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Autore: gravityhits    13/11/2018    0 recensioni
Due universi, due persone appartenenti a pianeti diversi che non avrebbero mai dovuto collidere. Entrambi svuotati da una vita che non si aspettavano di avere, entrambi soli contro loro stessi. Lei in caduta libera, in attesa che la gravità faccia il suo lavoro, lui pronto a prenderla.
Kairos: momento giusto, critico o opportuno per agire.
Genere: Dark, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Violenza
Capitoli:
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Kasper
 
Un getto d’acqua fredda attraversava il mio corpo, era la temperatura a cui ero stata abituata. A lui piaceva giocare allo scienziato, si dilettava a testare la mia resistenza e la mia soglia del dolore. Passavo ore immersa in vasche d’acqua ghiacciata o a centimetri da fonti di calore a temperatura elevata. Lui prendeva appunti, annotava ogni mia reazione e i miei tempi, ogni singola settimana. Avevo sviluppato una certa freddezza, un’insensibilità al dolore e anche nella vita in generale. Non provavo nulla se non dolore costante e profonda empatia. Quel getto d’acqua fredda era la mia casa, ciò che conoscevo meglio e ciò che mi faceva sentire me stessa. 
Carter era in cucina, si preparava la colazione e si aspettava delle scuse. Non ero come tutti gli altri, non avevo imparato le norme sociali a scuola e quindi non avevo idea di come comportarmi con le persone. Ero stata costretta ad impararlo, ad adattarmi al mondo in cui non sapevo di vivere. Cose come chiedere ad una persona come stava per sentirsi rispondere sempre allo stesso modo nonostante non sia sempre la verità oppure scusarsi per aver ferito qualcuno nonostante non riuscissi a capirne la ragione. Mi limitavo a farlo, mi scusavo e andavo avanti con la mia vita. -Non hai nemmeno idea del perché io sia arrabbiato, non è vero?- rispose Carter al mio tentativo di scusarmi. Non avevo idea del perché fosse arrabbiato, non avevo fatto niente di sbagliato a mio parere ma lui non la vedeva come me. -Hai scelto uno sconosciuto al posto mio- disse, lo guardai confusa. -Hai preferito aiutare un ragazzo che nemmeno conosci al posto di stare con me, la persona che ha perso il lavoro per venire a prendersi cura di te.
Una questione di priorità, ai suoi occhi avevo messo al primo posto un ragazzo di cui conoscevo solo il nome piuttosto che mettere lui. Non avevo idea che potesse ferirlo perché non avrebbe ferito me ma c’erano poche cose capaci di ferirmi. Chiesi scusa, di nuovo, lo guardai negli occhi, sorrisi e lui mi credette. 
Presi le mie cose e uscì di casa per andare a lezione. Entrai in classe più tardi di quello che avevo programmato e i posti erano quasi tutti occupati. Mi sedetti infondo, accanto ad un paio di ragazze e il posto alla mia destra era ancora vuoto. Il professore entrò e si sedette alla sua cattedra. Poi entrò lui, cogliendomi di sorpresa. Guardava il suo telefono e saliva i gradini alla ricerca di un posto vuoto. 
Era a qualche fila al di sotto della mia quando lo vidi alzare lo sguardo, finsi di non guardarlo ma i nostri sguardi finirono comunque per incrociarsi. Mi sorrise e io ricambiai, abbassai lo sguardo e continuai a scrivere. Qualche secondo dopo torreggiava su di me, aveva un buon profumo. . -È libero?- chiese, sorrisi e annuì, si sedette accanto a me e ebbi la sensazione che tutti ci guardassero. -Che cosa ci fai qui?- chiese, lo guardai confusa dalla domande stupida e inutile che aveva posto. Considerai la possibilità di farglielo notare ma poi ricordai che la totale sincerità era una pessima mossa, agli esseri umani non piace. -Non avevo niente da fare quindi ho pensato di dilettarmi al gioco d’azzardo nella classe di una prestigiosa università e vedere come gli studenti avrebbero reagito alla mia presenza, tu?- chiesi, lui sorrise e scosse la testa. -Pensavo fossi studiassi lettere, ecco per quale ragione ho fatto quella domanda- disse, annuì e scossi la testa. -No, criminologia- risposi, lui sembrò sorpreso come se ai suoi occhi non appartenessi a quel posto. Avevo riconosciuto quello sguardo, in molti mi avevano guardata in quel modo per una serie di motivi diversi. -Non ti ho mai detto di che facoltà facessi parte, suppongo ti stia confondendo con una delle tante ragazze con cui flirti casualmente…conosci almeno il mio nome?- chiesi, mettendomi sulla difensiva. Non sopportavo essere guardata in quel modo, come se non facessi parte di quel gruppo di persone, come se non fossi abbastanza. -Conosco il nome falso che mi hai dato, ho solo fatto un’errata supposizione, hai intenzione di crocifiggermi per aver pensato che potessi essere una studentessa di lettere?- chiese, annuì e decisi di aver reagito in modo eccessivo. 
Uscimmo dalla classe insieme e io ebbi la sensazione di essere osservata, odiavo quella sensazione. -Mi dispiace per prima- dissi, sorrisi e infilai le mani in tasca. -Figurati- disse, stavo per andare via quando mi chiese se volessi bere un caffè con lui. Lo guardai, mi piaceva guardarlo, aveva un viso piacevole alla vista. Vidi una serie di immagini, cose che sarebbero potute succedere sei io avessi accettato il suo invito. Lasciai le due parti di me lottare per chi avesse ragione ma alla fine fui io a decidere. C’era qualcosa in lui. Dietro ai suoi occhi c’era qualcuno che avrei voluto conoscere meglio. Non mi capitava spesso di provare interesse per qualcosa o per qualcuno.
-Quindi, da dove vieni, Kasper?- chiese, mentre andavamo a sederci ad un tavolo. -Domanda complicata- risposi, lui sembrò confuso. -Ho la sensazione che ogni cosa con te sia complicata- replicò, serrai le labbra e scrollai le spalle. -Okey, vediamo…dove sei nata?- chiese, in quel momento iniziai a riconsiderare la mia decisione di prendere un caffè con lui. Non avevo considerato la possibilità che tutte le cose che volevo sapere su di lui potesse potenzialmente volerle sapere di me. Non avevo amici normali, persone che avevano vissuto una vita convenzionale, con famiglia convenzionali. Avevo solo due persone nella mia vita e loro avevano una visione del mondo simile alla mia. Rebecca era scappata di casa a sedici anni perché suo padre la molestava e sua madre era troppo occupata a farsi di eroina per fare qualcosa. Carter era stato abbandonato dalla famiglia a causa della sua dipendenza che era nata dalla sua voglia di aiutare la sua famiglia. Ci eravamo ritrovati nello stesso posto, soli, senza una famiglia e a nessuno di noi piaceva parlare del passato. Capitava in rare occasioni solitamente in presenza d’alcol. Io non parlavo mai del mio passato perché non ero capace di mentire e preferivo di gran lunga passare per una stronza piuttosto che raccontare la mia verità. Quella per lui era solo una domanda di routine, qualcosa di normale e innocuo ma per me era una porta della mia vita chiusa a chiave alla quale non avevo accesso e probabilmente non l’avrei mai avuto. -Non ne ho idea- risposi, lui mi guardò confuso. -I tuoi genitori?
 -Che cosa vuoi sapere di loro?- chiesi, lui sorrise divertito e bevette un sorso del su caffè. 
-Loro dove sono nati?- chiese, deglutì e sospirai. -Sono sicura che entrambi siano nati in un ospedale- risposi, lui rise e scosse la testa. -Sei davvero così misteriosa o è solo una finta?
-Nessuno dei due, probabilmente- replicai, lui sorrise. -Che cosa ti ha spinto a scegliere legge?- chiesi, rigirando l’attenzione su di lui. -Non è stata una scelta- disse, non sapevo a che cosa si riferisse ma annuì comunque. -Tu che ragioni avevi?
-Salvare il mondo, attrazione perversa per i crimini e infanzia problematica, scegli quella che preferisci- risposi, lui sorrise e scosse la testa. -C’è una festa sta sera- disse, sospirai all’idea che volesse invitarmi in un luogo affollato, in cui la probabilità di venire drogata e stuprata era una su cinque. -Interessante, grazie per l’informazione- risposi, lui rise e scosse la testa. -Stavo cercando di invitarti- disse, sorrisi. -Non sono esattamente il tipo che va alle feste, hai visto come mi vesto…non è certo perché adoro le conversazioni con gli esseri umani, l’obbiettivo di solito è essere talmente in incognito da diventare invisibile all’occhio non allenato- dissi, Kareem rise e mi scrisse qualcosa su un foglio. -Una confraternita- dissi, leggendo l’indirizzo. 
-I film non ne parlano bene- aggiunsi. -Si, la gente ci vede come un gruppo di stronzi con il testosterone alle stelle e una voglia continua di birra.
-Quindi non siete un gruppo di stronzi con il testosterone alle stelle e una voglia continua di birra? – chiesi. -Siamo un gruppo di stronzi, questo è sicuro.
-Non ti facevo tipo da confraternita, sembri troppo…-esordì, non sapendo bene come terminare la frase. -Intelligente?
-Attraente- risposi, lui mi guardò sorpreso e sorrise abbassando lo sguardo. -I ragazzi come te non fanno parte di una confraternita perché sono abbastanza belli da ottenere le ondate di sesso senza troppo sforzo- continuai, lui rise e annuì. -È un complimento o mi stai prendendo per il culo? È difficile da capire.
-È una semplice costatazione- risposi. -Mi farebbe piacere vederti alla festa, renderebbe l’agonia di discutere con altri esseri umani più piacevole- replicò, sorrisi e annuì.  
Mentre uscivamo dalla caffetteria notai un gruppo di ragazze che mi guardavano e bisbigliavano, ebbi la sensazione che i loro commenti non fossero gentili e pensai chissà se è questo che succede al liceo. Kareem mi chiese di aspettarlo lì e così feci. 
Una di loro venne verso di me, alta, di bell’aspetto e vestita esattamente come le copertine delle riviste. -Joe Randall, giusto?- chiese, annuì e non mi chiesi nemmeno come facesse a conoscere il mio nome finto datomi dallo stato. -Kareem non è solito a fare opere di carità.
-Non ricordo esattamente quando ti ho posto questa precisa domanda, ma grazie per l’informazione- dissi, lei mi fulminò con lo sguardo e io sorrisi. -Non sei alla sua altezza, in più ha una ragazza quindi dovresti starli alla larga. 
-E questa famosa ragazza per caso si trova davanti a me?- chiesi, lei sembrò offesa ma scosse la testa. -Dovresti saper stare al tuo posto, matricola. I ragazzi come…
-Hey, Jennifer, perché…perché non vai a farti un giro? Ci sono talmente tante altre attività che potresti considerare oltre a quella di rompere le scatole ad una ragazza che nemmeno conosci. Per esempio potresti prendere a calci un bambino, spingere i vecchietti dal marciapiede…- disse Kareem interrompendo la ragazza. Lei tornò dal suo gruppo di amiche e visto il modo in cui mi guardava le raccontò l’accaduto. -Spero non sia stata troppo crudele…
-È stata adorabile, devo aspettarmi questo genere di…ambiente alla festa?- replicai.
 -Probabile, ma credo tu sia in grado di gestire la situazione- replicò lui, sorrisi e annuì. -Spero non l’abbia mandata la tua ragazza- ribattei, lui sospirò e strinse i pugni. -Non ho una ragazza..
-È ciò che dici alle ragazze che inviti alle feste?
-È ciò che dico a chiunque, perché è la verità- rispose, il suo sguardo era talmente intenso che non potei fare a meno di crederli. -Quindi quella ragazza ha solo una morbosa cotta per te?
-È una sorta di groupie- rispose, lo guardai confusa. -Hai delle groupie? Wow, ho sempre sognato di conoscere Zac Efron- replicai, lui rise e scosse la testa. -Potevi almeno paragonarmi a qualcuno di più attraente, ad un icona. Bob Dylan, Bon Jovi, Micheal Jackson, avrei accettato persino Mariah Carey- ribatté, facendomi ridere. -Questo posto è molto simile al liceo, tutti conoscono tutti e tutti parlano di tutti, sai com’è?- disse, a quel punto sapevo esattamente cosa dire ma non riuscì a dirlo. -Non esattamente…non sono stata al liceo.
-Non ti sei persa niente. Studiato a casa quindi?- rispose, annuì e sospirai. -Si, più o meno.
-Notevole, è difficile entrare qui senza un buon liceo alle proprie spalle.
-Ho avuto fortuna…il mio saggio d’ammissione è stato d’aiuto- dissi. 
 
Kareem
 
Una volta tornato alla confraternita, dopo aver studiato diritto internazionale e sociologia mi sdraiai sul letto e presi il saggio d’ammissione della ragazza misteriosa. Lo leggevo per la decima volta ma solo dopo aver avuto una lunga conversazione con Kasper iniziai a vedere il volto dell’autrice del racconto. Avevo la strana e inspiegabile sensazione che l’autrice del racconto e la ragazza che avevo conosciuto un paio di settimane  prima potessero essere la stessa persona. Iniziai a notare alcune similitudini tra le due persone o forse la mia mente mi stava prendendo in giro, forse volevo che fossero la stessa persona e cercavo cose in comune la dove non esistevano. Non riesco a spiegare perché la mia mente desiderasse così tanto che fossero la stessa persona ma lo voleva. Pensai alle cose che mi disse quella mattina su come era entrata alla Columbia e al fatto che aveva studiato da casa. Supposi che la ragazza del racconto dovesse aver perso anni e anni di scuola, che probabilmente non sarebbe mai riuscita a tornare in società e frequentare un liceo. Sapevo per certo che i criteri per entrare alla Columbia esigevano un’educazione nelle più buone scuole del paese, che la probabilità di venire ammessi senza aver frequentato una buona scuola erano basse se non inesistenti e infine ero sicuro che nessuno fosse mai stato ammesso solo grazie al saggio d’ammissione. Per la Columbia quelle cinque mila parole che chiedono di scrivere erano considerate solo come una formalità, un qualcosa in più per conoscere meglio lo studente e che mai nessuno era riuscito ad entrare grazie solo a quest’ultimo. -Kareem, hai intenzione di aiutare o vuoi passare il resto del pomeriggio rinchiuso nella tua stanza a fare il secchione?- chiese Jeff, entrando nella mia stanza senza bussare. -La prossimo volta bussa..- dissi, alzandomi e fulminandolo con lo sguardo. -Perché? Non c’è nessuna ragazza con te- replicò, roteai gli occhi al cielo e sospirai. 
-Ho sentito dire che hai una nuova amica e che è piuttosto….brutta- disse, mentre scendevo le scale insieme a lui. -Passare da Lucy a un brutto anatroccolo….opera di carità? Sovracompensazione?- chiese, lo fulminai di nuovo con lo sguardo e lui smise di parlare. 
-Roger ha invitato Lucy- disse, nell’intento di ferirmi o farmi incazzare. -Buon per lui- replicai, lui guardò Roger e quest’ultimo venne verso di noi. -Senti, so quali sono le regole, siamo amici e non dovrei nemmeno parlare con la tua ex ma…abbiamo quasi tutte le lezioni in comune e diciamocelo, lei è stupenda, intelligente e il suo sorriso sembra una chiamata in paradiso. In più non tornerete mai più insieme quindi…
-Roger, non mi interessa- dissi, con indifferenza dirigendomi verso la cucina. -Amico, non voglio che tu ce l’abbia con me perché mi faccio la tua ex ragazza.
-Non usare quel termine- replicai, lui mi guardò confuso. -Quale termine?
-Fartela…Non parlare di lei come se volessi solo fartela, non è il tipo da una botta è via- risposi, lui sembrava gongolare. -Dovresti smettere di difenderla, infondo non è più roba tua, ora è il mio turno come sarebbe dovuto essere fin dall’inizio- replicò, sospirai e presi una birra. -Non volevo dirlo per non sembrare uno stronzo ma non mi sono mai tirato indietro prima quindi perché iniziare ora- esordì, tutti i ragazzi ci stavano ascoltando nonostante fingessero il contrario. -La disgusti, l’hai sempre disgustata. Lucy è una ragazza di classe, esce con gente come me, gente che sa esattamente come comportarsi in luoghi pubblici. Non esce con ragazzini che si ubriacano e ballano nudi sul tavolo della cucina. Ha accettato di venire solo perché sapeva che ci sarei stato anche io- dissi, lui strinse i pugni furioso e prima che potesse fare un passo verso di me e per colpirmi Logan lo fermò. -Ragazzi, c’è una festa sta sera, la gente deve invidiarci quindi perché non fate pace e tornate a farvi le treccine a vicenda?- chiese Logan, sospirai e andai verso il giardino. Conoscevo Roger da tutta la vita, avevamo frequentato lo stesso liceo e lui era la mia ombra. Nella sua mente contorta gli avevo rubato Lucy quando eravamo al liceo. In realtà lei aveva deciso che mi avrebbe avuto prima ancora che la conoscessi, e da brava ragazza del Upper East Side quale era, aveva ottenuto ciò che desiderava. -Quindi chi è la ragazza di cui tutti parlano?- chiese Logan, raggiungendomi in giardino, accesi una sigaretta e ne aspirai il fumo tossico. -Non saprei rispondere alla domanda- risposi, lui inclinò il capo e mi guardò con sguardo accusatorio. -È la ragazza che hai fermato un paio di settimane fa, la matricola, quella che ti ha liquidato freddamente- risposi, lui mi guardò confuso. -La ragazza cipolla? Quella con dodici strati di vestiti addosso?- chiese, io annuì. -Ti piace quel Pokemon li?- chiese, facendomi ridere. -Abbiamo solo preso un caffè, chiacchierato, siamo amici credo- risposi, lui mi guardò di nuovo con sguardo accusatorio. -Tu non hai amici, hai me ma non hai altri amici. 
-Oh davvero?
-Da amico, devi sapere che non piaci alla gente- rispose, sorrisi e scrollai le spalle. -E la gente non piace a me- replicai, lui sorrise. -Quindi dimmi la verità, stai cercando di fartela? È la tua nuova sfida?
-Nuova?- chiesi, confuso. -La tua ultima sfida è stata quella di sedurre e far innamorare di te una ragazza perfetta, stare con lei per quasi sei anni e poi prendere la decisione di distruggerla psicologicamente senza nessuna ragione logica. Questa ragazza cipolla, questa ragazza perfettamente normale, è la tua nuova sfida?- chiese Logan, deglutì e scrollai le spalle. -È solo una ragazza…
-Ti hanno visto tutti con lei, hanno detto che ti divertivi, che sembravi diverso. Quindi non è solo una ragazza, perché se fosse solo una ragazza ora te la staresti scopando da qualche parte nel campus. Se fosse solo una ragazza non avresti preso un caffè con lei, se fosse solo una ragazza ora non staremmo parlando di lei.
-Mi spieghi qual è il problema? Che cosa vuoi che ti dica esattamente? Che questa ragazza mi piace? Perché non è così, non mi piace ma mi intriga. 
-Si, è esattamente ciò che volevo dicessi- replicò Logan, gettai il mozzicone a terra e lo pestai. -Succede raramente ma quando qualcosa o qualcuno ti ‘’intriga’’ tendi a dare del tuo peggio- disse, entrando in casa. -Da quando ti interessi alle ragazze con cui parlo?
-Da quando parli con le ragazze che ti vuoi portare a letto- replicò, scossi la testa e sospirai. 
Il modo in cui Logan mi vedeva mi incuriosiva, sapevo che tutti mi vedevano in quel modo. Che nonostante fossi stato con la stessa ragazza per sei anni ero comunque tossico, impenetrabile, un vero pezzo di merda. Avevo tradito Lucy così tante volte negli ultimi anni da meritarmi il titolo di pezzo di merda e le ragazze con cui l’avevo tradita in qualche modo finivano sempre per odiarmi per ciò che le avevo fatto. Avevo un rapporto disfunzionale con le donne, probabilmente dovuto alla mia incapacità di provare empatia o qualsiasi altro tipo di emozione o forse a causa della mia famiglia. Le persone mi vedevano in un certo modo, sapevano esattamente chi ero e non avevo mai pensato di smentirle perché avevano le loro ragioni. Non ricordo esattamente l’ultima volta che provai qualcosa, anche solo una leggera stretta al cuore nel vedere Lucy piangere, compassione per Logan quando parlava di sua madre o semplice affetto per la mia. Sentivo qualcosa solo in rare occasioni, nel leggere il racconto di quella ragazza per esempio. 
Per le undici la villa iniziò a riempirsi, ragazze e ragazzi di ogni età entravano in casa, andavano verso la cucina e ne uscivano con un bicchiere di birra. Rimasi al piano di sopra ad osservare la gente entrare e gradualmente ubriacarsi e magari fingere di divertirsi. Poi vidi lei.
 
Kasper
 

Tornai all’appartamento e fui sorpresa di trovare Rebecca e Carter in casa. Erano seduti sul divano e guardavano la tv, mi sedetti accanto a loro e dibattei con me stessa su che cosa raccontarli. Ero piuttosto sicura che raccontare di Kareem li avrebbe spaventati, avrebbero avuto paura che io potessi raccontare troppo e ferirmi. Come se fosse possibile.
D’altra parte però ero piuttosto curiosa di vedere che cosa sarebbe successo se fossi andata a quella festa, se per una volta avessi smesso di pensare e avessi semplicemente agito. Infondo desideravo sentirmi come tutti gli altri, avevo lavorato allungo per imparare a sentirmi come loro forse era il momento di testare ciò che avevo imparato su persone che non mi conoscevano per niente. -Mi hanno invitato ad una festa- borbottai, gli occhi di entrambi finirono su di me, sorpresi che qualcuno osasse parlarmi. -Ti hanno…tu?- chiese Rebecca. Come se l’idea che qualcuno potesse considerare l’idea di invitarmi da qualche parte fosse impossibile. -Non personalmente, ma si…è sta sera se vi va di andare- risposi, cercai di rimanere vaga e non farli capire che qualcuno in particolare mi aveva invitata. Avevo l’impressione che l’idea che io potessi sentirmi o comportarmi come gli altri li spaventasse. Forse li spaventava l’idea che la gente potesse venire a conoscenza del mio passato, forse temevano che la verità mi avrebbe potuta consumare. Avevano paura che gli altri mi vedessero per chi ero veramente e non li biasimavo, anche io avevo paura. Loro non conoscevano la mia verità, sapevano solo ciò che li avevo permesso di sapere, le piccole briciole di me con cui li avevo nutriti fino a quel punto. Nonostante fossero lontani da conoscere la verità l’idea che qualcuno mi vedesse come mi vedevano loro li terrorizzava. Mi chiedevo spesso che cosa sarebbe successo se avessi detto tutto, tralasciando alcun dettaglio. Se avessi raccontato ogni mia cicatrice, sarebbero comunque rimasti al mio fianco, mi avrebbero comunque guardata allo stesso modo?
-Perché no…- disse Rebecca, guardammo entrambe Carter in attesa di una risposta. -Una confraternita?- chiese, scrollai le spalle e sorrisi nella speranza che potesse decidere di venire con noi. -Sai che alle feste saresti circondata da un gruppo di persone, vero? Che la possibilità che qualcuno ti tocchi accidentalmente aumenti in un luogo così affollato?- disse Carter, sospirai e annuì. -Non vi lascerò andare da sole, questo è poco ma sicuro- disse, Rebecca lo abbracciò e mi afferrò per il braccio trascinandomi nella sua stanza. -Aiutami a scegliere che cosa mettere- disse Rebecca, la guardai aprire il suo armadio e tirare fuori i suoi vestiti succinti che fanno impazzire ogni ragazzo sulla faccia della terra. Esitai a chiederle un consiglio su che cosa mettere, non volevo farle credere di voler incontrare qualcuno a quella festa e non volevo cambiare il mio modo di vestire per conformarmi ad un gruppo ma volevo anche sentirmi normale. -Che ne dici di questo?- chiese mostrandomi un tubino nero piuttosto corto. 
-Mi sembra perfetto- dissi, lei mi lanciò un’occhiataccia. -Ti dispiace aiutarmi a scegliere che cosa mettere?- chiesi, lei sorrise e annuì. -Dovrei scegliere tra felpa nera e felpa nero scuro? Perché non segui il tuo istinto?- disse, sorrisi e scossi la testa. -Magari mi puoi prestare qualcosa- disse, il suo viso si illuminò e iniziò a frugare nel suo armadio, qualche secondo dopo estrasse un vestito in latex rosa fluo e mi sorrise. 
-Non ho nemmeno idea di come si faccia a metterlo- ribattei, lei roteò gli occhi al cielo e sospirò. -Borotalco e lubrificante- disse, mi misi a ridere e la portai nella mia stanza. 
La portai nella mia camera e la lasciai cercare qualcosa di adatto ad una festa. Prese una delle mie magliette degli AC/DC oversized e me la gettò addosso. -Potresti fare uno sforzo in più- replicai, lei mi lanciò un occhiataccia e sospirò. Mi passò dei pantaloncini e andò a prendere delle calze a rete e degli stivali alti fino alla coscia dalla sua stanza. -Quindi, per chi è che fai tutti questi sforzi?- chiese, mentre infilavo le calze a rete. -Nessuno- risposi. -Sei sicura?- chiese, mentre mi guardavo allo specchio cercando di capire se fosse una buona idea uscire vestita in quel modo. Mi sentivo esposta, il mio corpo era in bella vista e non ero abituata a vederlo. Le felpe e i maglioni di tre taglie più grandi tenevano nascosta da ogni tipo di sguardo. Vestirmi in quel modo, con vestiti della mia taglia, come una ragazza….era diverso. Carter bussò e qualche secondo dopo entrò in camera. -Se volete andare dobbiamo…- esordì prima che mi girassi a guardarlo. Mi diede una lunga occhiata, dalla testa ai piedi e viceversa. Per qualche ragione il suo viso si illuminò e pochi secondi dopo si spense, come se avesse trattenuto un sorriso. -Stai davvero bene vestita così, avevo dimenticato che avessi delle gambe- scherzò , sorrisi e ringraziai. -Come mai questo cambiamento?- chiese, scrollai le spalle e sistemai i stivali. -Solo per te, Carter- scherzai, lui sorrise e arrossì. 
 
Kareem
 
Avrei preferito essere altrove, qualsiasi altro posto era meglio di quello. Una stanza affollata, piena di persone di cui non mi importava nulla, ragazze pronte a buttarsi ai miei piedi e pettegolezzi sulla mia esistenza. Notavo la gente bisbigliare dalla balconata, parlavano di me e di chissà quale nuova storia fosse uscita fuori. Mi guardavano, poi bisbigliavano qualcosa alla persona più vicina e quest’ultima posava gli occhi su di me. Avevo smesso di frequentare quelle feste, solitamente mi chiudevo nella mia stanza o andavo dove nessuno aveva idea di chi fossi. C’era un magazzino abbandonato in un quartiere malfamato del Queens, nessuno conosceva il mio nome lì. Era il mio posto sicuro, piuttosto paradossale visto che la sicurezza era l’unica cosa di cui mi sarei dovuto preoccupare andando lì. C’era sempre una possibilità di rimanerci secco, anche solo per sbaglio ma era l’unico modo che conoscevo per provare qualcosa.
Non ci andai quella sera, aspettavo qualcuno. 
Mi ci volle fin troppo tempo per rendermi conto di chi fosse, solo quando alzò lo sguardo e incrociò il mio la riconobbi. Non indossava la solita felpa larga e i soliti jeans scuri, i suoi capelli non erano nascosti da un cappello e un cappuccio e i suoi occhi non erano mai stati così belli. Notai quanto fossero lunghe le sue gambe, pensai che il rossetto le stesse bene e apprezzai il leggero trucco che aveva messo. Il suo corpo era perfetto e non riuscivo a smettere di guardarla. Prima di quel attimo non avevo idea che i suoi capelli fossero corti e neri, si accordavano perfettamente con la sua pelle dorata. Si soffermò a guardarmi tanto quanto mi ero soffermato io, poi una ragazza la tirò per il braccio e svanì nella massa. Vidi il suo amico, quello che mi aveva preso a pugni, con lei.
Decisi che era il momento di scendere e partecipare al divertimento, quella fu la scusa che usai per illudermi di non essere sceso a causa sua. Andai verso la cucina per prendermi qualcosa da bere, la vidi insieme ai suoi amici vicino al bancone dove tenevamo i fusti di birra. -Sbaglio o quella è la ragazza cipolla?- chiese Logan, distogliendo il mio sguardo da lei. 
-Si chiama…- esordì prima di rendermi conto di non conoscere il suo vero nome. -Questo è il Kareem che conosco!- esultò all’idea che non conoscessi il suo nome. Come se facesse parte della mia personalità, come se fosse normale per me non dare importanza alle persone con cui parlavo tanto da non ricordare il loro nome. Persino lei aveva fatto un commento del genere quella mattina eppure non aveva idea di chi fossi ma in qualche modo anche lei lo sapeva. -L’hai invitata tu suppongo- aggiunse, annuì e presi una bottiglia di whiskey dal bar, misi un paio di cubetti di ghiaccio e versai due dita di whiskey. –È vestita in modo diverso…capisco perché tu voglia fartela ora- disse Logan, strinsi i pugni e sospirai. -La sua amica è davvero sexy!- esclamò. -Ho l’impressione di averla vista da qualche parte- aggiunse, smisi di ascoltarlo quando lei mi rivolse un’occhiata. Le feci cenno di andare verso il salotto e lei annuì, versai in un altro bicchiere del whiskey e andai verso il salotto. Mi misi vicino alla seconda uscita dalla cucina e aspettai. Vidi che i suoi amici erano dall’altra parte della stanza a ballare e fui sollevato all’idea di poter stare un po' solo con lei. Un paio di minuti dopo uscì dalla seconda porta della cucina con un bicchiere rosso tra le mani. -Hey- dissi. -Hey- disse, con un sorriso. Le tolsi il bicchiere di birra dalle mani e le porsi il whiskey. Lei lo annusò e sorrise. -Grazie- disse, annuì. -Sei venuta.
-Mi hai invitata.
-Non mi aspettavo venissi.
-Era solo un invito educato, quindi? Non volevi che venissi?
-No, sono felice di vederti qui, felice e piacevolmente sorpreso- replicai, lei sorrise e arrossì. 
-Non ti avevo riconosciuta all’inizio- aggiunsi, la misi in imbarazzo e la trovai particolarmente bella in quel momento. -Tutte le mie felpe erano a lavare quindi…
-Mi piace…fa molto anni novanta- replicai, lei sorrise. 
 
 Kasper
 
Aveva un buon profumo, delicato e attraente, muschio con una nota di agrumi e rosa. Indossava una camicia bianca, leggermente sbottonata e dei jeans strappati. Le luci soffuse in qualche modo accentuavano il suo sguardo, i suoi occhi castani brillavano. Nonostante la musica assordante, la sua voce era particolarmente rilassante. Il suo sorriso illuminava la stanza, la sua presenza era indescrivibile. Nel momento in cui misi piede in quella casa lui fu la prima persona che vidi, era come se i suoi occhi brillassero alla ricerca dei miei. Ci fu un lungo silenzioso attimo in cui lui vedeva me e io vedevo solo lui. Mi sentivo estremamente stupida a pensare cose come quella, non riuscivo a capire che cosa mi stesse succedendo e perché quello sconosciuto avesse così tanto potere su di me. Avevo la sensazione che lui sapesse esattamente come comportarsi con me, come se sapesse che non volevo che i miei amici lo vedessero perché temevo il loro giudizio. Come se mi avesse letto nel pensiero quando mi chiese di raggiungerlo dall’altra parte del salotto. Era il posto perfetto, abbastanza buio da non essere visti e abbastanza vicino alla pista da ballo per poter tenere d’occhio Carter e Rebecca. -Sei venuta con Rocky- disse, sorrisi e annuì. -Prometto che ti proteggerò da eventuali pugni inattesi d’ora in poi- dissi, lui rise e alzò il mignolo, sorrisi e incrociai il mio al suo. -Kareem!- esclamò una voce alle mie spalle, mi voltai e vidi il suo amico, quello che aveva portato a galla ricordi che avrei preferito tenere nascosti. -Non mi presenti la tua amica di sesso femminile?- chiese, avvolgendo il braccio attorno alle spalle di Kareem, lo fece con estrema difficoltà considerati i centimetri di differenza. -Nah, passo- rispose lui, il suo amico lo guardò e poi guardò me. Non mi infastidì come la prima volta che posò gli occhi su di me. 
-Logan, piacere di conoscerti- disse, porgendomi la mano e guardandomi in modo sospetto, guardò il suo amico mentre io gli stringevo la mano. -Joe- dissi, Logan fece l’occhiolino a Kareem e sparì tra la folla. -Particolarmente inquietante- dissi, Kareem sorrise e abbassò lo sguardo. -Cercava di…aiutarmi- disse, esitante, lo guardai confusa e lui buttò giù un goccio di whiskey. -Aiutarti?- chiesi. -Si è presentato per farti dire il tuo nome..
-È così che funzionano solitamente le presentazioni…- dissi, confusa. -Pensavo che non mi ricordassi il tuo nome, quindi è venuto qui per presentarsi e spingerti a dirmi il tuo. 
-Oh…giusto, tu non conoscevi il mio vero nome fino a poco fa- replicai, lui annuì e guardò verso la pista da ballo. -Quindi ti succede spesso?- chiesi, lui rivolse l’attenzione verso di me con sguardo interrogatorio. -Dimenticarti i nomi delle ragazze che inviti alle feste...ti succede spesso.
-Non così spesso..
-Abbastanza spesso da creare una dinamica nella quale il tuo migliore amico viene a salvarti il culo- replicai, lui rise e passò una mano tra i capelli. -Non è successo con te- replicò, sorrisi e sospirai. -Questo perché non ti ho detto il mio vero nome e il falso che ho usato era piuttosto difficile da dimenticare- dissi, lui si poggiò al muro e mi guardò. -Prima o poi avresti scoperto chi sono- disse, incuriosendomi. -Zac Efron?- chiesi, lui rise e scosse la testa. -Ho una pessima reputazione, il mio fascicolo è pieno di brutte testimonianze- disse. -Cerchi di usare il fascino del ragazzo cattivo per sedurmi? Perché non funziona- replicai, lui si morse il labbro inferiore e continuò a guardarmi. Probabilmente era solo una mia impressione ma mi guardava come se fossi l’unica persona in quella stanza. -Ho puntato una pistola contro la mia ultima ragazza, ho preso a pugni l’ultimo ragazzo che ha cercato di guardarla e…- esordì prima che Rebecca mi trascinasse verso la pista da ballo. Ballammo su una vecchia canzone di Beyoncé, lei sembrava felice di vedermi in quell’ambiente e io continuavo a pensare a lui e a ciò che mi aveva detto. Per qualche ragione non riuscivo a credere che avesse davvero puntato una pistola contro la sua ex ragazza. Avevo la sensazione che fosse solo rotto, come lo ero io, come lo era Carter. Avevo sviluppato una particolare attrazione per le persone come me, le persone che erano state spezzate, calpestate e rese più inclini ai problemi. 
 
Kareem
 
Quelle parole uscirono dalla mia bocca naturalmente, non ci pensai nemmeno per un secondo. Ciò che Logan aveva detto di me quel pomeriggio non smetteva di fare eco tra i miei pensieri. Volevo proteggere quella giovane ragazza indifesa, allontanarla da me nonostante avessi la sensazione di non esserne capace. Quelle parole uscirono dalla mia bocca per tenerla lontana, per spaventarla e farla scappare. Ma in qualche modo una parte di me sperava non mi credesse o che fosse abbastanza stupida da restare. La osservavo perché ero fisicamente incapace di staccarle gli occhi di dosso, ballava con l’amica poco vestita e sembrava non voler essere lì. Si muoveva con attenzione, sembrava stesse calcolando ogni sua mossa, come se prima di muoversi a destra o a sinistra ci pensasse per bene. Distolsi lo sguardo da lei e incrociai quello del suo amico dal pugno facile. Mi guardava come se volesse davvero farmi male e da amante delle sfide quale ero sostenni il suo sguardo. Una parte di me moriva dalla voglia di prenderlo a pugni e l’altra continuava a pensare che una cosa del genere avrebbe spinto Kasper a scappare, per davvero. Abbassai lo sguardo e osservai il mio bicchiere e quando lo rialzai vidi Logan ballare in modo troppo spinto con l’amica di Kasper, nessuna delle due sembrava apprezzare le capacità di Logan e notai disagio. Mi infilai nella pista da ballo nonostante odiassi quel contatto umano e posai la mano sulla spalla di Logan. Non feci in tempo di parlarli che l’amico dal pugno facile lo aveva già steso a terra. Guardai Kasper e poi il suo amico, mi misi in mezzo per evitare una rissa così vicino a lei e nel momento in cui guardai lei per vedere come stesse il suo amico mi colpì diritto in faccia. Feci qualche passo indietro e poi non ci vidi più. In un attimo non mi importava minimamente di chi si trovasse attorno a me o di chi avrei potuto ferire. Colpì il ragazzo una volta allo stomaco e una al volto, lui indietreggiò e poi corse verso di me placcandomi a terra. Riuscì a colpirmi una decina di volte prima che riuscissi a ribaltare la situazione e trovarmi io sopra di lui. Lo colpì fino a che le mie nocche non furono ricoperte del suo sangue, fino a quando non sentì la sua voce. Mi fermai e la guardai. -Te l’avevo detto- dissi, con un sorriso, lei mi guardò per un attimo che sembrò un eternità e poi si precipitò per aiutare l’amico. Il suo amico sembrava non avere ancora perso i sensi ma era piuttosto stordito. Mi feci spazio tra la folla e andai verso le scale per chiudermi nella mia stanza. Rimasi seduto davanti allo specchio per mezz’ora. C’era qualcosa di estremamente soddisfacente nel vedere quel sangue colare dalle mie nocche, di provare quell’adrenalina mista a rabbia insensata. Mi facevano sentire vivo. Lei mi aveva fatto sentire vivo ma mi erano bastati tre giorni di normalità per trovare una ragione per buttare tutto all’aria. Non era fatta per me, fingere di essere il bravo ragazzo, quello simpatico e gentile che ti fa complimenti e ti guarda come se fossi l’unica presente. Non era fatta per me la normalità.
 
 
 
 
 
 
 
 
Kasper
 
-Devo vedere come sta- dissi, dopo aver infilato Carter nell’auto. -Lo vedi come sta! Quel tizio gli ha spaccato la faccia!- esclamò Rebecca, con lacrime che le scivolavano lungo il viso. 
-Kareem, devo vedere come sta Kareem- dissi, lei mi guardò confusa e arrabbiata. -Chi?- chiese, deglutì. -L’altro ragazzo.
-Vuoi vedere come sta il ragazzo che ha ridotto il nostro migliore amico ad uno straccio?- chiese, stringendo i pugni e guardandomi con estrema delusione. -No devo vedere come sta il ragazzo che Carter ha preso a pugni senza ragione!- esclamai, lei chiuse la portiera dell’auto, andò alla guida e lanciandomi un’occhiataccia sgommò via dalla confraternita.
Sapevo di non doverlo fare, sapevo che avrei dovuto essere arrabbiata con Kareem per ciò che aveva fatto Carter, lo sapevo. Ma non mi importava, in quel momento volevo solo vedere come stesse Kareem, non mi importava quanto fosse sbagliato. Non pensai alle conseguenze, a che cosa sarebbe potuto succedere. Per quanto ne sapevo avrebbe potuto fare del male anche a me o spaventarmi al punto da spingermi a farmi del male. Non sopportavo la violenza, tutto quel sangue era capace di riportarmi indietro nel tempo, dove non volevo essere. Ma non mi importava.
Guardai la villa da fuori e sospirai, l’ultima cosa che mi aspettavo di vedere a quella festa era una rissa. Gli avevo promesso che non sarebbe più successo e nemmeno dieci minuti dopo erano di nuovo l’uno con le nocche dell’altro sul viso. Entrai nella villa e notai come a nessuno importasse l’accaduto, continuarono a ballare come se non fosse successo niente. Andai verso le scale e un ragazzo mi fermò. -Non puoi salire da sola, devi essere accompagnata dal proprietario di una stanza, tesoro- disse, roteai gli occhi al cielo e corsi su per le scale. C’erano un mucchio di porte ma grazie a delle gocce di sangue trovai immediatamente quella giusta. Bussai e aspettai. Quando venne ad aprire notai che non aveva nemmeno cercato di ripulire il sangue. Era passata quasi mezz’ora e lui era ancora ricoperto di sangue, non si era nemmeno cambiato. -Cosa ci fai ancora qui?
-Pensavo avessi bisogno di una mano- risposi, lui rise e notai il sangue sui suoi denti. -Credo che il tuo amico sia messo peggio di me- replicò, mi feci strada nella sua stanza e lui non oppose resistenza. Mi guardai attorno e notai quanto pulita e in ordine fosse, aveva una libreria che ricopriva tutta una parete ed era piena di libri. Ero sorpresa che uno come lui leggesse così tanto. -Dove tenete la cassetta del pronto soccorso?- chiesi, lui si sedette sul letto e non disse nulla. Andai a cercare in bagno e dopo qualche minuto tornai nella sua stanza. -Trovata, grazie del silenzioso contributo- replicai, trascinai la sedia accanto al letto e bagnai del cotone con del disinfettante. Mi sedetti un istante e mi fermai a guardarlo, apprezzavo quanto il suo viso potesse essere perfetto nonostante le ammaccature. Il suo profumo era delicato e ricopriva tutta la stanza, le sue mani erano calde e morbide, i suoi occhi continuavano a brillare e io continuavo a chiedermi che cosa mi stesse succedendo. 
Presi delicatamente la sua mano destra e tamponai le ferite. Aveva piccoli tagli sulle nocche ma tutto il sangue sembrava provenire da Carter. -Mi dispiace- dissi, lui alzò lo sguardo sorpreso. -Ti avevo promesso che non sarebbe successo di nuovo…
-Io prendo a pugni il tuo amico e tu ti scusi con me?- chiese, annuì. -Ha iniziato lui…ho visto cosa cercavi di fare- risposi, lui abbozzò un sorriso che cercò di nascondere.
 
Kareem
 

Respiravo il suo profumo e non c’era nulla di più inebriante. Tamponava delicatamente le mie ferite, soffiava su di esse per calmare il dolore e sembrava estremamente concentrata. Le sue mani erano morbide e piccole in confronto alle mie. Riusciva a guardarmi negli occhi nonostante fossi ridotto male, nonostante il sangue e le ferite. Persino quando mi vide non notai nemmeno un po' di disgusto nel guardarmi. -Dovresti essere con i tuoi amici- dissi, lei scosse la testa. -Carter sta tornando a casa con Rebecca, c’è già qualcuno che si prende cura di lui. Tu sei solo- disse, nel modo più innocente e umano possibile. -Vedo che non sei disgustata dal sangue- dissi, mentre si avvicinava con estrema delicatezza al mio viso. -Ho visto di peggio- disse, si soffermò a guardarmi negli occhi quando assunsi un’espressione confusa. -Con un amico come Carter non immagino quante altre volte ti sia ritrovata a ricucirlo.
-Non mi riferivo a lui- replicò lei. Finì di medicarmi e si alzò per curiosare in giro. Andò verso la libreria e passò le dita sui libri respirando l’odore della carta che proveniva da lì. -Li hai letti tutti?- chiese, mentre andavo verso il mio armadio. Presi una t-shirt nera e sfilai quella che portavo, lei si girò in quel esatto momento e il suo volto divenne rosso. Sorrisi nel vederla imbarazzata. -Quasi, alcuni li ho letti un paio di volte e altri per ora sono riuscito solo a sfogliarli- dissi, notai che era rimasta immobile per qualche secondo. -Sono ordinati per paese, interessante- disse, fermandosi nella sezione russa. -Guerra e Pace, l’hai letto?- chiese, prendendo con attenzione il libro dallo scaffale. -Quasi, ho particolare difficoltà con la letteratura russa. Il loro simbolismo è più complicato di quanto pensassi.
-Gira tutto attorno alla verità alla quale l’uomo aspira ma non riesce ad arrivare a causa del suo materialismo. E visto il posto in cui vivi suppongo che sia questa la ragione principale per la quale i russi sono complicati per te- disse, sorrisi sorpreso di scoprire quanto acuta potesse essere. -Hai letto i russi suppongo- replicai, lei sorrise e annuì. -Ho letto Guerra e Pace a dieci anni- disse, mi sedetti sul letto e la osservai. -Questa è la prima domanda a cui non rispondi ‘’non lo so’’ o ‘’è complicato’’- replicai, lei sorrise. -Dieci anni, notevole. L’ho finito la prima volta a quindici quindi mi hai battuto.
-Pensavo non l’avessi letto.
-Oh no, l’ho letto e finito un paio di volte ma non posso dire di averlo davvero letto fino a quando non avrò capito ogni singola figura retorica che utilizza Tolstoj- dissi, lei sorrise e annuì. -A dieci anni giocavo alla playstation nella mia stanza al buio mentre tu leggevi Tolstoj…
-Avevo molto tempo libero- disse, con un sorriso vagamente malinconico. Si avvicinò alla mia scrivania e notò il saggio d’ammissione. Ero piuttosto curioso di vedere la sua reazione, probabilmente non le sarebbe piaciuta l’idea che qualcuno avesse pieno accesso ai suoi ricordi più oscuri. Avrei capito immediatamente se fosse o meno lei l’autrice del racconto. -Come lo hai avuto?- chiese, sul volto aveva un espressione spaventata. -L’hai rubato dall’archivio scolastico?- dissi, lei sfogliò le pagine e notò le note che avevo messo. -L’hai annotato? 
-Si ci sto lavorando.
-Trovi normale lavorare su qualcosa di così intimo e personale? La persona che l’ha scritto non avevo idea che qualcuno…
-È tuo non è vero?- chiesi, lei deglutì e scosse la testa. -No, io….non vorrei che qualcuno leggesse anche il mio saggio d’ammissione.
-Come sai che quello è un saggio d’ammissione?- chiesi, lei sembrava confusa e frustrata. 
-Io…l’ho supposto- disse, insicura di ciò che diceva. Era confusa, arrabbiata e probabilmente si sentiva estremamente violata da me. -Lo sapevi?
-Cosa?
-Sapevi che ero stata io a scriverlo?- chiese, mi sedetti e la guardai. -Non ne avevo idea- risposi.
 
Kasper
 
La paura durò meno di quanto pensassi, ebbi un attacco di panico e rimasi seduta in un angolo nella stanza di uno sconosciuto ma durò solo qualche minuto. Lui era in ginocchio davanti a me e mi guardava come se non ci fosse niente di sbagliato in me. Aveva avuto accesso ad una parte di me che non avevo deciso di condividere con lui, aveva letto qualcosa di estremamente personale che avrebbe fatto cambiare idea su di me a molte persone. Ma mi guardava allo stesso modo, niente era cambiato e quella era la ragione per la quale il mio attacco di panico durò solo qualche minuto. Rimanemmo seduti su quel pavimento per ore a parlare.
Non fece domande, non mi chiese niente di ciò che aveva letto e sembrava tutto così normale. Iniziai a chiedermi se fosse il momento di essere me stessa e mostrarmi per chi ero veramente, se fosse il momento di indossare le mie cicatrici come una bandiera. Forse tutti avrebbero reagito come lui o forse lui era un caso a parte. Forse mi preoccupavo troppo di come mi vedevano gli altri o forse lui era diverso. 
-È strano- dissi, interrompendolo. -Cosa?
-Che tu non abbia alcuna domanda, che non cerchi di farmi parlare o che non cerchi di dirmi che non è stata colpa mia. Nessuno osa mai chiedere, la gente quando scopre chi sono davvero si limita a guardarmi e trattarmi come un bicchiere di cristallo scheggiato. Ho l’anima in pace, il mio passato è passato e ricordare è inevitabile per me quindi nessuna domanda tu decida di fare rischierà di ferirmi - dissi, lui sorrise e abbassò lo sguardo. -Vuoi che ti faccia qualche domanda?
-Non lo so, hai qualche domanda da farmi?- chiesi. -Hai il simbolo di un cerchio sul polso destro- disse, fissando il pavimento, mi guardai il polso e trattenni il respiro per un secondo. –‘’Lui è riuscito a marchiare l’oscurità dentro di me, per sempre’’- disse, citando una delle frasi del saggio. -È una cicatrice, a forma di luna piena che rappresenta l’oscurità. Lui ha letteralmente marchiato l’oscurità dentro di te- disse, annuì sorpresa che fosse riuscito a notarlo. -Ho solo una domanda- disse, guardandomi negli occhi. -Che cosa gli è successo?- chiese, deglutì e annuì. -È morto- risposi, fredda e distaccata. Tralasciai i dettagli legati alla sua morte, se il mio passato non l’aveva spaventato fino a quel momento, la verità sulla sua morte avrebbe sicuramente cambiato le cose. 
Lui aveva passato due settimane a studiare la mia storia, mettere note e studiarne la struttura. Parlava di me come se fossi la migliore scrittrice al mondo, usava la parola ‘’racconto’’ per riferirsi al mio saggio d’ammissione. Pensavo che un giorno avrei trovato il coraggio di raccontare a qualcuno la mia storia, che avrei amato qualcuno e che avrei deciso di condividere quella parte della mia vita con lui. L’avevo fatto, inconsciamente avevo raccontato la mia storia a qualcuno di cui, per qualche strana ragione, mi fidavo. Avevo ottenuto la reazione che speravo, nessuna. Nessun cambiamento, ero ancora la stessa persona per lui. Avevamo passato la notte a parlare, ore e ore a discutere di tutto e di niente seduti sul pavimento della sua stanza. 
Mi riportò a casa e nel momento in cui scesi dalla sua auto la magia che ci aveva invasi svanì. Tornai alla realtà dove l’idea che qualcuno scoprisse la verità su di me spaventava i miei amici a morte. Dove nascondermi e mescolarmi era vitale per la mia sopravvivenza, dove l’unica cosa bella che mi era mai successa doveva rimanere un segreto perché la paura che loro due la distruggano era troppo forte. Quindi mi limitai ad entrare in casa, bussare alla porta di Carter e chiedere scusa. Scusarmi per non essere rimasta al suo fianco, per non averlo aiutato e scusarmi per aver fatto ciò che mi aveva sempre pregato di non fare : lasciare qualcuno entrare nella mia vita. Lui mi perdonò e io provai una tale rabbia per essermi scusata e aver permesso ad entrambi di avere così tanto controllo su di me e sulla persona che ero diventata.
Volevo essere normale ma prima o poi nascondere la vera me mi avrebbe uccisa.
 
 
 
 
 
   
 
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