Well
I've
been away from you too long
And all
my days have turned to darkness
And I
believe my heart has turned to stone
(The
White Buffalo)
Oh
Darling, what have I done
La
cucina era invasa da aromi succulenti, da far venire
l’acquolina in bocca. Il
cuoco controllò che il pollo fosse rosolato al punto giusto,
le verdure saltate
in modo da rimanere croccanti e il vino pronto per essere stappato; si
ritenne sufficientemente
soddisfatto da concedersi un po’ di relax prima che arrivasse
il suo ospite.
Itachi
si accomodò sul divano e prese il libro del momento in mano,
nonostante la
curiosità di sapere come andasse avanti e scoprire quale
scelta cruciale avrebbe
compiuto il protagonista, non riuscì a leggere nemmeno una
riga. Ripensava al
fratello e al giorno precedente. Lui era appena tornato dal tribunale e
lo
aveva trovato in ufficio a parlare con Gaara dei lavori di ampliamento,
ma i
due ragazzi erano totalmente diversi dall’ultima volta in cui
li aveva visti
insieme. Erano in piedi, vicini, rilassati, non sembravano
più due magneti che
si respingevano, bensì si attraevano. Aveva capito che il
loro weekend doveva
essere andato piuttosto bene, sebbene lo avesse già pensato
quando il lunedì
aveva visto il segretario con un’espressione serena mai
sfoggiata prima.
Una
volta finito, Sasuke lo aveva raggiunto e Itachi gli aveva proposto di
cenare
insieme la sera stessa, ma il fratello aveva fatto una di quelle
espressioni
che gli vedeva sempre da bambino, come di chi l’aveva fatta
grossa ma non
sapeva come dirlo. Itachi, controllandosi per non ridere, gli era
andato in
soccorso dicendo che anche un’altra sera sarebbe stata
perfetta e l’altro si
era subito rasserenato, senza rendersi conto di quanto fosse stato
comico quel
momento.
Per
quel motivo ora Itachi si ritrovava seduto su quel divano ad
aspettarlo, aveva
preferito una cena a casa perché aveva
l’impressione che sarebbero potuti
saltare fuori alcuni argomenti abbastanza personali.
Il
campanello suonò e lui gettò
un’occhiata all’orologio: Sasuke era puntuale,
probabilmente quello non sarebbe mai cambiato.
Andò
ad aprire e si se lo trovò di fronte con la sciarpa tirata
su fino a metà
faccia, l’espressione imbronciata per quel poco che si vedeva
e una confezione
di pasticceria tra le mani che gli rifilò in fretta, neanche
si trattasse di
una granata innescata.
“È
una torta al cioccolato – esordì –
niente glasse diabetiche che ti piacciono
tanto, forse anch’io riesco a mangiare un pezzo di
questa”
“Buonasera
Sasuke, ben arrivato. Andata bene la tua giornata? A me sì,
grazie per averlo
chiesto”
Il
ragazzo sbuffò mentre appendeva il cappotto a un gancio
vicino l’ingresso,
consapevole dei suoi modi bruschi.
“Sono
stato in ufficio fino a poco fa, oggi non ho avuto nemmeno tempo di
respirare”
Ed
era arrivato puntuale, trovando persino il tempo per passare in
pasticceria,
doveva aver veramente fatto le corse per riuscire in tutto. Itachi
sorrise, probabilmente
nemmeno quel lato così perfezionista del fratello sarebbe
mai cambiato: quel
cocciuto e giovane uomo si sarebbe ammazzato per far filare le cose nel
modo in
cui diceva lui.
Andarono
in cucina e il padrone di casa mise il dolce in frigo, dopo di che
stappò il
vino e ne offrì un bicchiere all’altro dicendo:
“Ora
puoi rilassarti un attimo allora, la cena è pronta e non
vedo l’ora di
assaggiare la torta al cioccolato fondente che hai tanto gentilmente
portato”
Gli
sorrise, sedendosi di fronte a lui e Sasuke fece una smorfia dopo aver
bevuto
un sorso.
“Non
sono certo di rilassarmi stasera”
“Ah
no?”
“No
– scrutò il fratello maggiore – non
credo che questa cena sia così
disinteressata”
Itachi
posò il bicchiere e scrollò appena la testa:
“Sasuke,
mi reputi davvero una brutta persona”
E
non ho bisogno che ci sia tu a ricordarmelo,
lo so già. Shisui mi ha mostrato la verità.
Soffocò
quella riflessione perché, almeno quella sera, doveva
smetterla di tormentarsi
a riguardo e di pensare al cugino che non sentiva da giorni, da quel
maledetto
venerdì. La sua attenzione doveva essere tutta per il
fratello, così continuò:
“Se
hai voglia di raccontarmi qualcosa sono qui, altrimenti mi sembra di
averti
costretto a parlarmi in un’unica occasione in tutti questi
anni. Col tuo
psicologo hai ancora da lavorare un po’ su questo
atteggiamento di autodifesa”
Si
alzò per controllare che le pietanze fossero
sufficientemente calde per poi
servirle, dando le spalle a Sasuke che doveva fare i conti con le sue
parole.
Itachi
era gentile, aveva modi pacati per dire la verità, ma non la
negava e la serviva
sempre ai suoi interlocutori; nessuna bugia confortante sarebbe uscita
da
quelle labbra, solo la realtà dei fatti.
“Lo
so” disse soltanto Sasuke. Non si scusò nemmeno
quella volta ma, a differenza
di altre, non fu per arroganza, bensì perché
aveva capito che non poteva, né
doveva più domandare scusa per quel che era o per il suo
carattere. Essere
quello che era non era più una colpa.
Iniziarono
a cenare e Itachi gli domandò del progetto del grattacielo,
nonostante fosse un
avvocato, aveva frequentato un anno di architettura
all’università e poi,
crescendo nella loro famiglia, era impossibile non essere comunque
avvezzi
della materia.
Sasuke
ne parlò con entusiasmo, il suo progetto aveva riscosso
grande approvazione ed
era piaciuto molto anche alle autorità cittadine che avevano
in programma la
riqualificazione di alcune aree urbane più degradate. Lo
studio Uchiha si
sarebbe occupato di quel progetto, Fugaku era stato molto compiaciuto
da quel risultato,
stabilendo che il figlio minore sarebbe stato a capo di quel futuro
lavoro.
Itachi
fu veramente felice di udire certe novità e di vedere come
finalmente Sasuke
stesse mostrando le sue qualità, ora che non erano
più offuscate dalle sue. Il
fratello era eccezionale, ma era sempre stato sminuito dal loro
confronto, cosa
che Itachi aveva sempre odiato fino a prendere la stupida decisione di
allontanarsi da Sasuke perché, se fossero stati lontani,
nessuno avrebbe mai
potuto paragonarli.
Però
mentre cenavano assieme, rilassati, si dispiacque di quella sua
decisione
passata e fu invece grato che le cose in qualche modo si fossero poi
messe a
posto, di non essere mai riuscito a uccidere l’affetto che
Sasuke provava nei
suoi confronti. Chissà se anche con Shisui avrebbe potuto
risolvere, però per
farlo occorreva che parlassero e lui non era ancora pronto.
Mangiando
la torta, parlarono di altri argomenti, dei genitori che
quell’anno avrebbero
festeggiato trent’anni di matrimonio, della festa che
avrebbero organizzato e
di altre faccende famigliari, almeno finché Sasuke non
iniziò a giocherellare
con il dolce rimasto sul piatto.
“Hai
raggiunto il tuo limite quotidiano di zucchero?”
scherzò Itachi.
Il
minore posò la forchetta e si pulì le labbra col
tovagliolo. In quel momento
non sembrava più il giovane uomo in carriera orgoglioso che
aveva parlato fino
a poco fa, quanto un ventenne incerto che non sapeva bene che direzione
far
prendere alla propria vita.
“No,
stavo pensando a una cosa – guardò il fratello
negli occhi – alla festa ci
saranno tutti. Ognuno porterà le proprie mogli, i mariti, i
fidanzati… ma io
non potrò portare Gaara”
Anche
Itachi si disinteressò della torta e incrociò le
mani davanti a sé, per posarvi
sopra il mento. Ricambiò lo sguardo del fratello, serio,
quasi marziale come
quando era in tribunale, ma poi un sorriso apparve sul suo viso e disse:
“E
così avete risolto le
cose tra di voi, bene, bene. Sono passati solo pochi giorni dal weekend
e tu
già pensi all’effetto che potrebbe fare
presentarlo in famiglia e cose simili…
quindi è più seria di quanto credessi, o
sbaglio?”
Sasuke arrossì di
botto e
sobbalzò addirittura sulla sedia, imbarazzato che il
fratello avesse potuto
leggere così tanto tra le righe. Non era stato difficile in
realtà, ma quando
aveva parlato non aveva proprio riflettuto, dicendo sinceramente
ciò che gli
era passato per la testa.
“Accidenti a te,
perché
devi metterla giù così?”
borbottò guardando fuori dalla finestra.
“E in che altro
modo
dovrei farlo, Sasuke? Ho solo detto la verità, no? Mi
sembrava avessimo
superato la fase delle bugie e della negazione”
Nascose il sorriso che
gli stava nascendo spontaneo. Era felice, era sinceramente felice per
il
fratello perché, al di là
dell’imbarazzo momentaneo, lo vedeva sereno, a
proprio agio, le spalle erano più rilassate e non si
curvavano sotto il peso
del mondo intero ora che aveva trovato qualcun altro con cui
condividerlo.
Probabilmente niente lo avrebbe reso più felice di
ciò, di vedere il suo amato
fratellino in pace con se stesso e non rimpianse di aver lasciato
andare Gaara;
era stata la decisione giusta.
Sasuke
si voltò a guardarlo, con ancora un velo di
rossore e l’espressione corrucciata:
“Tu
dici sempre e solo la verità”
Itachi
sospirò, pensando che qualcun altro avrebbe
obiettato. Bandì nuovamente il pensiero di Shisui con una
scrollata di spalle e
rispose:
“Vorrei
che fosse così, ma… allora, raccontami, va
davvero tutto bene? L’altra sera non volevi venire a cena con
me perché
dovevate uscire insieme, giusto?”
Sasuke
annuì e nel suo imbarazzato turbamento non
dedicò troppa attenzione alla frase lasciata a
metà dal fratello, ansioso di
spiegargli come fossero andate le cose e al contempo combattuto dalla
sua
naturale reticenza.
“Beh,
ecco… – mormorò
cercando di trovare un compromesso –
passando un po’ di tempo insieme da soli siamo riusciti a
trovare un’intesa,
diciamo così… sono passati solo pochi giorni, ma
mi sembra che stia andando tutto
bene. Stavo pensando che forse dovrei presentarlo di nuovo a Naruto;
per bene
stavolta”
Itachi
annuì, riprendendo a mangiare il dolce con
aria dotta, consapevole che doveva essere proprio seria se il fratello
aveva
deciso di coinvolgere il suo migliore amico, ciò faceva
presagire che avesse
intenzione di aprirsi anche con gli altri in un futuro non troppo
lontano.
“Mi
sembra un’ottima idea, credo potresti presentarlo
senza problemi anche a Hinata, lei è una Hyuga un
po’ atipica e sarebbe solo
felice per voi, Gaara non avrebbe alcun problema a lavoro. Ma per
sicurezza
chiedi pure prima a Naruto” gli disse, anticipando e
smontando qualsiasi sua
protesta, ben sapendo come funzionasse il suo cervellino un
po’ bacato.
Sasuke
infatti aprì e richiuse la bocca un paio di
volte, per poi rimanere a fissarlo mentre spazzolava via la sua
porzione di
dolce e poi ne prendeva un’altra.
“Farò
così” disse soltanto.
Itachi,
con l’aria soddisfatta di un grosso gatto
steso al sole con la pancia piena, gli sorrise e decise di stuzzicare
un po’ la
piccola vipera velenosa che gli sedeva di fronte:
“Dimmi,
Sasuke, a seguito della vostra intesa
ritrovata c’è qualcosa che devo evitare nella casa
in montagna? Tipo il divano,
il tavolo della cucina…”
“Itachi!
– esclamò l’altro saltando in piedi
– Se non
la finisci me ne vado!” lo minacciò, ma si
risedette e incrociò le braccia,
offeso, sentendo la risata profonda del fratello riecheggiare nella
stanza. Lo
sbirciò di sottecchi e lo vide con gli occhi luminosi, la
bocca sporca di cioccolato
e il viso pieno di gioia e pensò che non lo aveva mai visto
più bello o umano.
“Il
tappeto davanti al caminetto” gli rispose, con le
labbra che suo malgrado si stiravano in un sorrisetto.
“Ottima
scelta, molto romantico – si complimentò
– ti
ho mai detto di non sederti sulla poltrona verde?”
“Cazzo,
la mia preferita, ma che schifo! Me ne vado!”
esclamò saltando di nuovo in piedi, guardandolo in faccia.
Rimasero seri, a
squadrarsi, e poi all’improvviso, come se qualcuno avesse
premuto un bottone speciale
sulle loro schiene, scoppiarono a ridere contemporaneamente. Si
guardavano e
ridevano fino alle lacrime, insieme. Con le facce rosse, le briciole di
torta
al cioccolato sulla bocca e il desiderio di non essere da
nessun’altra parte se
non lì.
***
“Sei
qui, ti ho trovato finalmente”
Itachi
non si voltò avendo riconosciuto la voce, ma
continuò ad osservare l’intrico di
cavi che ancora usciva dalle prese elettriche, le finestre e le porte
montate
ma con ancora la pellicola protettiva.
“Mi
spieghi che sei venuto a fare qui?” gli domandò
Gaara cercando di non scivolare
sui fogli di giornale sparsi a terra per non sporcare il pavimento
nuovo con la
pittura fresca.
Solo
quando sentì che era al proprio fianco, Itachi
girò la testa per osservare i
suoi occhi acquamarina che lo fissavano incuriositi.
“Mah,
niente di che. Stavo solo ammirando il risultato del progetto di Sasuke
e
pensavo”
Gaara
si guardò un po’ attorno: i lavori di
ristrutturazione per l’ampliamento dello
studio erano quasi finiti, era ormai solo questione di giorni e di
sistemare
gli ultimi dettagli.
“È
venuto bene – concluse, spostando lo sguardo di nuovo
sull’avvocato – a che
pensavi? Puoi dirmelo o sono i tuoi pensieri segreti?”
Itachi
rise piano, in fondo un po’ sorpreso da come quel ragazzo
silenzioso avesse imparato
in fretta a conoscerlo; quel giorno non si sentì a disagio o
troppo esposto
dinanzi a quegli occhi chiari.
“Sciocchezze,
sciocchezze che però mi mancheranno. Tra qualche giorno mi
trasferirò in questo
ufficio e non ti vedrò o sentirò più
alle prese coi nostri clienti pazzi, gli scocciatori
o con la compagnia dell’elettricità,
l’autonoleggio e le mille persone con cui
sei costretto a parlare tutti i giorni. Sarà tutto
più silenzioso e in un certo
senso vuoto, era divertente commentare assieme a Hinata le tue
telefonate più
assurde”
Gaara
annuì con la testa e rise a sua volta:
“Vero,
hai ragione, ci vedremo sempre tutti i giorni ma non sarà lo
stesso. Anch’io
tornerò ad essere solo e l’ufficio mi
sembrerà enorme senza di voi; in realtà
anche a me piace avervi vicino”
Non
c’era più il sorriso sul suo viso, ma
un’espressione malinconica perché quella
breve parentesi stava per concludersi e, anche se nessuno stava per
morire o
per trasferirsi all’altro capo del mondo, non sarebbe
più stata la stessa cosa;
era una consapevolezza dolceamara.
Itachi
gli carezzò affettuosamente i capelli rossi e, sorridendo,
aggiunse:
“Per
fortuna non sei solo, ora hai Sasuke”
Erano
passati un paio di giorni dalla cena col fratello ma questa era la
prima volta
in cui si trovava a parlare da solo con Gaara. Questi intanto era
arrossito
lievemente e aveva chinato il capo sotto la carezza accorta di quella
mano
affusolata.
“Mi
aveva detto di averti parlato… non so cosa dire,
Itachi” ammise senza girare
attorno alla questione.
L’avvocato
strinse con un po’ più forza le ciocche rosse
prima di lasciarle andare e
riportare la mano lungo i propri fianchi fasciati da un pantalone
elegante.
“Cosa
c’è da dire, Gaara? Tu e Sasuke vi piacete, anzi
provate dei sentimenti e,
nonostante i problemi del passato, vi siete ritrovati. Non posso che
essere
felice per voi, questo è tutto quello che
c’è da dire.”
Osservò
la sua espressione incerta, come se stesse cercando le parole per
esprimere
qualcosa, ma lo anticipò “L’Itachi e
Gaara che si sono baciati mesi fa erano
due persone diverse, che avevano deciso di regalarsi un momento bello,
o di
salutare in modo altrettanto bello la possibilità di essere
qualcosa in più che
colleghi o amici – poggiò la fronte contro la sua
– potremmo parlare fino a
seccarci la gola delle infinite possibilità. Se
tu non avessi mai conosciuto Sasuke, se
Sasuke non si fosse mai comportato da stronzo, se
ci fossimo conosciuti per primi noi
due, se ti avessi baciato
prima…
posso andare avanti ancora a lungo, Gaara. Ma la realtà
è solo una: ora stai
con Sasuke e io sono felice nonché orgoglioso di voi, per
essere stati tanto
maturi, lasciandovi alle spalle le incomprensioni e a non permettere
che vi
impedissero di vedere i vostri reali sentimenti”
Non
spostò la fronte dalla sua, né l’altro
si mosse, continuando a guardarsi da
quella disturbante vicinanza. Itachi poté addirittura
riflettersi in quelle
iridi chiare, ma non gli piacque quello che vide: un
ipocrita che voleva darsi un tono e
apparire migliore di tutti gli altri. Quelle parole non potevano essere
vere
anche per lui e Shisui? Come poteva lasciare che il loro rapporto di
anni e
anni si lacerasse e finisse a quel modo, senza nessun tentativo di
aggiustare le
cose? Ci erano riusciti Gaara e Sasuke che si conoscevano solo da mesi,
Shisui
valeva davvero così poco da non meritare nemmeno un
tentativo?
I
pensieri di Itachi vennero però interrotti dalla voce di
Gaara e lui li
accantonò, ma quella volta sapeva che sarebbe stato solo per
poco.
“Quindi
è così che si comporta davvero un
fratello” sospirò abbassando le palpebre e
all’avvocato era sembrato di veder luccicare delle lacrime.
“Beh
sì, dovresti saperlo anche tu, no?” Era rimasto un
po’ interdetto da quella
reazione e dalle sue parole. Per quanto pessimo, il rapporto ormai
rotto con
suo fratello non poteva esserlo stato così orribile da non
conoscere
quell’affetto fraterno di cui lui aveva appena dato una
splendida
dimostrazione.
“Kankuro…
noi… lascia stare”
Gaara
fece un passo indietro, interrompendo il loro contatto ed
aprì nuovamente gli
occhi che risultarono però asciutti.
Kankuro.
E
così quel fantomatico fratello misterioso aveva finalmente
un nome; per quanto
sembrasse fuori dalla vita di Gaara, a Itachi parve che esercitasse
ancora una
potenza piuttosto forte, forse uno di quei passati che non si possono
semplicemente dimenticare, ma che ti lasciano una cicatrice indelebile
addosso.
Con le giuste cure la cicatrice sarebbe sbiadita, si sarebbe vista
sempre di
meno, ma se lasciata a se stessa sarebbe rimasta sempre lì,
a mostrare che la
pelle era stata lesa, che quel corpo non era completamente integro come
quando
era nato.
“Come
vuoi, ma lo sai che per qualsiasi cosa io ci sono sempre e adesso
c’è anche
Sasuke” gli ricordò. Forse non era compito suo
curare quella cicatrice, ma
poteva sempre indirizzarlo da chi possedeva i giusti medicamenti; anche
quello
era compito di un fratello maggiore.
“Già,
certo…” annuì sbrigativamente Gaara
uscendo dalla parte nuova non ancora
completata dello studio e dirigendosi nel proprio ufficio, seguito
dall’altro.
C’era silenzio, all’infuori di loro due non
c’era nessuno visto che era la
pausa pranzo.
Itachi
come d’abitudine prese il suo cappotto per uscire e Gaara gli
augurò buon
pranzo, ma lui, stringendosi la sciarpa attorno al collo, rispose:
“Mi
servirebbe più un ‘buona
fortuna’ ma
grazie lo stesso. A più tardi.”
Uscì
lasciando il segretario interdetto, perché non sapeva che
l’altro stava andando
da Shisui, non sapeva quello che si erano detti quel venerdì
sera, né quello
che Itachi stava per fare. Il problema era che non ne era completamente
sicuro
nemmeno Itachi.
***
“Mi
spiace, siamo chiusi per la pausa… oh, è lei
signor Uchiha”
Itachi
sorrise alla solerte segretaria che, sentendo la porta aprirsi, si era
alzata
per avvisare l’incauto cliente, ma si era ovviamente bloccata
riconoscendolo.
Lo aveva visto mille volte in quell’ufficio assieme al suo
capo, Shisui Uchiha.
“C’è
mio cugino? Vorrei rapirlo e portarlo a pranzo”
domandò affabile.
La
donna sospirò piano, probabilmente incantata
all’idea di poter essere rapita da
qualcuno come lui, sicuramente sarebbe stata l’ostaggio
più docile del mondo.
“Certo,
è nel suo ufficio. La annuncio e…”
“Non
serve – la interruppe Itachi sempre col suo sorriso sulle
labbra – conosco bene
la strada e poi lei si stava mettendo il cappotto per uscire, non
vorrei che
sprecasse altro tempo della sua pausa pranzo per me”
La
donna annuì, pur pensando che avrebbe speso anche tutta la
sua giornata per
lui, ma afferrò la borsetta ed uscì. Itachi,
rimasto solo, andò a chiudere a
chiave l’ingresso e prese un respiro profondo; la porta
chiusa che vedeva alla
fine del corridoio davanti a sé era la sua meta, quella e
chi c’era dietro. Era
agitato, sensazione nuova e sgradita, ma non poteva proprio
più tirarsi
indietro, aveva atteso sin troppo e sperava che non fosse tutto ormai
già
perso. Non sapeva ancora cosa dire al cugino, la sua unica certezza
è che non
potevano rimanere in silenzio e lasciar morire ciò che
c’era stato tra loro,
qualsiasi cosa fosse.
Si
guardò attorno e ricordò quando Shisui aveva
rilevato quella piccola filiale di
un’agenzia assicurativa: era sul punto di chiudere, i suoi
conti erano in
rosso, era rimasta solo una manciata di fedeli clienti e lui si era
trovato con
un solo impiegato. Tutti in famiglia gli avevano dato addosso, vedendo
in
quell’impresa nient’altro che un fallimento
assicurato, pronosticando a Shisui
il fallimento nel giro di poche settimane, mesi nel voler essere
generosi. Il
ragazzo non aveva mai prestato troppo ascolto a quelle raccomandazioni,
si
limitava a sorridere e dire “Si vedrà”.
Alla fine era stato lui a far vedere a
tutti quei miscredenti di che pasta fosse fatto, quali fossero le sue
vere
capacità. Aveva trovato sempre più nuovi clienti,
i conti si erano risistemati,
l’azienda centrale non paventava più la chiusura
della filiale che anzi negli
anni si era ingrandita, assumendo sempre più personale di
cui Shisui era il
capo.
Tutti
i famigliari all’inizio avevano fatto finta di nulla, ma di
fronte all’evidenza
si erano limitati a dire che con un Uchiha al comando era un risultato
scontato; la verità era che solo Itachi aveva sempre creduto
nel cugino. Lo
aveva incoraggiato e spronato quelle rare volte in cui si era buttato
giù, poi
lo aveva visto ributtarsi nella mischia con entusiasmo, tenacia e una
testardaggine unica. Adorava vederlo a quel modo, anzi lo amava. Per
quanto
volesse bene a Sasuke o ad altre persone, il cugino era
l’unico che riuscisse a
contagiarlo con la sua scarica di adrenalina, con quella
vitalità e il sorriso
che sembravano non scollarglisi mai di dosso.
Come
erano arrivati a quel punto? Quando aveva smesso di credere in lui?
Quando
aveva smesso di guardarlo sul serio e a darlo invece per scontato?
Avanzò
a grandi passi, senza più tentennare o perdere altro tempo,
aprì la porta e se
la richiuse alle spalle e lo vide con la testa china su alcuni
documenti.
“Non
eri uscita per… Itachi”
Shisui
rimase in silenzio a guardarlo, evidentemente spiazzato e incapace di
riprendersi con rapidità dalla sorpresa.
Itachi
si avvicinò, si tolse cappotto e sciarpa e li
posò su una sedia posta di fronte
alla scrivania, per poi accomodarsi con eleganza sull’altra.
Accavallò con
scioltezza una gamba e infine lo guardò, dicendo:
“Sì,
la tua segretaria è uscita, come gli altri. Ci siamo solo io
e te qui”
La
voce era pacata e controllata, ma le mani erano intrecciate e posate
sul grembo
altrimenti si sarebbero mosse come impazzite, per tentare di allentare
la
tensione del ragazzo.
Shisui
riuscì a rimettere su un’espressione
più controllata, anche se il ritrovarselo
davanti così all’improvviso lo avesse
scombussolato. Era passata una settimana,
esattamente il venerdì prima si erano ritrovati assieme a
bere e lui, ubriaco,
aveva parlato troppo; quei sette giorni non erano stati sufficienti per
smaltire o diluire il peso di quelle parole. Aveva rovesciato una
boccetta
intera d’inchiostro scuro, ma nemmeno una vita sarebbe
bastata per riassorbirlo
tutto e far tornare immacolata la superficie macchiata.
“Cosa
vuoi, Itachi?” si risolse a domandare alla fine.
“Parlare.
Con te”
Shisui
fece una specie di smorfia che non ricordava nemmeno lontanamente il
suo
sorriso. Si poggiò all’indietro contro la
poltroncina ergonomica e lo guardò;
se avesse avuto una cravatta se la sarebbe di sicuro allentata, ma non
le
indossava mai e i primi due bottoni della camicia erano già
aperti.
“Lo
so che non posso rimangiarmi nulla, ma davvero… lasciamo
perdere, Itachi. Ero
ubriaco ed è un periodo difficile qui a lavoro, ho
straparlato. Possiamo
limitarci a questo? E ho già detto che ero ubriaco? Davvero,
davvero ubriaco”
Itachi
con la sua giacca senza una piega e la cravatta perfettamente annodata,
guardò
i suoi occhi scuri che dicevano molto più delle sue parole.
Quegli occhi che
tante volte aveva fissato; persino da bambino aveva sempre pensato che
i suoi
fossero i più belli.
“No”
rispose soltanto.
“Che
cazzo, Itachi!” sbottò Shisui sbattendo la mano
sulla scrivania e facendo
cadere a terra una scatolina con delle graffette colorate che si
sparsero a
terra. “Vieni qui all’improvviso, dici che vuoi
parlare ma mugugni due cose in
croce. Vuoi parlare davvero? Allora apri la bocca e fallo, io ho detto
fin
troppo, cazzo!”
Nonostante
fosse difficile, continuò a guardarlo e a quel modo si
accorse di un fatto
straordinario: Itachi era in difficoltà, il rossore sulla
punta delle orecchie
che sbucavano dalla massa folta dei suoi capelli, i pollici che non
stavano
fermi un attimo, il piede della gamba accavallata che ciondolava,
niente di
tutto ciò apparteneva all’imperturbabile e calmo
ragazzo che conosceva.
“È
che non so bene cosa dire, so solo che voglio parlarti”
ammise infatti Itachi e
si odiò per quello sfoggio di mediocrità e
incapacità, soprattutto in un
momento tanto cruciale.
Shisui
invece sorrise brevemente e si appoggiò nuovamente allo
schienale. Il cugino
era lì, per lui, per risolvere il casino che aveva
combinato; nemmeno Shisui
era certo sulla cosa giusta da fare, ma forse l’unica strada
da tentare era
quella della verità, non c’era più
motivo di nascondere le cose o nascondersi.
Bisognava far cadere le ultime foglie di fico che li ricoprivano.
“Nemmeno
io so cosa dirti, per questo non ti ho chiamato in questi
giorni”
“Credevo
fossi arrabbiato con me e non volessi più vedermi”
ammise Itachi,
mordicchiandosi il labbro inferiore, altro gesto inusuale che
però piacque a
Shisui. Desiderò alzarsi, stringerlo tra le braccia con
forza, baciarlo ed
essere lui a mordere quel labbro con gentilezza, per dare piacere e
aumentare
la voglia, come aveva già fatto in passato, come entrambi
erano bravi a fare
tra di loro. Rimase però seduto, non mosse un muscolo e si
limitò a guardarlo,
non era quello il momento; adesso era il momento delle parole che,
forse,
avrebbero addirittura stabilito che il tempo di quelle carezze era
finito.
“Diciamo
che quella sera ero abbastanza incazzato, svegliarmi il giorno dopo con
i
postumi di una sbornia colossale non mi ha aiutato, ma… come
dire? Mi sono reso
conto subito della cazzata che avevo fatto. No, Itachi, non scuotere la
testa,
la cazzata l’ho fatta io. In fondo non ti ho mai detto nulla,
né i miei
comportamenti ti hanno mai fatto credere diversamente, ho avuto vari
fidanzati
e fidanzate, non ti stavo certo aspettando in monastica attesa. Non
puoi
leggermi nel pensiero se non parlo e l’altra sera, invece di
essere più
delicato, sono sbottato come un idiota. Ecco, adesso ho detto tutto e
mi sento
proprio un perfetto imbecille patetico” sospirò
guardando il soffitto e
incrociando le dita dietro la testa, facendole scomparire tra i capelli
corti e
mossi.
Il
silenzio li cullò per qualche istante, si udiva il rumore
del traffico
nonostante i doppi vetri e il ticchettio di un rubinetto che gocciolava
nelle
vicinanze, se avessero teso le orecchie forse avrebbero sentito anche i
loro
cuori che non volevano saperne di calmarsi.
“Hai
ragione, non posso leggerti nel pensiero, i miei occhi non arrivano a
tanto, ma
posso leggere altro, i tuoi comportamenti per esempio – disse
Itachi che non
voleva esularsi dalla sua parte di colpe – tu sei onesto e
fedele, eppure hai
sempre tradito tutti i tuoi partner ogni volta che ti venivo a cercare
senza
pensare a queste conseguenze. Venivo da te perché mi ero
mollato, o magari solo
perché ti volevo e non mi hai mai detto di no; io
l’ho semplicemente dato per
scontato, senza riflettere su quanto ti sarebbe costato. Non ho nemmeno
notato
che poco dopo lasciavi sempre i tuoi partner, che idiota cieco, eh?
Eppure non
è successo una volta sola. Hai mollato persino Annie,
credevo che l’avresti
sposata”
“Lo
credevo anch’io, ma non riuscivo a stare ancora con qualcuno
sapendo di averlo
tradito, mi sono preso anche qualche schiaffo delle volte”
Fece
una risata amara, passandosi una mano su una guancia, come se gli
dolesse in
quel momento; i suoi occhi erano ancora puntati sul soffitto, mentre
sapeva che
quelli di Itachi erano su di lui.
“Avrei
dovuto intuire qualcosa, non dico capire, ma qualche sospetto avrei
potuto
anche farmelo venire. Ti chiedo scusa, Shisui”
Itachi
era mortalmente serio, perché si era reso conto appieno
quanto avesse
influenzato la vita del cugino. Se fosse stato capace di tenersi il
cazzo nei
pantaloni, o perlomeno di far funzionare a dovere quel cervello che
tutti
elogiavano, a quel punto Shisui avrebbe potuto avere una moglie e dei
figli, o
semplicemente un fidanzato. Di sicuro non si sarebbe ritrovato single,
senza
uno straccio di relazione seria all’alba dei
trent’anni.
“E
cosa dovrei farmene esattamente delle tue scuse, Itachi?”
domandò decidendosi
finalmente a guardarlo, seppure con la testa inclinata. Le sue parole
non
furono acide o arrabbiate, come avrebbero giustamente potute essere,
furono
invece quasi incolore, piatte; ciò ferì
maggiormente Itachi che si trovò a
stringere forte una mano a pugno, sentendo le unghie premere contro il
palmo.
“A
un cazzo, non servono proprio a un cazzo” sputò
amareggiato, consapevole della
loro inutilità e della propria.
“Smettila
di darti tutte le colpe, sono sicuro che lo stai facendo. È
stata soprattutto
colpa mia, potevo farmi uscire il fiato prima o mettermi
l’anima in pace e
cercare di dimenticarti, invece non ho fatto niente di tutto
ciò. Mi merito ciò
che mi sta accadendo e che mi è successo – si
alzò e si andò a mettere di
fronte a lui, poggiando il bacino contro la scrivania – basta
con i rimorsi e i
rimpianti, con i se e i ma, con avrei
potuto o avrei dovuto.
Ne sono stufo marcio e non cambieranno un bel niente. Dobbiamo pensare
al
futuro, è l’unica cosa che possiamo
fare”
Si
interruppe e guardò Itachi dall’alto, scrutando i
suoi occhi scuri che però lo
fissavano in attesa. “Immagino che ormai tra di noi sia
finita, in quel senso
perlomeno… però possiamo ancora essere amici, lo
siamo sempre stati in fondo. E
poi, se non ci pensassi io a stapparti fuori di casa o a farti battute,
moriresti di solitudine e malinconia”
Si
passò una mano sul collo, tentando di sorridere a quel suo
tentativo di fare
ironia, ma non risultò affatto convincente, solo triste.
Itachi
scattò in piedi, incapace di stare ancora seduto e fermo e
gli afferrò i lembi
della giacca, stropicciandoli tra le dita.
“Shisui,
ma…”
L’Uchiha
più grande osservò come l’altro fosse
genuinamente sconvolto, forse quasi
spaventato e capì che non aveva mai pensato sul serio che
tra di loro potesse
finire, ma non poteva continuare come era sempre stato, non
più, doveva per
forza cambiare qualcosa.
“Itachi,
io ti amo e questo non posso negarlo né cambiarlo, tu mi
vuoi bene ma non mi
ami, almeno non nel senso che vorrei io e non possiamo negare nemmeno
questo –
disse prendendogli le mani tra le sue, lasciando che le loro dita si
intrecciassero – ci sarò sempre per te, solo in
modo un po’ diverso”
Itachi
deglutì a vuoto dinanzi a quella confessione tanto diretta,
senza fronzoli
eppure tremendamente bella. Molte persone gli avevano detto di amarlo,
ma mai
si era sentito tanto emozionato e vicino alle lacrime come allora.
Strinse
forte le sue dita e cercò di parlare, perché
doveva spiegarsi, non poteva
lasciare che Shisui prendesse tutte le decisioni, anche lui era un
adulto e
doveva comportarsi come tale, prendersi le proprie
responsabilità ed essere
sincero con se stesso.
“Quello
posso cambiarlo però, posso amarti. Shisui, io non voglio
perderti, solo l’idea
di non poterti più abbracciare o baciare mi fa stare male e
non mi sono sentito
così nemmeno quando Konan mi ha lasciato… ed io
pensavo di amarla davvero,
pensavo di sposarla, di passare la vita al suo fianco. Anche adesso
voglio
baciarti, sentire i tuoi capelli nelle mie mani e il profumo sottile
del tuo
dopobarba mentre mi avvicino al tuo collo. Ti ho sempre desiderato
intensamente
e, come hai detto quella sera, a nessuno tranne te ho mai permesso di
prendermi, sei l’unico che mi sia mai entrato dentro. Nemmeno
tu mi puoi
leggere nel pensiero e quindi non puoi stabilire cosa provo, non puoi
decidere
anche per me”
Shisui
chiuse gli occhi e si morse le labbra, mentre la stretta delle loro
dita
diventava quasi dolorosa. Itachi non gli stava rendendo affatto le cose
facili,
perché quello stupido doveva essere sempre tanto testardo?
“Sei
soltanto confuso e hai paura di perdermi – disse tornando a
guardarlo – non
puoi importi di amarmi, e io nemmeno voglio un amore del genere,
dettato dalla
paura; non farmi questo. Ci vogliamo bene, possiamo essere solo amici e
cugini,
non cercare di amarmi per paura o… per pietà. Non
lo voglio”
La
sua voce faticò a rimanere limpida e chiara sulle ultime
parole e Itachi
avvertì una stretta al cuore, continuava a farlo soffrire
anche quando non
voleva. Nemmeno in passato aveva voluto, ma quanto aveva sofferto
Shisui nel
vederlo spensierato e ignaro vicino ad altre persone, a dargli consigli
o a
spingerlo a chiamare quella ragazza o quel tipo che gli aveva infilato
un
biglietto col numero sotto il tergicristallo?
La
sua era davvero solo paura o pietà confuse per amore?
Iniziò
a non vederci tanto bene, tutto gli apparve distorto e offuscato, anche
l’udito
funzionava male perché non udiva altro che il rimbombo del
proprio cuore che
pareva voler fuggire dal petto, quello stupido capriccioso cuore.
“Shisui…”
mormorò e, senza nemmeno rendersene conto, le sue mani si
erano divincolate ed
erano sulle sue guance, a stringergli con delicatezza il viso e a
tirarlo
contro il proprio per baciarlo. Ci fu un attimo di resistenza da parte
di
Shisui, ma si arrese subito e alzò bandiera bianca. In fondo
non c’era mai
stata una vera battaglia: contro Itachi era inerme e indifeso come un
neonato e
desiderava solo avere più da lui, non lasciarlo andare, come
un fottuto drogato
in cerca della sua dose che non gli sarebbe bastata mai. Gli prese a
sua volta
il viso tra le mani e lo baciò con irruenza, senza
risparmiarsi. Lo spinse e
camminarono lenti, impacciati, fino a incontrare un muro contro cui lo
premette
col proprio corpo, tentando di essere più vicini che mai con
quel bacio. Voleva
penetrare dentro di lui, rendere i loro toraci un'unica cassa, le
braccia e le
gambe fuse assieme, così come le labbra che non voleva
lasciare. Confusamente
pensò che quel giorno le previsioni del tempo avevano
sbagliato: stava
piovendo, aveva tutto il viso bagnato e quella pioggia era strana, era
salata e
sembrava non voler smettere.
“Itachi…”
ansimò contro la sua bocca mentre le sue mani cercavano di
asciugargli il volto.
Si allontanò a fatica perché il minore non glielo
permetteva, ma alla fine si
ritrovò a guardare i suoi occhi lucidi, le guance rigate di
lacrime e pensò che
non aveva mai pianto per nessuno, nemmeno per Sasuke.
“Shisui,
questa non può essere pietà o paura, non
è possibile. Non ti mentirò, non ti
dirò improvvisamente che ti amo, ma ti dirò che
non voglio lasciarti, voglio
che mi dai una possibilità ora che so la verità.
Voglio che ci proviamo sul
serio, senza più segreti o bugie”
Shisui
chiuse gli occhi, ma fu comunque inutile perché
l’immagine del cugino era
impressa sulla sua retina e continuò a vederlo lo stesso,
non c’era proprio
nessun modo per sfuggirgli. Se anche si fosse cavato i globi oculari,
ci
avrebbe pensato il suo cervello a mandargli immagini e ricordi in un
film
continuo. Sollevò quindi le palpebre e passò le
dita sui suoi zigomi,
raccogliendo le tracce umide del suo affetto, si sentì
speciale perché era
stato l’unico a far piangere Itachi che ora lo guardava
speranzoso. Non era mai
stato così cristallino nel mostrare i suoi sentimenti e
Shisui si morse con
forza un labbro, lottando con la sua razionalità e il
desiderio di lasciarsi
andare; qual era la decisione giusta? Non riusciva a scegliere,
c’era troppo in
ballo, troppo da perdere o da vincere in entrambi i casi.
“Non
esiste la scelta giusta – disse Itachi che parve comprendere
il suo dilemma –
ci siamo solo noi che possiamo provarci, nessuno può fare
previsioni del
futuro. Persino io che sono tanto meticoloso e accurato nel lavoro,
quando sono
in tribunale non posso fare altro che sperare per il bene,
perché anche il
migliore dei miei lavori può essere smontato o ribaltato da
un imprevisto.
Però, quando sono lì, so di aver dato tutto me
stesso e non ho mai niente da
rimproverarmi; adesso è la stessa cosa. Non
c’è giuria, né avvocati, io e te
siamo gli unici giudici, e io non voglio lasciare niente di intentato.
Non
voglio svegliarmi domani e rimpiangere di averti lasciato andare senza
aver
lottato abbastanza. Per questo ti chiedo una possibilità,
Shisui, non
negarmela”
Lo
guardò con gli occhi ormai asciutti ma non per questo meno
espressivi o
intensi, e tacque, in attesa della sentenza. Aveva esposto la sua
arringa, lo
aveva fatto al meglio delle sue possibilità nonostante col
cugino non riuscisse
a mentire o usare le sue arti affabulatorie; ora poteva solo attendere
il
verdetto. Non si sarebbe appellato alla clemenza della corte, non
avrebbe
pregato, perché non è così che
funziona l’amore. L’amore deve essere spontaneo,
non può essere forzato: si può anche piantare il
seme, ma il terreno deve
essere fertile e pronto, altrimenti nessuna pianta sarebbe mai
germogliata, non
è qualcosa da programmare o pretendere. Per quello aveva
capito la richiesta
precedente di Shisui di non amarlo per pietà, la pensavano
allo stesso modo, ed
era certo che non gli avrebbe mai inflitto niente di tanto orribile.
Shisui
intanto lo guardava, continuando a martoriarsi il labbro,
l’espressione seria
che però si aprì in un piccolo sorriso ironico,
una lontana eco del suo solito
e smagliante sorriso, ma pur sempre un inizio.
“Fatico
a credere che tu abbia perso qualche causa in tribunale, sei
maledettamente
convincente – tornò serio – sul serio
riusciresti a convivere senza i tuoi
segreti, a essere sincero con me?”
Itachi
non rispose subito, per calibrare bene le parole: stavano camminando su
una
lastra di ghiaccio sottilissima e il minimo errore avrebbe mandato
tutto in
frantumi.
“Finora
tra di noi sei stato tu quello che si è tenuto per
sé il segreto più grosso di
tutti” gli fece notare.
Shisui
assentì col capo e sospirò piano:
“Siamo
cugini, siamo uomini… che vita potrei mai offrirti? Sempre a
nasconderci o abbandonare
le nostre famiglie per vivere alla luce del sole? Perché
forse potrebbero accettare
il fatto che siamo gay, bisessuali, trisessuali o qualche altra
diavoleria, ma
non passerebbero mai e poi mai sopra al fatto che siamo
cugini”
“Eppure
Yuri e Akane si sono sposati ed erano primi cugini, come noi”
“Non
erano due uomini, ma un uomo e una donna, anche così
c’è ancora chi li guarda
storto – gli carezzò una guancia – sei
ancora in tempo per ripensarci. Esci di
qui, rimaniamo amici e trova qualcuno di cui innamorarti sul serio,
qualcuno
che potresti presentare ai tuoi”
Sapeva
che Itachi amava profondamente i genitori e che andare contro i
desideri del
padre, passare anni senza parlargli, lo aveva segnato profondamente e,
proprio
per l’amore che provava nei suoi confronti, non voleva
costringerlo a
rinunciarvi o a fare una scelta.
Itachi
però gli posò una mano sulla nuca, affondando tra
i capelli soffici,
stringendoli con forza pur non facendo male.
“Rinneghi
i tuoi primi insegnamenti? Sei tu che mi hai fatto capire di dovermi
accettare
e di essere in grado di farlo, grazie a te ho smesso di mentire a me
stesso,
sei un ipocrita Shisui – gli disse con un sorriso
canzonatorio sulle labbra –
per me arrivi a essere anche questo”
Pensò
a Sasuke, al fatto che si era preoccupato di non poter portare Gaara a
una
stupida riunione di famiglia, dispiacendosene, eppure questo non lo
avrebbe
fermato dal continuare a frequentarlo, non più almeno. Il
fratello era
cambiato, aveva preso coscienza di sé e dei propri
sentimenti, doveva farlo
anche lui e non poteva stando lontano da Shisui.
“Cosa
vuoi che ti dica, Itachi? – sospirò, stanco
– Cosa vuoi che ti dica?”
“Di
sì. Dimmi che mi dai un’altra occasione
– lo incalzò – non ti prometto che mi
innamorerò, che magicamente tra un mese proverò i
tuoi stessi sentimenti, la
verità è che nemmeno io capisco bene cosa provo
adesso. Sei intessuto così
profondamente in ogni aspetto della mia vita che voglio capire se
è amore ma
non ho mai osato confessarmelo, o se sei un pilastro essenziale ma non
l’uomo
che amo. Se ti sto lontano non potrò mai capirlo e lo devo a
me stesso e a te.
In fondo quella sera non mi hai confessato tutto perché
volevi tentare il tutto
per tutto pur di non perdermi? Perché io non dovrei fare lo
stesso?”
Shisui
poggiò la fronte contro la sua e chiuse gli occhi, sentendo
le sue mani ancora
tra i capelli e le proprie spalle scosse da una debole risata.
“Itachi,
Itachi… come riesci a rigirare la frittata e a portare tutti
gli argomenti
dalla tua parte ha qualcosa di incredibile. Sei davvero
l’avvocato del diavolo
– spostò la testa per guardarlo – non ho
più obiezioni, vostro onore”
Era
sconfitto su tutta la linea e ormai non aveva più la forza
di lottare, né ne
vedeva il motivo. Se lo amava così tanto da diventare
addirittura un fedifrago
o un ipocrita, avrebbe anche corso il rischio di dargli
un’altra chance; in
fondo non era detto che si sarebbe ritrovato per forza col cuore
spezzato,
magari… magari, vedendolo sotto un’altra luce,
come un vero partner, i
sentimenti di Itachi sarebbero diventati più chiari e forse
lo avrebbe corrisposto.
Poteva
mettersi ancora in gioco, per lui.
“Bene,
dichiaro sciolta la seduta” scherzò Itachi,
carezzandogli i lineamenti delicati
del viso, come se li stesse vedendo per la prima volta.
“E
adesso? Qual è il verdetto? Come funziona d’ora in
avanti?” domandò invece
Shisui serio, in una strana inversione dei ruoli.
Infatti
Itachi sorrise di nuovo e, spensierato, scrollò le spalle
dicendo:
“Direi
che potremmo darci appuntamento per stasera e vedere come
andrà, ma è vietato
ubriacarsi”
Shisui
finse di pensarci su, roteando anche gli occhi verso l’alto,
poi lo guardò,
vide le sue labbra sorridenti e le baciò; una volta, due e
un’altra ancora.
“Non
stai correndo troppo?” rise Itachi.
“Mi
hai vietato di ubriacarmi, non di baciarti” gli
ricordò Shisui tra uno schiocco
di labbra e l’altro, ridendo a sua volta, adorando sentire la
sua voce a quel
modo.
Era
ancora tutto incerto e sospeso, nessuno garantiva loro che ci sarebbe
stato un
happy ending, che non avrebbero più sofferto o altri triti e
banali cliché da film,
ma erano insieme ed insieme avrebbero tentato, avrebbero scritto la
loro
storia; insieme avrebbero deciso il loro futuro.
Lo
farò per lui.
L’angolino
oscuro:
Scusate il ritardo, ma sono perdonata con questo capitolo
sostanzioso, vero? Anche se ci siamo spostati un po’ di
più verso Itachi e
Shisui, le vicende di Sasuke e Gaara fanno sempre da cornice agli
eventi. Grazie
per continuare a seguire questa storia e a lasciarmi un commento per
farmi
sapere che ne pensate, alla prossima!