martocchia