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Autore: Alicat_Barbix    18/11/2018    2 recensioni
Trama:
John, forse il migliore agente a servizio dell'MI6, viene inviato sotto copertura ad indagare in uno dei più eminenti Night Club di Londra, per stanare la mente criminale più pericolosa che il mondo abbia mai conosciuto. A questa missione John è pronto, sa che non può fallire, che nelle sue mani vi è il destino di Londra e non solo. O almeno, crede di essere pronto, ma un bizzarro incontro con uno dei dipendenti del locale ha il potere di ribaltare le carte in tavola.
Sherlock, decisamente il miglior prostituto all'interno del Morningstar, vive felicemente la sua vita densa di sesso, avventure e disinibizione. Sherlock ama il suo lavoro, lo trova divertente e sa di essere il migliore e che niente potrebbe mai cambiare la sua vita da condannato all'Inferno che però tanto adora. O almeno, crede che niente possa cambiare la sua vita "perfetta", ma un bizzarro incontro con un ex medico militare così facile eppure difficile da leggere con le sue deduzioni ha il potere di stravolgere la sua intera esistenza.
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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BEYOND
EVERYTHING

 
by Alicat_Barbix
 


Jail Of Crystal
 
 
Nell’ombra, la figura minuta e infima dell’uomo che più temeva al mondo. Cercò di dominare la paura, come soleva fare ogni volta che si trovava al suo cospetto, di mostrarsi forte, fingere una sicurezza che in realtà non aveva. Nel buio, Sherlock osservò James Moriarty venirgli incontro, farglisi sempre più vicino, più soffocante, tendere delle catene immaginarie e imprigionarlo nella loro morsa.
“Che cosa vuoi?” sputò astioso.
“Oh, Sherlock, Sherlock… Sai, non ti capisco proprio in certi momenti. Ogni volta che vengo da te mi tratti come se fossi un carceriere feroce, un bastardo senza cuore che ti ha recluso in una prigione d’oro da cui vuoi uscire… quando sai perfettamente che hai scelto di tua volontà, così come tutti gli altri qua dentro, di servirmi.”
Un sorriso amaro gli schiuse le labbra. “Un patto col diavolo, già…” farfugliò tra sé e sé soffocando i ricordi di quello che c’era prima di tutto quello. “Non hai risposto alla mia domanda.”
“Non potrei semplicemente avere voglia di passare del tempo con te?” replicò serenamente Jim accostandoglisi ancora di più e accarezzandogli uno zigomo. “E’ da così tanto tempo che non stiamo insieme per bene…”
“Sono passati due anni dal nostro ultimo rapporto e ho visto che non hai perso tempo a sostituirmi con Moran.”
“Sebastian è bravo, è vero. Non quanto te, certo, ma lui è plasmabile, al contrario tuo. Sei sempre stato così ribelle, Sherlock, tu insieme al tuo amichetto Trevor… Così desiderosi di cambiare le cose…” Sembrava quasi stesse portando avanti una recita. Una recita in cui lui era il protagonista travagliato da molte sofferenze e molte asperità che decantava ogni difficoltà attraverso cui era passato tramite un monologo. Ed era proprio in quei momenti, in quelli più impensabili, in quelli di quiete, che Sherlock aveva imparato a temere la tempesta. E infatti, un istante dopo si ritrovò schiacciato contro il muro, le mani bloccate sopra la testa e il corpo di Moriarty premuto contro al suo, intrappolandolo in una gabbia di ossa e carne. “Ti ho visto, sai, con quel biondino… Spero vi siate goduti la chiacchierata…” Sherlock cercò di divincolarsi, ma il fisico dell’altro, per quanto all’apparenza debole, lo inchiodava al muro con brutalità e tenacia. “… Peccato, mio caro, che non mi fai guadagnare soldi chiacchierando. Me li fai guadagnare scopando. Perciò… la prossima volta che vorrai passare del tempo col soldatino tanto carino dovrai scopartelo e non chiacchierarci. E voglio che tu ti faccia pagare profumatamente per quanto lo farai godere… Sono stato chiaro?” Lui continuò ad opporre una debole resistenza, ma era tutto inutile di fronte alla testardaggine dell’altro. “Sono stato chiaro, Sherlock?” ripeté Jim sputandogli quasi in faccia le parole.
Sherlock si arrese, il suo intero corpo afflosciato contro la parete del corridoio secondario in cui Moriarty l’aveva fatto infilare. “Chiaro.”
Jim sorrise, ferino, infine si sporse a leccargli un zigomo, facendolo rabbrividire di ribrezzo. “Ricordati chi è il capo qui, Sherlock. E ricordati anche che il tuo faccino è troppo bello e importante per gli affari per permettere che qualcuno, colto da un lampo improvviso d’ira, possa sfregiarlo. D’accordo, mio caro?”
Con l’umiliazione bruciante che fluiva assieme al suo sangue tramite le vene, Sherlock chinò il capo, in segno d’assenso, e lasciò che l’altro continuasse a leccargli la pelle esposta. Infine, Jim si allontanò, passandosi la lingua sulle labbra, furtivamente così com’era apparso. Sherlock rimase fermo in mezzo al corridoio, i pugni serrati e il disgusto per quel contatto ancora vivo sul viso e sul collo. Gli aveva persino lasciato un succhiotto, quel bastardo. Era sempre stato gelosissimo della sua pelle d’alabastro, non aveva permesso a nessuno di scalfirla con i volgari segni che i comuni esseri umani si lasciavano reciprocamente sul corpo quasi per marcare il territorio, marchiare un’altra persona come un’animale da bestiame. Ma James Moriarty, la più meschina e ingannatrice creatura esistente, il Diavolo in persona… lui poteva tutto su di lui. Perché gli apparteneva. Perché tutti quelli chiusi in quel night club gli appartenevano. E per quanto si sforzasse di pensarla diversamente, lui non era da meno, lui non era padrone di se stesso. La sua anima, quella era nelle grinfie del Diavolo. E il suo corpo… quello non gli apparteneva più già da un bel pezzo.
 
Si sedette su una delle panchine del giardino sul retro del locale ormai chiuso e deserto. I clienti se n’erano andati, i dipendenti riposavano nelle proprie suite, il sole, in lontananza, si affacciava pigramente tra i tetti degli alti edifici del quartiere. Era piacevole la quiete che regnava dopo la chiusura, quando rimaneva solo con quel paesaggio familiare e quella fresca brezza che, gentile, gli scuoteva i capelli, infondendogli la forza necessaria per andare avanti ogni giorno. Non che quella vita gli pesasse, al contrario: si sentiva potente, il suo soprannome vagava di bocca in bocca, la sua fama portava amanti curiosi ad avvicinarglisi per poi venire respinti. Era selettivo, Sherlock. Molto selettivo. Non aveva ancora una vera e propria cerchia di clienti, ma ormai le facce erano sempre quelle, le voci che urlavano il suo stupido soprannome anche, e i corpi che faceva suoi pure. L’unica falla nella sua vita era James Moriarty, quel pazzo che aveva chiamato il suo locale Morningstar, per inneggiare a se stesso e alla sua essenza diabolica.
Si massaggiò la radice del naso con pollice e indice, stringendo gli occhi. Non voleva pensare a Moriarty. Non voleva dargli anche il potere di tormentarlo nonostante non fosse presente. Bastavano quelle telecamere nella sua stanza per sentirlo soffocantemente presente in ogni attimo della sua vita. Bastavano quegli occhi di specchi e lenti che lo osservavano mentre soddisfaceva qualcuno dei suoi clienti, rinunciando, per chissà quale volta, a se stesso.
Con quel soldato, Andy, era stato diverso. Con Andy aveva parlato, aveva riso, aveva scherzato, e sì, è vero, si era dannatamente divertito a provocarlo con quelle allusioni così innocue per uno come lui. Non lo conosceva, aveva passato con lui poco meno di un’ora, eppure sentiva che non era come nessun altro che si fosse approfittato di lui. Nonostante, inizialmente, avesse addirittura pensato che andarci a letto sarebbe stato piacevole, sapere che c’era qualcuno che non voleva saltargli addosso alla prima provocazione era un sollievo. Lo considerava quasi un amico. Che idiozie, pensò tra sé e sé con un mezzo sorriso.
All’improvviso, alle sue spalle, udì l’eco di alcuni passi la cui cadenza sarebbe stato in grado di riconoscerla ovunque. “Non dormi?” chiese alla figura che si sedette accanto a lui.
“Ti ho visto in giardino e così ti ho raggiunto.” rispose Victor guardandolo con affetto.
“Gentile da parte tua, Vic. Com’è andata la serata?”
L’altro si strinse nelle spalle mentre tirava fuori dalla tasca un pacchetto di sigarette. “Bene, credo. Due donne e un uomo. Avevo messo gli occhi su biondino davvero interessante, ma se l’era già accaparrato Irene.”
“La solita, a quanto pare.” osservò Sherlock con un mezzo sorriso pensando al biondino che lui si era accaparrato e chiedendosi se l’avrebbe rivisto, ma stroncò quello stupido pensiero sul nascere: per prima cosa, era ovvio che l’avrebbe rivisto – nessuno, dopo averlo conosciuto così da vicino, era mai sparito –, seconda cosa, non doveva lasciarsi coinvolgere – da quando permetteva ai frequentatori del locale di entrare nei suoi pensieri, nel suo mind palace?
Victor gli passò una sigaretta che infilò tra le labbra. “Stai bene? Sei pallido, sembri stanco.”
“Effetto Moriarty.”
L’amico si drizzò immediatamente e prese a scorrere il suo sguardo su tutto il suo corpo, come alla ricerca di un qualche segno del loro incontro. “Ti ha colpito anche stavolta?”
“No, era stranamente di buon umore. Probabilmente Moran lo ha lasciato fare l’attivo, per una volta.” ironizzò Sherlock disegnandosi in testa l’immagine sprezzante e orgogliosa di Sebastian Moran. Era uno dei tanti colleghi che disprezzava e purtroppo ne conosceva perfettamente la ragione.
“Sherlock, non scherzare.”
“Davvero, Vic, non mi ha toccato, o almeno, non in quel modo.”
“E’ suo il succhiotto che hai sul collo?” Di riflesso, Sherlock alzò il bavero del suo cappotto per celare quel volgare segno che deturpava la sua pelle e all’altro bastò per ricevere la conferma. “Perché è così fissato con te, nonostante tutto quello che ti ha fatto in passato?”
“E’ un sadico, narcisista e pazzo. Ecco perché.”
Victor sbuffò un anello di fumo che volò in alto, quasi convinto di arrivare a toccare il cielo, ma che si dissolse davanti ai loro occhi al primo soffio di vento. Come riassumere meglio la precarietà della loro condizione? Anellini di fumo in balia del mondo, fragili, destinati a dissolversi dopo brevi secondi per un alito di vento. “Non dovresti lasciargli fare tutto quello che vuole.”
“Non posso niente contro di lui, Vic.” replicò amaramente Sherlock gettando a terra la sigaretta e passandoci sopra con il piede, la cenere ancora accesa che si spargeva sul ghiaino. “Non ho il potere di contrastarlo. E per quanto sia dura da ammettere… lui è l’unico in grado di farmi sentire vulnerabile.”
Victor fece un altro tiro e tacque, gli occhi persi nel vuoto e i pensieri rivolti a chissà cosa. “Sherlock, tanto per essere chiari: tu lo sai che io ci sarò sempre per te, vero? In ogni circostanza, in ogni luogo, contro ogni Moriarty, io ci sarò. Combatterò sempre al tuo fianco, fratello.”
Finalmente, Sherlock distolse lo sguardo dai pini che puntellavano il giardino e lo rivolse all’amico, un sorriso dolce sulle labbra. “Era da tanto che non mi chiamavi così.”
“Ah sì?”
“Da quando avevamo circa… vent’anni.”
Victor ridacchiò e gli passò un braccio attorno alle spalle, stringendolo fraternamente. “Dovrò ricominciare a farlo più spesso, allora. Anche se non di sangue, sei mio fratello, Sherlock, e il nostro legame è più forte di qualunque consanguineità.”
“Lo so perfettamente.” borbottò lui pensando al legame che aveva col suo vero fratello, infine si alzò, liberandosi dall’abbraccio dell’amico. “Ad ogni modo, è meglio che vada: se rimarrò qui un minuto di più credo che mi verranno le carie ai denti.” Si avviò a passò deciso verso l’entrata del locale, ma una volta giunto si voltò verso Trevor. “Non vieni?”
“No, credo che resterò ancora un po’ qui a riflettere su quanto stronzo sia il mio migliore amico.”
Sherlock scoppiò a ridere. “Beh, credo che allora dovrò tornare fra trent’anni per seppellirti.”
Buonanotte, Angelo dei miei stivali.”
“Buonanotte, principino.”
 
Sherlock poche volte sbagliava e poche volte mancava il bersaglio. Con Andy Rose queste statistiche erano state completamente stravolte. Nove giorni erano trascorsi e di quel piccolo militare nemmeno l’ombra, al Morningstar. Non che gli importasse, certo, ma doveva ammettere che amava il modo in cui quello strano individuo resisteva ai suoi tentativi di sedurlo, sebbene quella sera non si fosse neanche lontanamente impegnato. Era innegabilmente eccitante quella sua maschera d’ironica ed ingenua indifferenza.
La sera del suo giorno di riposo, Sherlock rifiutò l’invito di Victor di uscire a fare qualcosa in città e si sedette ad uno dei tavolini di quella stanza dove lui e gli altri dipendenti abbordavano i clienti migliori, quelli più ricchi e disposti a sganciare più sterline. Era uno di quei giorni in cui il vuoto regnava indiscusso e tra l’altro c’era quel maledetto mal di testa e di gola che non lo abbandonavano da giorni. Probabilmente gli era salita la febbre, ma non aveva alcuna intenzione di passare una notte intera a letto con gli occhi di Moriarty puntati addosso. Cercava di passare sempre meno tempo da solo, di muoversi con gli altri, di evitare i possibili luoghi d’appostamento di Jim, ma puntualmente a volte sbucava fuori, gli ghermiva un polso e lo trascinava con sé per fargli quello che gli passava per la testa. E Sherlock lo lasciava fare.
Forse fu proprio per quel suo senso di inutilità, per quella sua debolezza che Sherlock, quella sera, entrato in bagno si iniettò in vena una generosa dose di eroina, fresca fresca di produzione. Se non altro, essere soci di Moriarty comportava anche essere i primi degustatori della migliore droga di tutta la Gran Bretagna, direttamente proveniente dai laboratori dei più grandi trafficanti d’Europa. Sedeva, appunto, su quel tavolino, ancora traballante tra l’incoscienza e la veglia, quando udì la voce di Victor.
“Ehi, tu, Angelo dei miei stivali! Posso sapere perché tutti devono stare alla larga dalle prede tue e di Irene e invece le mie sono puntate da chiunque?”
Sherlock puntò i suoi occhi, annebbiati dalla dose, su quella che ipotizzò essere la figura dell’amico, ma dietro di lui, ne scorse un’altra, più bassa, lievemente più robusta, con una postura rigida e dei capelli biondi tagliati corti.
“Dio, Sherlock…” esclamò, nuovamente, la voce di Trevor mentre si muoveva verso di lui a studiare le sue condizioni. “Credevo avessimo detto basta con queste porcherie.”
“Non mi devi rompere quando sono fatto, Vic. Non era la tua serata libera? E vattene, no!”
Scorse il volto di Victor distorcersi non tanto per sdegno, quanto per una rabbia scaturita dalla sua costante preoccupazione nei suoi confronti, e credette che sarebbe stato caricato sulla sua schiena e riportato in camera, sopportando la sua presenza finché quello non gli avrebbe fatto ingurgitare un tranquillante, ma una seconda voce infranse ogni sua aspettativa.
“Non si preoccupi, sono un medico, posso pensarci io qui. Lei vada pure.”
Sherlock poté quasi vedere davanti agli occhi l’espressione dubbiosa dell’amico, ma alla fine Trevor gli diede un pizzicotto su una guancia, sussurrandogli qualche raccomandazione che per la musica troppo alta proveniente dalla discoteca o per l’estasi della droga, non capì.
“Bene, credo che oggi sia il mio turno di assisterla.” osservò Andy, avvicinandoglisi e facendo per alzarlo con la forza e portarlo nella sua stanza come avrebbe fatto Victor.
Sherlock si lasciò tirar su, trovando la presa di quel piccolo medico militare estremamente rassicurante e calda, che gli infondeva la stessa sensazione che provava da bambino quando tornava a casa dopo una lunga giornata di scuola. “Ah, ho capito il tuo gioco.” esclamò quando intese che lo stava conducendo al piano di sopra, nella sua suite. “Mi vuoi portare in camera da letto apposta, vero?”
“Adesso è lei quello ad essere passato precipitosamente al tu.”
“Sì, ma io sono fatto, mentre tu eri perfettamente lucido quando mi hai dato del tu.”
La risata dell’altro gli arrivò cristallina alle orecchie, mentre saliva a fatica le scale, sorretto dal corpo prestante, nonostante l’altezza. “Ti ricordi dov’è la mia suite?”
“All’incirca, sì. Basta seguire i numeri sulle porte. 21A, vero?”
“Già.”
Percepiva il suo corpo leggero, libero da ogni catena fisica, la sua mente vagava, spaziava, inventava. Se si concentrava, poteva quasi percepire la droga gorgogliare in lui, mescolarsi con il suo sangue, rimestarsi nelle vene e dargli piacevolmente alla testa. Si aggrappò a Andy, avvicinando il naso al suo volto, aspirando il suo profumo e capì che già adorava quell’odore che gl’infondeva quella sicurezza e quel calore.
“Hai un buon odore.”
“Anche il tuo non è male. Ecco, siamo arrivati. Le chiavi?”
Un sorrisetto furbo illuminò il suo volto smunto. “Ce le ho da qualche parte addosso. Dovrai cercarle proprio bene.” Udì lo sbuffò di Andy scuotergli lievemente qualche riccio e si ritrovò a sorridere ancora più maliziosamente. Si appoggiò alla parete e tese le braccia in fuori esponendosi completamente.
Andy scosse esasperatamente la testa, infine si avvicinò a lui, le mani che gli si infilarono nelle tasche posteriori dei pantaloni. La sua vicinanza era il paradiso, o forse era solo l’effetto dell’eroina, ma Sherlock si tese in avanti, con l’intento di baciarlo. Andy con una mezza risata si ritrasse, sventolandogli davanti la chiave a cui era attaccato il cartellino con il numero della stanza.
“E’ stato facile. Le avevo già notate.”
“Stai dicendo che mi guardi il culo, Andy?”
Gli occhi di Andy si ingrandirono appena, ma subito dopo si riscosse e infilò la chiave nella toppa. Entrarono nella stanza che Sherlock odiava con tutto se stesso. Odiava ogni singolo mobile di quella camera, a cominciare proprio dal luogo in cui si prestava ai desideri dei suoi clienti, mentre Moriarty – ne era certo – lo osservava con un ghigno feroce sulle labbra e forse, chissà, una mano nei pantaloni a toccarsi. Quella sera, pensò, era davvero stufo di tutto – del suo lavoro, di Jim, dei clienti, della droga… Aveva voglia solo di… altro.
Si stese sul letto, sbottonando completamente la camicia e rivolse al medico militare uno sguardo malizioso. “Ti unisci a me?”
“Mi unisco a te per riportarti alla sanità mentale.” rispose l’altro prendendo la sedia alla scrivania e posizionandola accanto al letto.
Sherlock sbuffò e si alzò a sedere davanti a lui, prendendolo per il colletto della giacca e avvicinandolo a sé, con un mezzo ringhio frustrato. “Sei davvero… ottuso e ostinato, Andy Rose! Sto cercando di portarti a letto e tu te ne stai lì a comportarti come… come-”
“Come un medico? Chissà come mai.” replicò con un mezzo sorriso Andy, cercando di allontanarlo delicatamente, ma Sherlock si divincolò e azzerò la distanza fra loro. Cominciò a baciarlo, a pretendere di entrare nella sua bocca, spingendolo con maggiore intensità contro di sé circondandogli il collo con le braccia. Forse era la droga, forse era quel senso di malessere che ancora si affacciava alla sua labile coscienza, ma mai aveva desiderato tanto assaporare appieno il sapore di qualcuno. Per i primi secondi, le labbra di Andy rimasero immobili, sbigottite forse, ma alla fine venne spinto via con gentilezza ma con dura fermezza e si ritrovò di nuovo disteso sul suo letto, Andy sopra di lui che cercava di scostare le lenzuola per coprirlo.
“Sherlock…” mormorò il biondo all’improvviso sfiorandogli la fronte. “… sei bollente.”
“Mmm…” mugugnò lui senza dare importanza a quella voce così bella e calda.
“Sherlock, hai la febbre.”
“Passerà, dottore. Ora mi lasci… dormire…”
“Avete qualche medicinale da qualche parte in questo posto?”
Sherlock colse di sfuggita il tono aspro con cui quello aveva pronunciato la domanda, ma decise deliberatamente di ignorarla. “Sì, abbiamo un infermeria su questo piano vicino alle scale…”
Andy si alzò, borbottando qualcosa sul fatto che sarebbe tornato presto, ma Sherlock, improvvisamente spaventato dall’idea di lasciarlo andare e non rivederlo per chissà quanto, tese un braccio, afferrando il suo. I loro occhi si incontrarono e qualcosa, in lui, si smosse appena.
“No.” sibilò semplicemente con gli occhi bassi.
Un sorriso divertito sfociò sulle labbra screpolate dell’altro che, tuttavia, si risedette accanto a lui, osservandolo con dolcezza, come si guarda un gattino randagio durante una tempesta o un bambino malato delirante. Con lievi carezze iniziò a scostare i riccioli sudati dalla fronte di Sherlock che si ritrovò col chiudere gli occhi e ricordare l’odore della torta di mele di sua madre, la voce petulante di suo fratello maggiore, i guaiti del suo setter inglese, il calore delle attenzioni che i suoi genitori gli riservavano quando si ammalava. Andy Rose lo accarezzava come solevano fare suo padre e sua madre, i suoi occhi lo contemplavano come quelli scuri del suo amato Barbarossa, e il suo sorrisetto impertinente ricordava quello di suo fratello. Andy Rose gli ricordava casa sua, quella della sua infanzia, prima che tutto andasse a puttane e si ritrovasse sull’orlo della strada, in balia del mondo esterno, prima di stringere il suo patto col diavolo.
Fece scivolare la sua mano in quella dell’altro e prese a percorrerla con lievi circonferenze del pollice. “Non ho mai conosciuto un militare.” cominciò abbozzando uno sguardo malizioso. “Né ho mai fatto il passivo. Mi piacerebbe provare, sentirti ordinarmi di inginocchiarmi a terra con la tua voce da capitano, minacciarmi, prendermi con la stessa passione con cui hai preso in braccio il fucile…”
“Non ho mai detto di essere un ex capitano.”
“Lo si capisce da molte cose, credimi.” rispose tranquillamente Sherlock strabuzzando appena gli occhi a causa del momentaneo appannamento della vista. “Sdraiati accanto a me, Andy.”
“Perdonami, Sherlock, ma per essere chiari, in modo da evitare spiacevoli inconvenienti in futuro, non sono affatto gay.”
Sherlock ridacchiò, mentre faceva scorrere la sua mano sul braccio dell’altro, gli occhi desiderosi. “Mi creda, capitano Rose, nessun uomo lo è davvero prima di essere stato a letto con me.” Si alzò a sedere, forse troppo di scatto, perché la testa prese a vorticargli pericolosamente e si ritrovò a barcollare, il mondo intero completamente sottosopra. Avvertì il calore del corpo di Andy, le sue braccia cingergli le spalle per stabilizzarlo, il suo profumo penetrare rassicurante nelle sue narici. Gli lasciò una serie di baci sul collo che fecero inclinare l’altro di lato, per il solletico, mentre alle orecchie gli giungeva uno spazientito Sherlock… Di nuovo, le mani di Andy lo scansarono e Sherlock capì di essere davvero al limite delle sue forze quando non oppose alcuna resistenza.
“Un bacio.” cercò, allora, di contrattare. “Un piccolo assaggio di quello che avrai quando ti deciderai a mettere da parte la tua personalità da uomo tutto d’un pezzo.”
“Perché sei così sicuro che prima o poi riuscirai a portarmi a letto?” domandò allora il biondo ridacchiando appena.
“Perché so che arriverà il giorno in cui mi pregherai di farti mio. Arriva per tutti quel giorno, sempre.”
Andy assunse un’espressione frustrata e alzò gli occhi al cielo, scuotendo il capo. Infine, si concentrò su di lui e Sherlock si sentì impreparato, per la prima volta in vita sua. Sotto quello sguardo, comprese che non aveva controllo, che sarebbe sempre stato quello ad assecondare e mai quello a spingere per far qualcosa. Andy, invece, nonostante la sua tradizionale fredda cortesia inglese, era quello che decideva, quello che deteneva il potere. E Sherlock ne era intrigato, perché nessuno era mai stato capace di imporre, su di lui, la propria volontà. C’era stato Moriarty, certo, ma era diverso, quello con lui era un rapporto malsano, a senso unico, inappagante.
“Solo uno.” sospirò infine il biondo fissandolo come una madre che cede ai capricci di un bambino impossibile da tenere. “Poi, però, mi prometti che ti metti giù e dormi un po’.”
Sherlock sorrise serenamente, imitato subito dopo da Andy. Rimasero immobili a guardarsi, una tensione strana per entrambi che attraversava l’aria ramificandosi sotto forma di tante piccole scariche elettriche. “Allora? Mi baci o no, capitano?”
Andy, allora, si sporse appena in avanti, le mani che andarono a circondare il suo viso e lo tirò gentilmente a sé. Sherlock stette al gioco, gli lasciò totale libertà e quando le loro labbra si unirono venne attraversato da una vampata di tiepido calore. Quello di Andy, più che un bacio, era una carezza con la bocca, gentile, delicata, premurosa. Nessuno lo aveva mai baciato così. Tutti avevano sfogato su di lui rabbie, delusioni, frustrazioni, istinti, desideri, lussuria… Persino Victor, l’unica volta in cui erano andati a letto insieme, non si era fatto problemi ad assalirlo con bramosia, nonostante l’immenso affetto che provava per lui. E ora, Andy Rose lo baciava in quel modo così strano, così… bello forse, che lui ne rimase talmente spiazzato da non saper più come muoversi, come mettere le labbra, cosa farsene della lingua e dei denti, dove tenere le mani… Si spinse in avanti con un sospiro e cercò di approfondire quel contatto, cercando di prendere il controllo, ma ecco che Andy si staccò, depositandogli un ultimo bacio sulla punta del naso con un sorriso malizioso.
“Bene, hai avuto il tuo bacio, angioletto, ora a nanna.”
“Mi stai trattando come un bambino.”
“E’ quello che sei, angioletto.”
“Smettila di chiamarmi così, altrimenti…”
“Altrimenti?”
Ma la mente di Sherlock era già lontana da lì, in un universo parallelo creato dall’eroina che ora stava, pian piano, prendendo consistenza in lui. “Resta.” fece in tempo a mugugnare prima che il buio inghiottisse ogni cosa.  
 
Quando riaprì gli occhi, la luce del mattino lo accecò con efferatezza. In testa gli rimbombavano martellate poderose, menate sul piatto del gong che ora era il suo cervello. Si portò una mano alla gola, che gli bruciava terribilmente, e prese a tastarsi il collo con circospezione. Gemette di dolore toccando diversi punti. Si abbandonò nuovamente sul cuscino, svuotato di tutte le energie. Ricordava poco della sera precedente, una di queste era l’eroina, e un’altra… Andy.
Si voltò istintivamente verso la sedia e la trovò vuota. Per qualche ragione, quella constatazione gli causò una strana amarezza che si affrettò però a ricacciare indietro: lui era Sherlock Holmes, quello che spolpava le tasche dei suoi clienti per quanto abilmente riusciva a farli godere – o soffrire – prima di cacciarli via senza concedere loro neanche un bacio. Non era uno che baciava, lui. Doveva essere davvero andato per essersi lasciato baciare da quel piccolo medico militare – e a tal proposito non voleva neanche lontanamente prendere in considerazione il ridicolo fatto d’essere stato proprio lui a chiedergli di baciarlo.
Scosse violentemente la testa. Lui non aveva bisogno di baci, di sesso, né tantomeno di qualcosa anche solo lontanamente simile all’affetto. Andy Rose era un insulso individuo che presto o tardi sarebbe crollato ai suoi piedi implorandolo di possederlo, così come tutti. E di nuovo: lui non aveva bisogno di niente e nessuno.
Si alzò di scatto, ma un capogiro lo colse impreparato, facendolo rovinare a terra. Strisciò per qualche metro, finché non percepì un briciolo di forze in sé sufficiente a rimettersi in piedi. Barcollò, tese una mano in avanti verso la porta che dava sul corridoio, pregò di non ruzzolare nuovamente sul pavimento, ma proprio quando stava per sfiorare la maniglia, ecco che l’anta si spalancò, rischiando di colpirlo. Nell’indietreggiare maldestramente, inciampò nei suoi stessi piedi e finì col precipitare inesorabilmente verso il suolo. Un tonfo echeggiò per tutta la stanza e seguì il silenzio. Sherlock guardava di fronte a sé ostentando una freddezza di cui, in quel momento, non era provvisto, ma col farlo si trovò a poca distanza dalla carne rosea che s’intravedeva attraverso i piccoli spazi lasciati dai bottoni forse un po’ troppo stretti sul petto prestante. Un rossore imbarazzato gli colorò le gote mentre le braccia forti di Andy lo risollevavano come se fosse fatto di piuma.
“Buongiorno, angioletto. Dormito bene stanotte?” gli domandò in tono ironico l’ex soldato mentre se lo caricava con una semplicità sbalorditiva sulla spalla, a mo’ di sacco di patate.
“A-Andy?? C-che diavolo-”
“Sei il paziente peggiore che io abbia mai avuto, sappilo.” sbuffò fintamente spazientito il medico, prima di depositarlo con delicatezza sul letto e passargli una mano sulla fronte per constatare la situazione. “Bene, la febbre sembra scesa.”
“Mi hai somministrato qualcosa senza che me ne accorgessi?”
“Sì, della tachipirina, questa notte.”
“Me l’hai fatta ingoiare?”
“Oh, no, ho dovuto ricorrere a una supposta. Dormivi prono.”
Gli occhi di Sherlock si fecero grandi di orrore mentre pensava a Andy che infilava la pillola… E ovviamente a quell’immagine orrenda se ne sovrappose un’altra che gli colorò le orecchie di rosso. Poteva pensare a certe cose con l’oggetto di tali pensieri a poca distanza da lui? Odiava i momenti come quello: le rare occasioni in cui si ammalava, rivelandosi terribilmente vulnerabile nei confronti di chiunque. Per questo non lasciava che nessuno gli si avvicinasse anche solo lontanamente – per non esporsi, per non mostrare la sua reale debolezza, per non lasciarsi scalfire. Solo i suoi genitori e, in rarissime occasioni, Victor avevano avuto la possibilità, il permesso di vegliare su di lui durante la malattia. Il sonno era un'altra cosa che non tollerava: dormire lo spossava, anziché riposarlo. Il sesso, quello sì che lo rinvigoriva. Ma dopo ogni scopata cronometrata, anche l’ultima, chiedeva sempre ai clienti di lasciare la stanza, abborrendo l’idea di addormentarsi al fianco di uno sconosciuto.
Eppure, a Andy aveva permesso l’una e l’altra cosa. Si era praticamente spogliato di ogni sua arma e difesa di fronte a lui che, invece che colpirlo a tradimento, magari nel sonno, si era preso cura di lui e aveva a malapena dormito – a giudicare dalle profonde occhiaie che gli cerchiavano gli occhi.
“E non fare quella faccia! Sto scherzando!” lo sfotté Andy, ridestandolo dai suoi pensieri, guadagnandosi un’occhiata ferina da parte sua. “Comunque, quando dormi sembri così spensierato… Quasi un bambino.”
“E’ inquietante sapere che mi hai guardato dormire tutto il tempo.”
“A parte la bavetta, è stata una visione alquanto piacevole.”
Stavolta, Sherlock gli menò uno schiaffo sul ginocchio, aumentando solo le sue risa già abbondanti. Era solare, quel tipo. Nonostante il suo passato, nonostante le morti e il dolore che Sherlock gli leggeva in volto, nascosti fra quelle accennate rughe d’espressione, Andy Rose era sorrideva spesso.
“Non hai chiuso occhio tutta la notte?” domandò allora, cercando di spostare da sé il discorso.
“Sono abituato. La notte, ormai, dormo poco e male.”
“Incubi di guerra.”
Andy gli lanciò un’occhiata divertita e complice. “Ovviamente.” sottolineò con un sorriso di sfida.
“Ovviamente.” ripeté allora Sherlock aguzzando ancor di più lo sguardo malizioso. “Beh, dovresti fare qualcosa di veramente stancante prima di andare a letto, sai? Dicono che della sana attività fisica prima di dormire sia benefica.”
L’ex soldato finse un’espressione interessata e curiosa. “Ah sì? Ad esempio?”
E avrebbe voluto chinarsi su di lui e sussurrargli una delle sue proposte più indecenti, ma lo stato in cui versava non gli consentiva esattamente di prendersi troppe libertà. Il suo fisico era provato, si sentiva debole, troppe notti insonni passate a servire clienti anziché riposare. “Vienimi a trovare una di queste sere, quando sarò di nuovo in forma, e lo scoprirai.”
“Grazie della proposta ma sono costretto a declinare.” replicò tranquillamente il biondo allontanandosi per un attimo dal capezzale dell’altro per chinarsi a raccogliere quello che gli era caduto dalle braccia per afferrare in tempo Sherlock.
“Che cosa sono?”
“Antidolorifici e uno spray contro il raffreddore, anche se ammetto che la tua voce nasale è davvero meravigliosa.”
“La pianti? Hai deciso di attaccarmi stamattina perché sono più debole.”
“Non sono così scorretto, anche se, per ora, mi sto divertendo abbastanza a farlo.”
“Dio, se solo fossi così audace e impertinente anche a letto…”
Andy sospirò, prima di passargli un bicchiere con dentro sciolta una pastiglia che Sherlock studiò dubbioso. “Sono un medico. So quello che serve per buttare giù un po’ di febbre. La gola come va?”
“Un po’ meglio.” mentì buttando giù il disgustoso intruglio e cercando di raddrizzarsi per il dolore alla schiena che lo fece appena gemere. “Che male-” masticò tra i denti serrando un occhio.
“Se ti fa male, perché ti sei alzato?”
Sherlock si aggrappò con lo sguardo ad una delle tante pieghe del suo lenzuolo, improvvisamente consapevole di essere andato nel panico al pensiero che l’altro potesse essere in pericolo. “Credevo fossi andato da qualche altro dipendente per sfogare le tue insoddisfazioni sessuali che, credimi, si vede che sono tante. Così sono accorso per dirti che io ero disponibile.”
“Non la smetti mai di flirtare? Neanche quando sei da raccogliere con un cucchiaino per qualche linea di febbre? E non è vero che sono sessualmente insoddisfatto.”
Sherlock gli rivolse un sorrisetto diabolico. “Ora che ho visto il tuo lato premuroso di medico sono ancora più intrigato al pensiero di fare sesso con te. Ah, e, a proposito, lo sei eccome. Insoddisfatto, dico.”
Andy scosse la testa, allungandogli un cucchiaino su cui vi era qualche goccia di un secondo intruglio e, di nuovo, si costrinse a tenere le domande e i dubbi per sé e a fare quello che il dottore gli prescriveva di fare. “Dove l’hai presa tutta questa roba?”
“Oh, il tuo amico, quello dai capelli biondi…”
“Victor?”
“Sì, lui. Mi ha portato in quell’infermeria a cui accennavi.”
“Ti ha corteggiato?”
“Naturalmente. E’ una scommessa, per caso? Su chi mi porta a letto prima? No, perché, se così fosse, mi spiace ma le donne sarebbero nettamente avvantaggiate.”
Sherlock ridacchiò, sistemandosi meglio il cuscino dietro la testa. “Oh, Andy, hai trascorso parte della serata con un’Irene Adler agguerrita e seducente e non hai ceduto. E poi io sto per vincere.”
Andy inarcò un sopracciglio. “Non mi pare proprio.”
“Contando che fino alla fine di questa settimana sarò occupato a rimettermi in sesto, dammi quella successiva e per il weekend ti avrò portato a letto.”
“Non mollerai, vero?”
“No, sono piuttosto testardo, soprattutto quando qualcuno mi resiste.”
Calò qualche istante di silenzio in cui si scambiarono fugaci occhiate di dubbia interpretazione per entrambi: il medico che non faceva che alzare la manica della giacca per controllare l’orologio, come colto da un qualche tic nervoso e Sherlock che sfregava febbrilmente il pollice contro il medio della mano sinistra.
“Puoi andare.”
“Come?”
“Hai un appuntamento, probabilmente lavoro.”
“Sì, beh, effettivamente è ora che vada, ma se vuoi posso fare una telefonata e avvertire che-”
Sherlock scosse il capo, alzando la mano destra in segno di tacere. “Non serve, davvero. Se dovessi aver bisogno di qualcosa, ci penserà Victor, anche se…”
“Anche se cosa?” gli fece eco Andy corrugando la fronte, ormai probabilmente assuefatto alle sue uscite.
“Anche se potrei aver bisogno di un consiglio da parte di un esperto, di uno del campo, capisci? Anche, magari, solo da casa.” I suoi occhi luccicavano appena di malizia. “Magari, non so, potrebbe servirmi il recapito telefonico di un medico, magari di uno abituato ad intervenire tempestivamente grazie ad una lunga esperienza militare in Afghanistan, che conosca la strada per arrivare qui se la situazione dovesse peggiorare e – ma sì, perché no? – che sia anche biondo, con occhi azzurri, di aspetto gradevole e ben… equipaggiato.”
Andy sgranò gli occhi a quell’ultima parola, mentre gli occhi di Sherlock osavano correre al cavallo dei suoi pantaloni. Si affrettò ad incrociare le gambe e sbuffò esasperato, mentre gli chiedeva un foglietto di carta, ignorando volutamente le sue allusioni. Era veramente, veramente divertente conseguire quelle piccole vittorie con un uomo tutto d’un pezzo come quello che si ritrovava di fianco: frustrarlo, esasperarlo, metterlo in imbarazzo era quanto di più esilarante e soddisfacente avesse mai fatto. Lo osservò scrivere frettolosamente sul pezzo di carta che gli aveva porto, recuperandolo da un cassetto del comodino di fianco al letto, e infine mettere il tappo alla penna e piegare nuovamente il foglietto in questione.
“Ecco.” disse Andy allungandogli il pezzetto. “Ti ho dato il numero di una mia collega, per ogni emergenza.”
“Allora credo che non avrò alcuna emergenza.”
“Naturalmente.” concordò sveltamente il medico sorridendo e alzandosi dalla sedia. “Devo proprio andare, adesso. Mi raccomando: assoluto riposo.”
“Sì, mi prenderò la serata libera.” sbuffò in risposta Sherlock come un bambino a cui viene fatta la solita noiosa raccomandazione. “Passerai?” chiese poi con una punta di speranza.
“Forse.”
“Così non vale: o sì o no.”
Il sorrisetto dell’ex militare si allargò ancora di più, rivelando i suoi denti candidi. “Solo il tempo può dirlo, Sherlock.”
Si guardarono alcuni istanti con gli occhi di entrambi che luccicavano appena di divertimento. Quello che si stava creando fra loro non era un rapporto ordinario, comune, c’era qualcosa di completamente folle e, perché no, sbagliato forse. Il divertimento che provavano reciprocamente nello stuzzicarsi era appagante, liberatorio, bellissimo. C’era qualcosa di malsano, forse, nel loro modo di relazionarsi, ma a nessuno dei due, in quel momento, importava.
“Allora ci vediamo, Sherlock.”
“Ci sentiamo presto, Andy.”
E, dopo un ultimo, muto scambio, Andy aprì la porta e uscì. Sherlock si ritrovò a sorridere come un adolescente. Era terribilmente stupido il modo con cui si ridicolizzava di fronte a quel biondino stoico. Non era mai stato rifiutato da nessuno, eppure Andy lo faceva e questo non faceva che aggiungere legna al fuoco che crepitava nel suo petto.
“Andy…” sussurrò, gustando il sapore di quel nome fra le labbra. Scartò il pezzetto di carta e su di esso trovò in grande il nome di quella dottoressa che il medico gli aveva menzionato e sotto il numero. Allungò nuovamente la mano per aprire il cassetto del suo comodino e ne estrasse il cellulare, componendo velocemente quelle cifre sulla tastiera e premendo il tasto verde. Due squilli, infine una voce gracchiò sì?
“Buongiorno, parlo con la dottoressa Sawyer?” chiese mordicchiandosi le labbra schiuse in un sorriso.
“Sarah è in ambulatorio al momento, ma può riferire a me.”
“Oh, credevo che questo fosse il suo numero di cellulare.”
“E invece no.”
“Capisco, allora mi scusi tanto, anche se la colpa è principalmente di quell’idiota che mi ha dato questo numero.”
“Non si preoccupi, il mondo è pieno di idioti. Le serve qualcosa? E’ un’emergenza?”
“No, non è un’emergenza ma credo che… avrò spesso bisogno di contattarla. Per consigli medici, s’intende.”
“Certo, il mio telefono è acceso ventiquattrore su ventiquattro.”
“Anche la notte?”
“La notte solitamente dormo e il cellulare, acceso o no, fatico a sentirlo. Scusi, lei la notte che fa?”
“Non sono certo vorrebbe saperlo nel dettaglio… Diciamo che per questa notte, aspetterò trepidante la visita medica.”
“In tal caso, credo che quella che verrà sarà una nottataccia.”
“O magari una notte indimenticabile... Non le sto creando disturbo, vero?”
“Assolutamente, ma sto andando a lavoro, quindi fra poco dovrò riattaccare.”
“Ovviamente, e posso sapere dove si trova adesso?”
“Non è esattamente un luogo appropriato e che sono fiero di frequentare.”
“Dev’essere un luogo davvero disdicevole.”
“Lo è davvero, in particolare quelli che ci lavorano.”
“Sul serio? Cos’hanno fatto, l’hanno importunata?”
“In più di uno, sì.”
“E fra questi c’è anche qualcuno degno di nota?”
“Forse qualcuno, sì.”
“E chi è?”
“Una donna molto bella e seducente. Irene Adler, non so se ha idea di chi sia.”
“Oh, sì, ne ho sentito parlare. Dicono che sia una donna tanto bella quanto infida. Io rivolgerei l’attenzione su qualcun altro.”
“Peccato che non ci sia nessun altro di interessante, allora.”
“Beh, avrei anche un rimedio. Che ne dice di passare, per quella visita famosa, verso le undici e mezza stasera? Conosco qualcuno che sono certo le piacerà.”
“Mi ha incuriosito, ma non so se avrò modo di venire.”
“Ti aspetto. C’è sempre posto.”
“Abbiamo cominciato a darci del tu? Non è molto professionale.”
“Al diavolo la professionalità. Non credo di aver capito il tuo nome.”
“Perché non l’ho detto: sono il dottor Andy Rose.”
“Lieto di conoscerti, dottor Rose.”
“E tu?”
“Sherlock. Sherlock Holmes.”
Per qualche istante, dall’altra parte della cornetta fu solo silenzio, tanto che Sherlock dovette controllare se la chiamata fosse ancora in corso.
“Pronto? Signor Rose, sei lì?”
“Sì, sì, sono qui… Devo andare, ho la batteria del telefono quasi scarica.”
“Posso mandarti qualche messaggio per tenerti regolarmente informato delle mie condizioni?”
“Sì, certo… Allora, a risentirci, signor Holmes.”
“A risentirci, dottor Rose.”
Quando l’altro buttò giù, Sherlock si ritrovò a fissare con aria dubbiosa lo schermo scuro del cellulare. Era avvenuto qualcosa, durante quella conversazione. Qualcosa che non aveva capito. C’era stato un cambiamento repentino nella voce e nei modi di Andy. Si interrogò sulla ragione, ripensò alle sue parole, ma gli parve che niente che avesse lasciato le sue labbra potesse portare il medico a cambiare in modo tanto repentino atteggiamento. Infine, dopo una decina di minuti trascorsa a crogiolarsi in quelle domande senza risposta, riprese nuovamente il telefono e digitò un breve messaggio:
 
Non abbiamo un termometro. Stasera avevo intenzioni di misurarmi la febbre…
 
Attese la risposta, ma quando Victor bussò alla porta ed entrò con in volto il suo sguardo preoccupato e severo, ancora questa non era arrivata.
“Ehi, Angelo nel paese delle meraviglie.” lo richiamò l’amico sprofondando sulla sedia che, fino a poco prima, aveva ospitato Andy. “Quando torni dal tuo Mind Palace o come cavolo si chiama, ti ho portato una poltiglia di biscotti che potrebbe darti un po’ di energia.”
Ma Sherlock non rispose né tantomeno accettò il piatto che Trevor gli stava offrendo. Mantenne lo sguardo fisso di fronte a sé, prima di farlo scivolare in alto, ad un angolo della stanza, dove l’occhio di Moriarty, attraverso una telecamera, lo stava spiando. Assunse un’espressione dura e indifferente, timoroso che Jim potesse farsi una strana idea su Andy e sul loro rapporto. Per qualche ragione, ora temeva che, oltre a lui, quel pazzo potesse far del male anche al medico militare e questo non poteva permetterlo, non quando era lui ad aver cominciato quel gioco dalla fine dubbia. Avrebbe combattuto contro Moriarty, fosse l’ultima cosa che faceva.

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SPAZIO AUTRICI
Salve a tutti! Scusate l'ora ma pubblicare prima non ci è stato possibile *si erano dimenticate cof cof* e quindi siamo riuscite solo adesso a sistemare tutto per bene *bugiarde cof cof*.

Come annunciato, ecco il cambio di POV, con il nostro Sherl a narrare i fatti. Sorpresa delle sorpresa, ecco Moriarty! NO, MA CHI L'AVREBBE MAI DETTO... *patetiche cof cof*. Ed è un Moriarty un po' particolare, da un certo punto di vista, perché è sì sempre pazzo, ossessionato con Sherlock, piuttosto sadico e non esattamente equilibrato, ma è anche un Moriarty che, in qualche modo, c'entra profondamente col passato di Sherlock e con la ragione per cui Sherlock è entrato nel brutto giro di droga, bordello e quant'altro... Chissà che sarà successo... 

Poi, ovviamente, essendo narrato dal punto di vista di Sherlock, John non verrà chiamato John ma Andy - penso che ci siamo arrivati tutti, bene o male, ma è sempre meglio specificare. Andy... E' piuttosto triggherato il nostro piccolo Sherlock, diciamo che questo medico militare non gli dispiace affatto... Ed è solo l'inizio, gente!

Sherlock e la droga. Un classico topos nelle fanfiction di Sherlock che non poteva mancare. La droga che non è una nuova amica, ma una molto, molto vecchia... E più che avere, in futuro, dei risvolti, ne ha avuti in passato, ma arriveremo anche a questo, non temete. Tra l'altro anche Victor non poteva mancare accanto a Sherlock. Ma sarà un possibile rivale di John alias Andy? Sarà un semplice amico spinto dal solo amore fraterno per Sherlock? Sarà un personaggio che, inzialmente, si mostra carino e gentile e poi calerà la maschera sul più bello? Non lo sappiamo... *false*, traete le vostre conclusioni...

Il corteggiamento di Sherlock è spudorato e pressante. Sherlock da un lato odia ma dall'altro ama venire rifiutato. Crede che Andy sia solo la classica bambolina da ammliare e poi da portare a letto solo per sentirsi fiero di se stesso... O meglio, questo è quello che piace pensare a lui. Con Andy sta bene, l'abbiamo capito tutti, persino lui, ma non può neanche lontanamente immaginare a cosa tutto questo lo porterà... E credetemi, neanche voi *eheheheh*

Scusate di nuovo per l'orario. Speriamo questo capitolo vi sia piaciuto e vi salutiamo, rimandandovi alla prossima domenica. OH YES!
   
 
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