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Autore: Antys    13/11/2018    4 recensioni
Derek con una mano teneva i manici del borsone e con l’altra si accingeva a chiudere il lungo portellone di metallo, pronto per dare un definitivo addio a quella vita che l’aveva privato di tutto quello che aveva amato e che aveva provato con tutto se stesso a ricreare e difendere.
[…]
«Lo so che ogni cosa qui ti ricorda i tuoi fallimenti ed errori. La famiglia e il branco che hai perso, i continui tradimenti che hai subito ed i sacrifici che hai fatto» articolò con precisione ed attenzione il figlio dello sceriffo con lo stesso dolore e afflizione che Derek aveva provato. «Sarebbe facile e meraviglioso andare in un altro posto e ricominciare. Ma io non sono abbastanza?» per rinunciare e restare. Per provarci.
[…]
Derek si sentì tirare un lembo dei suoi jeans della gamba sinistra, da una forza leggera e delicata, e si voltò confuso nell’immediato, incontrando degli occhi giganti dell’ambra più pura e spensierata; innocente. «Signore, sai dov’è la mia mamma?» domandò la piccola creatura con voce minuta ma squillante, educata e pulita.
«Stiles?» se Scott avesse sofferto ancora di attacchi d’asma, in quell’occasione un inalatore non sarebbe bastato.
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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2° Capitolo

 

Lo sbigottimento e l’incredulità regnavano all’ingresso della riserva ed il fiato sospeso accompagnava ognuno dei presenti.

Gli occhi del branco erano enormi e sgomenti, non riuscivano a distogliere lo sguardo dalla piccola creatura che persisteva a rimanere aggrappata a Derek e che ricambiava con uno dubbioso e diffidente, fasciato dentro un’esagerata felpa rossa che gli lasciava libere soltanto le caviglie ed i piedini nudi. Surreale.

«Chi sei?» chiese accorto e circospetto il bambino dai grandi occhi di miele ed i capelli castani sparati da varie parti – taglio che ricordava pericolosamente quello del giovane Stilinski –; la sua attenzione sembrò essere richiamata quando quell’insieme di lettere era stato pronunciato, come se ne fosse il proprietario e fosse disturbato dal fatto che qualcuno lo conoscesse senza che lui avesse alcuna idea di chi rappresentasse quella persona.

«Scott» rispose l’Alpha con un soffio al cuore, l’espressione sorpresa e rammaricata dal mancato riconoscimento. «Scott McCall».

Le pupille si dilatarono, coprendo le iridi ambrate, tirando le spalle all’indietro e trascinandosi quel lembo che ancora tratteneva tra le dita. «Non sei lui, sei troppo grande» disse con convinzione, intimandogli con lo sguardo di stargli lontano e di non credergli.

Il messicano fu colpito dalla sua reazione, non rendendosi pienamente conto della situazione e si propense verso di lui per raggiungerlo e convincerlo. «Stiles, posso assicurarti che-» ma non riuscì a terminare la frase che la creaturina si nascose dietro le gambe del maggiore degli Hale, rifiutandosi di ascoltarlo e temendolo; Scott si pietrificò a metà della sua azione.

«Come può essere Stiles?» domandò Lydia con perplessità e frastuono, accompagnata dall’impossibilità della cosa.

Scott sembrò risvegliarsi da quella situazione soltanto nel momento in cui il quesito fu esposto, in quell’istante si rese conto della gravità della situazione e di cosa rappresentasse. «Non lo so, ma sono certo di questo, ho passato quasi tutta la mia vita con lui per non riconoscerlo».

La Banshee girò su se stessa, come se cercasse qualcosa che potesse suggerirle come risolvere quel mistero insormontabile. «Perché era qui? Perché è venuto in questo posto?».

«Il Nemeton» disse la voce profonda ed ultrasuono di Derek, subentrando nel silenzio e manifestandosi.

Le iridi castane dell’Alpha si dilatarono, posandole su quelle verdi del mannaro davanti a sé e parte dei pezzi di un puzzle che non riusciva ad individuare si posizionarono al loro posto. «Dannazione!» esclamò con frustrazione; aveva avuto ragione nel percepire nella scomparsa di Stiles qualcos’altro oltre il suo turbamento. «Dobbiamo portarlo da Deaton».

«Facile a dirsi. Non ci riconosce e non sembra volersi scostare da Derek» subentrò Isaac con uno sbuffo, roteando gli occhi ed evidenziando la situazione che gli si presentava davanti, mettendo in mostra l’ovvio che ignoravano.

«Dobbiamo anche chiamare lo sceriffo» aggiunse comprensibilmente la bionda fragola.

Allison si illuminò improvvisamente, avvicinandosi di poco e con cautela verso lo scudo dietro cui si nascondeva il cucciolo d’uomo, protetto dalla figura del Beta che non si era minimamente mosso, piegandosi sulle ginocchia e portandosi alla sua altezza. «Ehy, Stiles, vuoi venire con me dal tuo papà?» chiese con gentilezza e dolcezza, annullando tutta la sua natura da cacciatrice ed abbozzando un sorriso rassicurante.

Stiles uscì di poco dal suo rifugio, mostrando le enormi perle di miele ed aumentando la presa sui pantaloni dell’uomo. «Conosci il mio papà?».

«Certo. Tutti noi conosciamo il signor Stilinski» rispose prontamente la mora, allargando il sorriso ed indicando tutto il branco a dimostrargli che poteva fidarsi di loro. «Possiamo portarti da lui».

L’umano la guardò in un primo momento meravigliato e speranzoso e per un attimo credettero che tutto andasse bene, ma lui scosse la testa, poco convinto e sfiduciato, tornando a stringersi a Derek e nascondendosi totalmente dietro le sue gambe, irremovibile dall’uscire di lì un’altra volta.

«Di questo passo non andremo da nessuna parte» gracchiò annoiato il licantropo più giovane, disturbato dal comportamento del bambino e da quella perdita di tempo.

«State perdendo di vista l’evidenza: questo è pur sempre Stiles e lui non si fida di nessuno» intervenne la banshee con il suo acume che si manifestava, permettendogli di vedere la situazione nel quadro completo.

La cacciatrice la osservò per un lungo momento, con la testa voltata verso la sua direzione, ancora accovacciata all’altezza del piccolo Stiles e meditando su una possibile soluzione. «So che non ti fidi di noi, che non ci conosci e che sei confuso» articolò con pazienza e moderazione, usando il tono giusto e tutta la sincerità di cui era a disposizione. «Ma conosciamo davvero il tuo papà e possiamo portarti in un posto dove può raggiungerci» disse con diplomazia, con quel fare cauta che l’aveva accompagna finora. «È un uomo di legge, non permetterà che ti succeda qualcosa».

Il silenzio si protrasse per un lungo momento e Stiles non diede il benché minimo segno che fosse disposto a cedere o che fosse vagamente interessato.

«Dove?» domandò la vocina acuta ed indecisa, speranzosa e fremente di poter riabbracciare la figura paterna.

Allison sorrise di cuore. «Da un nostro amico, il dottor Deaton, è un veterinario e quel ragazzo lavora con lui» comunicò con attenzione e familiarità, indicando il capo branco che era rimasto al suo posto da quando il suo migliore amico l’aveva disconosciuto. «Ti piacciono gli animali, Stiles?».

«Sì» annuì il figlio dello sceriffo con un accenno del capo doppio, come se avesse capito di chi stessero parlando ed avesse individuato il viso dell’uomo citato.

«Allora potrai giocare con loro finché non arriverà il tuo papà a prenderti» lo esortò ed invogliò la ragazza, regalandogli una nuova piega rassicurante e che presagiva divertimento assicurato.

Allungò una mano nella sua direzione aspettando una risposta affermativa, davanti gli occhi di uno Stiles combattuto e diviso a metà, che si ritrasse un po’ quando gli si avvicinò, poggiando una tempia sull’angolo del ginocchio interno di Derek che gli spostò i capelli, offuscandogli la vista.

Derek non aveva proferito parola, rimanendo esattamente dov’era con il fiato trattenuto e la follia che gli si disegnava davanti, ammonendosi di non commettere alcun errore che potesse allarmare e far scappare Stiles. Era pietrificato ed impossibilitato a capire la situazione e perché il bambino avesse usato lui come scudo, ma sentire un corpo così piccolo, Stiles, toccarlo e riconoscerlo come una sua sicurezza era un’esperienza che non riusciva a descrivere.

Allison incrociò gli occhi con i suoi, studiandolo attentamente ed aspettando chissà quale segno da parte sua, cercando di afferrare qualcosa.

Li distolse subito dopo, dedicando la sua totale attenzione all’umano. «Sta' tranquillo, Derek verrà con noi».

Stiles sbirciò dal suo nascondiglio, mostrando le sue gemme ambrate brillanti, cercando la verità di quell’affermazione in lui.

«Va’ con lei» disse il lupo senza alcuna diplomazia, ma con tutto il tatto che poteva possedere e che conosceva molto poco.

Il pargolo lo guardò per attimi infiniti, spostando poi la sua attenzione alla mano che Allison ancora gli porgeva con pazienza e la prese un momento, esponendosi all’aria aperta, ma senza riuscire a separarsi completamente dal suo oggetto di conforto.

Stiles era in mezzo alla radura, con una mano in quella della cacciatrice e con l’altra che ancora si aggrappava con i ditini alla stoffa dei jeans di Derek. Sembrava che dividersi dal mannaro fosse qualcosa di estremamente grave e difficoltoso, ma con un’ultima occhiata verso di lui si separò, seguendo in silenzio la ragazza.

E Derek si sentì perso.

 

Allison mantenne le sue promesse e lo portò sano e salvo dal Dr Deaton – un Deaton sbalordito e senza parole –, riservandogli un semplice sorriso pieno, come se fosse tutto normale, e trascinando Stiles con sé, davanti alle gabbie degli animali e facendosi indicare dal veterinario quelle con cui poteva intrattenere il loro piccolo ospite.

Stiles erano minuti interi che volteggiava tra gatti e cani, dedicando ad ognuno di loro la sua totale attenzione, ricoprendoli di coccole e tenere risatine gioiose con la cacciatrice che lo seguiva passo dopo passo e che lo prendeva in braccio quando voleva arrivare più in alto, ad accudire quelli che secondo lui riteneva emarginati. Allison era a sua completa disposizione e lo accontentava sempre.

Liberarli dalla gabbia a volte non era semplice, soprattutto se erano quelle in cima, e non sempre gli ospiti che Stiles sceglieva erano propensi alla sua compagnia e la mora si beccava qualche graffio o ringhio poco gradito che le suggerivano di lasciarli esattamente dove li aveva trovati, ma agli occhi dolci e pieni di aspettativa del cucciolo d’uomo, ancora confuso e lontano dalla sua famiglia, non sapeva resistere e persisteva nella sua mansione, ben pronta ad intervenire se qualcosa non la lasciava tranquilla, ma quando ogni creatura veniva depositata tra le mani del figlio dello sceriffo, questa vi si abbandonava, lasciandosi viziare in ogni modo. Il branco era impressionato.

«Non ho mai visto una cosa del genere» disse il druido, osservando il piccolo Stiles sorridere ad un gattone enorme particolarmente turbolento, che si abbandonava completamente alle sue cure facendogli le fusa, e ad Allison che giocava con lui. «È tornato esattamente alla sua fanciullezza».

«Non sa chi siamo e non ricorda niente di tutto il resto» riferì la banshee che si era attenuta a studiare il fenomeno, rimanendo più distaccata possibile ed estraendo le informazioni che potevano servire.

«Non può farlo» rivelò pragmatico il veterinario, avvicinandosi al lettino che spesso il branco stesso aveva utilizzato. «Stiles, puoi raggiungermi un momento? Vorrei soltanto controllare una cosa».

Il bambino si sentì chiamare ed alzò la testa automaticamente, incontrando le iridi scure dell’uomo dinnanzi a lui. «Non sono un animale» diffidò nell’immediato, rifiutandosi di fare un solo passo senza capirne la ragione. «Lei cura gli animali».

La sua intelligenza e logica erano senza tempo. «Hai ragione, ma vorrei risolvere un piccolo mistero. Potresti aiutarmi?» se lo Stiles dell’età infantile era lo stesso di quello diciasettenne, per lui era impossibile impedirsi di risolvere un caso e negare aiuto.

«Un mistero?» fece eco l’umano con gli occhi che si erano accesi di una scintilla interessata e vogliosa, ma guidati fortemente dal dubbio.

Allison dedicò uno sguardo eloquente al maggiore degli Hale, che era rimasto a portata d’occhio tutto il tempo per rassicurare Stiles, spicciolando poche parole al druido sulla disavventura che li aveva condotti a quella situazione surreale e dando un quadro completo dettato da Lydia. Sembrava suggerirgli di ripetere l’esperimento che si era presentato alla radura prima di giungere alla clinica. «Sì, è molto bravo a risolvere misteri, ma mai quanto te».

L’adulazione poteva essere una buona cosa per spingere Stiles a farsi visitare dal veterinario, ma sia Derek che Allison sapevano che non poteva bastare. «Puoi andare» gli diede il permesso con rassicurazione il lupo, spiccicando molto di più del silenzio osservativo in cui era caduto. «Sarò con te».

Il pargolo lo guardò con le sue grandi iridi ambrate per un lungo attimo, annuendo impercettibilmente e passando il gattone alle mani della cacciatrice che si munì per rimetterlo al suo posto.

Stiles partì e Derek lo seguì.

 

Stiles si posizionò proprio all’angolo del lettino, aiutato da Deaton e quest’ultimo si limitò a fargli qualche domanda ed a controllare soltanto la pelle esposta, senza mai entrare troppo nella sua sfera personale, perché tendeva a chiudersi in se stesso e ad isolarsi e le cose diventavano ancora più complicate.

«Quanti anni hai, Stiles?» domandò infine e la cosa stupì Derek, poiché non gli era nemmeno venuto in mente quel tipo di domanda o forse perché sarebbe dovuta essere la prima.

«Cinque» articolò il bambino, dispiegando una mano ed alzando esattamente il numero coretto di dita.

All’improvviso la porta del locale fu spalancata, sbattendo sul muro ed una voce alta, profonda e preoccupata irruppe nell’aria. «Dov’è? Dov’è mio figlio?».

Stiles captò subito la nuova voce, rizzando le orecchie e sporgendosi, riconoscendola immediatamente e sbarrando gli occhioni, concentrandosi subito sulla direzione da cui proveniva, sbilanciandosi troppo per corrergli incontro, intercettato e fermato da Allison che lo prese per la vita e lo depositò sul pavimento con cautela.

Le iridi azzurre dell’uomo fecero il loro ingresso, seguito da una Melissa attonita con una mano sulla bocca alla sua vista, e si ingrandirono incredibilmente, sbiancando sul posto. «Stiles».

Il bambino davanti alla sua figura rimase immobile, mettendo subito dopo un passo dietro l’altro e ritornando da Derek, nascondendosi tra le sue gambe.

Il silenzio cadde a falci e nessuno parve più sapersi muovere.

Tutti gli abitanti di quelle mura guardarono i rispettivi protagonisti di quella scena agghiacciante, senza sapere cosa fare.

«Ehy» esclamò sonoramente la cacciatrice con un sorriso familiare ed incoraggiante, prendendo in mano la situazione ed osando, chinando la schiena ed avvicinandosi all’umano, dando le spalle a tutti gli altri. «Perché ti nascondi? Non vuoi salutare il tuo papà?».

Stiles scosse vistosamente la testa, incastrandosi perfettamente nel suo rifugio costruito dagli arti inferiori del lupo maggiore. «Quello non è lui».

La certezza nella sua voce era lampante e devastante e chi era in possesso di doti sovrannaturali poteva sentire il cuore dello sceriffo spezzarsi a quel rifiuto netto, incapace di reagire.

Le pupille di Allison si dilatarono impercettibilmente ed all’improvviso nemmeno lei sapeva più come risolvere la complicazione presentatela. «Perché dici così?».

Gli occhioni immensi della creaturina incontrarono i suoi e la manina afferrò un nuovo lembo laterale dei jeans lerci del licantropo. «Lui è…» le perle ambrate si spostarono su quelle chiare del genitore. Erano stanche, sopraffatte, più chiare e vecchie. Più vissute di quelle di cui si ricordava. Le rughe sul suo viso erano aumentate e dilatate e sottolineavano quanto esausto fosse, di quanti incarichi si occupasse e delle responsabilità che erano aumentate. La stella dorata che aveva appuntata sul petto, segno della sua appartenenza alla legge, e che aveva stretto tra le mani più volte nei suoi cinque anni, rigirandola e ricalcandola, imparando le lettere che vi erano incise, era sicuro che non avessero più lo stesso significato di vice-sceriffo. «Diverso».

L’acume e la capacità di Stiles di registrare i dettagli rendeva quasi impossibile gestire quella situazione disperata.

Allison si voltò verso lo sceriffo, facendo una panoramica di tutti gli sguardi che si ritrovava contro e leggendo in tutti la stessa incapacità di affrontare il problema. «Stiles, posso assicurarti che è lui».

L’insistenza divenne troppo premente ed un vocio esagerato si alzò, portando Stiles alle lacrime e con le forze per negare che gli venivano meno.

«Adesso basta» tuonò Derek, mettendo tutti a tacere e fulminandoli con gli occhi di ghiaccio, prendendo Stiles tra le braccia e tirandoselo su. «Così non l’aiutate» disse con un ringhio arrabbiato e gelante, superando ognuno di loro ed ammonendoli fino alla fine, sbattendo la porta dietro di lui ed allontanandosi da quel luogo soffocante.

 

Stiles gli stava aggrappato al collo, con le braccine tutte intorno ed il viso premuto sull’angolo per nascondersi e ripararsi, singhiozzando silenziosamente. Derek sentiva perfettamente il principio di lacrime incastrate tra le sue ciglia e che non lasciava cadere. Per Stiles doveva essere tutta una grande tragedia che non riusciva a spiegarsi, catapultato in una realtà in cui non riconosceva nessuno, nemmeno la parte più importante del suo cuore, quella che cercava disperatamente e per cui si era lasciato condurre da loro al fine di ritrovarla.

A Stiles sarebbe bastato suo padre, l’uomo che conosceva e con cui aveva imparato a vivere.

Come poteva spiegargli che era lo stesso uomo, lo stesso identico uomo che lo amava con tutto se stesso e che lo riteneva la cosa più importante di tutte, l’unica cosa che gli era rimasta? Stiles non conosceva nulla di tutto quello, non sapeva cosa avessero passato e cosa avessero perso, quanto si fossero uniti ed avessero combattuto per avere quello che erano riusciti ad ottenere, i sacrifici che avevano fatto e quanto rappresentassero l’uno per l’altro.

Derek si fermò per un momento, sistemandolo meglio e stringendolo maggiormente a sé colto da un pensiero che gli gelò il sangue. Stiles non riconosceva la persona più cara che aveva e con cui condivideva il sangue, quella di cui si sarebbe dovuto fidare ciecamente, suo padre. Ma non sapeva nemmeno di non avere più una madre. Senza alleati, i più importanti, le parti vitali di se stesso, come avrebbe fatto a sopravvivere?

Un singhiozzo più forte degli altri gli attraversò l’udito e ringraziò che Stiles non fosse in grado di leggergli nella mente; dovevano nascondere quell’informazione con tutti gli strumenti che avevano a disposizione.

«È tutto sbagliato» gracchiò con la voce spezzata il cucciolo d’uomo, strisciando il naso sulla pelle del mannaro. «Quello è il mio papà, ma…» inspirò profondamente, mordendosi le labbra a contatto con l’altro e lasciando fuoriuscire un mezzo gemito che non riuscì a trattenere. «Non lo è».

A Derek si spezzò il cuore in una cascata di schegge. Stiles era completamente sopraffatto e combattuto, così confuso e fuori dal suo mondo che avrebbe potuto rompersi; era consapevole di ogni cosa, di ogni cambiamento. «È soltanto un po’ diverso da come lo ricordi» onestamente si chiese se anche lui avrebbe avuto quel tipo di problemi nel riconoscere la propria famiglia e se non si fosse limitato a corrergli incontro, ma probabilmente la sua natura di licantropo avrebbe taciuto immediatamente qualsiasi titubanza. Forse non ne avrebbe neppure avuto bisogno, non era acuto come Stiles.

Il piccolo umano tacque per un momento, respirando con lentezza e metabolizzando ciò che lo circondava. «È colpa mia?» chiese con una lucidità impressionante e con una goccia di autoaccusa. «Sono sbagliato?».

Derek si fermò all’istante, attraversato da una morsa che gli fece incredibilmente male, togliendogli il fiato. Fu costretto a sciogliere la presa del bambino, rompendo quella posizione rassicurante che gli permetteva di stringersi a lui ed obbligandolo a guardarlo dritto negli occhi. Erano così liquidi e tempestati di lacrime che ebbe un attimo di esitazione. «Tutto questo non è colpa tua» disse perentorio ed assoluto, scrutandolo attentamente e severamente nelle gemme di miele. «È tutta nostra, ma non tua» ed era sincero e ci credeva ciecamente, soprattutto alla propria di colpevolezza. Ognuno avrebbe dovuto fare la propria parte per evitare una situazione assurda come quella, per evitare che Stiles subisse tali affronti, invece lo avevano reso partecipe dell’enorme follia che era la loro vita ed a cui il ragazzo vi si era gettato per proteggere tutti quelli che amava e l’intera città. Lo avevano perfino legato ad un albero magico – quello che ne era rimasto – ed era morto per quel sacrificio infame. Diamine! Era morto. Ed era anche tornato indietro. Non avrebbero dovuto sorprendersi se il Nemeton fosse la causa delle attuali condizioni di Stiles.

Una manina si depositò, morbida ed affettuosa, sul suo viso – era così liberatorio – ed i grandi occhioni lo fissarono con una comprensione inaudita. «Neanche tua».

Il lupo rimase senza parole ed incapace di alcuna reazione. La presa sul corpicino si fece più forte, come se improvvisamente temesse che potesse scappargli dalle mani e dovette reprime l’istinto di soffocarlo in un enorme abbraccio che difficilmente avrebbe sciolto. «Sei il più giusto di tutti» ma le parole esatte sarebbero dovute essere: non ti merito.

 

Quando Stiles si fu calmato e Derek era psicologicamente pronto per separarsi da lui, tornarono alla clinica veterinaria, trovandoli tutti esattamente dove li avevano lasciati, voltati completamente verso di loro quando li sentirono rientrare.

«Sta bene?» chiese Allison con voce moderata, ma preoccupata, indecisa se avvicinarsi o meno.

Il bambino era ancora tra le braccia del licantropo, non avvinghiato, ma libero di muoversi e con la capacità di poter osservare ogni cosa. Fece un piccolo gesto, tirando la maglia del lupo verso il basso e Derek lo mise subito a terra con delicatezza, quella che non ci si sarebbe mai aspettati da lui, e Stiles tese la manina verso la cacciatrice, rimanendo in attesa.

Lei scrutò prima l’esserino dinnanzi a lei e poi spostò gli occhi scuri in quelli di giada piena di domande e stupore. «Sta bene» rispose semplicemente l’uomo, facendola risuonare come la soluzione a tutte le domande che tacitamente la ragazza gli stava versando.

Le labbra di Allison si curvarono immediatamente e prese tra la sua la mano che le veniva offerta, stringendola con dolcezza. «Ti va di ritornare dai nostri amici a quattro zampe?» non dovette nemmeno aspettare una risposta che il figlio dello sceriffo l’aveva già condotta nell’altra camera.

 

Ovviamente con il nostro lupo scorbutico preferito, la cacciatrice era troppo deliziata e divertita da quella storia che Derek non apprezzava molto e forse avrebbe dovuto smettere di essere così accondiscendente, ma quando era entrato nella stanza esclusiva al riposo degli animali ed Allison gli aveva indirizzato un ghigno compiaciuto ed una strizzata d’occhio, uscendosene con quella frase dedicata tutta al cucciolo d’uomo che persisteva nell’avere il Beta con lui, Stiles gli aveva messo tra le mani il gattone color miele con cui aveva giocato prima che arrivasse lo sceriffo. Il suddetto gatto non aveva apprezzato particolarmente la sua compagnia ed il mutaforma era altrettanto poco entusiasta, tanto che il felino gli soffiava contro, ma Stiles aveva ridacchiato divertito a quel siparietto, divenendo immediatamente musica per le orecchie del licantropo, e lo aveva incitato ad accarezzarlo insieme a lui ed a mostrarsi più paziente ed interessato; il gatto aveva accettato con piacere le sue dovute coccole ed il cinquenne gli aveva regalato il sorriso più solare del mondo. Ed accondiscendenza sia.

Nel frattempo nella stanza adiacente, l’intero branco analizzava la situazione con Allison e Derek che prestavano orecchio, ma con l’intento di distrarre Stiles, impedendogli di ascoltare. Lo sceriffo era proprio dirimpetto a loro e non riusciva a togliere gli occhi di dosso dal suo bambino e la sofferenza ed il cruccio erano evidenti.

«Credo che il Nemeton agisca con uno scopo ben preciso» esordì il druido, richiamando tutta la loro attenzione, procedendo con moderazione e con la calma che lo contraddistingueva. «E penso volesse ridare qualcosa che ha sottratto».

«Quando Scott, Allison e Stiles si sono sacrificati al posto dei loro genitori, risvegliando il Nemeton, un prezzo è stato pagato e questo ha creato un cerchio d’ombra nel loro cuore, rendendoli coscienti dell’oscurità e negandogli qualsiasi tipo di innocenza» Deaton li osservò tutti ad uno ad uno ed ognuno di loro pendeva dalle sue labbra. «Al contrario degli altri due, Stiles è stato quello più esposto e ne ha risentito maggiormente, non essendo incline alle leggi sovrannaturali o addestrato a gestirle. Il Nemeton ha percepito tale squilibrio e si è mobilitato per rimediare».

«Vuoi dire che l’ha riportato all’età dell’innocenza per ridonargliela?» chiese stupita e perplessa la bionda fragola.

«È possibile» concretizzò il veterinario, ma lasciando libero spazio ad ulteriori teorie. «In questo momento è esattamente un bambino di cinque anni, conserva quei ricordi e conosce il mondo con i mezzi che ha avuto. Non ha alcun ricordo degli anni successivi né delle persone che ha conosciuto in seguito».

«E il legame con Derek?» domandò Isaac nel silenzio creato dagli altri.

Deaton lo guardò con scrupolo, senza davvero dare l’impressione di aver capito. «Come?».

«Stiles non si separa da Derek, se non è con lui non si muove e se non ha una sua conferma, Stiles non lascia avvicinare nessuno» fece presente il ricciolino, indicando la scena dietro le loro spalle, vedendo protagonisti i due citati più l’eccezione alla regola data proprio dalla fermezza di Derek. «Stiles non riconosce nessuno e prima di tutti il suo stesso padre, ma di Derek si fida ciecamente. Derek in questo momento è tutto il suo mondo» parlava come se sapesse esattamente cosa significasse e cosa si provasse, ma la sua storia era oscura e violenta.

Un silenzio significativo scese nella stanza, interrotto dalla risata cristallina e limpida di Stiles che si divertiva un mondo nel vedere l’incompatibilità felina con il licantropo e doveva rimediare ogni volta per salvare il loro precario rapporto, mentre Allison gli passava tutti i gatti più asociali e musoni che trovava per riderne senza vergogna e dare manforte al cucciolo d’uomo.

«È il primo che ha incontrato dopo la trasformazione, potrebbe essere una specie d’imprinting» articolò il druido un po’ ostico, guadagnando delle occhiate perplesse da coloro che lo circondavano ed incontrando un minimo di comprensione nella rossa. «In poche parole, è l’impronta che un neonato ha con la madre o con chi ne fa le sue veci. Il bambino instaurerà un legame di attaccamento che ha determinate caratteristiche: il mantenimento del contatto, quindi ricerca della vicinanza fisica, l’ansia da separazione, l’effetto rifugio sicuro e base sicura. Ma questo accade durante i primi nove mesi dalla nascita, per Stiles dev’essere qualcosa del genere».

«È come se stesse ricominciando» emerse Scott nel silenzio in cui era caduto, divenendo semplice testimone. «Ed ha scelto Derek».

«Forse è molto di più di questo» sentenziò enigmatica la banshee, lanciando una lunga occhiata al siparietto davanti a lei che venne intercettata da Allison e bellamente ignorata da Derek.

«È certo che qualcuno deve occuparsi di lui, non sappiamo per quanto andrà avanti» dichiarò il druido con prontezza, mettendoli al corrente del da farsi e della mancanza di una scadenza.

«Ovviamente rimarrà con suo padre» intervenne Melissa senza ammettere repliche e senza che vedesse altre soluzioni. «Ed io farò di tutto per dare una mano».

«Ma…» farfugliò il messicano con confusione, certo che quella situazione non potesse andare bene per le condizioni in cui erano.

«Chi meglio di suo padre può prendersi cura di lui?» Melissa lo sapeva bene, conosceva la loro vita, come lo sceriffo si fosse sempre dedicato a lui a prescindere delle difficoltà che si potevano riscontrare con un figlio iperattivo e fuori dagli schemi come Stiles, di come fossero andati avanti da soli quando il nucleo familiare si era dimezzato – fattore che lei conosceva in prima persona – e di quanto suo figlio lo amasse. Nessuno poteva rispondere meglio alle esigenze di Stiles di chi l’aveva cresciuto ed amato.

Tutti apparvero poco convinti da quella soluzione, ma nessuno sembrava averne altre da proporre e dove potevano trovare qualcuno che si occupasse della piccola creatura e che avesse la sua piena fiducia?

«Non dovremmo far scegliere a lui, perlomeno?» domandò con bonaria ingenuità l’Alpha, difensore fino alla fine del suo migliore amico.

Sua madre lo guardò contrariata e lo sceriffo si allontanò, avvicinandosi alla stanza confinante e trovandosi davanti suo figlio. Suo figlio tornato il meraviglioso bambino che possedeva ancora entrambi i genitori. Ricordava ogni dettaglio della sua fanciullezza, le sue guance pienotte perennemente rosse per via del freddo che risaltavano sulla carnagione chiara, gli occhioni ambrati che brillavano di meraviglia e che si interessavano a tutto, bisognoso di scoprire i segreti di ciò che lo circondava o che attirava anche parzialmente la sua attenzione, il suo continuo stare in movimento, impossibilitato a stare fermo anche per pochi minuti e la sua voce che riempiva i silenzi. La sua voce che riempiva ogni silenzio, in qualsiasi tempo.

Stiles fu attratto dalla sua presenza silenziosa dinnanzi a sé e smise di accudire i suoi nuovi amici pelosi, alzando le iridi di miele in quelle azzurre del padre. Derek ed Allison lo seguirono a ruota.

«Stai bene con Derek?» domandò con tutta la scioltezza ed il controllo che possedeva, provando ad uscire dallo stato di nebbia che l’aveva colto nel momento in cui era stato rifiutato dal suo stesso sangue.

Stiles annuì fermamente con la testa, rispondendo immediatamente alla domanda posta con sincerità.

«Puoi stare con lui finché tutto non sarà sistemato» disse Noah con un bonario sorriso sulle labbra, allontanando tutto lo strazio che quella decisione gli dava. Avrebbe patito qualsiasi pena dell’inferno pur di fare la scelta giusta per il bene di suo figlio.

Derek sussulto impercettibilmente ed un brusio ben identificato si scatenò nella stanza appena lasciata.

Stiles lo guardò con un’intensità attanagliante e lo sceriffo conosceva bene quello sguardo. «E tu?» l’innocenza e l’interesse presero vita dalla sua bocca e l’uomo sapeva che il bambino fosse in grado di percepire cose non dette.

Suo figlio poteva anche non riconoscerlo – era così diverso ai suoi occhi? Il suo spirito d’osservazione era davvero così grande? –, ma la preoccupazione verso gli altri era un tratto distintivo che non poteva essere placato o nascosto e probabilmente qualcosa dentro il suo piccolo corpo gli suggeriva il legame che in realtà condividevano. Lo accarezzò su una guancia morbida e paffuta, sorridendogli con dolcezza. «Sarò dove potrai trovarmi, se lo vorrai».

Stiles ebbe un fremito nel momento in cui la mano grande della massima autorità della città che assomigliava a suo padre e che veniva identificato come tale, lo toccò. Uno scatto elettrico lo attraversò ed il calore era talmente familiare e così confortante che gli occhi presero a pizzicare in modo doloroso. Quella era casa. «Papà» soffiò con la voce spezzata e colma di emozioni contrastanti, completamente sopraffatto.

Piccato lo sceriffo indietreggiò di alcuni centimetri ed un tonfo al cuore lo investì, mentre lacrime salate presero vita dagli occhi del suo prezioso bambino. «Va tutto bene, Stiles» era troppo presto, Stiles era diviso in due, trasportato in una realtà che non conosceva, ma che era incredibilmente simile a quella in cui viveva, con tanto di legami che gli urlavano nella mente e che il corpo riconosceva, ma di cui il suo acume diffidava. Tutti quei fattori avrebbero potuto ingabbiargli la mente e fargliela scoppiare, aggredirgli il cervello e spezzargli il piccolo cuore già bersagliato e non conosceva nemmeno tutta la storia. Non era qualcosa che poteva permettersi, anche se avrebbe dovuto rinunciare a lui finché le cose non si sarebbero calmate e fossero tornate come dovevano essere. Suo figlio aveva soltanto bisogno di rassicurazioni, di una figura che potesse guidarlo e di cui non doveva mai dubitare, qualcuno che, prendendolo per mano, l’avrebbe condotto verso il sentiero giusto. La persona che lui aveva designato e la stessa che sceglieva in qualsiasi sua forma. «Resta con Derek».

Le perle caramellate si riempirono d’acqua e fluirono tutte in una volta, irrigandogli il viso e mettendo in evidenza il rossore dei suoi zigomi. Allison lo prese immediatamente in braccio e Stiles le si strinse di riflesso, affondando il viso nel suo petto e bagnandolo di lacrime, mentre lei gli sussurrava parole dolci ed incoraggianti e Stiles afferrava un lembo della maglia disusa di Derek, stringendolo forte.

Lo sceriffo dovette allontanarsi in fretta, prima che cedesse alla voglia di strappare suo figlio dalle braccia di chiunque lo tenesse, portandoselo via. Prima che diventasse troppo doloroso separarsi dalla cosa più preziosa che possedeva al mondo e che piangeva per lui.

 

Derek era fermamente convinto che al suo ritorno non avrebbe trovato sua sorella nel loft, ormai lontana e diretta alla sua meta e forse leggermente imbronciata – chi poteva darle torto –, ma quando si ritrovò davanti la porta scorrevole aperta, lei era lì.

«Adesso abbiamo anche bambini?» domandò la lupa con un lungo sopracciglio innalzato, quando le si parò la figura del fratello che teneva per mano un esserino a lei sconosciuto, ma incredibilmente familiare.

«È Stiles» disse soltanto il licantropo, come se dovesse bastare a spiegare ogni cosa.

Cora lo guardò con intensità profonda, spostando poi gli occhi sul pargolo che rimaneva legato a lui. Si scostò semplicemente dalla porta e li fece entrare.

Derek non possedeva nulla che andasse bene per un bambino, né il cibo giusto né il vestiario appropriato, ma era notte inoltrata, era distrutto ed aveva troppi pensieri per la mente, a quell’ora non avrebbe trovato nulla di ciò che gli serviva e Stiles doveva dormire.

In verità nessuno del branco aveva nulla che potesse andare bene ad un bambino di cinque anni e di certo Stiles non avrebbe potuto indossare quell’enorme felpa rossa finché non avrebbero rimediato. Quindi Allison, testarda ed irremovibile, conoscitrice di quel posto a menadito, si diresse verso le donazioni per i rifugi animali che le persone consegnavano per facilitazione al veterinario che successivamente le avrebbe portate nel luogo corretto. Lì in mezzo c’erano sempre vestiti vecchi e usati, coperte e roba varia e la cacciatrice avrebbe sicuramente trovato qualcosa con cui accomodare per il momento, con grande sdegno della banshee. Poco tempo dopo e con buste svuotate e buttate in giro per caso, erano riuscite a dare un aspetto quantomeno presentabile e riparatore, ad eccezione dei piedi che rimasero nudi ed esposti al freddo.

Il figlio dello sceriffo era al centro del monolocale, vicino al divano, spaesato e fuori posto, lontano da tutto quello che conosceva, eppure osservava ciò che lo circondava con meticolosità e curiosità. «Chi sei?» chiese alla ragazza dinnanzi a sé che lo guardava a sua volta.

«Cora» rispose con semplicità, non particolarmente colpita dalla domanda, ma evitando di dare ulteriori spiegazioni.

Stiles sembrò afferrare ed i grandi occhi ambrati, che Cora reputava stupefacenti, si posarono sulla parte del loft in cui era sparito il più grande. «Sei sua sorella?».

Adesso sì, poteva quasi ammettere di essere impressionata. «Sì».

Lo sguardo nel cucciolo d’uomo cambiò e forse la lupa vide scomparire nelle sue iridi quella scintilla di diffidenza. «Hai fame?» domandò subito dopo con tranquillità.

Le perle d’ambrosia si illuminarono e la bocca si schiuse sorpresa. «Tantissima».

Derek aveva svuotato il suo armadio per trovare una maglia passabile che non fosse troppo eccessiva per Stiles, ma fosse calda ed in grado di ricoprirlo il più possibile; quando tornò vide sua sorella mangiare con gusto roba già pronta e confezionata, che non aveva mai visto e che non sapeva nemmeno di possedere – era convinto di aver svuotato tutta la dispensa per il lungo viaggio che l’attendeva –, con uno Stiles allietato che ingurgitava tutto ad una velocità supersonica e che si sporcava ad ogni morso. La lupa sorrideva compiaciuta e rapida ripuliva i suoi disastri.

«Vuoi unirti a noi?» chiese lei quando lo intercettò, indicando il loro banchetto da reali.

«Devo mettere Stiles a letto» negò con il capo, rifiutando e mobilitandosi per portare a termine quella giornata. Mangiare? Chi aveva tempo per quello.

«Giusto» Cora illuminata annuì soltanto ed aspettò che il loro ospite inghiottisse l’ultimo boccone. «Andiamo ometto, laviamoci e buttiamoci sotto le coperte».

Quando Stiles si trovò davanti alla porta del bagno, l’unica dell’intero appartamento, esitò, rifiutandosi di aprirla. «Posso fare da solo» pronunciò un po’ inebetito ai due ragazzi che gli stavano alle spalle.

Derek innalzò un sopracciglio poco convinto e Cora si riprese nell’immediato. «Certo, noi siamo qui fuori» articolò la mannara, prendendo la maglia dalle mani del fratello e depositandola in quelle del bambino.

Il piccolo ospite accennò un segno positivo con il capo, segno che aveva compreso ed entrò nel bagno, chiudendosi la porta dietro di sé, con tanto di giro di chiave – quello al licantropo non piacque molto.

«Rilassati, Derek» lo richiamò la sorella con malvagia ironia. «Puoi sempre sfondare la porta».

L’uomo la fulminò soltanto con gli occhi di ghiaccio e Cora sbuffò teatralmente. «Almeno non farti trovare davanti alla porta a spiare i suoi movimenti».

«E se avesse bisogno d’aiuto?» gli fece presente l’altro, accantonando l’idea.

«Sono sicura che lo sentirai urlare e ti precipiterai da lui» rivelò con genuina e bonaria malignità, sapendo perfettamente dove colpire.

Derek la giudicò apertamente con lo sguardo e lei ne rise vittoriosa. Poco dopo si era allontanato dalla lastra di legno verticale, ma non aveva smesso di prestare orecchio.

Stiles uscì dal bagno pochi minuti dopo, perfettamente lavato e vestito; la lunga maglia del lupo gli ricadeva fino ai polpacci ed i piedini erano scalzi ed a contatto con il pavimento freddo – prima o poi avrebbero rimediato anche a quello.

Cora non aspettò nemmeno che suo fratello si muovesse e si avvicinò al bambino prendendolo per mano e conducendolo all’ala del monolocale che fungeva da camera da letto di Derek.

Gli scostò le coperte e battendo a palmo aperto sul materasso lo invitò ad accomodarsi.

Stiles indugiò soltanto un secondo e subito dopo era sotto le lenzuola, perfettamente rimboccato e tenuto al caldo.

«Dormi bene, te lo meriti» proferì cordiale la lupa, sfiorandogli i capelli con la punta delle dita. Il piccolo ospite si strinse nelle coperte in risposta.

«È fin troppo silenzioso per essere Stiles» disse la ragazza quando raggiunse il fratello, dirigendosi verso il divano, luogo in cui avrebbe dormito il maggiore.

«Molto» confermò lui con una nota speziata, quasi preoccupata, udibile solo alla sorella. «È difficile per lui, ci vorrà un po’ per carburare».

Cora l’occhieggiò per qualche secondo come a studiarlo, inclinando appena la testa. «Forse» pronunciò criptica e poco flessibile. «Domani è un altro giorno» detto questo si defilò verso il suo materasso.

 

Derek si era abbandonato al divano quasi subito, con le spalle tese e la testa in confusione; non aveva alcuna idea di cosa lo aspettasse e cosa servisse a spezzare quella sorta di incantesimo. Esisteva un modo? Andava a tempo? Era collegato alla volontà di Stiles?

Perché era successo? Perché era accaduto proprio in quel momento? Perché non prima o non dopo? Esisteva un innesco?

Le sue domande erano rimaste a metà, poiché cadde in un sonno profondo in poco tempo.

Ma non poté nemmeno bearsene che, nel momento in cui ebbe l’impressione di chiudere gli occhi, un lamento si diffuse per l’appartamento e si incastrò nel suo nervo acustico.

Fu costretto ad alzarsi e a seguirlo, giungendo fino al proprio letto, trovandolo sfatto e con uno Stiles che si dimenava e soffriva nel sonno.

«Ehy, Stiles» pronunciò con la voce più calda e melodiosa che riuscì ad emettere – un mezzo disastro –, avvicinandosi a lui e toccandolo appena. «Va tutto bene, tranquillo».

Il bambino si agitò ancora e quando Derek fece un ulteriore passo, portandosi poco sopra di lui, Stiles scattò, allungando le braccine e stringendolo nel momento in cui lo trovò. «Derek» sillabò e quella era la prima volta che pronunciava il suo nome.

Cora era partita con il ritardo di un solo minuto, seguendo il percorso fatto dal fratello e quando vide quella scena, con Stiles che si stringeva a lui cercando conforto e con il mannaro completamente basito e quasi immobile, poté percepire quel singolo e prezioso capitombolo nel cuore del mutaforma.

«È solo un incubo, va tutto bene» proferì il licantropo quando prese coscienza della situazione, posando appena una mano sul suo braccio.

Stiles annuì contro di lui, mentre ansimava esausto ed ancora provato da quell’agitazione notturna e Derek lo guidò a staccarsi dal suo corpo, lasciandogli tutto il tempo del mondo.

«Tutto okay?» chiese quando il cinquenne tornò a sdraiarsi sul materasso, prendendo respiri profondi e chiudendo gli occhi per calmarsi.

Il piccolo ospite fece un nuovo segno positivo con il capo ed ingoiò appena a vuoto. «Puoi…» si fermò tentennando, quasi come se fosse a disagio e non sapesse se esprimere quella richiesta. «Puoi restare con me? Per un po’».

Derek si ritrovò a fissarlo senza parole con le iridi d’ambra immacolate che si incastravano perfettamente alle proprie. «Sì» non avrebbe mai avuto la forza di negargli qualcosa, di dire di no ad una proposta pura ed innocente come quella, non davanti a quegli occhi provati che chiedevano con il timore di ricevere una risposta negativa.

Le perle di miele si illuminarono e nel momento in cui Derek provò ad infilarsi sotto il letto, Stiles si spostò di conseguenza, lasciandogli il suo spazio.

Ed erano lì, uno di fianco all’altro, con Stiles che rimaneva in silenzio, lasciando trasparire una curva lieta sulle labbra piene, preparandosi a ricadere tra le braccia di Morfeo.

Al lupo non restò che attendere, mentre sentiva i passi della sorella allontanarsi.

 

Stiles si addormentò diversi minuti dopo e Derek aspettò ancora per qualche attimo, giusto per avere la certezza che continuasse a dormire e che nessun nuovo incubo potesse svegliarlo nuovamente.

Quando ne ebbe la certezza si alzò, rimboccandolo meglio ed allontanandosi più silenziosamente possibile, ritornando al suo divano per tentare di raggiungere anch’egli il regno del dio greco.

Vana speranza.

Nello stesso preciso momento in cui chiuse le palpebre, anche per la sola illusione, l’agitazione di Stiles si mostrò, più forte ed impetuosa, con l’affanno sempre più forte e con piccoli lamenti ad accompagnarlo.

Derek era esausto e sconsolato ancor prima di iniziare.

Non tardò, il lupo mannaro si mosse senza nemmeno rifletterci su e quando giunse vicino al bordo del letto, tanto da toccarlo con le gambe, prese Stiles tra gli arti superiori e se lo caricò senza svegliarlo, prendendo con la mano libera la coperta e portandosela al seguito. A Stiles bastò entrare in contatto con lui per calmarsi. E tutto accadde davanti alla testimonianza di Cora.

L’uomo si sedette sui cuscini, sistemando meglio il bambino, appoggiandogli la testa sulla spalla e posizionando il braccio sotto il corpicino, a rappresentare una confortevole culla e tirando la coperta su di loro per coprirlo il più accuratamente possibile.

La lupa non emise alcun fiato, sedendosi ad un cuscino di distanza da loro. Poi un tenue silenzio si impossessò del monolocale e Stiles riprese a dormire serenamente.

«Anche lo Stiles diciasettenne non riesce a dormire la notte» rivelò all’improvviso il mutaforma con voce profonda, senza riuscire a distogliere gli occhi dal pargolo che gli si stringeva contro.

Come può saperlo? avrebbe voluto chiedergli la mora, ma probabilmente certe domande era meglio lasciarle senza soluzione. «Ma con te ci riesce» non voleva suonare cinica o allusiva, ma a volte non riusciva ad evitare di dare voce a qualcosa di così evidente, soprattutto se ciò riguardava il sangue del suo sangue e Stiles.

Il licantropo la guardò torvo, ignorandola appositamente. «Probabilmente dovrò prendergli il suo cuscino».

Cora rimase di sasso, sbattendo le palpebre varie volte e fissandolo senza capire. «Il suo cuscino?».

«Sì, non chiude occhio senza quello» rispose semplicemente l’uomo come se fosse la cosa più ovvia del mondo e non avesse bisogno di chissà quale spiegazione.

La ragazza rimaneva ad ogni rivelazione più sconvolta ed attonita, senza riuscire a classificare in modo vagamente parziale ciò che le veniva riferito. Stiles ne era a conoscenza? «Il suo cuscino, certo».

Il cucciolo d’uomo emise un tenue mormorio e voltò il capo verso il petto del lupo, proprio all’altezza del cuore, ed un dolce sorriso beato si colorò sul visino.

«Non avrebbero dovuto affidarmelo» affermò il licantropo a quella scena, fermo ed irremovibile, ma Cora aveva il dono di comprendere il suo consanguineo, sapeva cosa stesse provando. «Non dovrebbe fidarsi di me in questo modo».

«Per lui è istintivo farlo, non potrebbe agire diversamente» per lei era chiaro come il sole, visibile ad occhio nudo e Derek non poteva dubitarne.

«No» negò vistosamente il mutaforma, mozzando quelle parole. «Ha detto espressamente che non poteva più fidarsi di me e di tutto quello che mi rappresenta».

Cora capì che si rifesse a prima che la condizione dell’umano cambiasse, prima che la magia facesse effetto, prima che la vita modificasse ancora i suoi progetti, portando il suo stesso sangue a crescere una delle persone più importanti per lui. La più importante. «Lo credi paradossale, non è così? Questo bambino, questo prezioso bambino, non muove un passo se non gli confermi che può farlo, che non corre alcun rischio. Se non fossi stata tua sorella non si sarebbe mai avvicinato. È l’esatto opposto di quello che ha detto: si fida di te e di tutto quello che ti rappresenta».

Derek negò ancora, fortemente e con convinzione, stroncandola nell’immediato. «È costretto dal Nemeton».

La lupa lo guardò giudicante e con disapprovazione, aggrottando le sopracciglia. «Sei davvero così cocciuto?» domandò retoricamente, lanciandogli un’occhiataccia. «Il Nemeton conosce il suo cuore, non agisce a caso e tutto questo non può essere casuale».

«Cora» la ammonì l’Alpha scomparso dentro di lui, esasperato e disturbato dalla conversazione.

«Torno in sud America» rivelò la ragazza immediata e con fierezza.

Derek rimase per qualche attimo a fissarla dritta nelle iridi scure, senza proferire parola o battere le palpebre. «Ci andremo insieme».

«No, andrò da sola» dichiarò assolutista ed inflessibile, scartando qualsiasi opzione già in partenza. «Tu hai una bella gatta da pelare qui ed io non riesco a resistere un attimo di più in questa cittadina, non è più casa mia» ma è la tua.

Il licantropo ignorò l’ennesima allusione poco velata e la figura da fratello maggiore faticava a sparire. «Non ho voce in capitolo» non era una domanda, ma una costatazione in piena regola.

«Esattamente» asserì la ragazza senza mezzi termini e giri di parole. «Partirò domattina stessa».

Un silenzio significativo cadde nel monolocale e per minuti interi rimasero nelle medesime posizioni in cui erano, senza emettere fiato o muoversi accidentalmente.

Il cucciolo d’uomo strusciò appena una guancia sul pettorale, affondando maggiormente nella piccola nicchia creata dal braccio piegato dell’uomo, lì dov’era più caldo e riparato, e Cora si alzò dal divano, come se avesse interpretato quel gesto come un via libera e si mosse verso il proprio letto, senza alcuna parola di saluto, ma prima di andar via si fermò per un solo secondo, nel cuore del grande spazio aperto, catturando tutta l’attenzione che le era dedicata. «Non credo abbia scelto te perché sei stato il primo che ha incontrato in queste sembianze» e lo lasciò nel silenzio e nelle tenebre dell’appartamento con un piccolo Stiles che gli circondava e riscaldava il petto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ebbene sì, abbiamo a che fare con un piccolo minuscolo Stiles. Un piccolo Stiles di cui dovrà occuparsi notte e giorno il lupo musone per antonomasia e di certo non è una sfida facile. Ne sarà in grado, Stiles gli darà il suo bel da fare? Sarà capace di riportarlo indietro?

Per quanto riguarda le varie donazioni di vestiario ai rifuggi animali, sono del tutte vere. Ho fatto volontariato in un gattile e frequentato posti similari, la gente dona di tutto e serve tutto, anche semplicemente per farli giocare, quindi non stupitevi se sono riusciti a trovare dei vestiti adatti allo Stiles di cinque anni.

A martedì,

Antys

   
 
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