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Autore: Roiben    20/11/2018    1 recensioni
Che cos'è la devianza? Un semplice virus digitale diffusosi fra gli androidi a seguito di contatti e scambio di dati? Un malfunzionamento patogeno causato da un errore di progettazione? L'evoluzione autonoma di un programma preinserito? O la semplice presa di coscienza della propria esistenza e di un pensiero indipendente?
Come l'hanno percepita gli androidi? E gli esseri umani?
Anche gli androidi hanno dei sogni?
Genere: Angst, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Connor/RK800, Elijah Kamski, Hank Anderson, Markus/RK200
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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chapter 13. Minds in disarray



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DETROIT

Date

NOV 14TH, 2038


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CYBERLIFE TOWER

Belle-Isle

Roof

Time

PM 14:36


«Cosa?!» grida Markus, sconvolto e allucinato. «Sei pazzo? Non se ne parla neppure; dimentichi che dobbiamo andare da Connor, e in fretta anche» gli rammenta con urgenza e una punta di disperazione.


Elijah sorride, e Markus sente, feroce, l’istinto di buttarsi già dalla terrazza per porre fine una volta per tutte a quell’agonia. O forse sarebbe meglio buttare giù l’uomo, chissà.


«È esattamente ciò che faremo, dopo aver preso in consegna il nuovo prototipo» spiega compiaciuto.


«No, no, no! Cazzo, come… Ma come accidenti ragioni? Non lo vedi che è a malapena presente a sé stesso? Potrebbe facilmente perdere quel briciolo di coscienza e autocontrollo che a stento possiede. E a quel punto? Ti sei per caso chiesto che cosa potrebbe accadere? E se succedesse mentre ci troviamo in volo? Se invece lo perdesse mentre stai tentando di riparare Connor?» protesta, oramai fuori di sé dalla preoccupazione.


L’uomo scuote la testa, senza affatto perdere la sua apparente tranquillità


«Non credo succederebbe, ma anche se fosse ci saresti comunque tu. Puoi controllarlo» espone in tono ragionevole.


Markus cruccia la fronte, perplesso. «Che intendi?».


Elijah scocca un’ennesima occhiata interessata al prototipo, poi torna su Markus.


«Tu sei il primo: hai la chiave per accedere a tutti gli altri».


«Che cosa stai dicendo?» domanda serio.


Ma l’uomo risponde con un leggero cenno di diniego e un criptico «Lo vedrai» che frustra ancora una volta i bisogni di Markus.


Nonostante tutto decide nuovamente di fidarsi e spera con tutte le sue forze che non si tratti di un errore. Quando si volta di nuovo incontra l’altro androide sempre fermo nello stesso punto, gli occhi attenti che lo studiano con scrupolosità. Non sembra curarsi affatto della neve che cade sempre più fitta, né del tempo che scorre, o dei due uomini che lo fissano in maniera ossessiva e per ragioni discutibili. Markus serra i pugni, stanco di tutta quella situazione illogica e senza senso. Si leva il soprabito con gesti rapidi e bruschi, annulla la poca distanza che ancora li separa e, in uno svolazzo di fiocchi gelati, poggia l’indumento sulle spalle dell’altro.


«So che non senti freddo ma, credimi, è meglio così» commenta nel tentativo di giustificare le proprie azioni.


L’RK900 lo osserva ancora un momento, poi sposta lo sguardo sul bavero del soprabito e fa scorrere una mano sul tessuto. Markus schiude le labbra sorpreso quando lo vede sorridere.


Grazie… Markus”.


Sbatte le palpebre un paio di volte, incerto. «Ah… Beh, prego» borbotta imbarazzato.


«Chiedo scusa» si intromette a un certo punto Elijah. «Credo sarebbe ormai ora di avviarci. È meglio evitare di perdere troppo tempo».


Markus lo fissa accigliato. «Sì, bene» sbotta, domandandosi con che faccia tosta riesca a dare suggerimenti simili quando è lui il primo a creare i presupposti per gli intoppi che li rallentano. Niente, non c’è proprio verso di capirlo, quell’umano dissennato.


Cerca lo sguardo dell’RK900, aspettando che gli presti l’attenzione necessaria. «Andremo da un altro androide che ha bisogno di assistenza, ora. Puoi… Se lo desideri, puoi accompagnarci, a meno che tu non abbia piani migliori» tentenna.


L’altro si limita a un cenno affermativo del capo e, per la prima volta da che si sono incontrati, si muove, andando incontro al velivolo che li attende con infinita pazienza.


*


Kamski ha insistito perché l’RK900 si posizionasse nel mezzo fra lui e Markus, adducendo come scusa che sarebbe stato più sicuro. Inutile sottolineare che Markus non ha creduto a una sola delle sue inutili parole; è certo invece che voglia sfruttare il volo fino in Ontario per decifrare il suo nuovo rebus dall’aspetto umanoide. Ridacchia mentalmente adocchiando i due; uno molto preso dall’osservazione compulsiva della vita meccanica sedutagli accanto, l’altro totalmente disinteressato all’umano e invece molto attratto dalla strumentazione di bordo.


Markus” lo sente interpellarlo in un momento imprecisato del loro volo. “È l’umano seduto davanti che manovra l’apparecchio?” chiede, visibilmente interessato ai meccanismi di volo.


«Sì, è il pilota, ed è lui che fa volare l’elicottero» lo accontenta di buon grado, quasi divertito dal comportamento di quell’androide che, contrariamente a ciò che suggerirebbe il suo aspetto, si comporta proprio come un ragazzino curioso.


Non pensi che potrebbe volare anche da solo?”.


Markus aggrotta le sopracciglia, interdetto. «Non lo credo possibile. Gli manca la tecnologia necessaria perché possa farlo».


Oh…” soffia la voce mentale dell’RK900, suonando molto dispiaciuta.


«Che cosa dice? Di che parlate?» incalza Kamski, curioso quasi più dell’androide.


Markus sbuffa, seccato. Due bambini, curiosi e tremendamente instabili, rinchiusi a bordo di un elicottero sospeso nel bel mezzo di una nevicata. Quante possibilità avranno di sopravvivere a quel viaggio?


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CANADA

Date

NOV 14TH, 2038


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CHATHAM-KENT - ONTARIO

470 McNaughton Ave

Time

PM 03:13


Hank si è fatto aiutare da Dick nel riportare Connor dentro lo studio, di nuovo sul tavolo da lavoro dal quale era caduto neppure troppo tempo prima, poi è rimasto a fissarlo ingrugnito e pensoso per minuti che si sono dilatati fino a diventare ore. Le discrete proposte di Dick di accendere la radio, mangiare qualcosa, chiacchierare dei vecchi tempi, sono miseramente finite nel buco nero dell’indifferenza. Presto è parso fin troppo chiaro che Hank non fosse minimamente interessato a trovare un modo per trascorrere il tempo, invece ha finito per sedersi accanto al tavolo con le braccia incrociate sotto il mento e la pesante testa di Sumo abbandonata sulle cosce.


Un rumore fuori posto lo risveglia dai suoi silenziosi pensieri quando il momento del pranzo è già trascorso da un paio d’ore. Solleva il capo, perplesso, e ascolta meglio: qualcosa sembra si stia avvicinando, qualcosa che proviene sicuramente dall’esterno. Ma non riesce a capire di cosa possa trattarsi, per lo meno fino al momento in cui il rumore diventa abbastanza forte da far vibrare i vetri: un elicottero. Veloce si rimette in piedi e si accosta alla finestra, fissando il cielo con ansia.


«Che gran bastardo!» sbotta improvvisamente, colpendo il davanzale con un pugno.


Dick scuote la testa e sospira. «Era prevedibile. Di certo non potevi aspettarti che arrivasse in autobus».


Hank gli rifila l’ennesima occhiataccia. «Il suo cazzo di elicottero sta atterrando sul prato di casa tua, non so se l’hai notato. Mi pare che questo sia il modo migliore per attirare l’attenzione. Quell’uomo è un autentico squilibrato» protesta, preoccupato per le loro sorti e in particolare per quelle dell’androide.


«Eh, su questo concordo di sicuro. Ma uno squilibrato con un sacco di soldi e una mente geniale» lo corregge Dick.


«T’assicuro che, genio o meno, se proverà a farci qualche brutta sorpresa sarà un miliardario con il naso rotto e senza denti» minaccia.


Nel frattempo il frastuono ha raggiunto picchi del tutto nuovi in quel quartiere normalmente silenzioso ai limiti del comatoso, per poi scemare di botto nel momento in cui il pilota ha spento il motore. Hank sente i muscoli irrigidirsi per il nervosismo e abbandona la finestra per spostarsi rapido alla porta d’ingresso e accogliere l’ospite. Gli ospiti, realizza nell’istante in cui spalanca l’uscio e si ritrova a incrociare lo sguardo non solo di un ghignante Kamski ma anche di quello che credeva un capo della rivolta già spacciato da tempo e che ora lo guarda con evidente apprensione e una decisa dose di imbarazzo. Poi, dietro i due, nota una terza figura e le sue labbra si spalancano.


«Che cazzo succede?» esclama allarmato.


«Abbiamo incontrato qualche piccolo imprevisto lungo la nostra strada…» esordisce Elijah, cercando di spiegare.


Markus sgrana gli occhi quando nota il tic omicida sul viso del poliziotto e si affretta a scansare lo scienziato per provare a salvare il salvabile.


«Siamo in troppi e non se lo aspettava. Ma non deve temere; né lei né Connor sarete in pericolo» parla in fretta, trattenendo come può l’attenzione su di sé.


Hank lo squadra con poca simpatia e ancor meno pazienza. «Doveva venire per riparare Connor» ringhia frustrato.


«Ed è esattamente questo il motivo per cui ci troviamo qui: risolvere il problema… o almeno provarci» assicura Markus, che non sta sudando a causa del nervosismo solo perché non dispone delle ghiandole necessarie.


Il poliziotto digrigna i denti e soffia uno sbuffo dalle narici. «Quello chi è?» sibila, indicando la terza, inattesa e sconosciuta figura.


«Ehm…» tentenna Markus, preso da una gran brutta sensazione. «Un androide» risponde, restando volutamente sul vago.


«Perbacco, certo che no!» esclama Elijah, scostando con leggero fastidio Markus. «Lui non è un androide. È il mio nuovo prototipo RK» annuncia con orgoglio.


Markus geme, decisamente avvilito. Se mai avesse avuto dei dubbi sulle loro probabilità di successo, ebbene, ora non ne ha più. Ma perché darsi pena di preoccuparsi? Non sarebbe stato meglio se fossero precipitati nel Detroit River mezzo ghiacciato, a quel punto?


«Un nuovo prototipo?» spunta dal nulla una voce diversa e incuriosita, attirando l’attenzione generale e distraendo i presenti.


Elijah osserva Dick, appena apparso sulla soglia, e i suoi occhi brillano di insano entusiasmo riconoscendo in qualche modo in lui un’anima affine.


«Certo! RK900, appena attivato e già capace di grandi cose» illustra, in piena modalità propagandista.


Markus volta il capo a osservare l’androide in questione e solleva un sopracciglio, scettico. Perché a lui, al contrario, è parso poco più di un cucciolo troppo cresciuto? Cosa dovrebbe poter fare di tanto particolare questo RK900, in fin dei conti? Mah, domande senza soluzione, come al solito.


«Dateci un taglio con queste inutili smancerie!» scatta Hank dopo aver definitivamente perduto le ultime stille di pazienza. «E tu» ringhia, piantando uno sguardo affilato sullo scienziato «datti una mossa a entrare. Connor non ha tutta la dannata giornata da aspettare».


E su questo punto sembrano incredibilmente concordare tutti, o per lo meno quelli che sanno per certo di essere al mondo. Hank abbranca Elijah per una spalla e lo trascina dentro casa letteralmente di peso, mentre Markus recupera l’RK900 e se lo porta dietro deciso più che mai a tenerlo d’occhio per evitare ulteriori disgrazie.


Un po’ a fatica, la piccola squadra di soccorso si infila nel laboratorio di Dick. Markus trattiene il fiato (o per lo meno l’intenzione sarebbe quella) e si blocca poco dopo la soglia, impedendo involontariamente l’accesso anche all’RK900. Elijah invece prende atto velocemente delle condizioni dell’androide sistemato sul tavolo e torna fuori seguito dagli sguardi sconcertati dei presenti.


«Che gli è preso allo squilibrato?» indaga Hank, sarcastico.


Un po’ nervoso al riguardo, Markus si decide ad avvicinarsi a Connor e tituba, prima di poggiare una mano su quella dell’altro androide.


«Probabilmente doveva recuperare qualcuno dei suoi strumenti» ipotizza verosimilmente, mentre le sue dita sbiancano e lo stesso fa il dorso della mano dell’RK800. «Mh…» soffia, crucciando la fronte.


«Che cosa?» chiede Hank, agitato.


«Non riesco a connettermi» spiega Markus, sconcertato.


«È il suo blocco: nessuno può entrare, che sia umano o macchina» spiega Elijah, tornato dentro trascinandosi appresso quello che Markus riconosce a prima vista come l’accumulatore di cui avevano discorso in precedenza.


«E quindi che si fa?» insiste Hank, sempre più ansioso.


«Per prima cosa faremo in modo che la batteria non si esaurisca sul più bello durante il nostro intervento. Per fare questo ho portato con me un generatore supplementare che può tranquillamente ricaricarla mentre noi ci concentriamo sul problema più grave».


Hank, tutto sommato, deve convenire che sembra un buon piano e certamente un punto di partenza. Sapere che Connor non finirà per spegnersi a causa della mancanza di energia lo conforta non poco. Spera che trovino un modo altrettanto funzionale per riportarlo lì.


Nel tempo in cui Hank riflette, Kamski ha chiesto l’assistenza di Dick e Markus per sollevare l’RK800 e collegarlo all’alimentatore. Elijah lancia caute occhiate a Markus, mentre lavora, notando la confusione trasparire dai suoi movimenti e dal suo volto artificiale. È abbastanza evidente che il non essere in grado di stabilire una connessione con Connor lo abbia in qualche modo destabilizzato. Un angolo della sua mentre non impegnata a elaborare soluzioni praticabili per l’RK800 riflette sulle reali conseguenze della presenza in quella casa di Markus e dell’RK900; forse, dopo tutto, potrebbe non essere stata un’idea felice portarli con sé. Ma ora come ora non ha modo di porre rimedio anche a quel problema; ne ha già uno sul quale lavorare, e non è affatto di semplice soluzione, considerato che la sta ancora cercando.


  
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