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Autore: Crystal Rose    09/11/2018    1 recensioni
Ho provato ad immaginare cosa accadrebbe se una ragazza con un succoso segreto dovesse incappare nei Germa 66 e nell'armata rivoluzionaria, quanto caos potrebbe creare una ragazzina con straordinarie e improbabili capacità nascoste?
"Tutte le storie cominciano con “C’era una volta in un regno lontano lontano“ e prevedono una bella fanciulla che sta passando un gran brutto momento e resta in attesa di un uomo grande e forte che la salvi e la porti via in sella al suo cavallo bianco verso il loro “vissero per sempre felici e contenti”. La mia storia è esattamente il contrario. Inizia in un piccolo paesino assolutamente di nessuna rilevanza, su di un’isola piuttosto tranquilla e banale, una di quelle che, nonostante fossimo nell’epoca d’oro della pirateria, non veniva visitata né da pirati, né da uomini del governo. Talmente insignificante che non ne veniva dimenticata l’esistenza solo perché comparivamo ancora nelle mappe. Eravamo lontani dalle rotte più battute ed il clima non era mai tanto avverso da spingere qui una nave, neanche per sfortuna."
Genere: Avventura, Slice of life, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Emporio Ivankov, Famiglia Vinsmoke, Sabo
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Corsi fino a farmi mancare il fiato, fino a quando il petto non mi fece male e i singhiozzi non mi tolsero il respiro. Crollai sulle ginocchia in mezzo agli alberi, ero arrabbiata e molto triste. Dovevo nascondermi e quella era l’unica cosa che sapevo fare, avevo passato tutta la vita a nascondermi, non mi avrebbero trovata, sarei rimasta al sicuro fino a quando non se ne fossero andati e poi… e poi cosa avrei fatto? Sarei tornata alla mia casa per vederla bruciata? Avrei camminato tra i cadaveri dei paesani? Tra le macerie del villaggio? Dove sarei andata? Cosa avrei fatto? E Marla? Mi si spezzava il cuore al suo pensiero, ma cosa potevo fare? Non potevo certo affrontare un esercito tutta sola.
 
Non sapevo combattere, non sapevo difendermi, ero alta appena un metro e sessanta ed ero molto magra, le mie speranze di sconfiggere un soldato rasentavano lo zero. Avrei voluto rimanere con lei, restare al suo fianco, ma non dovevano prendermi, non per me, non mi importava di essere catturata o uccisa, ma non dovevano prendermi per il bene del mondo, o almeno così mi avevano sempre detto. Le mie capacità, nelle mani sbagliate potevano fare davvero un sacco di danni.
 
Mi nascosi, non so quanto tempo passai con le braccia strette intorno alle ginocchia e la testa su di esse, minuti o forse ore, non saprei. So solo che i rumori della devastazione che avevano luogo sull’isola arrivavano nitidamente fino a me, schianti, crolli, esplosioni, urla. Mi tappai le orecchie per non sentire e spinsi la testa contro le ginocchia con più forza. Conoscevo quelle persone, i loro volti mi passavano davanti, donne, uomini, bambini, anziani, alcuni erano miei amici, altri mi avevano regalato le caramelle o i dolcetti quando ero piccola ed ora si stavano spegnendo uno alla volta sotto i colpi di un esercito di orribili mostri senz’anima.
 
Sentì correre qualcuno non molto lontano da me, forse qualcuno era riuscito a mettersi in salvo e scappare, forse era proprio la mia Marla. Senza palesare la mia presenza osservai il punto da cui proveniva il rumore. C’era un uomo, stava scappando, indossava la divisa dell’esercito che ci aveva conquistati, era ferito ma continuava a correre e dietro di lui, dopo non molto, comparve qualcuno. Mi aspettavo senza ombra di dubbio un gigante, o un mostro con tre teste o un colosso corazzato e armato fino ai denti e invece era solo un ragazzo, forse di poco più grande di me, con i capelli verdi tirati all’indietro e le sopracciglia a ricciolo. Indossava una tuta con lo stesso simbolo che avevo visto sulle navi “66” ed un 4 sul mantello.
 
A vederlo così non sembrava pericoloso, ma sapevo per esperienza che l’apparenza poteva facilmente ingannare. Era molto alto e muscoloso e la tuta che indossava era davvero singolare, ad un primo sguardo sembrava una normale tuta ma alcuni dettagli attirarono la mia attenzione, iniziavo a farmi un’idea di cosa fosse. I miei sospetti si concretizzarono quando l’uomo che stava scappando, resosi conto di non poter andare molto lontano provò a sparargli. L’inseguitore neanche provò a schivare il colpo sebbene fossi piuttosto sicura che avrebbe potuto riuscirci senza problemi. Il proiettile non gli fece assolutamente niente. L’uomo sparò ancora ma nessuno dei suoi colpi riuscì a fargli neanche un graffio, sembrava fatto di agalmatolite.
 
Sorrideva, trovava il suo vantaggio divertente. Un solo scatto velocissimo e fu vicino all’uomo, stava sfruttando le capacità conferitegli dalla tuta ed io conoscevo quella tecnologia, potevo fermarlo, se i mostri di cui Marla aveva paura erano come lui allora potevo salvare l’isola. Iniziai a cercare nel mio zaino, avevo qualcosa che faceva al caso, finalmente potevo rendermi utile, non avrei dovuto aspettare nascosta in un angolo la fine del massacro, potevo fare qualcosa di concreto. Il ragazzo dai capelli verdi assestò un calcio al soldato ed il corpo del poveretto venne sbalzato lontano, ricoperto di scariche verdi. Era fortissimo e continuava a ghignare.
 
Si voltò nella mia direzione, sapeva che ero lì, avvertiva la mia presenza. Ero a conoscenza del fatto che alcune persone fossero dotate di capacità incredibili ma non ne avevo mai vista una prima d’ora così da vicino. Scappare da un tipo simile sarebbe stato inutile, mi avrebbe acciuffata in niente. Per fortuna avevo un piano per cavarmela. Come prima cosa raccolsi del fango e mi sporcai la faccia, non doveva essere in grado di riconoscermi o di ricordare il mio viso. Uscì dal mio nascondiglio ed avanzai verso di lui, l’oggetto che avevo recuperato dallo zaino stretto tra le mani, dietro alla schiena. Sperai non facesse scatti bruschi, i miei riflessi non erano affatto buoni, anzi, oserei dire fossero del tutto inesistenti.
 
- Quest’isola è davvero noiosa. – disse il ragazzo continuando a guardare nella mia direzione. – Solo contadini, pescatori e deboli omuncoli travestiti da soldati. Non c’è nessuno che sia alla nostra altezza con cui potersi divertire. – venni fuori dalle piante in cui mi nascondevo incontrando il suo ghigno.
 
Sapevo che avrei dovuto avere paura di lui, se Marla ne aveva allora era davvero pericoloso, ma non ne avevo. Forse sottovalutavo troppo la situazione, nonostante avessi visto con quanta calma avesse ucciso quel soldato davanti ai miei stessi occhi. Forse l’avere “un’arma” contro di lui mi dava una sicurezza inappropriata alle circostanze. Il fatto è che ero e sono una persona molto razionale, sapendo di non avere via di fuga, andargli incontro ed usare il mio congegno era la sola cosa possibile, avere paura di aver fatto la scelta sbagliata non aveva senso dal momento che non avevo altra possibilità.
 
- Un’altra ragazzina. – mi guardò a metà tra il divertito ed il deluso, dovevo essere uno spettacolo davvero patetico così impiastricciata. – Mi verrebbe quasi voglia di avere pietà di voi poveri e indifesi paesani… peccato io non provi sentimenti inutili come la pietà. – sfoggiò un sorriso piuttosto sadico, era fin troppo chiaro che fosse intenzionato a farmi fare la fine del soldato.
 
Fece uno scatto verso di me nell’esatto momento in cui premetti il bottone del mio congegno che fortunatamente avevo già acceso e programmato. Non mi mossi di un millimetro, avevo previsto con precisione il risultato. Il congegno emise una scarica che interferì con la tecnologia della sua tuta inattivandola e siccome stava usando quelle strane scarpe per spostarsi verso di me, il risultato fu che ruzzolò a terra finendo con la faccia nel fango a poca distanza da dove mi trovavo. Uno a zero per me.
 
Se fossi stata meno sprovveduta e ingenua avrei capito che quello era il momento giusto per scappare invece, forte del risultato ottenuto e pensando di averlo reso inoffensivo, restai lì a fissarlo. Il primo era fuori gioco, uno alla volta avrei potuto disarmarli tutti.
 
- Ma che diavolo è successo? – si rialzò togliendosi il fango dalla faccia con il braccio. Iniziò a tastarsi la tuta, non funzionava più niente. Si rimise in piedi, era proprio un colosso, a onor del vero lo sarebbe stato chiunque rispetto a me, ero terribilmente minuta. Lui mi osservò per qualche attimo, come a tentare di capire se c’entrassi qualcosa in quello che gli era successo, ma a vedermi così credo avesse scartato subito l’idea, anche se… credo gli sembrò strano che me ne restassi lì impalata con le braccia dietro la schiena.
 
Tentò ancora di far ripartire la tuta, senza successo. Poteva fare quello che voleva, avevo mandato tutto in corto circuito, quell’aggeggio era da buttare. Forse il motivo per cui non scappai era proprio quella tuta, nonostante fossi capace di disattivarla era comunque molto interessante, insomma non avevo mai visto niente di simile su quell’isoletta. In un villaggio di contadini e pescatori non c’è molta tecnologia, vedere qualcosa del genere era strabiliante. Lui riportò lo sguardo su di me cogliendomi in flagrante mentre fissavo la sua tuta ed ebbi la sensazione che avesse deciso che c’entrassi qualcosa.
 
- Sei stata tu! Come hai fatto?! – sembrava un’affermazione più che una domanda. La sua espressione mi riscosse, era grosso e arrabbiato ed anche senza tuta poteva farmi del male, a questo non avevo pensato. Mi voltai di scatto ed iniziai a correre via. Sciocca, sciocca, sciocca! Restarmene lì era stato un errore, sarei dovuta scappare prima! Corsi, quanto più velocemente potessi, dal canto mio avevo il vantaggio di conoscere alla perfezione l’isola, dovevo riuscire a seminarlo e nascondermi.
 
Anche senza tuta era velocissimo, mi acciuffò in pochissimi secondi, mi afferrò per il collo e mi sollevò in aria, credetti che me lo avrebbe spezzato. Presi a scalciare e a dibattermi ma lui non fece una piega e quando il mio campo visivo si riempì di puntini neri lasciai cadere il congegno e forse fu proprio quella la mia salvezza, perché lo strano oggetto attirò la sua attenzione. Mi lasciò andare infischiandosene del fatto che sarei caduta a terra facendomi male, mi sembrò di capire che la mia salute ed il mio benessere non fossero una sua priorità, e mentre tossivo in cerca di aria raccolse il mio prezioso congegno.
 
- Che cos’è? – mi chiese ricevendo in cambio solo colpi di tosse. Non avevo aria in quel momento ma in ogni caso non gli avrei risposto.
 
- Dove lo hai preso? – sembrava sapere cosa tenesse tra le mani e questo non era affatto un bene. Lo guardai torva senza rispondere valutando tutti i possibili piani di fuga.
 
Si abbassò per guardarmi in faccia. – Hai usato questo poco fa. Che cos’è? – non gli risposi. – Non sono il tipo che si fa scrupoli se c’è da torturare qualcuno. Dimmi che cos’è. – la parola tortura non suonava bene ed essendo a poca distanza dal cadavere del soldato non dubitavo che quelle parole non fossero solo minacce vane, tuttavia non potevo dirglielo.
 
- Non lo so. – gli risposi senza abbassare lo sguardo neanche per un attimo, stavo provando a sembrare quanto più determinata possibile. Non osavo immaginare che idea dovessi dargli tutta impiastricciata, con i capelli neri legati alla meno peggio, arruffati e con ciocche sfuggite e incollate all’appiccicume che avevo sul viso.
 
- Dove lo hai preso? –
 
- L’ho trovato a terra. – mentì sperando che non aprisse il mio zaino, ma eventualmente potevo dire di aver trovato anche quello.
 
- Come facevi a sapere a cosa serviva e come usarlo? –
 
- Non lo sapevo, ho premuto i tasti a caso, pensavo fosse un’arma, volevo difendermi. – Sembrava credibile come storia.
 
Guardò l’oggetto e poi me prima di sfoggiare un enorme sorriso crudele.
 
- Meglio così. Se avessi saputo di cosa si trattava non avrei potuto più ucciderti. –
 
Deglutì, iniziavo ad avere paura, mi aveva quasi soffocata e lo aveva fatto senza sforzo, poteva seriamente uccidermi. Per un attimo fui tentata di confessare che il congegno fosse mio ma per tutta la vita mi avevano inculcato che non dovevo lasciarmi scoprire, anche a costo della vita. Serrai le labbra e lo guardai male. Mi osservò per qualche attimo e poi mi afferrò di nuovo per il collo, non stava stringendo come prima ma faceva comunque male, forse voleva godersi di più il momento.
 
Tirò un braccio indietro e prese la mira sulla mia faccia, voleva uccidermi a pugni. Impallidì ma non dissi una parola, mi limitai a fissarlo. Quando tirò il pugno chiusi gli occhi, involontariamente e mi stupì nel constatare che non mi aveva colpito. Ne riaprì uno e lo osservai perplessa, che stava facendo? Sbuffò infastidito e poi mi sollevò e mi mise in spalla trasportandomi come fossi un sacco di patate.
 
- Che stai facendo? – ero piuttosto confusa, forse aveva cambiato idea sulle modalità con cui voleva uccidermi.
 
- Non è ovvio? Ti porto con me. –
 
- Dove? Che vuoi farne di me? Se devi uccidermi fallo subito, smettila di rimandare! – stava tentando di terrorizzarmi per obbligarmi a confessare.
 
- Non ti ucciderò finché non mi dirai la verità su quel congegno. – Afferrò il mio zaino e si accorse che ce n’erano altri. – E anche su questi. –
 
- Non sono miei, li ho trovati in giro e pensavo di poterli vendere per farci qualche soldo, non so cosa siano. –
 
- Sei una pessima bugiarda. –
 
- È la verità! Mettimi giù! – iniziavo a scalciare, le cose stavano andando malissimo, avrebbe dovuto uccidermi, non rapirmi, non potevo permetterlo!
 
A forza di dibattermi perse la presa su di me e mi lasciò cadere. Incurante del dolore e del livido che mi sarebbe sicuramente comparso a seguito della caduta iniziai di nuovo a correre, non doveva prendermi viva, se non fossi riuscita a seminarlo non avrei avuto altra scelta che saltare da un dirupo, sperai non fosse necessario, non me la sentivo di morire così giovane. Inutile dire che mi riprese dopo pochissimo. Mi voltai come una furia e gli tirai un pugno, mi sembrò di colpire un muro, sperai solo di non essermi rotta la mano.
 
- Smettila di resistere, non mi diverto ad inseguire chi non posso uccidere. – sembrava piuttosto infastidito. Mi ero piegata su me stessa cullandomi la mano dolorante quando mi sentì afferrare di nuovo, mi dibattei quanto più potetti, ma lui mi teneva saldamente. Il suo lumacofono iniziò a suonare e per rispondere, senza lasciar andare me, dovette posare lo zaino.
 
- Si può sapere dove sei finito? – gli chiese una voce maschile.
 
- Ho avuto un contrattempo, la mia tuta è fuori uso. –
 
- Che significa che la tua tuta è fuori uso? –
 
- Ho trovato una ragazza con uno strano congegno che ha usato per metterla fuori uso. Ne ha diversi altri, tutta roba altamente tecnologica. Ho preso lei e lo zaino e sto tornando. –
 
- Dove li ha presi? –
 
- Non lo so, ma quando tornerò glielo farò confessare. –
 
- Portare via qualcosa dall’isola non rientra nei patti. –
 
- Non devono saperlo necessariamente, no? – sorrise e riagganciò. Mi diede uno scrollone, non avevo smesso di agitarmi neanche un attimo sperando che mi lasciasse cadere di nuovo. – La smetti di agitarti in questo modo?! –
 
- Lasciami andare! Ti ho detto che non so niente di quella roba! –
 
- Se fosse stato vero non te ne saresti rimasta in silenzio mentre stavo per colpirti. Preferivi farti ucciderti che dirmelo e questo rende ancora più interessante quello che stai nascondendo. –
 
- Magari l’ho fatto solo per non farmi colpire, bestione. –
 
- Lo vedremo. Una volta arrivati ti tirerò fuori tutta la verità e spero davvero che tu resista il più possibile prima di parlare o non sarebbe divertente. – Aveva un sorriso sadico che faceva paura. Mi agitai con ancora più forza e cominciai ad urlare a squarciagola fino a quando non sentì un forte dolore alla testa e tutto divenne buio.
   
 
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