Serie TV > Da Vinci's Demons
Segui la storia  |       
Autore: Amy W Gildeary    21/11/2018    2 recensioni
Il conte Girolamo Riario una volta disse: «Quando si deve trasmettere un messaggio, preferisco servirmi di mezzi che gli altri non userebbero».
Una donna, ad esempio.
E se papa Sisto IV non avesse avuto un figlio, ma una figlia?
E se il bellicoso Santo Padre avesse deciso di sfruttarla come arma per i suoi subdoli piani, approfittando dell'effetto sorpresa?
Cosa sarebbe successo se avesse avuto lei il compito di attaccare Firenze e di ottenere i servigi del geniale artista Leonardo da Vinci?
-
«Sapete chi sono?», domandò la giovane donna, chinando di poco la testa di lato; la voce morbida e vellutata, senza alcuna traccia di turbamento. «Sono Gemma Riario. Contessa di Imola, guida della Santa Romana Chiesa e nipote di Sua Santità, papa Sisto IV».
[...]
«Sì, lo so», commentò la contessa, con un sospiro annoiato. «Rimangono tutti sempre molto sorpresi di vedere una donna», continuò, con una naturalezza e una tranquillità a dir poco disarmanti, ben poco appropriati al contesto. «Volevano un figlio maschio. Lo avrebbero chiamato Girolamo. Ma poi sono arrivata io».
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leonardo da Vinci, Nico, Nuovo personaggio, Zoroastro
Note: What if? | Avvertimenti: Gender Bender
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Il Gioiello del Vaticano
Capitolo 6 - La Torre

 

 

 

Nei Tarocchi, la carta della Torre che crolla è simbolo del materiale e delle debolezze umane, libera lo spirito. Rappresenta la presunzione, l’idealismo eccessivo, la megalomania. Lo spirito eccessivo di cupidigia che viene punito. I pregiudizi offuscano la ragione, ma anche colui che oltrepassa i propri limiti e vive al di là delle proprie forze può rovinare al suolo.
Al negativo, però, presuppone minacce dall’esterno, catastrofi non preventivate né previste.

 

 

 

            «Forse, prima di presumere che sia opera del Diavolo, dovremmo escludere cause più profane, non credete?», domandò Leonardo a Giuliano de’ Medici, con il suo tipico tono saccente ed arrogante.

Non ricevendo risposte diverse da uno sguardo confuso e smarrito, da Vinci proseguì con le sue ipotesi.

            «Consideriamo l’amanita panterina, un fungo, noto per causare allucinazioni e morte. Oppure, i ragni licosidi. Il morso velenoso della licosa causa uno stato di movimento isterico chiamato tarantismo», spiegò l’artista.

Per sua sfortuna, uno dopo l’altro, tutti i funghi trovati dalle Guardie della Notte attorno al convento non corrispondevano a quanto cercato, così come i ragni nascosti negli angoli delle stanze.

            «E ora, scribacchino?», borbottò il capitano Dragonetti, con un’occhiataccia scettica.

Escluse quelle ipotesi, le possibili spiegazioni rimaste erano quasi inesistenti, e senza prove che la causa dell’epidemia fosse profana, e non demoniaca, le conseguenze sulla reputazione dei Medici sarebbero state devastanti.

            «Andiamo ad ammirare le opere d’arte», rispose invece da Vinci, salendo a grandi passi le scale che conducevano agli studi delle suore.

            «Quale contaminazione potrebbe mai esservi qui?», chiese Giuliano de’ Medici, evidentemente seccato.

            «Viste le fiorite immagini di cui si circondano le sorelle e la tecnica amatoriale di questi supposti dipinti… non mi meraviglia che le suore colpite si credano possedute», rispose Leonardo, gironzolando tra le scrivanie ed osservando attentamente i quadri.

            «Non avete altre ipotesi, da Vinci?», insistette Giuliano, guardandosi intorno.

            «Il cibo e le bevande, ad esempio», borbottò l’artista, piuttosto infastidito da tutte quelle proteste ed obiezioni. «Nico, ti dispiacerebbe aiutare con quello?», domandò poi, in una domanda chiaramente retorica: un altro minuto con il fratello minore di Lorenzo e non avrebbe più risposto delle sue azioni.

            «Certamente, maestro», rispose diligentemente il giovane apprendista, incamminandosi verso un’altra sala con Giuliano al seguito.

Finalmente solo, Leonardo tornò a concentrarsi completamente sui quadri delle suore, tutti caratterizzati da tinte scure e violente e da immagini dell’Inferno e del Diavolo. Si sporse più vicino ad uno in particolare e rimase qualche secondo immobile ad esaminarlo, prima di chinare il capo e leccarlo per tutta la lunghezza.

Fece una smorfia disgustata e sputacchiò qua e là, ma la sua attenzione tornò subito sul quadro, con un’espressione delusa e contrariata.

            «Poteva esserci troppo mercurio nei pigmenti, ma non è così…», mormorò sottovoce, ragionando tra sé e sé.

            «E voi sareste l'unico in grado di trovare il Libro?»

Da Vinci sobbalzò a quella voce, a maggior ragione rendendosi conto di essere stato in grado di riconoscerla all’istante. Si voltò subito verso la porta, e per poco il fiato non gli si fermò in gola vedendo la contessa Riario appoggiata allo stipite, con le braccia conserte al petto.

Fatta eccezione per l’espressione scettica e vagamente disgustata, con ogni probabilità causata dall’averlo visto leccare un dipinto, l’artista ricordava ogni singolo dettaglio del suo aspetto, anche il più piccolo. Non poté negare una nota di disappunto per la divisa del Vaticano, decisamente meno stuzzicante dell’abito che aveva indossato al banchetto, ma perfino in quelle vesti era terribilmente affascinante.

Anche se, per i suoi gusti, c’erano decisamente troppi strati di stoffa a fasciarle il corpo: la camicia dal collo alto, la sciarpa di seta elegantemente annodata, la giacca con il simbolo della Chiesa cucito sul petto, i guanti di pelle, i pantaloni e gli stivali… Tutto rigorosamente nero come la notte.

Avrebbe voluto dirsi che quelle vesti così maschili, combinate con i capelli raccolti, minavano alla sua bellezza, ma dovette ricredersi anche su quello: niente di tutto ciò avrebbe mai potuto compromettere il suo fascino, né avrebbe spento la sua scintilla, che riconobbe immediatamente nei suoi occhi.

            «Contessa», mormorò, recuperando una postura quanto meno composta.

            «Artista», rispose Gemma, abbandonando la sua espressione perplessa solo per tornare al suo caratteristico sguardo, vispo e furbo.

            «Posso chiedervi, contessa, come mai vi trovate da queste parti?», domandò Leonardo, sperando che la perplessità nel tono della sua voce mascherasse l’apprezzamento rivolto alla sua presenza.

            «Potrei farvi la medesima domanda, artista», ribatté la giovane donna, muovendo qualche passo nello studio, le mani elegantemente congiunte davanti a sé. «Non sapevo foste un seguace del Signore».

            «Non lo sono, infatti», obiettò lui prontamente, con espressione diffidente.

            «Cercavate qualcosa da assaggiare?», domandò allora Gemma, indicando con un cenno del capo il dipinto che l’artista aveva leccato poco prima.

Da Vinci invece si chiese se non stesse avendo anche lui delle allucinazioni, perché avrebbe giurato che quell’assaggiare fosse stato deliziosamente impregnato di malizia, quasi un… invito.

Dovette sbattere più volte le palpebre per riacquistare abbastanza lucidità da proseguire nella conversazione.

            «Sto cercando di capire la causa di questa epidemia», spiegò, con quanta più professionalità possibile.

            «Leccando i quadri?», chiese ancora la contessa, con il medesimo scetticismo.

            «Controllavo se contenessero o meno mercurio. I sintomi dell’intossicazione da mercurio sono molto simili a quelli che presentano le suore colpite».

            «Allora avete omesso di essere anche un medico, nella vostra ricca presentazione al banchetto», commentò Gemma, riacquistando tutta la sua malizia, nel tono della voce come nello sguardo. «Ricordate?», domandò poi, con una perplessità palesemente finta, tutta volta a stuzzicarlo. E la gola improvvisamente secca di Leonardo ne fu una conferma.

            «Mi diletto nella medicina alle volte, ma non mi considero un medico», mormorò l’artista, con la voce all'improvviso flebile.

Non doveva pensarci. Non doveva pensare a quell’abito, a quei capelli lasciati sciolti, a quanto fosse arrivato vicino al suo viso… Non doveva e basta.

            «Avreste potuto parlarmi anche di questo», rispose Gemma, rincarando così il colpo. «Qualcosa vi ha distratto, per caso?»

E da Vinci dovette mordersi la lingua per non rispondere all’istante.

La sua unica via di salvezza era spostare la conversazione su di lei, per quanto gli sarebbe piaciuto continuare quel gioco di provocazioni. Razionalmente, la priorità più impellente era capire il motivo del suo arrivo nel convento.

            «Anche voi ora apparite distratta. Avete dimenticato di rispondere alla mia domanda», osservò l’artista. «O forse non volete farlo?», aggiunse, incrociando le braccia al petto e studiandola attentamente. «State forse tentando di sviarmi di proposito?»

            «Chi? Io? Non oserei mai», rispose con naturalezza la contessa, per nulla turbata.

            «Eppure esitate a rispondere alla mia domanda», ribatté Leonardo.

            «La badessa del convento ha inviato una richiesta di aiuto al Vaticano», disse Gemma con calma e semplicità, iniziando a gironzolare per lo studio. «E io, in quanto nipote del papa e umile servitrice di Dio, non potevo certo negarle la mia assistenza», aggiunse con la più ingenua delle espressioni, mentre lentamente iniziava a sfilare uno dei suoi guanti di pelle dalla mano.

Se non l’avesse conosciuta a quel banchetto, se non avesse visto quanto un suo sguardo fosse capace di destabilizzarlo completamente, avrebbe anche potuto crederle, ma gli fu sufficiente ricordare il velo di malizia che lo aveva colpito fin dal primo secondo per capire che, in quel preciso istante, la sua aria pura ed innocua era solo una finta.

            «Certo, certo», commentò, con non poco sarcasmo. «Prima qualcuno avvelena queste povere suore, poi voi arrivate qui con la scusa di porgere i vostri servigi alla badessa», ragionò a voce alta. «Se il mio prima era solo un sospetto, con la vostra presenza qui è diventato una certezza».

A Gemma quasi scappò un sorriso a quelle parole. Se davvero l’artista pensava che per spaventarla fosse sufficiente un’accusa impregnata di veleno, aveva ancora molto da imparare.

  «Sono un'anima candida ed innocente, azioni del genere non sono da me», rispose la giovane donna, portando la mano libera dal guanto all’altezza del cuore, come se quelle parole l’avessero appena ferita.

            «Strano, mi avete dato esattamente l’idea opposta», mormorò l’artista, con un mezzo sorriso per quella scenetta.

Anche la contessa si sentì vagamente divertita e, per dissimulare, iniziò a guardarsi intorno per la stanza. Lo sguardo le cadde su una piccola ciotola di legno colma di quella che, a un rapido sguardo, sembrava una crema di frutta.

            «Il nostro precedente incontro mi ha portato a farmi un’idea-...», disse l’artista, ma non arrivò mai a concludere la frase, perché Gemma aveva sfiorato con un dito quanto contenuto nella ciotolina e poi lo aveva portato alle labbra.

Leonardo si dimenticò di qualsiasi altra cosa presente in quella stanza, la sua attenzione catturata solo ed esclusivamente dal gesto compiuto da Gemma, lo sguardo fisso sulle sue labbra, il crescente desiderio di raggiungerla e di avere lui il piacere di compiere quell’assaggio.

Per la contessa fu davvero difficile trattenere un sorriso divertito, ma mantenne imperterrita una maschera di indifferenza e finta perplessità.

            «Prego, continuate pure. Vi sto ascoltando», mormorò, con aria innocente.

Ma in risposta non ottenne nulla di più di qualche monosillabo balbettato, né riebbe lo sguardo del fiorentino sui suoi occhi, invece che sulle sue labbra.

            «Ehm…», mormorò Leonardo dopo un certo lasso di tempo, sbattendo velocemente le palpebre per recuperare il contatto con la realtà.

            «Qualcuno vi ha morso la lingua, artista?», chiese Gemma, con uno sguardo malizioso.

            «Potete rifarlo?», disse l’artista di getto, senza avere il tempo di chiedersi quanto fosse consona una richiesta del genere.

            «Mordervi?», domandò lei con aria perplessa, e Leonardo colse l’occasione al volo pur di uscire da quello stato di ipnosi.

            «Temo che finirei avvelenato dal vostro sarcasmo», rispose prontamente.

Eppure, Gemma lo sorprese di nuovo, assumendo un’espressione vagamente dispiaciuta.

            «Peccato. Avrebbe potuto rivelarsi…», ma il suo sorriso malizioso non tardò a ricomparire. «…piacevole», aggiunse, con voce bassa e vellutata.

            «State cercando di distrarmi, contessa?», chiese Leonardo, ma il suo sguardo non si era ancora mosso dalle sue labbra. «Sappiate che la vostra tattica non ha effetto su di me», continuò, ma più che un’affermazione suonava come un tentativo di autoconvincimento.

            «Oh, no, non mi permetterei mai», rispose Gemma, un istante prima di sfiorare nuovamente il contenuto della ciotola con il dito e di portarselo alle labbra, facendo rischiare all’artista un attacco di cuore. «Specialmente… quando non riscontro alcun interesse dall’altra parte».

            «No, infatti, non ho il benché minimo interesse nei vostri confronti», mormorò Leonardo, con la voce roca. «Questi trucchi su di me non hanno effetto», eppure la sua attenzione non dava segno di voler allentare la presa su di lei o su quel gesto provocatorio.

            «È un vero dispiacere», rispose la giovane donna, facendo spallucce. «Perché sono terribilmente brava. In questo e in molto, molto altro».

            «Così, per semplice curiosità…», iniziò l’artista, attingendo a tutte le sue doti recitative per fingersi disinteressato. «Come sarebbe continuata questa vostra tattica persuasiva?»

            «Semplice curiosità?»

            «Semplice curiosità».

            «Non mi sarei mai permessa di infrangere i limiti del consono», disse Gemma, il suo sguardo fisso negli occhi dell’artista mentre le mani armeggiavano per togliersi anche l’altro guanto. «Vi avrei semplicemente esposto i vantaggi e gli svantaggi della mia offerta…», proseguì, avvicinandosi di qualche passo. «…Le spiacevoli conseguenze di un rifiuto…», e le sue lunghe ed affusolate dita allentarono delicatamente il nodo della sciarpa. «...e le ricompense di un’alleanza», concluse, arrivando ad un soffio dal suo viso.

            «Solo... questo?», fu quanto Leonardo riuscì a dire, con un fil di voce.

            «Per quanto riguarda la comunicazione verbale», precisò Gemma, rincarando la dose.

            «Comunicazione… verbale...», ripeté l’artista, senza preoccuparsi di celare con quanta insistenza le stesse osservando le labbra. «Mi sembra un’ottima idea».

            «Lo credo anche io», concordò la contessa. «Nonostante io abbia un vero debole per tutto ciò che non prevede le parole», aggiunse, la voce ridotta ad un roco sussurro.

            «Un vero debole…», ripeté Leonardo nel suo ultimo barlume di lucidità, prima di dire addio a tutto il suo autocontrollo e sporgersi verso le sue labbra, nessun intento diverso dal baciarla.

Ma all’ultimo istante, Gemma si allontanò da lui lasciandolo, metaforicamente e letteralmente, a bocca asciutta.

            «Ma avete detto che niente del genere ha effetto su di voi, dunque…», ragionò ad alta voce, con finta perplessità.

            «Proprio così…», mormorò Leonardo, approfittando di quell’allontanamento per ridarsi un contegno. Per quanto si fosse promesso di restare concentrato, aveva ceduto, proprio come un ragazzino alla sua prima cotta.

Spostando lo sguardo, però, la sua attenzione fu catturata dal braccio della contessa, ormai quasi completamente allontanata da lui e diretta altrove. Forse per curiosità, forse per l’orgoglio ferito, forse semplicemente ancora lontano dalla lucidità di cui aveva bisogno per evitare stupidaggini, ma non riuscì a resistere.

Le afferrò un polso, attento a non farle male ma abbastanza deciso da fermarla dov’era, e l’attirò verso di sé, spingendola poi con la schiena contro la parete più vicina e bloccandole ogni via di fuga premendo il proprio corpo contro il suo.

A malapena scorse una scia di sorpresa nella sua espressione, e vide solo uno sguardo soddisfatto che lo stava tacitamente sfidando. Sapeva che quella mossa era in tutto e per tutto un errore, perché le stava dando esattamente ciò che lei voleva: la conferma di avere un potere su di lui, un potere per niente controbilanciato.

            «E su di voi ha effetto, invece?», le sussurrò, ad un soffio dalle sue labbra.

            «Voi che ne pensate?», ribatté Gemma, senza alcuna traccia di turbamento, e Leonardo riconobbe immediatamente l’amaro sapore della delusione in bocca.

            «Che siamo più simili di quanto potrebbe sembrare a prima vista», mormorò l’artista, muovendo alcuni passi indietro e lasciando definitivamente la presa su di lei.

            «Peccato. Si dice che siano gli opposti ad attrarsi», commentò la contessa, studiando attentamente la sua reazione.

            «Anche gli animi affini, però, hanno una certa complicità», rispose da Vinci, sforzandosi di cacciare indietro la delusione e tornando su un terreno più familiare: le provocazioni.

            «Mi credete un’anima a voi affine?»

            «Certamente. Perseguiamo gli stessi obiettivi, ed entrambi non abbiamo intenzione di fermarci davanti a niente pur di raggiungerli», spiegò Leonardo, il suo sguardo fisso in quello della contessa.

            «Su questo vi do ragione», convenne Gemma, annuendo, e la mente dell’artista fu libera di tornare a concentrarsi sul vero motivo che lo aveva portato in quel convento.

            «Invece, riguardo al vostro coinvolgimento in questa presunta possessione demoniaca? Negherete di essere a parte di questo piano?», domandò lui, anche se già conosceva la risposta.

             «Assolutamente no».

E per l’ennesima volta, Leonardo rimase a dir poco sorpreso.

            «Dunque ammettete di sapere quale sia la vera causa dell’epidemia?», tentò nuovamente, scegliendo con cura le parole con la convinzione che sarebbero state troppo estreme per ricevere una risposta affermativa.

            «Lo confermo», rispose tranquillamente Gemma, e l’artista era ad un passo dallo spalancare la bocca per la sorpresa.

Vedendolo così sorpreso, la contessa proseguì da sola la conversazione.

            «Sembrate avere molto a cuore la sorte di queste povere vittime. Il minimo che io possa fare è offrirvi una possibilità di salvarle», aggiunse con estremo zelo, mentre si spostava dalla parete e si appoggiava di schiena ad uno degli scrittoi.

Nonostante fosse dannatamente tentato di crederle, grazie anche a quell’espressione all’apparenza così sincera, da Vinci si costrinse a pensare con oggettività, e a ricordarsi che stava parlando con la nipote di papa Sisto.

            «E in cambio cosa volete?», domandò lui, incrociando le braccia al petto.

            «La chiave», fu la sua risposta, priva di esitazioni, e a Leonardo scappò una risata divertita.

            «Prevedibile», commentò, riconoscendo finalmente le vere intenzioni che si celavano dietro a quell’offerta.

            «Determinata», lo corresse subito lei, con un sorriso fiero. «Non perdo di vista l’obiettivo così facilmente».

            «E quale sarebbe il vostro obiettivo finale?», domandò da Vinci, le braccia ancora conserte mentre muoveva qualche passo verso di lei. «Me o la chiave?», proseguì, con un sorrisetto compiaciuto.

            «Il Libro delle Lamine», ribatté immediatamente Gemma. «E trovarlo, sfortunatamente, richiede sia la chiave che le vostre conoscenze», proseguì, con finto dispiacere.

            «Quindi ammettete che io vi servo», tentò nuovamente Leonardo.

            «Mi servono le vostre conoscenze. Devo ripeterlo una terza volta?», chiese la giovane donna, con un atteggiamento così saccente da avvalorare la tesi dell’artista che le loro fossero anime molto affini. «Credetemi, se trovassi il modo di esorcizzarle da voi, farei volentieri a meno della vostra fastidiosa presenza».

            «Ma fino a quando non troverete questo modo, sarete costretta ad usufruire anche del mio corpo», rispose lui prontamente, sollevando le sopracciglia con malizia.

In tutta risposta, Gemma prese a torturarsi il labbro inferiore con i denti, minando quel briciolo di autocontrollo che Leonardo aveva appena ritrovato.

            «Vi ho mai accennato agli innumerevoli modi in cui si può zittire un essere umano?», domandò lei, abbassando il tono della voce.

            «Io ne avrei in mente uno in particolare», mormorò da Vinci, la voce ridotta ad un bisbiglio mentre accorciava nuovamente le distanze.

            «Non funzionerebbe», rispose prontamente la contessa, e non c’era modo che quella frase fosse qualcosa di diverso da una provocazione, ben lontana dai limiti del consono.

            «E come fate ad esserne così certa?», indagò lui, la mente già lontana e persa in scenari tutt’altro che casti ed innocenti, le mani guidate da una forza tutta loro mentre lentamente stringevano Gemma a sé, cingendola all’altezza della vita.

            «Avete un debole per le minacce, artista?», chiese la contessa, con finta sorpresa.

            «Dipende dal tipo di minacce, contessa», ribatté lui, studiando con molta attenzione ogni dettaglio del suo viso.

            «Non avete ancora risposto alla mia offerta», gli fece notare la giovane donna, chinando di poco la testa di lato, mentre le sue dita giocavano lentamente con il cordoncino che Leonardo aveva al collo.

            «Non la trovo del tutto equa, forse dovreste provare ad essere più convincente», mormorò l’artista, scivolando con lo sguardo fino alle rosee labbra di lei.

Nessuna parola giunse alle sue orecchie, in risposta, ma in compenso sentì fin troppo chiaramente la mano di Gemma scendere fino alla chiave e proseguire. Lentamente. Fin troppo lentamente, in una tortura straziante.

Nemmeno lui, la mente più geniale d’Europa, riuscì a spiegarsi cosa lo stesse trattenendo dall’annullare definitivamente quella distanza e riprendere da dove si erano interrotti al banchetto. Il motivo più plausibile era la crescente aspettativa, mentre sentiva molto bene quale percorso stessero seguendo le dita della contessa, ben lontane dall’intenzione di fermarsi al limite del consono. E non si fermarono, non fino al loro obiettivo.

E a quel punto all’artista si blocco il respiro in gola.

Lo sapeva Leonardo e lo sapeva Gemma. Lo aveva in pugno. In tutti i sensi.

E poi, senza alcun preavviso, lei strinse la presa. Non tanto da fargli male, ma abbastanza da farlo sussultare per la sorpresa, lasciando così la stretta attorno al suo corpo.

            «Detto io le condizioni, da Vinci», mormorò Gemma, ad un soffio dalle sue labbra, prima di allontanarsi ed uscire dalla stanza.

 

 

 

Angolo dell’autrice

Flirtare come spudorati in un convento di suore… al limite del sacrilegio, no? Ma intanto la stanza stava per andare a fuoco, to say the least.

Buonsalve a tutt*!

Gettate le maschere e messi sul tavolo i veri nomi e, soprattutto, le vere intenzioni, i giochi possono avere inizio. Comprendano minacce o meno, non ha importanza.

Che Gemma fosse una provocatrice si era già intuito in passato, ma qui è stato esilarante dar sfogo a tutta la sua perfidia. Un po’ mi spiace che ci sia andato di mezzo Leonardo (e il suo appetito, per dirlo nel modo più velato possibile), ma anche i più arroganti hanno bisogno di un degno avversario ogni tanto, no?

Come sempre, spero di averti piacevolmente intrattenuto.

Ci rivediamo tra due settimane.

Un bacione

Amy W. Gildeary

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Da Vinci's Demons / Vai alla pagina dell'autore: Amy W Gildeary