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Autore: TaliaAckerman    19/11/2018    2 recensioni
L'ultimo atto della saga dedicata a Fheriea.
Dubhne e Jel si sono finalmente incontrati, ma presto saranno costretti a separarsi di nuovo. Mentre la minaccia dal Nord si fa sempre più insistente, un nemico che sembrava battuto torna sul campo di battaglia per esigere la sua vendetta. Il destino delle Cinque Terre non è mai stato così incerto.
Dal trentaquattresimo capitolo:
"Dubhne si portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e ricordò quando, al suo arrivo a Città dei Re, l'avevano quasi rasata a zero.
- Quando ero nell'Arena... - mormorò - dovevo contare solo su me stessa. Un Combattente deve imparare a tenere a bada la paura, a fidarsi solo del proprio talento e del proprio istinto. Non c'è spazio per altro.
Jel alzò gli occhi e li posò su di lei - E che cosa ti dice ora il tuo istinto?
- Sopravvivi. "
Se volete sapere come si conclude il II ciclo di Fheriea, leggete!
Genere: Azione, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'II ciclo di Fheriea'
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La pianura che si estendeva al di fuori dei confini di Amaria si sarebbe potuta definire un altipiano vista la differenza di altezza sul livello del mare che separava la regione dall'Ariador e dalla piana di Dárenlas. Nonostante in tutte le altre terre di Fheriea fosse ormai primavera le Terre del Nord continuavano ad essere ostinatamente ammantate di neve.
Hareis abbassò lo sguardo sull'anello di mura che era stato eretto tutt'intorno alla capitale. Opera di Sephirt, completata qualche giorno prima; era bastata una mezz'ora scarsa perchè la donna radunasse a sé con la magia tutti i blocchi di pietra necessari per costruire un muraglione alto più di cinque metri. Era stata un'esperienza piuttosto impressionante per gli spettatori: nel corso della sua vita Hareis aveva visto Sephirt compiere innumerevoli prodigi, ma vederla chiudere gli occhi e concentrarsi, e non più di cinque minuti dopo vedere sopra di lei un numero indeterminato di blocchi di Pietra provenienti direttamente dalle montagne dell'Avernia, ebbene quella visione aveva ancora avuto il potere di stupirlo. Successivamente la donna li aveva disposti tutto intorno alla città sigillandoli l'uno all'altro senza neanche il bisogno di utilizzare della calce.
La pelliccia di lupo che portava sulle spalle, sopra il mantello bianco, non era sufficiente per farlo rimanere indifferente alle sferzate di vento gelido. Era un buon presagio: il morale degli uomini ne avrebbe risentito parecchio se l'Esercito delle Cinque Terre fosse comparso all'orizzonte portando con sé cielo sereno e calore primaverile. E, d'altro canto, combattere al freddo facilitava il rimanere lucidi e stimolava i riflessi.
Hareis si sfiorò con due dita la guancia destra; laddove l'Evocazione del maestro Raenys l'aveva colpito la pelle ustionata era rimasta arrossata e raggrinzita. Theor aveva ipotizzato che il custode Ryeki potesse essere in grado di lenire il dolore e migliorarne l'aspetto con qualche unguento, ma il giovane mago aveva rifiutato. Sarebbe stato una sorta di memento mori, un marchio che avrebbe permesso a Raenys di riconoscerlo nel momento in cui l'avrebbe ucciso.
Il punto di non ritorno era ormai stato superato da tempo. Theor era stato molto chiaro con lui fin dall'inizio, nel momento in cui per la prima volta aveva convocato il Consiglio Ristretto per mettere al corrente i suoi collaboratori più fidati della situazione. Al termine della riunione il maestro delle Terre del Nord lo aveva preso da parte e lo aveva messo di fronte a un bivio: vincolarsi per la vita al destino delle Terre del Nord, qualunque esso fosse, o rinunciare al proprio apprendistato e abbandonare Amaria. E Hareis, all'epoca poco più di un ragazzo - come Sephirt, d'altronde - aveva fatto la sua scelta. Non ci era voluto molto perché comprendesse il perché di quelle parole drastiche.
Ricordava con chiarezza il momento in cui per la prima volta aveva ucciso. Con quale prontezza, quale mancanza di esitazione. Dopotutto Theor era quanto di più simile a un padre avesse mai conosciuto; in quell'occasione non aveva pensato ad altro se non a compiacerlo e dimostrargli tutta la propria devozione.
E fu così che l'uomo si ritrovò immerso nei ricordi del momento in cui, davvero, tutto era cominciato.


Non ha che dieci anni, il piccolo Hareis, il giorno in cui qualcuno bussa alla porta di casa sua con tre colpi sonori. Suo padre avrebbe tanto desiderato essere presente a quel solenne momento, ma giace ormai sotto terra da diverse lune. Una bronchite lancinante se l'é portato via, e per poco non è accaduto lo stesso ad Hareis.
Ma quel giorno non c'è spazio per le lacrime, e quando l'attendente Janson compare sulla porta impeccabile nel suo completo regale, persino sul volto di sua madre si accende un sorriso febbrile. Sanno entrambi ciò che la presenza di un delegato del palazzo reale significa.
Hareis è stato iscritto alla selezione che stabilirà chi prenderà il posto di Samuel Veras come nuovo apprendista di Nathaniel Theor l'anno precedente. Il sangue magico scorre nelle sue vene sia da parte di padre che di madre, entrambi figure notabili all'interno dell'apparato burocratico delle Terre del Nord. Sua madre, di famiglia nobile, presiede nella delegazione delle Terre del Nord nel Gran Consiglio; suo padre è stato per anni a capo della sicurezza all'interno della corte di Amaria, prima di acquistare un incarico dietro una scrivania nell'ambito della contabilità della nazione. Alla luce della posizione di rilievo che ricoprono, l'indubbia predisposizione alla Magia di Hareis li ha spinti a sperare per lui la più prestigiosa delle istruzioni.
- Vostro figlio è richiesto a corte, lady Neyra. Lord Theor desidera parlare con lui.
Hareis osserva la scena da dietro un angolo del salotto. Il camino acceso riflette le lingue di fuoco nelle sue iridi giallo-verdi. Non sa se l'idea di diventare allievo del maestro delle Terre del Nord sia per lui motivo di felicità o d paura. Sa solamente che è quello che i suoi genitori si aspettano da lui.
- Hareis - lo apostrofa sua madre all'istante quando lo vede. - Non stare lì a origliare, vieni avanti. Hai sentito quello che ha detto l'attendente.
Hareis si sente intimidito. Il giovane alla porta deve avere non più di cinque anni più di lui, ma sembra molto più grande. Indossa un farsetto color dell'ambra ed è impeccabile avvolto nel suo mantello marrone scuro.
Alla fine annuisce.
- E sai cosa significa?
Hareis ripete lo stesso gesto.
- Allora vai a prepararti. Andiamo a palazzo.
Dieci minuti e sono entrambi in strada, arrancando nella neve dietro l'attendente che li conduce, e in meno di dieci minuti raggiungono la piazza centrale di Amaria dove sorge il palazzo reale del re Robyn I di casa Vanyana.
Dopo aver superato la coppia di guardie reali poste all'ingresso principale, l'attendente li conduce attraverso quelle sale e quei corridoi che Hareis percorrerà centinaia di volte in seguito, e quando arriva dinnanzi ad una porta socchiusa fa cenno a lady Neyra di fermarsi.
- Lord Theor parlerà con vostro figlio da solo.
A quelle parole anche gli ultimi dubbi che possa trattarsi solamente di un'altra scrematura preliminare tra i vari candidati si dissolvono.
Sua madre gli indica di proseguire con un sorriso nervoso in viso e Hareis obbedisce; con passo deciso varca la soglia oltre la quale si nasconde il suo futuro.
La stanza in cui si trova ha un soffitto dalla volta estremamente alta, come tutte le altre sale del palazzo d'altronde, ma questa è più piccola rispetto alle altre e l'unione dei due aspetti produce un vago senso di soffocamento. Ha l'aspetto di uno studiolo: in fronte ad una delle due finestre - alte e sottili, culminanti in due fornici - è posta una spaziosa scrivania in legno di una colorazione piuttosto scura, forse ebano, mentre dinnanzi all'altra un cannocchiale poggia in equilibrio sul proprio piedistallo. Una seconda scrivania, più piccola, è appoggiata alla parete opposta circondata da file di scaffali ancora vuote. C'è anche una credenza.
Il maestro delle Terre del Nord è seduto sul bordo di un'agrippina posta nel centro della stanza, un po' spostata verso la parete di fondo. Ha lo sguardo chino su un rotolo di pergamena che regge con entrambe le mani, ma quando lo sente entrare alza lo sguardo.
Quello che ha davanti a sé non è il Theor stanco e segnato che avrà modo di conoscere molto bene durante la Ribellione, bensì un uomo maturo dotato da grande carisma e animato da ideali politici accesi. Hareis è troppo piccolo per essere al corrente delle diatribe che attraversano il suo Paese, ma questo non gli impedisce di riconoscere una cosa: Nathaniel Theor possiede una strana forza ammaliatrice che vincola chiunque gli sia di fronte a rispettare le sue regole, qualunque esse siano. Non c'è malvagità né fanatismo nei suoi occhi dorati, non ancora, eppure in loro Hareis ha sempre scorto qualcosa che gli incute timore, la spia di una fredda determinazione che pochi possiedono.
Hareis si esibisce in un inchino impeccabile - sua madre lo ha costretto a esercitarsi così tante volte...
- Mio signore.
- Alzati, Hareis - Theor gli fa cenno di sedersi accanto a lui. - Non ti tratterrò molto a lungo.
Il bambino è un po' impacciato; aver di fronte a sé l'uomo più influente del regno non lo lascia indifferente. Tuttavia obbedisce.
Il maestro riarrotola la pergamena e la ferma annodando uno spago, poi finalmente si rivolge a lui.
- In questi mesi hai sostenuto molte prove insieme ad altri giovani maghi promettenti. Sei stato esaminato e valutato dai miei selezionatori per quanto concerne le abilità magiche in tuo possesso, le tue conoscenze storiche e letterarie, abilità retoriche, la tua capacità decisionale e di applicazione logica. Nonostante non abbia potuto condurre di persona la selezione ho seguito il vostro lavoro meticolosamente e dopo avervi incontrati tutti i venti una settimana fa, come avrai dedotto, ho scelto te.
Una strana sensazione si diffonde in lui a quelle parole. Lo aveva intuito, anzi, era apparso probabile che fosse così fin dal giorno in cui Theor li aveva personalmente esaminati, ma sentirglielo proferire è cosa del tutto diversa.
- Immagino che per tua madre sarà motivo di grande orgoglio, ma prima di accettarti a pieno titolo come mio apprendista ci sono delle domande che devo porti.
Hareis sente l'agitazione tornare a salire; era stato sicuro fino a pochi istanti prima che nessuno lo avrebbe più sottoposto a esami, eppure pare che Theor non sia dello stesso parere.
L'uomo lo scruta con quei penetranti occhi gialli, tanto che lui è tentato di abbassare lo sguardo. Ma non lo fa. Ogni singolo cenno di cedimento può comportare un cambio di posizione da parte di Theor, e quindi una sua esclusione. Non può deludere sua madre.
- Non sono un uomo dedito alle perdite di tempo - spiega con calma. - Quando ho svincolato Samuel dal nostro legame, dopo quindici anni di apprendistato - non ero ancora maestro quando lo presi con me - non ero sicuro che fosse opportuno scegliere un altro giovane da istruire. Tuttavia sento la necessità di infondere lo spirito del mio operato in qualcuno di cui io mi possa fidare ciecamente, qualcuno che possa forse, un giorno, prendere il mio posto.
Hareis non emette fiato. Non riesce a capire dove l'uomo voglia andare a parare.
- Ma questa non è una posizione che si possa assumere con leggerezza, Hareis. Sei ancora un fanciullo; se accetti ora rinuncerai a molte velleità che la vita ha da offrirti. Non tutti possono ambire a intraprendere una carriera politica, ma quelli che vi sono davvero portati sono davvero pochi. Ma se accetterai di diventare mio apprendista dovrai dedicare anima e corpo alla strada intrapresa. Come ho detto, non amo le perdite di tempo. Voglio essere
sicuro che non mi deluderai.
Hareis è sgomento: come può esserne sicuro? Come può garantire che le proprie doti sono ineccepibili e che la propria volontà rimarrà immutata nel corso degli anni? Davvero Theor si aspetta una risposta da lui, che ha solo dieci anni, che non sa nulla di quel mondo...
- Ebbene io ti chiedo, possiedi tu questa vocazione?
Un istante.
- Sì, mio signore.
- Sei disposto a consacrarti alla vita politica? A legarti alle sorti della tua patria, qualunque esse siano? Sei pronto per tutto questo?
Nella sua parlata c'è qualcosa che ammalia, Hareis lo sa. E per la prima volta desidera davvero occupare il posto che i suoi genitori hanno designato per lui. Desidera diventare come l'uomo che ha di fronte.
Risponde alle domande con voce ferma.
- Sono pronto, mio signore.
Forse Theor vede nei suoi occhi qualcosa che lo compiace, perché accenna un sorriso. - Dunque è deciso. D'ora in avanti mi chiamerai
maestro.


In vent'anni non si era mai pentito delle parole pronunciate quel giorno. Forse nei primissimi tempi di apprendistato, ma ormai di quegli anni non ricordava che frammenti e vaghi sprazzi di stati d'animo.
Se si fosse trovato di nuovo in quello studio che in seguito sarebbe diventato suo avrebbe ripetute le stesse parole di allora.
Eppure la Ribellione lo aveva portato più volte sull'orlo del baratro. Abbandonare del tutto ogni parvenza di una vita normale, rinunciare alla vitalità del fiore della propria giovinezza era stata una prospettiva facile da accettare davanti al bruciante furor di patria che la vita e le parole del suo mentore gli avevano instillato.
Ma vedere il corpo esanime di Sephirt ammassato insieme ai cadaveri nella fossa comune di Tamithia. Vedere i propri fratelli che cadevano sotto i colpi dei nemici in fiumane di sangue, assistere alle difese di Qorren che andavano in frantumi. La trasformazione della donna che amava: la vita e il furore che avevano animato i suoi occhi rossi scomparsi per sempre, sostituiti da quella spietata freddezza nutrita solamente dal desiderio di morte... Quelle erano state prove che avevano portato la sua volontà a vacillare pericolosamente sotto il disperato desiderio di abbandonare quel mondo di sofferenza e fuggire lontano.
Ma come Sephirt aveva rinunciato alla propria anima per il desiderio di vendicare Mal, così Hareis aveva rinunciato a ogni cosa pur di restare fedele alla causa. E pur di rimanere a suo fianco.
Anche se della persona che amava non era rimasto che il simulacro, anche se quel sentimento lo avrebbe condotto certamente alla distruzione e, forse, in un certo senso, lo aveva già fatto.
Dopotutto nessun uomo può scegliere chi amare.

La creatura che Mal si porta dietro non è un ragazzino come la chioma corta e arruffata aveva suggerito. È una bambina.

Quelle immagini avevano riempito i suoi sogni per anni, e i suoi incubi negli ultimi tempi.

Non può avere più di dieci anni. Il suo volto è pallido e affilato come quello di un animale selvatico, la sua pelle diafana crea un netto contrasto con gli occhi rossi come il sangue. Hareis ne ha soggezione e abbassa lo sguardo.

Cos'aveva condotto le vie di Mal e Sephirt ad incrociarsi?

È evidente che sia stata esposta a malnutrizione e avversità di ogni tipo. Nonostante si trovi ad Amaria già da qualche giorno ci vorrà parecchio prima che ritorni nel pieno delle forze e metta su un po' di peso. Ora come ora dev'essere leggera come un fuscello. Non parla.

Non era sicuro che Theor ne avesse compreso subito l'enorme potenziale magico. Hareis aveva sentito il suo mentore parlare di lei con Mal soltanto una volta; in quell'occasione ricordava di aver sentito l'uomo pronunciare la frase, per lui allora enigmatica, "il suo corpo e la sua mente rifiutano la Magia".
Quale trauma aveva ridotto una bambina in quello stato? Cosa aveva visto Mal in lei che a tutti gli altri per molto tempo ancora sarebbe rimasto celato?
Interrogativi che erano rimasti senza risposta per anni e che, ora ne era sicuro, non sarebbero mai stati svelati.
Sephirt era cresciuta ed era diventata una strega più potente di quanto né lui né Mal sarebbero mai stati. Dolcemente divorata dall'amore per il proprio mentore come lo era stato lui per lei.

Quando Mal chiede a Theor il permesso di farne la propria apprendista Hareis ha un infantile moto di stizza. "Ma è una femmina! Le femmine non possono essere brave quanto noi con la Magia."

Ricordava di aver percepito un'inconsueta incertezza nel maestro delle Terre del Nord. A lungo aveva scrutato Mal, combattuto tra lo scetticismo e la fiducia che nutriva nel suo uomo migliore.

Sephirt non guarda verso di loro. Si stringe al mantello di Mal e tiene gli occhi bassi; sembra molto più piccola di quanto non sia in realtà.

Se Theor avesse detto di no avrebbe risparmiato immense sofferenze a tutti loro.

Le sentinelle stavano in piedi lungo tutto il perimetro delle mura, disseminate fra le schiere di arcieri inginocchiati davanti alle feritoie. All'interno della città non si vedeva anima viva che non fosse un soldato. Theor aveva reso pubblico l'ordine per tutti i civili rimasti incapaci di reggere in mano una spada di ritirarsi nelle abitazioni nel centro della città. A suo agio nei panni dello statista in momenti d'emergenza aveva bellamente ignorato le vaghe proteste degli aristocratici proprietari degli ampi palazzi nobiliari disseminati intorno alla piazza centrale di Amaria. L'unico luogo a non essere adibito a quello scopo era il palazzo reale, divenuto vero e proprio centro dell'organizzazione militare e punto di raccolta per gli ultimi generali rimasti a disposizione della Ribellione. Negli ultimi tempi Hareis aveva assistito a un via vai del tutto inedito all'interno delle austere sale della reggia della famiglia Vanyana. Le ultime riunioni, gli ultimi calcoli, le ultime disposizioni. Era stato a fianco di Theor, sempre, a costo di togliere il sonno alle sue notti. Perché da quella battaglia non sarebbe dipeso soltanto il futuro della Ribellione, no, ad essere deciso sarebbe stato il destino delle Terre del Nord.
Ora però tutto taceva. Theor aveva portato con sé al Santuario la maggior parte dei suoi uomini più fidati, dopo aver affidato ad Hareis la difesa della capitale. Attendi il mio ritorno, erano state le sue ultime parole prima di congedarsi.
Aveva cercato Sephirt il giorno prima per parlare con lei un'ultima volta da solo. Non era sceso tanto in basso da gettarsi ai suoi piedi dichiarandole eterno amore e implorandola di fuggire con lui lontano da lì. In un certo senso gli sarebbe sembrato un tradimento nei confronti della donna di cui un tempo si era innamorato, la vera Sephirt. Anche se forse, dopotutto, la donna che era riemersa dai sotterranei del custode Ryeki come una fenice nera dalle ceneri era molto più simile alla bambina emaciata che era arrivata ad Amaria tanti anni prima rispetto alla strega che Hareis aveva conosciuto. Forse quella parabola discendente altro non era che l'inevitabile corso della vita di una creatura che non era mai appartenuta veramente al mondo degli uomini.


Sono entrambi avvolti da pesanti pellicce di lupo. Quella di Sephirt dev'essere di un albino, visto il colore bianco come la neve, e crea un netto contrasto con l'elegante divisa da combattimento che indossa. Nera come l'abisso in cui è prigioniera la sua anima, nonostante a risaltare su tutto siano come sempre i suoi occhi. Rossi come il sangue di coloro che ha ucciso.
Una retorica che Hareis pensava trovarsi solo negli antichi componimenti dei poeti maledetti risalenti al periodo antecedente alla Prima Era. Ora si trova di fronte alla loro rappresentazione, tanto da chiedersi se Sephirt non sia davvero la reincarnazione di qualche divinità arcaica.
Non può provare desiderio verso di lei, non più. Il solo ricordo di quando ancora serbava in cuore qualche speranza lo riempie di un'angoscia e un dolore così forti da annichilire ogni altro sentimento.
Come siamo giunti a questo? Vorrebbe chiederle. Che abbiamo fatto delle nostre vite? Hareis non avrebbe rimpianti se non fosse per lei.
- Perché non te ne sei andata? - le chiede invece. - Questa vita, questa causa, ti hanno tolto tutto. Non credo che a questo punto possa più importarti della Ribellione. Perché sei ancora qui?
Sephirt lo guarda senza sbattere le palpebre. È un'esigenza che pare averla abbandonata. Ma nonostante questo, per la prima volta da quando l'ha vista tornare dal mondo dei morti, qualcosa attraversa i suoi occhi. Qualcosa che potrebbe sembrare di buon auspicio, l'ombra di una perduta umanità, ma Hareis impiega solo un istante per capire che non è altri che dolore. Non c'è speranza per lei. Quello sguardo è solo una supplica disperata gettata da un'anima irrimediabilmente ferita, prigioniera dietro sbarre di ferro che non ammettono redenzione.
Sembra siano passati anni dall'ultima volta in cui si sono trovati così vicini, a parlare guardandosi negli occhi. Da quando Sephirt è morta e la Strega Rossa ha preso vita Hareis non è mai riuscito a sostenere quello sguardo. Ora però non vi si sottrae.
Quando la strega parla, lo fa con voce quasi rotta.
- Non ti mentirò, Hareis. Hai detto il vero. La Ribellione ha perso ogni significato per me da molto tempo ormai. Theor, la patria, la gloria... nulla di tutto ciò ha più importanza.
Vorrebbe muovere un passo verso di lei e sentire quanto sono fredde le sue guance, ma non lo fa. Continua a solamente a guardarla negli occhi, i quali per un istante sembrano velarsi di lacrime. Ma forse lo ha soltanto immaginato.
- Non sento
niente, Hareis - vi è una sorta di urgenza in quelle parole, come se per troppo tempo avessero premuto per uscire dalle sue labbra. - Solo desiderio, un desiderio folle, di fargliela pagare.
- A chi, Sephirt?
Ora è lui a non essere sicuro di riuscire a trattenere le lacrime. La commozione è troppo forte. Nulla conta più in quel momento. Sono lì, insieme. Forse gli è stato concesso un ultimo momento di idilliaca amarezza, la possibilità di rivedere uno sprazzo, seppur cupo e disperato, della donna che possiede il suo cuore e che, ora ne è sicuro, lo porterà con sé fin nell'infero della morte. E se davvero quel momento di lucidità è soltanto un'illusione, Hareis è comunque disposto ad accettare questo fato.
Lei scuote la testa.
- Al mondo. A tutti quanti. A Jel Cambrest e Gala Sterman.


Hareis chiuse gli occhi. Nevischio leggero aveva cominciato a scendere dal cielo foderato da nubi perlacee, bagnandogli le guance.
Le ultime nevi dell'inverno?
Una volta Sephirt, durante un duello d'allenamento, aveva evocato una palla di neve e gliel'aveva scagliata contro. Ne era seguita una battaglia che aveva praticamente allagato la stanza dei sotterranei in cui lo scontro aveva avuto luogo. Era stato uno dei pochissimi momenti di spensieratezza che avevano condiviso.
Il mago sorrise a quel ricordo.
Poi qualcosa lo indusse a riaprire gli occhi. Un lieve tremito lo aveva scosso, a metà fra una percezione sensoriale e un presentimento. Aguzzò lo sguardo e scrutò l'orizzonte.
Non si era sbagliato. Una macchia scura andava allargandosi in lontananza, spandendosi sulle propaggini delle piana di Dárenlas come la spuma dell'onda.
L'Esercito delle Cinque Terre era finalmente arrivato.








Note:

Questo è un capitolo sperimentale, forse il più particolare che abbia mai scritto. Come avrete notato quando si tratta del pov di Hareis faccio spesso uso di flashback, ma questa volta ho cercato di andare oltre, fondendo i due piani di narrazione - sperando che ai lettori non appaia tutto come evitabile infodump. Il fatto è che Hareis è un personaggio cui tengo molto, nonostante per "regole di ingaggio" da me autoimposte non abbia potuto seguirlo passo passo durante questa vicenda. Ecco perché voglio restituirgli qualcosa, mostrando poco alla volta tasselli del suo passato. Spero che condividiate la mia scelta.
Un bacio a tutti i lettori e un grazie particolare a Elendil che ha recensito lo scorso capitolo insieme alla fedelissima easter_huit.
~TaliaMorrissey
  
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