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Autore: Giglian    14/11/2018    1 recensioni
Nell'oscurità di una guerra incombente, le sfrenate e spensierate esistenze dei Malandrini si sfilacciano negli intrighi di una Hogwarts sempre più ricca di pericoli ed insidie. In un labirinto di incertezze, nell'ultimo anno l'amore sembra essere l'unico filo che conduce alla salvezza. Ma, per chi giura di non avere buone intenzioni, nulla sa essere semplice.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Lily Evans, Nuovo personaggio | Coppie: James/Lily
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le avventure dei Malandrini.'
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C’erano poche cose certe al mondo.
E una di queste era che se un party esclusivo veniva organizzato in una scuola piena di adolescenti, si poteva star sicuri che di esclusivo non avrebbe avuto niente.
Eh sì, non c’è cena di gala o ballo di debuttanti dove non si riesca a trovare il modo di infiltrarsi, soprattutto per persone con un certo pelo sullo stomaco.
E James Potter di pelo sullo stomaco ne aveva parecchio. Ci era nato e cresciuto.
Ciò che sconfinava ogni possibile criterio logico era invece la presenza accanto a lui.
Appoggiata alla colonna, vestita e mascherata come un uomo, Lily Evans ancora non riusciva a capacitarsene. Scoccò nervosamente un’occhiata all’orologio.
Ancora pochi minuti e Cristhine sarebbe stata annunciata. E allora sarebbero cominciati i guai…ma dopo qualche secondo capì di essere stata ottimista.
“Ma lo sai che sei uno schianto?”
Con Potter al suo fianco, i guai cominciavano sempre in anticipo.
Una bella ragazza, vestita in modo quantomeno discutibile, le si attaccò al braccio con una risatina.
Sbronza. Da ammirare più che altro per la sua originalità nel sembrare pornografica anche con un abito dell’ottocento, vista l’esageratissima scollatura che le stava sbattendo sotto il naso.
“Non ho mai visto un ragazzo con delle mani così graziose.” Cinguettò, sbattendo le ciglia. “Non mi inviti a ballare?”
Ecco, perfetto!
Fu una vera fortuna che la maschera, una pacchianata in stile veneziano, le copriva buona parte del viso, letteralmente sbiancato.
“Timido eh? Oppure straniero? Parlez-vous anglais?”
E adesso che cavolo faceva?! Non poteva certo parlare o l’avrebbe scoperta! Ma da come si strusciava quella piovra, forse non sarebbe servito nemmeno aprir bocca, lo avrebbe capito semplicemente tramite i suoi tentacoli!
Da quando le ragazze erano così diaboliche?!
Guardò Potter in disperata ricerca di aiuto, ma quello era come inebetito. Ma che cavolo gli prendeva adesso?!
Balbettò qualcosa, schiacciandosi ancora di più contro la colonna mentre la signorina si esibiva in quello che era un vero e proprio abbordaggio in piena regola.
“Oh, cazzo.” Mormorò James, appoggiando il braccio sopra di loro e chinandosi con uno sguardo che la diceva lunga. “Mi si sta appena realizzando un sogno…”
Peccato che fu svegliato ben presto dal tacco della Evans infilato nel piede. Da quando le scarpe da uomo facevano così male?!
“Ok, ok…” cacciò una parolaccia da lord, saltellando su una gamba sola. “Hey dolcezza, vicino ai cocktail distribuivano pasticche vomitose, lo sai?”
Nemmeno avesse sganciato una bomba. Due secondi e della ragazza non c’era più nemmeno la scia.
“Ah, le figlie bulimiche dei ricchi. Le adoro.” Sorrise il Malandrino, prima di venire afferrato per un orecchio.
“Stammi a sentire…” sibilò Lily, tirandolo verso di lei. “Non so ancora come diavolo tu sia riuscito a convincermi a venire qui, imbucarmi ad una festa classista piena di gente imbecille e a rischiare di nuovo il posto a scuola…ma sappi che se fai cavolate la tipa di prima non sarà l’unica a finire con la testa nel gabinetto!”
“A parte che qui non siamo sotto la giurisdizione di Hogwarts…E poi, gabinetto, Rossa? Ma non eri contro il bullismo?”
“Oh, sai…com’è che dicevi? Certe cose sono un favore alla comunità…e non chiamarmi Rossa!”
Il ragazzo la fissò con espressione sardonica. Aveva messo le lenti a contatto, si rese conto. Anche da dietro una maschera, i suoi occhioni d’oro sarebbero stati distinguibili tra mille.
Faceva uno strano effetto vederlo con le iridi color nocciola. Dove l’aveva già visto così?
Ah sì, ora ricordava. Agli esami del quinto…quando avevano raggiunto tutti quanti il fondo.
“Perché portavi le lenti a contatto?” chiese d’istinto, mentre lui aggrottava le sopracciglia.
“Eh?”
“Ai G.U.F.O. Avevi le lenti a contatto colorate.”
Perché voleva parlare di quello? Si chiese James, con una strana punta di disagio. E perché farlo gli metteva addosso…che cosa? Vergogna?
Forse perché dopo…dopo era successo il fattaccio. Non che si vergognasse di aver smutandato Mocciosus in pubblico, tuttavia…tuttavia era da quel momento che Piton e la Evans avevano smesso di parlarsi.
Ecco, di nuovo la sensazione di sentirsi un ladro tornò a fare capolino. Come se…l’avesse rubata, in qualche modo. In maniera sleale. In maniera cattiva.
E lo sguardo verde di lei, così disgustato…
“Sono un Potter.” Tagliò corto, guardando altrove. “Temevano che, se i commissari esterni avessero visto i miei occhi, avrebbero potuto favorirmi in qualche modo. La cosa divertente è che con Sirius, che avrebbe potuto essere invece svantaggiato, nessuno si è scomodato a preoccuparsi.”
“E’ così brutta?” chiese Lily, guardando tutta quella gente in abito elegante che sorseggiava drink e mangiava confetti. “Questa parte del mondo, dico.”
“Fa schifo.” Confermò Potter, con una alzata di spalle. “Non sono tutti da buttare…ma la maggior parte di loro ha perso il contatto con la realtà. Si credono al di sopra di tutto.”
“Oh, da che pulpito viene la predica!”
“Quanta acidità per una che mi ha seguito senza batter ciglio!”
“Solo per Cristhine!” si inalberò lei, avvicinandosi. “Lei non è come voi! E’…fragile.”
“E tu?” chiese il leader dei Malandrini, tornando a sogghignare.
“Io che?!”
“Oh, dolcezza, evitati quello sguardo da duchessa oltraggiata.” Le si avvicinò, puntandole un dito sul naso. “Sarai anche preoccupata per Cristhine, ma la verità è che ami il rischio esattamente quanto me. Ti piace infrangere le regole. Ammettilo!”
“Vendono anche stupefacenti qui, oltre alle pasticche vomitose?”
“E comunque ti capisco.” Continuò quello, come se non avesse parlato. “Guardati onestamente indietro. Hai passato momenti memorabili solo con noi.”
“Già, come no, una vera pacchia!” ironizzò Lily. “Da farci un album dei ricordi!”
“Pensaci. Quando sarai vecchia e racconterai ai tuoi duecento gatti i momenti più salienti della tua giovinezza, narrerai di quando hai visto un Somnus da vicino.”
“Ne avrei anche fatto a meno.”
“E poi mi guarderai - chiaramente nelle foto della sezione vip sui giornali – e mi dirai ‘Oh, mio sogno erotico inconfessato, ti ricordi di quella sera in cui abbiamo sconfitto un corno corazzato?’”
“Non l’abbiamo sconfitto noi…”
“Ammettilo Evans. Stare con noi ti diverte.”
Ok, il segreto era contare. Uno, due, tre.
Lily Evans si morse la lingua e decise di evitare di proseguire oltre quella conversazione, aprendo la porta del bagno per sciacquarsi il viso.
James Potter rimase appoggiato al muro e sorrise sotto i baffi.
Tre, due, uno…
La testolina rossa della Prefetto rifece capolino.
“Potter, qui dentro c’è un tipo legato!”
“Ah, sì.” Lui si sporse appena. “Controlli se ha ancora il bavaglio?”
“E’ in mutande!”
Lui alzò le spalle, come se stessero affrontando un argomento totalmente normale.
“E’ un Valiantine. I suoi vestiti valgono una fortuna al mercato nero!”
Si affacciò nel bagno.
“Vero o no, che i tuoi vestiti valgono un sacco?”
Il ragazzo, legato come un salame, gli scoccò un’occhiata a metà tra l’infuriato e il disperato, iniziando a mugugnare con un calzino in bocca.
“Visto, Rossa? Lo dice anche lui.”
Perché? Perché cavolo li aveva seguiti?! Cosa c’era di sbagliato nel suo codice genetico?
“Potter…”
“Andiamo, come pensavi che Sirius riuscisse a prendere il suo posto?” lui rise, divertito come il demonio. “E poi, se ti può consolare, è un colossale coglione. Vero Valiantine che sei un coglione?”
“HMMM!”
“Santo cielo. Baci tua madre con quella bocca?”
“Oh, chiudi quella dannata porta.” Sospirò la Evans, già esausta, lasciando il poveretto alla sua serata infame. “Mi partiranno le coronarie a vent’anni, lo so già! E comunque, si può sapere di preciso cosa siamo venuti a fare?”
“Coprire le spalle.” Rispose distrattamente lui, allungando improvvisamente il collo verso il centro della sala.
“Coprire le spalle?!”
“Coprire le spalle.” Ora il ghigno aveva un non so ché di infausto. Non riuscì a dire nient’altro, perché Sirius Black uscì dal gruppo di ricconi come un angelo nero, lasciando allibita mezza sala.
Aveva preso Cristhine tra le braccia, e le stava mormorando qualcosa all’orecchio. 
Alla vista, Lily digrignò i denti.
Oh, tu guarda che razza di maniaco! Doveva stare bene attento a dove metteva le sue manacce o si sarebbe ritrovato di nuovo nello sgabuzzino degli orrori, poco ma sicuro!
“Sta buona, tigre.” bofonchiò James, agguantandola per il colletto e tirandola indietro. “Non noti niente?”
In effetti, ora che ci pensava, nella sala era sceso un gelo inquietante. Aleggiava della tensione e anche una sorta di eccitazione nell’aria…come quando accade qualcosa di sconvolgente.
“Increscioso.” Ringhiò un uomo, accanto a lei. “Ma chi l’ha fatto entrare?”
“E’ l’erede dei Black.” Bisbigliò una Nobilstrega  a una sua degna compare, allungando il collo avida di pettegolezzi. “Quello scappato di casa!”
“Con la McRanney? Ma davvero?” Una megera tempestata di diamanti frecciò un risolino cattivo. “Ma non erano più neutrali della Svizzera, quelli?”
Ora le voci si fecero più basse, quasi torbide.
“Dici che sono diventati…?”
“Ne dubito. La ragazzina è una Mezzosangue…sua madre era una Maganò.”
“Non ci posso credere!”
“Orion e Walburga però non ci sono…o ne avremmo viste delle belle! Che fine hanno fatto tutti i Black, ora che ci penso?”
“Ci sono alcuni parenti là, nell’angolo…”
E in effetti Lily si chiese come avesse fatto a non notarli. L’eleganza della famiglia Black e l’alone di tenebra che sembrava avvolgerli erano come un marchio di fabbrica.
Ne contò sette in tutto, tutti adulti, circondati dal padre di Nott, dai Carrow, da McNair…la solita allegra combriccola che faceva sempre squadra alle riunioni coi genitori.
C’era tra loro una donna che catturò la sua attenzione più degli altri, perché le sembrava vagamente famigliare.
Vestita con un completo giacca e pantalone quasi maschile, sedeva in mezzo a loro come una regina, sorseggiando lentamente un calice di vino bianco. Fu dall’espressione fredda degli occhi e dai chiarissimi capelli biondi, legati in una coda bassa che finiva a boccoli poco oltre le spalle, che la riconobbe come madre di Narcissa Black. Il viso invece, raffinato e appuntito, aveva le fattezze di Bellatrix.
La strega si sporse appena oltre la sua poltrona, assottigliando lo sguardo su Sirius, in modo quasi pacifico a differenza degli altri. Nel farlo, la camicia si scostò appena sul suo petto, rivelando un  tatuaggio.  
Una rosa nera spiccava sulla sua pelle bianca.
“Nartrix Rosier. Ex Auror. ” Sibilò James, con una nota di disgusto, intercettando il suo sguardo. “Probabilmente anche all’inferno si rifiuterebbero di farla entrare.”
Questo era poco ma sicuro, visto che era una Rosier eppure in mezzo ai Black si comportava come una leader. L’atteggiamento la diceva lunga sul temperamento di quella strega.
Non le piaceva per niente come stava guardando Sirius…si aspettava di vedere i Black dare in escandescenze, eppure erano inquietantemente tranquilli.
“Dov’è Remus?”
“Diceva che doveva trafficare con dei documenti importanti…e che bastavamo noi.” James rise. “Guarda che non succede niente. Siamo in Alta Società.”
“Già, come no…qui sembrano tutti pronti a fare sacrifici umani!”
“Ci si sporcherebbe troppo. E’ più gente che delega, non so se mi spiego.”
“Ma come fai a startene così tranquillo qua in mezzo?! Sei un Potter!”
Lui non rispose. Gli aveva fatto una domanda stupida, rifletté Lily, guardando il sordido desiderio nei suoi occhi, puntati sui Black. Sembrava quasi bruciare. Emanare elettricità.
Come quando sfidava le correnti aree e la gravitazione stessa a cavallo della sua scopa. Non era un semplice maniaco dell’adrenalina.
Rischiare, scommettere con la vita…era quello che l’animava. Il fremito del pericolo.
“Sai.” Le mormorò, lentamente, mentre lei rabbrividiva. “Detesto la Magia Oscura. Il solo fatto di trovarmi qui…tra di loro…mi mette la carica. Vorrei spazzarli via tutti. Ma a volte non desidero altro che rischiare il collo, come se fosse un’ossessione.”
“James…”
“Che cosa faresti se il tuo destino fosse pericoloso?” le chiese, improvvisamente. “Se avessi già una strada predefinita? Un finale già scritto, che però non ti piace? Un finale che abbia a che fare con tutto questo…non dovresti provarne ribrezzo, in qualche modo? Eppure, nell’intimo…te ne senti anche attratto…”
Lo vide passarsi una mano fra i capelli, quasi stanco.
“Cazzo.” Sospirò. “Forse ho bevuto troppo.”
Era quella dannata sensazione, ammise con sé stesso. Essere solo.
Ancora non sentiva il suo branco…forse era per questo che aveva chiamato Lily.
Da soli, gli animali sono deboli. Imprudenti. Perdono la rotta.
Chissà come mai era l’unico a non averli ancora di nuovo nella testa.  Sirius aveva iniziato a sentirli quasi subito dopo. La febbre era passata ma…ancora non li percepiva. L’avevano sempre considerato come il capobranco eppure…eppure lui era l’ultimo rimasto.
Forse non è tanto strano.” Sibilò una vocina maligna, dentro di lui. “D’altronde, è normale che tu faccia più fatica a ristabilire il contatto con il tuo branco, dato che sei quello che li chiude fuori più spesso. Hai più segreti di tutti, James Potter.”
Scrollò la testa, mettendo a zittire quella piccola bastarda. No, cristo, non voleva pensare a quello. Non quel giorno.
Un tocco leggero sul viso ebbe il potere di mettere a tacere ogni cosa e bloccargli la respirazione. Lily Evans si era alzata sulle punte, sfiorandogli la fronte con la mano.
“Ti è passata la febbre.”
Lo faceva con attenzione, nemmeno si era resa conto di quanto fosse vicina e di quanto lui, inerme, fosse paralizzato sotto le sue dita fresche, in balia del profumo che emanava, dell’immagine della sua bocca umida.
Si era accorta che stava male, pensò confusamente James, qualche istante dopo.
Rimase ancorato a quella sensazione sulla pelle, come se sentisse quel punto andare a fuoco. Forse era anche arrossito, cazzo.
Un tempo sarebbe partito in quarta generando il caos puro, senza preoccuparsi delle conseguenze, senza preoccuparsi degli altri.
Ma ora c’era lei, con lui. Lei e quel suo tocco.
L’adocchiò, nascosta dalla maschera, stretta in un vestito da uomo che non nascondeva i suoi fianchi snelli tantomeno il suo fondoschiena, che avrebbe riconosciuto tra mille. Lei lo tratteneva al suo fianco senza nemmeno accorgersene. Come una calamita.
Assurdo, voleva proteggerla. Lui! Che non sapeva proteggere nemmeno sé stesso…
“Sei pronta?”
“Eh…? A far che?!”
“E’ un affronto!” urlò Gaius Cadogan, uscendo dalla folla e rompendo quegli istanti di silenzio agghiacciato.
Il biondo mago si piazzò davanti a Sirius e Cristhine, scontrandosi con qualcosa sui loro visetti che da tempo non vedeva: ribellione adolescenziale. Nulla di più devastante.
Sirius Black si tolse il ghigno di dosso, piazzandosi davanti a lui e alzando il mento.
Piccolo bastardo…altezzoso e strafottente come il resto della sua progenie.
“Non permetterò mai che un Black…!”
Una risata.
Una semplice risata bastò a farlo sbiancare e zittire.
Nartrix Rosier non si scomodò dalla sua sedia, continuando a ridere in modo leggero.
“E questa frase…” mormorò poi con un sorriso, agghiacciando tutti i presenti. “…Come dovrei interpretarla?”
La zia di Cristhine si interpose tra loro, afferrando il braccio del mago e stringendolo in una morsa.
“Oh, mio cognato non intendeva offendere e tantomeno insinuare qualcosa.” Rispose, un po’ troppo concitatamente. “E’ che ci aspettavamo un Valiantine.”
“Non guardare me.” La donna alzò le spalle, divertita. “Di certo non l’ho invitato io. Mio marito Cygnus non mi ha accennato nulla, quando sono uscita di casa…e dubito che sua sorella Walburga sia al corrente. Nipote, il motivo di questa sgradita sorpresa?”
Non rispose, Sirius Black. Non la guardò neanche in faccia.
Non guardò in faccia nessuno di loro.
“Andiamocene.” Propose a Cristhine, in tono piatto. L’assenza di emotività in un ragazzo che aveva sempre fatto fuoco e fiamme con qualunque di loro parve stupirli e, in qualche modo, dare come un’impressione di debolezza.
Debolezza che i più stolti decisero di sfruttare.
Nott Senior scattò in avanti, afferrandolo per un braccio.
“E’ proprio ora che torni dai tuoi genitori, sai, ragazzino?” Gracchiò, e osò anche troppo. Schiantarlo contro il muro fu l’ultimo piccolo piacere di quella serata, che – ancora non lo sapevano – sarebbe andata solo a peggiorare.
“Sarò anche un rinnegato, ma sono pur sempre un Black.” Sibilò il Grifondoro, stringendo le palpebre. I suoi occhi dardeggiarono per poi indurirsi in una morsa di ghiaccio. “Toccami un’altra volta e ti uccido.”
E poi, lì, dall’alto in basso, scoccò l’ultima umiliazione.
“Stai al tuo posto, Nott.”
Stai al tuo posto…perché sei di un rango più basso.
Il peggiore insulto che si potesse dire a un uomo di quel genere…soprattutto se quell’ammonimento sprezzante era uscito dalle labbra di qualcuno di così giovane, davanti a tutta la Società.
Dimenticò la bacchetta e si alzò di scatto, urlando di rabbia alla vista di quel piccolo demonio che gli dava le spalle. Fece un passo, due…
Ma, sfortunatamente per lui, quell’anno le tradizioni vennero rispettare in pieno. E James Potter, togliendosi la maschera, rispecchiò quasi fedelmente ciò che fece anche il suo fiero genitore anni addietro.
Sirius continuò a camminare, senza nemmeno voltarsi. Potter scoppiò a ridere, e il riverbero della sua voce danzò tra tutte le colonne come una sfida.
Nel silenzio che era calato nuovamente, Lily Evans pensò bene che era il caso di togliere le tende. Lo afferrò per il colletto e lo trascinò via.
“Ah, che figata, ora sì che mi sento meglio!” esultò il Malandrino, trascinato stile salame dalla sua rossa preferita.
“Mi hai fatto venire per controllarti, ammettilo!” Rimbeccò lei. “Altro che aiutare Cristhine! Erano le tue spalle che dovevo coprire!”
“Beh, siamo venuti via con tutti gli arti attaccati no? Mi sono solo tolto uno sfizio piccolo piccolo, quindi sei stata utile. Alla fine, Rossa, tu sei l’unica qui dentro capace di contenermi!”
Lei lo guardò da oltre la spalla, continuando a camminare. Quel complimento doveva averle fatto qualche effetto, però ne aveva passate davvero troppe quel giorno. L’avrebbe sgridato come al solito?
E invece lo stupì.
“Dovevi colpirlo più forte.” Fu la strabiliante risposta.
Eh sì, perché quella, ricordandola da vecchi, sarebbe stata un’altra serata epica. La serata in cui, ad un Ballo delle Debuttanti, James Potter aveva steso il futuro braccio destro di Lord Voldemort nel buon vecchio metodo babbano: un simpatico pugno in piena faccia.
C’era proprio da dirlo. I Non-Maghi avevano più stile.
 
 
 
 
 
 
Nartrix Rosier non era mai stata una donna come le altre. Non era portata per le feste, per i bei vestiti e per i balli.
Erede di una potente famiglia di guerrieri e poi sposata allo zio di Sirius, le uniche danze che aveva avuto il piacere di conoscere erano quelle sul campo di battaglia e prima di quel momento, pensava che l’unica cosa che l’avrebbe resa felice in quella serata schifosa sarebbe stato l’alcool.
Ed invece, la vista del sangue venne inserita nella lista delle dolcezze di quel quattro novembre.
Amava il sangue, Lady Rosier. Amava il suo odore, vederlo colare dal profilo di una spada e inzupparle la suola delle scarpe. D’altronde la sua fama la precedeva e anche nella sua famiglia era giudicata come un vero animale da guerra.
Violenta, sanguinaria e calcolatrice, la donna, in apparenza così fragile e di piccola statura, contava alle sue spalle almeno un centinaio di cadaveri. Quando il Corpo degli Auror aveva frenato la sua sete di morte, aveva semplicemente cercato altrove.
Rise leggermente, vedendo Nott asciugarsi il naso circondato da persone urlanti. Ah, che show fantastico…
Niente male, il nipotino, pensava con freddo divertimento. E si era circondato di amici potenti. Oh, sarebbe stato decisamente più divertente.
“Mi piace tuo fratello. Sai?” sussurrò, voltandosi verso un ragazzino.
A differenza sua, sembrava non gradire ciò che vedeva. Occhioni azzurro mare grandi e buoni, Regulus Black si irrigidì appena quando la donna gli passò un braccio attorno al collo.
“Tu invece sei più calmo, hn?” mormorò lei, contro la sua tempia. “Non è necessariamente un male. Bisogna riflettere sempre. Sempre.”
“Io non ho fratelli.” Recitò meccanicamente il pulcino di Walburga. Incredibile come quella maledetta pazza avesse potuto mettere al mondo qualcuno di così delicato. Addestrato perfettamente, come un tenero cagnolino.
“Non c’è bisogno di fare la scenetta. Le apparenze lasciale agli idioti che ci circondano.” Ghignò. “So che ti ha dato fastidio vederlo assieme a quella mezzosangue. L’ho visto, come lo guardavi.”
Mascella serrata. Labbra strette.
Il ragazzino guardò altrove.
“Non ti preoccupare.” Continuò la donna, accarezzandogli una gota. E scoppiò a ridere, alzando una mano per farsi servire altro vino. “Quella puttana avrà ciò che si merita a breve. Non concentrarti sulle sciocchezze. Sai bene cosa ti aspetta. Hai un futuro grandioso ad attenderti, Pulcino dei Black.”
Tirò fuori un pezzetto di vetro, senza accorgersi che il giovane Regulus era sbiancato. Nello specchietto, per un istante sembrò passare la sua immagine ringiovanita. Ma non era Nartrix quella che si vedeva.
Bellatrix Black scostò i capelli bruni dal viso, l’espressione golosa, eccitata e animalesca che la rendeva uguale più che mai a quel demonio che l’aveva messa al mondo.
“Tenetevi pronti.” Ordinò sua madre. Fredda, autoritaria. Crudele.
“Era ora!”
“Bella.” Sibilò, zittendola subito. “Ti ho avvisata. Andateci piano. Dovete mandare un messaggio. Non fare una strage.”
“Non ancora.” Insinuò la ragazza.
“Sono tutti insieme? Qui ne ho visti solo due.”
“Oh, non preoccuparti, cara mammina.” Sputò fuori l’ultima parola con ironia, prima di sbattere lentamente le lunga ciglia nere sulle gote di porcellana. “So perfettamente come riunirli.”
Chiuse la comunicazione, quasi infastidita. Bellatrix aveva il uso stesso temperamento sanguinario e difettava di metodo. Di calcolo. Sembrava sempre un animale ferito messo alle strette, pazzo di dolore, sconsiderato. Narcissa, invece, aveva ereditato il sangue freddo del padre, Cygnus Black, e doveva ammettere di preferirla alla gemella. Perlomeno non le dava pensiero. Per il momento.
Strinse gli occhi sulla sala dove il galateo era andato ben presto a farsi benedire: schiamazzi, ingiurie, Gaius Cadogan e quella cretina di Ursula McRanney erano a dir poco lividi.
Oh, sì, sarebbe stato più che divertente, anche se il piano aveva subito…piccole variazioni di percorso. Ma forse era meglio così.
Il dolore sarebbe venuto ancora più forte. Bastava solo attendere la fine dell’anno.
La loro trappola già avanzava. La loro arma era quasi pronta.
E mentre rideva, sul suo seno scarno la rosa nera si aprì un po’ di più.
 
 
 
 
 
 
“Sirius, qui dentro c’è…”
“Sì, lo so.”
Black contrasse il bel viso in puro appagamento, praticamente sorpassando con un calcetto il corpo di Valiantine che continuava a muoversi stile salmone che risale la corrente e ad emettere gemiti indignati.
Cristhine fece lo stesso, con decisamente più candore, scoccandogli un’occhiata preoccupata.
“Ma…”
“Non ti preoccupare, tanto è un coglione. Vero Valiantine che sei un coglione?”
“HMMM!”
E per risposta gli sbatté la porta sul naso. Erano dentro gli spogliatoi ora, dove c’era l’unica porta secondaria di uscita, apribile solo dall’interno. Sarebbero sgattaiolati via da lì.
“A meno che tu non voglia continuare a ballare.”
La ragazza stirò un sorriso stralunato.
“Voglio solo togliermi questo attrezzo di tortura di dosso.” Confessò, praticamente lanciando via le scarpe con il tacco.
E dire che c’era chi avrebbe donato un rene per vestirsi così almeno una sera.
Sirius Black fece per sorridere quando la vera essenza di quell’informazione lo colpì peggio di un pugno allo stomaco.
Cazzo, voleva spogliarsi.
Si girò di spalle, dandosi mentalmente dell’idiota per quel gesto da cavaliere di altri tempi, cercando in tutti i modi di tenere a freno certe orecchie da cane che già stavano premendo tra i serici capelli.
Sentii il fruscio della gonna, e dei guanti che si sfilavano dalla sua pelle con un suono ovattato. Qualche click, il rumore impercettibile delle forcine che cadevano a terra. Si stava sciogliendo i capelli…
“Accidenti, di questo passo non lo toglierò mai!”
Si voltò appena in tempo per vederla saltellare nel tentativo di schiudersi i tre lacci annodati sulla schiena nuda, le gambe coperte solo dal sottogonna.
“Lascia, faccio io.”
E lei si fermò, di spalle, come colpita dal suo avvicinarsi. Si zittiva sempre, più del solito, quando lui le era vicino. Quando la toccava per sbaglio.
Però…non si ritirava mai.
Allungò le dita lentamente sulla stoffa, cercando di non pensare. Non pensare alla linea candida del suo collo, allo chignon mezzo sfatto che permetteva ad alcuni boccoli profumati di sfiorarle il profilo della spalla, tempestato da qualche piccolo neo scuro. E al fatto che quella cazzo di sottogonna fosse così tremendamente sottile e lei così innocente, così vicina e così di spalle a quello che era a tutti gli effetti il più grande pericolo di Hogwarts.
Stava impazzendo per una sottogonna, come nell’ottocento. Assurdo.
I tre lacci si sciolsero sotto le mani abili di Black, liberando il suo corpo sottile, ed ora, a sostenere l’abito sul seno, solo le mani della ragazza chiuse a coppa contro il petto.
Rimasero immobili giusto qualche secondo di troppo, giusto qualche secondo per accorgersi e spaventarsi di quella strana corrente che si stava innalzando nell’aria.
Le aveva toccato la pelle, tiepida, mentre le slegava quegli impacci di stoffa. Non aveva resistito.
Una donna si conosce solo toccandola ed ora, in qualche modo, riusciva a immaginarla nuda. Lei non aveva detto niente. Aveva appena girato il mento, non osando guardarlo in faccia ma perdendosi in qualcosa alla loro sinistra. Uno specchio.
Facendosi violenza, il ragazzo si costrinse a rivoltarsi di nuovo.
Era chiaramente sconvolta da quella serata. Troppo.
Da quando te ne frega qualcosa? Da quando non lasci che le donne cedano come creta sotto il tuo egoistico desiderio?
Si concentrò sul rumore del vestito, cercando di non pensarci. Ora era nuda e tremava.
Sentiva che si era spogliata del tutto e che stava tremando, nell’aria, nel naso, in ogni sua piccola particella olfattiva e uditiva riusciva quasi a vederla.
Come riuscì a dominarsi, come riuscì a non farsi uscire le orecchie da cane, lo seppe solo dio.
Fu solo come un sogno il percorso che fecero dopo, lei di nuovo bardata con un pesante maglione ocra e dei jeans, lui togliendosi la giacca e mettendogliela sulle spalle.
Fu il sogno di qualcun altro, forse. Nessuno dei due sapeva ricordare, perso nei propri pensieri. Nemmeno le cose più piccole, come ad esempio, come la Corvoncina si ritrovò in mano una tazza di the caldo fumante.
Ad Hogwarts i passaggi segreti non si sprecano ed era certo che nemmeno Silente era in grado di conoscerli tutti. Certamente il posto dove la portò non era tra i più nascosti ma a quell’ora sicuramente non ci sarebbe stato nessuno.
Cristhine non chiese nulla, lasciandosi guidare. Non si domandò perché non la stava riportando in dormitorio e nemmeno dava l’idea di volerci ritornare.
Uscirono in giardino, sfidando il primo freddo di novembre, camminando fin dietro alle serre. Lì, un alto muro ricoperto di edera e fiori selvatici ricopriva come uno spesso mantello ogni centimetro dei mattoni sdrucciolati.
Non era opera della Sprite, ma di certo lei amava prendersene cura.
E sicuramente aveva scoperto qualcosa di strano che si celava dietro a quella tenda verde, ma probabilmente l’aveva scambiata per una semplice crepa e non aveva allungato il braccio per non sradicare qualche fiore.
Cosa che Black non aveva avuto premura di fare, scoprendo un passaggio intagliato dietro i rampicanti.
Si ritrovarono in una vecchia e piccola serra aperta di forma ottagonale, cinta da vetrate nascoste all’esterno dalla vegetazione, con tetto spezzato i cui vetri riflettevano proprio la porzione di cielo dove a quell’ora languiva la luna. Non c’era buio proprio per quello. Tutto era argentato, puro.
Cristhine McRanney allargò gli occhioni color miele, osservando quel luogo senza tempo. Sfiorò silenziosamente alcuni vecchi vasi di porcellana, dimore in passato di fiori senza dubbio meravigliosi.
“Come…?”
“Per caso.” Rispose Black. Non che non le lasciasse il tempo di finire, era lei che non riusciva a terminare le frasi. Come se le emozioni la stessero travolgendo.
La vide sedersi su un vecchio tronco rotondo, stringere tra le dita la sua tazza e soffiare leggermente sui vapori del the al limone.
Le si sedette accanto, accendendosi una sigaretta.
“Ne vuoi parlare?”
“E tu?” domandò lei, alzando gli occhi. “Tu subisci tutto questo da ancor prima di me.”
“Oh, io ne ho subite di peggio.” Ridacchiò lui, con leggerezza. “Per questo mi sono fatto la corazza.”
“Io credo che…” mormorò a bassa voce lei, guardando il pavimento. “Credo che queste cose siano come acqua. Per quanto la tua corazza sia resistente, alla fine ti ritrovi sempre un po’ bagnato.”
“Già. Alla fine sei così bagnato che pensi di stare affogando.”
La sua saggezza ed il suo modo di interpretare la vita l’avevano sempre affascinato. Uscivano così, spontaneamente. Meravigliando.
“Sirius, mi dispiace per ciò che ha detto mio zio.”
“E di che ti dispiaci? Ha ragione.”
“No, non ce l’ha!” balzò in piedi lei, improvvisamente furente. “Non potrà mai avere ragione perché significherebbe che tutto ciò che è capitato a mia madre non è servito a nulla!”
“Di che parli?”
“Lei…” improvvisamente, la ragazza si bloccò. Guardinga, fissò le ombre e strinse i pugni contro i fianchi. “Lei credeva nelle persone. Capisci?”
Black inclinò appena il capo. Lì, seduto sul tronco, leggermente in ombra, sembrava un demonio.
Un demonio splendido, dagli inquietanti occhi neri e vuoti.
Cristhine provò appena un brivido.
“E voglio crederci anche io.” Si concesse poi, avvicinandosi. Ma quanto potergli dire? Quanto? “Mia madre era una Maganò e stava creando un’associazione. Voleva unire le coscienze della gente, creare un punto di incontro tra babbani e maghi. Voleva cambiare la testa ai Purosangue, senza combattere, senza odio. Ma non solo: voleva cercare un contatto anche con chi praticava la Magia Oscura. Lei non credeva che le discendenze e delle banali attitudini magiche fossero determinanti del carattere e del cuore di qualcuno. E non voglio crederci nemmeno io. Mai!”
Iniziò a fare il solco, mordendosi le labbra.
“E mio zio Gaius… quello…quello stronzo!” esplose, sbalordendolo. “Lui con le sue manie, con quegli stupidi pregiudizi, in che cosa è diverso dai Mangiamorte che tanto schifa? Dimmelo!”
“Cristhine…”
“Oh mio dio!” continuò lei, ora orripilata, continuando a fare su e giù. “Ora lo dirà a mio padre, ne sono sicura! E non so se mi lapiderà di più per il ballo a cui sono andata o per come l’ho fatto finire!”
“Cristhine…”
“Giuro che se lo dice a mio padre non la passerà liscia! Non può essere così meschino! Ora entro di nuovo dentro e lo affronto! Ora…”
“Cristhine!”
“Sì?”
Mi piaci.
Strano quanto queste due paroline siano tanto difficili da uscire di bocca. Strano quanto una semplice Corvonero potesse mettere in crisi un ragazzo che di problemi del genere non se li era mai fatti.
Sirius Black era cresciuto sotto l’ala dei Marauders.
Bello come il peccato, ricco, aria da cattivo ragazzo. Otteneva facilmente tutto quanto. E quando trovava resistenze, usava i trucchi più abbietti.
In modo scontroso, forse, ma senza dubbio limpido, aveva sempre fatto capire le proprie intenzioni. Quando non riusciva a ghermire in questo modo, si limitava a mentire.
I sentimenti non facevano per lui ma era incredibile come dire qualche stronzata potesse far cadere le ragazze di quella scuola e forse, tutte le ragazze del mondo.
Mi piaci, ti amo, sono tuo. E le gonne scivolavano lungo le gambe e lui annegava per una sera, scordando chi fosse, scordando ogni cosa, desiderato solo per come muoveva i suoi fianchi, per come baciava la pelle.
Il suo cognome scompariva, scompariva il passato, il piacere diventava tutto ciò che più contava e poi, la sera dopo, le parole rimanevano nell’aria ma non nel cuore e nei gesti di chi non rimaneva mai tra quelle lenzuola ad aspettare il mattino.
Senza rimorso. Anche se cinico, sono le persone a scegliere per cosa vendersi. E chi si vendeva per qualche parola sotto sotto lo sapeva, a cosa andava incontro con lui.
Ora però, lo sentiva davvero, quella ragazza gli piaceva davvero, cazzo. Non voleva dirglielo tanto per, era quello che aveva dentro!
Si sentiva davvero le gambe di gelatina, le farfalle nello stomaco e tutte quante quelle stronzate che aveva sempre evitato come la peste.
E anche se non riuscì a parlare, lei parve capirlo perché improvvisamente impallidì e arrossì allo stesso tempo.
Si guardarono, aspettando una…mossa.
Un ragazzo che l’aveva fatto così tante volte per finzione da scordarsi cosa si provava quando capitava veramente…e una ragazza che non aveva provato mai.
Un seduttore…e un’estranea anche alle più normali interazione umane.
Ma…c’era dell’altro e improvvisamente, lo sentì anche Sirius Black. C’era qualcosa. Come una sorta di morbosità.
Un segreto.
Nulla come un segreto unisce due anime. Nulla, neanche l’odio, neanche l’amore.
“Sirius.” Mormorò lei, mentre lui si avvicinava piano, le prendeva il viso tra le mani e si chinava su di lei. “Sirius…dobbiamo parlare…”
Le lacrime le sgorgarono dalle ciglia ma non furono quelle a impedire a Sirius Black di ghermirle le labbra. E non furono nemmeno le parole “dobbiamo parlare” che nel gergo maschile significano solo “guai in vista”.
Perché coi Marauders, i guai arrivavano sempre in anticipo.
Proprio quando le loro labbra si stavano per sfiorare, il Grifondoro alzò di botto il viso, avvertendo un lungo brivido. Sbiancò e contrasse gli occhi, perdendosi lontano.
“Che succede?”
“Peter.” Mormorò lui, senza riflettere. Quasi…perso. Guardò oltre il varco, stringendo la presa sulle sue spalle. “Peter è in pericolo.”
 
 
 
 
 
 
 
 
Quella sera non c’era la solita trapunta di stelle. Nuvole gonfie e plumbee si accavallavano nel cielo, dense come crema.
Lily Evans rabbrividì appena quando uno spiffero le sfiorò il viso, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Era appoggiata alla balaustra, su un piccolo e solitario terrazzino della Torre Nord, le mani mollemente abbandonate nel vuoto, i capelli finalmente sciolti. Anche se vestita come un uomo, la sua figura stagliata contro la notte avrebbe fatto la felicità di un qualsiasi pittore.
Aveva lasciato James Potter quasi vicino alla Sala Grande, ringraziando ogni dio esistente di essere un Prefetto e poter portare gente in giro dopo il coprifuoco senza subire l’interrogatorio maniacale di Gazza.
Stavano camminando insieme quando il ragazzo l’aveva guardata in modo strano.
“Che c’è?”
“Sei bellissima.”
“Piantala.”
C’era sempre, nell’arco della giornata, un momento in cui Potter deponeva le armi, gli insulti e le schermaglie per iniziare quelli che lei chiamava “I venti minuti di lecchinaggio”. Complimenti, smancerie e quello sguardo da “sarò tuo per sempre” che funzionava tanto bene con le ragazzine.
Il momento lecchinaggio era sempre stata la prassi in quei sette anni, un metodo di tortura che era quasi più estenuante dei suoi ridicoli scherzi.
E il tutto per concludersi sempre con la stessa domanda.
“Mi concedi un appuntamento, Evans? Madama Piediburro. Tu, io, una cioccolata calda…”
“Hai presente le vergini di ferro? Preferirei chiudermi lì dentro piuttosto che in quel pub con te!”
“Hey, che crudeltà. Che ha che non va quel pub?”
“Oh, vediamo…” Lily fece finta di pensarci. “Coppiette ad ogni angolo a consumare atti per voyeur, cioccolate troppo dolci e…te!”
“Ci pensi mai che forse – forse eh – potrebbe piacerti?”
La ragazza sbuffò, roteando gli occhi.
“Difficile non pensarci, visto che ogni giorno, per sette anni e per venti minuti, inizi a srotolare la lingua e riempirmi di smancerie ipocrite. E sai cosa vedo sempre?”
“Cosa?”
James sorrideva, come suo solito.
Lily si avvicinò, piazzandogli un dito sotto al naso. Ah, quel dito maledetto.
Sempre alzato e sempre accompagnato da un tono saccentino. C’erano momenti in cui gliel’avrebbe staccato.
“Mi vedo seduta a parlare di cose a cui tu non presti ascolto, perché troppo impegnato a pensare a come slacciarmi il reggiseno!”
“Beh, potresti non mettertelo.” La voce di Potter fu più calda del fuoco.
“E poi mi vedo davanti alla tua faccetta soddisfatta, l’aria di chi ha vinto una gara e vuole rinfacciarlo fino alla fine dei giorni! Non ti stanchi mai di chiedermelo, Potter? Non ci casco, cambia tattica!”
La gara più importante di tutte. Non cedere. Non piegarsi.
La solita sfida, perpetuata nel tempo, durante tutta la loro adolescenza. Scherzi, maledizioni che partivano a razzo, discussioni infinite e poi… le moine. Era sempre stato così, tra di loro.
“E se non fosse una sfida?” James guardò dritto davanti a sé, parlando con un  tono insolitamente roco.
“Ma vuoi proprio che ti rinchiuda di nuovo nello sgabuzzino degli orrori!” La Grifoncina sbuffò, accelerando il passo. “Ti avviso che hai ufficialmente terminato i tuoi venti minuti giornalieri nel momento in cui ti sei messo a fare il galletto con Black!”
Un istante di silenzio. James continuò a camminare.
“Ad Halloween ti sembrava una sfida?”
Fu come ricevere acqua ghiacciata in piena faccia. Ne voleva parlare.
Lily Evans gelò, fermandosi di colpo.
“ARGH!”
Ci mise un po’ per accorgersi che un pennuto starnazzante l’aveva mancata per un soffio schiantandosi letteralmente contro la faccia del Malandrino, che cadde per terra in modo tale che ci mancava solo la scritta “SDONG” per coronare il tutto.
Il gufo, spennacchiato era dir poco, iniziò a starnazzare indignato come se tutto quello non fosse successo per colpa sua.
“Ma che accidenti fai!” sbraitò Potter, massaggiandosi il naso con le lacrime agli occhi. “Sei cieco per caso?!”
Lily si chinò sulla bestiola, prendendolo tra le braccia.
“E’ un gufo di Hogwarts. E’ anziano, non ci vede bene. Serve per i messaggi veloci tra Prefetti.”
“Serve per riempirti la pancia a Natale, altrochè…” rognò il ragazzo, mentre lei gli slegava un biglietto dalla zampa. “Ma non potete usare i biglietti volanti come tutti?!”
“Vengono acciuffati troppo facilmente! Ma non ti piacevano gli animali?!”
“Non quelli che mi si schiantano in faccia quasi fratturandomi il naso!”
“Oh, capirai, con tutte le volte che cadi dalla scopa.” Sbottò la rossa, coccolandoselo e aprendo la lettera mentre in sottofondo si sentivano borbottii sul farlo arrosto. “Hanno liberato dei folletti vorticosi alla Torre Nord, perfetto, e ovviamente devo andarci io! Ritorna in Sala Comune, se vedi Gazza digli che ti stavo riaccompagnando dentro e che avevi il mio permesso per stare fuori.”
“Guarda che non c’è bisogno di dirmelo! Lo faccio sempre usando Remus, dolcezza!”
“Non avevo dubbi!” gli aveva urlato dietro, rifacendosi altri bellissimi cinque piani di scale per ritrovarsi in una Torre Nord…vuota.
Nemmeno uno stramaledetto Folletto.
Sospirò, trasfigurandosi attorno al collo una grande sciarpa e stringendosela contro le gote. Ci mancavano pure gli scherzi idioti. E non poteva nemmeno incolpare Potter, visto che era lì con lei!
Parlare di Halloween era stato un vero colpo basso. Rimuginava da almeno dieci minuti, affacciata al balcone, mettendosi le mani nei capelli e dannandosi l’esistenza.
E va bene, ad Halloween, uno sopra l’altro in quel ripostiglio, era successo qualcosa di strano! Inutile negare l’evidenza.
Perché diavolo si era sentita così? Era chiaro che il suo unico interesse era batterla, portarsela a letto e darle una lezione. La sua acerrima nemica inserita nella fila di imbecilli a cui aveva fatto la festa, chissà che goduria!
Però…
“Stupidi occhi dorati.” sospirò fra sé e sé, stringendosi nelle spalle. “E stupide bende sottili.”
Non riusciva a crederci che era bastato così poco per fregarla! Ma doveva essere stato solo un incidente di percorso, forse aveva battuto troppo forte la testa! Doveva…
Un rumore alle sue spalle la fece voltare. Nessuno.
“Ok.” Esclamò, incrociando le braccia al petto. “Ah-Ah, Potter, molto divertente davvero! Anche la scenetta del gufo strabico, cosa gli hai dato per recitare così bene, due mesi di zollette di zucchero? Poteva cavarti un occhio, lo sai vero?”
Il vento le scompigliò i capelli. Corse dentro la sala immersa nell’oscurità, e poi giù per le scale, generando un lungo fischio stridulo. Poi, dei passi. Lenti, calibrati. Qualcuno uscì dalle ombre, tenendo le mani in tasca.
“E adesso quale sarebbe il tuo grande piano? Altre rane volanti? Marciotti in libertà? Oppure…”
Si bloccò a metà frase e una colata fredda le raddrizzò la schiena in una morsa.
I rumori parvero quasi amplificarsi, il tempo congelarsi in tanti immobili frammenti.
Lily Evans serrò la mascella e strinse gli occhi verdi, riducendoli a due piccole mezzelune di vetro, mentre il vento, ora assordante, scompigliava le loro chiome quasi con grazia.
I capelli serici, quasi argentati di Lucius Malfoy erano stati liberati dalla usuale coda bassa e sembravano fili di ragno che vibravano attorno al viso in una corolla viva e lucente.
“Ho idea…” le sussurrò piano, goloso. Predatore. “…ho idea, mia cara Mezzosangue, che sarà qualcosa di molto, molto più divertente.”
   
 
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