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Autore: swimmila    08/11/2018    7 recensioni
La luce si levò nel suo crescendo di tronfiezza senza mai incappare nell’ombra del dubbio.
Poi un’ombra le apparve. E fu luce assoluta.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Hans Axel von Fersen, Oscar François de Jarjayes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nella luce dell’ombra

Nel suo rapido declino settembre perdeva i giorni come petali non colti di un fiore innamorato.
A settembre la tristezza si accendeva dei colori truculenti della malinconia e la voglia di urlare di André si faceva procace. Dalle vetrate dell’anticamera in cui da ore era intento ad ignorare il pomeriggio, seduto in bilico su una sedia pronta ad atterrarlo, non si accorgeva del sole che sbieco lo guatava, indeciso se soffermarsi ancora sull’inamovibile apatia di un dettaglio o se lasciare senza indugio all’enfasi del buio gli affanni che aveva nascosto nell’ipocrisia del suo sguardo diurno.
L’anziana governante sbucò dal basso del suo rango sociale a sbatacchiare i pensieri penzolanti del nipote.
“André, dove ti eri cacciato?” Irruppe, con voce affettuosamente scorticante. “Muoviti, dammi una mano. Porta questo a Madamigella Oscar e al suo ospite”. La vecchia lasciò il vassoio con due calici di vino e una bottiglia con cui riempirli sul ripiano obbediente delle mani del nipote, che come un misirizzi era scattato in piedi prima che i piedi dondolanti della sedia lo atterrassero insieme ai suoi immobili pensieri.
 
Le due figure si stagliavano sfrontate al centro dello sguardo quasi orizzontale del sole, che sembrò avvampare d’imbarazzo mentre ne sfiorava sensuale i contorni riempiendo del nero più pesto le sagome dei loro segreti.
La sagoma che amava alla luce dell’ombra sgorgava rivoletti di insopprimibile amore e di rinnovato tormento, scrutando l’orizzonte dall’alto della sua statura per avvistarne la foce.
L’altra, una chiazza nera che emetteva luce, guardava sgorgare un insopprimibile amore e un rinvigorito tormento senza più sapere da quale rivolo schizzassero, se dal proprio o da quello che nell’orizzonte cercava strisciando la foce. Ebbe solo la certezza di un brivido profondo che le scosse l’anima mettendole addosso una settembrina voglia di urlare.
Ricacciò il silenzio in bocca, invece. Lo sentì echeggiare mentre rotolava dal crinale dell’inquietudine. Infine udì un tonfo.
O forse era solo un ti amo giunto al fondo della sopportazione.
 
André entrò nel soggiorno abbassando lo sguardo sul pretesto del vassoio per non vedere l’impossibile torturare l’amore.
La conversazione si interruppe attorno a lui, che con calma febbrile versava da bere in entrambi i calici.
“Grazie, André”. La voce asciutta e priva di ripensamenti del Conte di Fersen si strinse attorno allo stelo del bicchiere che per primo gli fu offerto.
Sempre in silenzio, André completò la liturgia del dolore riempiendo per metà l’altro bicchiere.
“André, perché non restate a farci compagnia?” Squillante di cortese spavalderia, l’invito lo raggiunse direttamente dalla dichiarazione americana dei diritti. Ma André non aveva alcuna voglia di brindare a tre supplizi. Né di indossare i panni di un liberto dell’impero svedese.
“Vi ringrazio Conte di Fersen, ma devo ancora ferrare i cavalli” Con voce morbida e suadente si riprese la sua condizione di servo borbonico, mentre con una mano lasciava il bicchiere dentro le dita di Oscar. Non resistette al richiamo del cilicio e alzò lo sguardo in quello di lei, prima di correre nella schiavitù salvifica della sua bugia.
Rimase immobile, invece. Folgorato.
Le dita di Oscar erano chiuse attorno al bicchiere che lui le porgeva. E per qualche interminabile istante anche attorno alle sue.
“Grazie, André” Una carezza morbida si arrochì di dolcezza prima di avvolgersi attorno a due figure travolte nell’incanto l’una dell’altra, quella che guardava sgorgare un rivolo d’amore e quella che vegliava insonne un segreto.
Attorno a un bicchiere mezzo pieno, delle dita trattenevano disperate una bugia che voleva scappare da una verità ormai in dissolvenza. La bugia, abituata ad intollerabili verità, sbalordì di fronte all’improvvisa prodezza di quel crollo.
Sulla superficie increspata di due enormi pozze azzurre un amore irrefrenabile biancheggiava turbolento, lampeggiando di riflessi schiumosi prima di frangere lungo e struggente come un lamento.
In quelle acque tempestose due incauti smeraldi beccheggiavano al ritmo furioso di un cuore impazzito che boccheggiava tramortito da una felicità presentita.
Il sole, paonazzo come un intruso, non riusciva a vincere la forza magnetica che gli teneva lo sguardo ormai orizzontale avviluppato a due figure inchiodate nell’amore l’una per l’altra.
Il rivoletto in cerca della sua foce attese sotto la superficie del dolore di riprendere il suo corso. Non aveva fretta. Sembrava sapere dove lo attendeva lo sbocco. Libò invece il vino che gli era stato offerto, alzando appena il calice in un brindisi di cui nessuno si accorse.
Dopo un tempo che sembrò infinito le dita tornarono senza dita attorno al bicchiere.
André non seppe mai come riuscì a muovere gambe di burro verso una bugia che gli pareva ormai urgente.
Oscar ebbe sempre il sospetto delle sue parole. Era certa di aver detto Grazie. Ma le sembrò che le fosse uscito ti amo.
 
§§§§§§
 
La luna si precipitò attratta da un accorato richiamo d’amore. E nella corsa fricativa la sua luce si polverizzò in un brivido infinito.
Alla fine del fiatone, oltre un velo sensuale e un’erotica finestra, il bagliore riflesso di una fonte abbagliante si gettò trafelato ai piedi di una felicità tremante di paura.
Nel lucore implorante della luna, due figure si agitavano immobili. L’una, quella che tratteneva disperata una bugia con le dita, aveva una vetusta falsità di cui voleva liberarsi ma le sue dita non sapevano come afferrare la nuova verità. L’altra, che con gambe di burro era corsa verso una autentica menzogna, aveva un antico dolore di cui affrancarsi, ma aspettava che la felicità si voltasse antica per addormentare per sempre il suo insonne segreto.
La donna aveva un nodo in gola ad impedire il passaggio dell’amore riuscito a stasarsi dall’involucro del cuore. Non riuscendo a raggiungere il mare che vedeva all’orizzonte, il suo rivolo ribollente d’inarrestabile amore deviò furioso il percorso. Scese giù, incuneandosi nella forra del petto dove sbatté in un cuore in panne che lo schizzò da più parti, impazzito, e si ritrovò ad annaspare in mani fredde e tremanti; nel respiro sospeso; in guance arrossate e bollenti; nello sguardo focoso; nel voluttuoso languore che come una terzana l’ardeva da dentro; in un desiderio pulsante che l’accendeva nel centro.
L’uomo avvertì una fitta, una sensazione di vuoto che lo accartocciò in strati di niente. Il suo atavico dolore era fuggito orripilato, lasciandogli dentro lo stordimento stupito di una pena che muore. Sentì la felicità tremargli sotto i piedi e ne ebbe paura. Perché lui la felicità non l’aveva mai vista. Con quelle sembianze. In quella luce.
La luce della luna cominciò a sciogliersi, stingendo le tenebre in un turbamento luminoso. Oltre il velo della commozione e delle tende, si gettò a supplicare due figure impietrite dai demoni di una gioia mai provata. Raccolse una mano tremante, di diafana delicatezza, e ne adagiò l’ombra su un petto robusto sfracellato di emozione. Si buttò in una bocca socchiusa, trovò il passaggio per arrivare all’anima, risalì sospesa nel lato lucente di una bolla d’amore.
Presasi di coraggio, la luce della luna si tuffò in due pozze di smeraldo lucide di attesa, ne sminuzzò la trepidazione in un corteggio accecante, colò in un solitario diamante di incredula dolcezza.
Giocherellò con l’ombra luminosa di parole audaci. Si intrufolò nel dedalo di dita intrecciate. Versò il silenzio assetato di una bocca nella sete di silenzio dell’altra. In un’alternanza sempre più sfrontata di chiaroscuri, la luce della luna, vieppiù padrona del gioco, corse a perdifiato lungo schiene che lasciava ad inarcarsi in uno spasmo prolungato di brividi convulsi. Rotolò, ansante, nell’incavo di gole pulsanti e scese giù, inarrestabile, in una stretta valle ombreggiata da due morbide alture.
Ebbra di felicità, la luce della luna si arrestò un attimo a riprendere fiato. Ma nel chiarore del suo riposo arrivò tosto un’ombra pentadattila a scansarla dal suo morbido rifugio. Rotolò allora su pendii lievemente scoscesi. Curiosò al di là di dossi inviolati. Assaporò gocce di sconosciuto piacere. Si inebriò degli effluvi avvinghiati di anima e corpo. Accelerò la sua esplorazione, rincorsa dalla spinta urgente delle ombre che la incalzavano bramose. La sua corsa tornò frenetica, fra lunghi rettilinei gibbuti. Inciampò, nell’ombra di concavi tranelli. Indugiò, nella malia di alcove seducenti.
Ma non poteva fermarsi. Doveva proseguire.
Corse a rotta di collo, sempre più esaltata. Si inoltrò in foreste auree e ricciolute, in boschi di morbido ebano. Le ombre la inseguivano inesorabili dietro ogni suo fascio di luce, come a volerlo dicioccare. Invece un attimo prima di agguantarlo si fermavano, lasciavano un sospiro e proseguivano oltre.
Nel groviglio in cui la luce di luna si era infiltrata, cominciò a diffondersi un suono sommesso. Sembrava la somma di tanti sospiri. Un’espunzione di passate imposture. Un indissolubile prodotto di fattori d’amore. Una partizione di insostenibile gioia.
Incantata dall’armonia di quel canto amebeo, la luce della luna, col suo codazzo luminoso ormai strascicante di emozione, ripercorse antri già esplorati e vibrò in fremiti nuovi. Come sospinta da una forza soverchiante, salì in cima ad una altura stondata, ai piedi di una conca allagata da un rivolo sgorgato, e da lì spiccò un volo che la precipitò sulle vette di un inconfutabile destino.
Allora, la luce di luna seppe di preciso, e senza più alcun dubbio, dove andare a morire. E nella sua corsa verso l’eterno perdeva scintille di fulgore che ammantavano l’aria in un eburneo velo. Ad un tratto si arrestò, intimorita, all’ingresso della selva. Sapeva di non potervi entrare. Si voltò. Vide l’ombra venirle incontro. E si sciolse. Si sciolse di incontenibile emozione. Si sciolse, nell’attesa ormai finita di consegnare il suo freddo bagliore al calore di un’ombra che incedeva insonne senza più segreti.
Prima di sparire risucchiata in un vortice d’amore, nell’attimo in cui l’ombra l’avvolgeva per sempre, la luce della luna udì un incantevole fiotto scivolare nella dolcezza di un soffio.
Era un ti amo. O forse erano mille stille d’amore.
   
 
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