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Autore: _EverAfter_    08/11/2018    1 recensioni
I gatti e i topi si odiano, fin dalla notte dei tempi.
Non è possibile cambiare la natura delle cose: Kyo e Yuki non potrebbero mai andare d'accordo, neanche se volessero.
Il gatto se ne sta nell'ombra, osservando da lontano il bagliore del topo, orgoglio e vanto della famiglia Sohma. Lì, in quello spazio ricolmo di luce, dove a Kyo non è permesso andare.
Per questo si disprezzano.
Ma, in fondo, esisterà pure un luogo in cui possano sentirsi a casa. Un luogo dove non debbano per forza fingere di odiarsi davvero.
[Sesta classificata al contest "sull’amicizia" indetto da eleCorti sul forum di Efp].
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kyo Soma, Yuki Soma
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Lì, dove non possono odiarsi



«Crepa, lurido topo!»

Esce, sbattendo sonoramente la porta dietro alle sue spalle – l’ennesima che si sarebbe rotta. Non che gliene freghi qualcosa, in realtà. Quella casa non è neanche la sua.

S’issa sul tetto, mentre si lascia cadere sopra le tegole lateritiche della vecchia tenuta boschiva; pensa. A cosa, questo può solo indovinarlo: ha persino dimenticato il perché di quella lite. Non ha ideato neppure un piano per dirlo a Shigure e risparmiarsi così la sonora ramanzina che potrebbe scaturirne. In un modo o nell’altro, il cugino darebbe comunque ragione a quel ratto schifoso.

Il ricordo di quei profondi occhi scuri che lo fissano indispettiti gli serra il petto; più si ostina a dimenticare quel volto familiare, più la sua mente s’ingegna per farglielo apparire più nitido, proprio lì, davanti al suo sguardo smarrito. Un’istantanea definita dai connotati tipici della famiglia Sohma: rigidi e severi, intrappolati nella loro spregevole casta di famigli maledetti e senza futuro. Sì certo, come no.

Se ne stavano tutto il santo giorno a credere d’essere loro, i maledetti. Come se fosse davvero una maledizione, quella.

Fissa il bracciale che porta al polso, indugiando col dito sulle bicromatiche perline: bianche e nere, come le due metà che sembrano spaccarlo in due. Persino in quel momento, non riesce a fare a meno di sentirsi un po’ colpevole per quanto accaduto.

Non gliene importa niente di Yuki, eppure è lì, steso sul cumulo d’embrici, senza alcun altro pensiero per la testa. Perché dev’essere così? Perché non può fregarsene, una buona volta?

È l’unico lì a farsi delle domande; non ha mai visto il topo preoccuparsi di simili sciocchezze. Ancora una volta, il carattere dei Sohma vince sulla sua nefasta esistenza.

Da piccolo si sarebbe messo certamente a piangere, pensa, mentre vaga con lo sguardo alla ricerca dell’unica nuvola sopra la sua testa.

«Sei anche tu una pecora nera, ah?» le mormora, rapito dal modo implacabile con cui fende l’azzurro del cielo terso.

Non si sarebbe scusato – in realtà, non l’aveva mai fatto – e perché avrebbe dovuto? A Yuki di quel suo stupido dolore non fregava proprio niente.

Il topo aveva già preso in giro il gatto in passato, davanti agli occhi di Kamisama. Si fece beffe di lui, perché sapeva che lo stupido felino si sarebbe fidato.

Stupido, stupido gatto.

Forse sarebbe stato meglio non nascere affatto. Il sorcio, così, non avrebbe più potuto prendere in giro nessuno, crogiolandosi della solitudine che solo i geni possono provare, invisibili agli occhi della gente comune. Sarebbe stata una bella fine, per quel bastardo. Avrebbe urlato magari, sperando che qualcuno riuscisse ad ascoltarlo. Che idiota.

Kyo sa di essere un disgraziato, forse è per questo che lo odia tanto: lì dove lui s’infratta nell’ombra, mal visto da coloro che gli piacerebbe chiamare famiglia, Yuki risplende nel bagliore dell’affetto che ogni membro dello Zodiaco prova per lui. Il primo, il graziato da Dio.

Eppure, il topo non sembra capirlo quanto sia fortunato. Se ne sta tutto il giorno con lo sguardo perso e la bocca ridotta ad una fessura; non c’è niente, su quel volto – o almeno niente che valga la pena guardare. Risplende dell’unica luce che gli conferiscono gli altri, ma in lui nulla può più essere rischiarato.

Il felino sbuffa, tirandosi via dal viso una ciocca di capelli. «Che diavolo me ne importa?»

Ce l’ha con sé stesso perché non è in grado di fregarsene, perché lui non è come Yuki. A lui, per quanto dia fastidio ammetterlo, di quella stupida pantegana addolorata importa ancora qualcosa. È per questo che sta male, perché in quello sguardo vede il riflesso della sua impotenza: lui, che tanto vorrebbe essere come il topo, è costretto a vivere incatenato alla sua natura incline alla contraddizione, aggressiva e gioconda come il più bizzarro degli ossimori della vita. Scambierebbe volentieri la sua intera esistenza per quella più placida e serena che il padre Fato ha concesso così amorevolmente alla persona che la ripudia. A Yuki, che intorno a sé vede solo le fiamme di una luce troppo forte.

Vorrebbe tanto dirglielo, ciò che pensa di lui. Vorrebbe dirgli che, una parte di sé, brama davvero di essere come lui, perché è stanco di sentirsi addosso gli sguardi dei serpenti consanguinei, che lo guardano nella speranza che quel maledettissimo braccialetto serri per sempre l’orripilante eco della sua forma più vera, di quel fetore che lo perseguita ancora quando i suoi ricordi tornano a molestarlo. La notte, se presta attenzione, piange ancora, e ancora s’interroga sul perché tutto questo sia capitato proprio a lui.

Spinge la testa contro le ginocchia, avvolgendola tra le sue braccia. Non è solo durante la notte che può permettersi di soffrire; dopotutto, nessuno lo sta guardando.

Avrebbero potuto essere amici, ma ciò non è accaduto. Perché il gatto e il topo non possono andare d’accordo. Non è nella loro indole, amarsi.


***


La tranquilla tenuta giace nel silenzio del bosco, nascosta dalle fronde coriacee dei sempreverdi.

Kyo entra dalla finestra, camminando silenziosamente verso camera sua. Ha gli occhi gonfi; si ostina a credere che sia dovuto al troppo vento. Non è mai stato molto sincero con sé stesso.

Passa rapidamente davanti alla porta della camera del coetaneo, buttando di sfuggita lo sguardo lungo l’uscio, che risplende ancora d’un tenue chiarore. È ancora sveglio?

Getta un’occhiata svogliata all’orologio, chiedendosi cosa ci faccia ancora alzato a quell’ora di notte. Lo sciocco ratto, di solito, non regge fino alle dieci di sera.

«Idiota» borbotta il gatto, bussando un istante dopo. Nessuna risposta. Forse è ancora arrabbiato.

Si dice che un secondo tentativo potrebbe solo aggravare l’umore di quel ragazzo, già di per sé così bipolare. Non ha voglia di rischiare di prenderle ancora, almeno non per quella sera. Eppure, nonostante questo, se ne infischia del suo raziocinio, poggiando istintivamente la mano sulla maniglia. Lascia scorrere la porta di qualche centimetro, sbirciando dentro la stanza.

Lo vede dormire, con la testa premuta contro il legno della scrivania e i capelli tutti scombinati. A vederlo da lì, non appare neanche così terrificante come al solito.

Gli si avvicina circospetto, lasciando la porta aperta come unica via di fuga, qualora l’ira dell’imbarazzo dovesse cogliere il topo sorpreso a sonnecchiare. Si inginocchia davanti a lui, scostandogli i capelli scuri dalle palpebre serrate; afferra la coperta stropicciata sopra al futon, poggiandogliela delicatamente sulle spalle indolenzite e rigide. Dovrebbe davvero riposarsi un pochino, quello scemo.

In quale mondo un gatto s’è mai preso cura di un topo?

Forse non ha poi tutta questa importanza. Essere nati apposta per detestarsi non rientrava nei loro programmi, in fondo.

Odiarsi, e non riuscire a farlo. È quella la maledizione peggiore che potesse capitar loro.

Lo sguardo di Kyo trema alla pallida luce della lampada lasciata accesa. Sta di nuovo pensando di voler piangere, ma è troppo vicino alla fonte del suo malessere: se Yuki si svegliasse in quel momento, ne rimarrebbe troppo scottato. Il suo orgoglio è già abbastanza ferito, per rischiare che il membro dello Zodiaco possa godere della sua più complicata debolezza.

Reprime l’ondata di emozioni che l’ha colto. Ancora una volta, taglia il filo rosso che li tiene uniti.

Ma non importa. Quando Yuki non lo vedrà, di nascosto gli farà un altro nodo, così da veder correre la loro vita su quell’infinita matassa fatta di groppi che, nonostante tutto, è ancora ben legata.

«Buonanotte, stupido» sussurra, mentre sul volto gli si dipinge un malcelato sorriso.

Non esistono le luci, senza le ombre. È questo quello che si dice, mentre richiude la porta alle sue spalle ed apre quella del cuore.

Si addormenta, con l’insolita immagine di un gatto che corre verso il chiarore di un piccolo topo.

È lì, che sente di dover andare. Lì, dove i gatti e i topi non possono odiarsi.

Lì, dove possono entrambi sentirsi a casa.











Nda:
Spero che questa breve oneshot vi sia piaciuta, mi era piaciuta l'idea di scrivere qualcosa sui due Sohma che preferisco. Spero vi sia piaciuto leggerla tanto quanto a me è piaciuto scriverla.
Baci,
_Vintage_
  
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