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Autore: Sunako_7    22/11/2018    1 recensioni
Sasuke e Gaara si frequentano da qualche mese, nonostante abbiano un dialogo quasi inesistente. Basterà questo per riuscire ad andare avanti o lo scontro con i problemi della vita e i fantasmi di un passato mai dimenticato li schiaccerà, costringendoli a separarsi? E se quel passato tornasse più reale che mai? E se altre persone entrassero nella vita dei due protagonisti? Un viaggio complicato e irto di ostacoli nella vita di questi due ragazzi chiusi, diffidenti, incapaci di comunicare eppure bisognosi di affetto e amore.
Questa ff è il continuo della mia one-shot "If I had a heart" anche se non è indispensabile leggerla per seguire questa long, ma alcuni dettagli potranno essere più chiari.
[GaaraxSasuke][Itachix?][accenni HidanxDeidara]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Itachi, Sabaku no Gaara, Sasuke Uchiha, Shisui Uchiha
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate | Contesto: Nessun contesto
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Well I've been away from you too long
And all my days have turned to darkness
And I believe my heart has turned to stone

(The White Buffalo)

 

 

Oh Darling, what have I done

 

 

La cucina era invasa da aromi succulenti, da far venire l’acquolina in bocca. Il cuoco controllò che il pollo fosse rosolato al punto giusto, le verdure saltate in modo da rimanere croccanti e il vino pronto per essere stappato; si ritenne sufficientemente soddisfatto da concedersi un po’ di relax prima che arrivasse il suo ospite.
Itachi si accomodò sul divano e prese il libro del momento in mano, nonostante la curiosità di sapere come andasse avanti e scoprire quale scelta cruciale avrebbe compiuto il protagonista, non riuscì a leggere nemmeno una riga. Ripensava al fratello e al giorno precedente. Lui era appena tornato dal tribunale e lo aveva trovato in ufficio a parlare con Gaara dei lavori di ampliamento, ma i due ragazzi erano totalmente diversi dall’ultima volta in cui li aveva visti insieme. Erano in piedi, vicini, rilassati, non sembravano più due magneti che si respingevano, bensì si attraevano. Aveva capito che il loro weekend doveva essere andato piuttosto bene, sebbene lo avesse già pensato quando il lunedì aveva visto il segretario con un’espressione serena mai sfoggiata prima.
Una volta finito, Sasuke lo aveva raggiunto e Itachi gli aveva proposto di cenare insieme la sera stessa, ma il fratello aveva fatto una di quelle espressioni che gli vedeva sempre da bambino, come di chi l’aveva fatta grossa ma non sapeva come dirlo. Itachi, controllandosi per non ridere, gli era andato in soccorso dicendo che anche un’altra sera sarebbe stata perfetta e l’altro si era subito rasserenato, senza rendersi conto di quanto fosse stato comico quel momento.
Per quel motivo ora Itachi si ritrovava seduto su quel divano ad aspettarlo, aveva preferito una cena a casa perché aveva l’impressione che sarebbero potuti saltare fuori alcuni argomenti abbastanza personali.
Il campanello suonò e lui gettò un’occhiata all’orologio: Sasuke era puntuale, probabilmente quello non sarebbe mai cambiato.
Andò ad aprire e si se lo trovò di fronte con la sciarpa tirata su fino a metà faccia, l’espressione imbronciata per quel poco che si vedeva e una confezione di pasticceria tra le mani che gli rifilò in fretta, neanche si trattasse di una granata innescata.
“È una torta al cioccolato – esordì – niente glasse diabetiche che ti piacciono tanto, forse anch’io riesco a mangiare un pezzo di questa”
“Buonasera Sasuke, ben arrivato. Andata bene la tua giornata? A me sì, grazie per averlo chiesto”
Il ragazzo sbuffò mentre appendeva il cappotto a un gancio vicino l’ingresso, consapevole dei suoi modi bruschi.
“Sono stato in ufficio fino a poco fa, oggi non ho avuto nemmeno tempo di respirare”
Ed era arrivato puntuale, trovando persino il tempo per passare in pasticceria, doveva aver veramente fatto le corse per riuscire in tutto. Itachi sorrise, probabilmente nemmeno quel lato così perfezionista del fratello sarebbe mai cambiato: quel cocciuto e giovane uomo si sarebbe ammazzato per far filare le cose nel modo in cui diceva lui.
Andarono in cucina e il padrone di casa mise il dolce in frigo, dopo di che stappò il vino e ne offrì un bicchiere all’altro dicendo:
“Ora puoi rilassarti un attimo allora, la cena è pronta e non vedo l’ora di assaggiare la torta al cioccolato fondente che hai tanto gentilmente portato”
Gli sorrise, sedendosi di fronte a lui e Sasuke fece una smorfia dopo aver bevuto un sorso.
“Non sono certo di rilassarmi stasera”
“Ah no?”
“No – scrutò il fratello maggiore – non credo che questa cena sia così disinteressata”
Itachi posò il bicchiere e scrollò appena la testa:
“Sasuke, mi reputi davvero una brutta persona”

E non ho bisogno che ci sia tu a ricordarmelo, lo so già. Shisui mi ha mostrato la verità.
Soffocò quella riflessione perché, almeno quella sera, doveva smetterla di tormentarsi a riguardo e di pensare al cugino che non sentiva da giorni, da quel maledetto venerdì. La sua attenzione doveva essere tutta per il fratello, così continuò:
“Se hai voglia di raccontarmi qualcosa sono qui, altrimenti mi sembra di averti costretto a parlarmi in un’unica occasione in tutti questi anni. Col tuo psicologo hai ancora da lavorare un po’ su questo atteggiamento di autodifesa”
Si alzò per controllare che le pietanze fossero sufficientemente calde per poi servirle, dando le spalle a Sasuke che doveva fare i conti con le sue parole.
Itachi era gentile, aveva modi pacati per dire la verità, ma non la negava e la serviva sempre ai suoi interlocutori; nessuna bugia confortante sarebbe uscita da quelle labbra, solo la realtà dei fatti.
“Lo so” disse soltanto Sasuke. Non si scusò nemmeno quella volta ma, a differenza di altre, non fu per arroganza, bensì perché aveva capito che non poteva, né doveva più domandare scusa per quel che era o per il suo carattere. Essere quello che era non era più una colpa.
Iniziarono a cenare e Itachi gli domandò del progetto del grattacielo, nonostante fosse un avvocato, aveva frequentato un anno di architettura all’università e poi, crescendo nella loro famiglia, era impossibile non essere comunque avvezzi della materia.
Sasuke ne parlò con entusiasmo, il suo progetto aveva riscosso grande approvazione ed era piaciuto molto anche alle autorità cittadine che avevano in programma la riqualificazione di alcune aree urbane più degradate. Lo studio Uchiha si sarebbe occupato di quel progetto, Fugaku era stato molto compiaciuto da quel risultato, stabilendo che il figlio minore sarebbe stato a capo di quel futuro lavoro.
Itachi fu veramente felice di udire certe novità e di vedere come finalmente Sasuke stesse mostrando le sue qualità, ora che non erano più offuscate dalle sue. Il fratello era eccezionale, ma era sempre stato sminuito dal loro confronto, cosa che Itachi aveva sempre odiato fino a prendere la stupida decisione di allontanarsi da Sasuke perché, se fossero stati lontani, nessuno avrebbe mai potuto paragonarli.
Però mentre cenavano assieme, rilassati, si dispiacque di quella sua decisione passata e fu invece grato che le cose in qualche modo si fossero poi messe a posto, di non essere mai riuscito a uccidere l’affetto che Sasuke provava nei suoi confronti. Chissà se anche con Shisui avrebbe potuto risolvere, però per farlo occorreva che parlassero e lui non era ancora pronto.
Mangiando la torta, parlarono di altri argomenti, dei genitori che quell’anno avrebbero festeggiato trent’anni di matrimonio, della festa che avrebbero organizzato e di altre faccende famigliari, almeno finché Sasuke non iniziò a giocherellare con il dolce rimasto sul piatto.
“Hai raggiunto il tuo limite quotidiano di zucchero?” scherzò Itachi.
Il minore posò la forchetta e si pulì le labbra col tovagliolo. In quel momento non sembrava più il giovane uomo in carriera orgoglioso che aveva parlato fino a poco fa, quanto un ventenne incerto che non sapeva bene che direzione far prendere alla propria vita.
“No, stavo pensando a una cosa – guardò il fratello negli occhi – alla festa ci saranno tutti. Ognuno porterà le proprie mogli, i mariti, i fidanzati… ma io non potrò portare Gaara”
Anche Itachi si disinteressò della torta e incrociò le mani davanti a sé, per posarvi sopra il mento. Ricambiò lo sguardo del fratello, serio, quasi marziale come quando era in tribunale, ma poi un sorriso apparve sul suo viso e disse:

“E così avete risolto le cose tra di voi, bene, bene. Sono passati solo pochi giorni dal weekend e tu già pensi all’effetto che potrebbe fare presentarlo in famiglia e cose simili… quindi è più seria di quanto credessi, o sbaglio?”

Sasuke arrossì di botto e sobbalzò addirittura sulla sedia, imbarazzato che il fratello avesse potuto leggere così tanto tra le righe. Non era stato difficile in realtà, ma quando aveva parlato non aveva proprio riflettuto, dicendo sinceramente ciò che gli era passato per la testa.

“Accidenti a te, perché devi metterla giù così?” borbottò guardando fuori dalla finestra.

“E in che altro modo dovrei farlo, Sasuke? Ho solo detto la verità, no? Mi sembrava avessimo superato la fase delle bugie e della negazione”

Nascose il sorriso che gli stava nascendo spontaneo. Era felice, era sinceramente felice per il fratello perché, al di là dell’imbarazzo momentaneo, lo vedeva sereno, a proprio agio, le spalle erano più rilassate e non si curvavano sotto il peso del mondo intero ora che aveva trovato qualcun altro con cui condividerlo. Probabilmente niente lo avrebbe reso più felice di ciò, di vedere il suo amato fratellino in pace con se stesso e non rimpianse di aver lasciato andare Gaara; era stata la decisione giusta.

Sasuke si voltò a guardarlo, con ancora un velo di rossore e l’espressione corrucciata:

“Tu dici sempre e solo la verità”

Itachi sospirò, pensando che qualcun altro avrebbe obiettato. Bandì nuovamente il pensiero di Shisui con una scrollata di spalle e rispose:

“Vorrei che fosse così, ma… allora, raccontami, va davvero tutto bene? L’altra sera non volevi venire a cena con me perché dovevate uscire insieme, giusto?”

Sasuke annuì e nel suo imbarazzato turbamento non dedicò troppa attenzione alla frase lasciata a metà dal fratello, ansioso di spiegargli come fossero andate le cose e al contempo combattuto dalla sua naturale reticenza.

“Beh, ecco… –  mormorò cercando di trovare un compromesso – passando un po’ di tempo insieme da soli siamo riusciti a trovare un’intesa, diciamo così… sono passati solo pochi giorni, ma mi sembra che stia andando tutto bene. Stavo pensando che forse dovrei presentarlo di nuovo a Naruto; per bene stavolta”

Itachi annuì, riprendendo a mangiare il dolce con aria dotta, consapevole che doveva essere proprio seria se il fratello aveva deciso di coinvolgere il suo migliore amico, ciò faceva presagire che avesse intenzione di aprirsi anche con gli altri in un futuro non troppo lontano.

“Mi sembra un’ottima idea, credo potresti presentarlo senza problemi anche a Hinata, lei è una Hyuga un po’ atipica e sarebbe solo felice per voi, Gaara non avrebbe alcun problema a lavoro. Ma per sicurezza chiedi pure prima a Naruto” gli disse, anticipando e smontando qualsiasi sua protesta, ben sapendo come funzionasse il suo cervellino un po’ bacato.

Sasuke infatti aprì e richiuse la bocca un paio di volte, per poi rimanere a fissarlo mentre spazzolava via la sua porzione di dolce e poi ne prendeva un’altra.

“Farò così” disse soltanto.

Itachi, con l’aria soddisfatta di un grosso gatto steso al sole con la pancia piena, gli sorrise e decise di stuzzicare un po’ la piccola vipera velenosa che gli sedeva di fronte:

“Dimmi, Sasuke, a seguito della vostra intesa ritrovata c’è qualcosa che devo evitare nella casa in montagna? Tipo il divano, il tavolo della cucina…”

“Itachi! – esclamò l’altro saltando in piedi – Se non la finisci me ne vado!” lo minacciò, ma si risedette e incrociò le braccia, offeso, sentendo la risata profonda del fratello riecheggiare nella stanza. Lo sbirciò di sottecchi e lo vide con gli occhi luminosi, la bocca sporca di cioccolato e il viso pieno di gioia e pensò che non lo aveva mai visto più bello o umano.

“Il tappeto davanti al caminetto” gli rispose, con le labbra che suo malgrado si stiravano in un sorrisetto.

“Ottima scelta, molto romantico – si complimentò – ti ho mai detto di non sederti sulla poltrona verde?”

“Cazzo, la mia preferita, ma che schifo! Me ne vado!” esclamò saltando di nuovo in piedi, guardandolo in faccia. Rimasero seri, a squadrarsi, e poi all’improvviso, come se qualcuno avesse premuto un bottone speciale sulle loro schiene, scoppiarono a ridere contemporaneamente. Si guardavano e ridevano fino alle lacrime, insieme. Con le facce rosse, le briciole di torta al cioccolato sulla bocca e il desiderio di non essere da nessun’altra parte se non lì.

 

***

 

“Sei qui, ti ho trovato finalmente”
Itachi non si voltò avendo riconosciuto la voce, ma continuò ad osservare l’intrico di cavi che ancora usciva dalle prese elettriche, le finestre e le porte montate ma con ancora la pellicola protettiva.
“Mi spieghi che sei venuto a fare qui?” gli domandò Gaara cercando di non scivolare sui fogli di giornale sparsi a terra per non sporcare il pavimento nuovo con la pittura fresca.
Solo quando sentì che era al proprio fianco, Itachi girò la testa per osservare i suoi occhi acquamarina che lo fissavano incuriositi.
“Mah, niente di che. Stavo solo ammirando il risultato del progetto di Sasuke e pensavo”
Gaara si guardò un po’ attorno: i lavori di ristrutturazione per l’ampliamento dello studio erano quasi finiti, era ormai solo questione di giorni e di sistemare gli ultimi dettagli.
“È venuto bene – concluse, spostando lo sguardo di nuovo sull’avvocato – a che pensavi? Puoi dirmelo o sono i tuoi pensieri segreti?”
Itachi rise piano, in fondo un po’ sorpreso da come quel ragazzo silenzioso avesse imparato in fretta a conoscerlo; quel giorno non si sentì a disagio o troppo esposto dinanzi a quegli occhi chiari.
“Sciocchezze, sciocchezze che però mi mancheranno. Tra qualche giorno mi trasferirò in questo ufficio e non ti vedrò o sentirò più alle prese coi nostri clienti pazzi, gli scocciatori o con la compagnia dell’elettricità, l’autonoleggio e le mille persone con cui sei costretto a parlare tutti i giorni. Sarà tutto più silenzioso e in un certo senso vuoto, era divertente commentare assieme a Hinata le tue telefonate più assurde”
Gaara annuì con la testa e rise a sua volta:
“Vero, hai ragione, ci vedremo sempre tutti i giorni ma non sarà lo stesso. Anch’io tornerò ad essere solo e l’ufficio mi sembrerà enorme senza di voi; in realtà anche a me piace avervi vicino”
Non c’era più il sorriso sul suo viso, ma un’espressione malinconica perché quella breve parentesi stava per concludersi e, anche se nessuno stava per morire o per trasferirsi all’altro capo del mondo, non sarebbe più stata la stessa cosa; era una consapevolezza dolceamara.
Itachi gli carezzò affettuosamente i capelli rossi e, sorridendo, aggiunse:
“Per fortuna non sei solo, ora hai Sasuke”
Erano passati un paio di giorni dalla cena col fratello ma questa era la prima volta in cui si trovava a parlare da solo con Gaara. Questi intanto era arrossito lievemente e aveva chinato il capo sotto la carezza accorta di quella mano affusolata.
“Mi aveva detto di averti parlato… non so cosa dire, Itachi” ammise senza girare attorno alla questione.
L’avvocato strinse con un po’ più forza le ciocche rosse prima di lasciarle andare e riportare la mano lungo i propri fianchi fasciati da un pantalone elegante.
“Cosa c’è da dire, Gaara? Tu e Sasuke vi piacete, anzi provate dei sentimenti e, nonostante i problemi del passato, vi siete ritrovati. Non posso che essere felice per voi, questo è tutto quello che c’è da dire.”
Osservò la sua espressione incerta, come se stesse cercando le parole per esprimere qualcosa, ma lo anticipò “L’Itachi e Gaara che si sono baciati mesi fa erano due persone diverse, che avevano deciso di regalarsi un momento bello, o di salutare in modo altrettanto bello la possibilità di essere qualcosa in più che colleghi o amici – poggiò la fronte contro la sua – potremmo parlare fino a seccarci la gola delle infinite possibilità. Se tu non avessi mai conosciuto Sasuke, se Sasuke non si fosse mai comportato da stronzo, se ci fossimo conosciuti per primi noi due, se ti avessi baciato prima… posso andare avanti ancora a lungo, Gaara. Ma la realtà è solo una: ora stai con Sasuke e io sono felice nonché orgoglioso di voi, per essere stati tanto maturi, lasciandovi alle spalle le incomprensioni e a non permettere che vi impedissero di vedere i vostri reali sentimenti”
Non spostò la fronte dalla sua, né l’altro si mosse, continuando a guardarsi da quella disturbante vicinanza. Itachi poté addirittura riflettersi in quelle iridi chiare, ma non gli piacque quello che vide:  un ipocrita che voleva darsi un tono e apparire migliore di tutti gli altri. Quelle parole non potevano essere vere anche per lui e Shisui? Come poteva lasciare che il loro rapporto di anni e anni si lacerasse e finisse a quel modo, senza nessun tentativo di aggiustare le cose? Ci erano riusciti Gaara e Sasuke che si conoscevano solo da mesi, Shisui valeva davvero così poco da non meritare nemmeno un tentativo?
I pensieri di Itachi vennero però interrotti dalla voce di Gaara e lui li accantonò, ma quella volta sapeva che sarebbe stato solo per poco.
“Quindi è così che si comporta davvero un fratello” sospirò abbassando le palpebre e all’avvocato era sembrato di veder luccicare delle lacrime.
“Beh sì, dovresti saperlo anche tu, no?” Era rimasto un po’ interdetto da quella reazione e dalle sue parole. Per quanto pessimo, il rapporto ormai rotto con suo fratello non poteva esserlo stato così orribile da non conoscere quell’affetto fraterno di cui lui aveva appena dato una splendida dimostrazione.
“Kankuro… noi… lascia stare”
Gaara fece un passo indietro, interrompendo il loro contatto ed aprì nuovamente gli occhi che risultarono però asciutti.

Kankuro.
E così quel fantomatico fratello misterioso aveva finalmente un nome; per quanto sembrasse fuori dalla vita di Gaara, a Itachi parve che esercitasse ancora una potenza piuttosto forte, forse uno di quei passati che non si possono semplicemente dimenticare, ma che ti lasciano una cicatrice indelebile addosso. Con le giuste cure la cicatrice sarebbe sbiadita, si sarebbe vista sempre di meno, ma se lasciata a se stessa sarebbe rimasta sempre lì, a mostrare che la pelle era stata lesa, che quel corpo non era completamente integro come quando era nato.
“Come vuoi, ma lo sai che per qualsiasi cosa io ci sono sempre e adesso c’è anche Sasuke” gli ricordò. Forse non era compito suo curare quella cicatrice, ma poteva sempre indirizzarlo da chi possedeva i giusti medicamenti; anche quello era compito di un fratello maggiore.
“Già, certo…” annuì sbrigativamente Gaara uscendo dalla parte nuova non ancora completata dello studio e dirigendosi nel proprio ufficio, seguito dall’altro. C’era silenzio, all’infuori di loro due non c’era nessuno visto che era la pausa pranzo.
Itachi come d’abitudine prese il suo cappotto per uscire e Gaara gli augurò buon pranzo, ma lui, stringendosi la sciarpa attorno al collo, rispose:
“Mi servirebbe più un ‘buona fortuna’ ma grazie lo stesso. A più tardi.”
Uscì lasciando il segretario interdetto, perché non sapeva che l’altro stava andando da Shisui, non sapeva quello che si erano detti quel venerdì sera, né quello che Itachi stava per fare. Il problema era che non ne era completamente sicuro nemmeno Itachi.

 

***

 

“Mi spiace, siamo chiusi per la pausa… oh, è lei signor Uchiha”
Itachi sorrise alla solerte segretaria che, sentendo la porta aprirsi, si era alzata per avvisare l’incauto cliente, ma si era ovviamente bloccata riconoscendolo. Lo aveva visto mille volte in quell’ufficio assieme al suo capo, Shisui Uchiha.
“C’è mio cugino? Vorrei rapirlo e portarlo a pranzo” domandò affabile.
La donna sospirò piano, probabilmente incantata all’idea di poter essere rapita da qualcuno come lui, sicuramente sarebbe stata l’ostaggio più docile del mondo.
“Certo, è nel suo ufficio. La annuncio e…”
“Non serve – la interruppe Itachi sempre col suo sorriso sulle labbra – conosco bene la strada e poi lei si stava mettendo il cappotto per uscire, non vorrei che sprecasse altro tempo della sua pausa pranzo per me”
La donna annuì, pur pensando che avrebbe speso anche tutta la sua giornata per lui, ma afferrò la borsetta ed uscì. Itachi, rimasto solo, andò a chiudere a chiave l’ingresso e prese un respiro profondo; la porta chiusa che vedeva alla fine del corridoio davanti a sé era la sua meta, quella e chi c’era dietro. Era agitato, sensazione nuova e sgradita, ma non poteva proprio più tirarsi indietro, aveva atteso sin troppo e sperava che non fosse tutto ormai già perso. Non sapeva ancora cosa dire al cugino, la sua unica certezza è che non potevano rimanere in silenzio e lasciar morire ciò che c’era stato tra loro, qualsiasi cosa fosse.
Si guardò attorno e ricordò quando Shisui aveva rilevato quella piccola filiale di un’agenzia assicurativa: era sul punto di chiudere, i suoi conti erano in rosso, era rimasta solo una manciata di fedeli clienti e lui si era trovato con un solo impiegato. Tutti in famiglia gli avevano dato addosso, vedendo in quell’impresa nient’altro che un fallimento assicurato, pronosticando a Shisui il fallimento nel giro di poche settimane, mesi nel voler essere generosi. Il ragazzo non aveva mai prestato troppo ascolto a quelle raccomandazioni, si limitava a sorridere e dire “Si vedrà”. Alla fine era stato lui a far vedere a tutti quei miscredenti di che pasta fosse fatto, quali fossero le sue vere capacità. Aveva trovato sempre più nuovi clienti, i conti si erano risistemati, l’azienda centrale non paventava più la chiusura della filiale che anzi negli anni si era ingrandita, assumendo sempre più personale di cui Shisui era il capo.
Tutti i famigliari all’inizio avevano fatto finta di nulla, ma di fronte all’evidenza si erano limitati a dire che con un Uchiha al comando era un risultato scontato; la verità era che solo Itachi aveva sempre creduto nel cugino. Lo aveva incoraggiato e spronato quelle rare volte in cui si era buttato giù, poi lo aveva visto ributtarsi nella mischia con entusiasmo, tenacia e una testardaggine unica. Adorava vederlo a quel modo, anzi lo amava. Per quanto volesse bene a Sasuke o ad altre persone, il cugino era l’unico che riuscisse a contagiarlo con la sua scarica di adrenalina, con quella vitalità e il sorriso che sembravano non scollarglisi mai di dosso.
Come erano arrivati a quel punto? Quando aveva smesso di credere in lui? Quando aveva smesso di guardarlo sul serio e a darlo invece per scontato?
Avanzò a grandi passi, senza più tentennare o perdere altro tempo, aprì la porta e se la richiuse alle spalle e lo vide con la testa china su alcuni documenti.
“Non eri uscita per… Itachi”
Shisui rimase in silenzio a guardarlo, evidentemente spiazzato e incapace di riprendersi con rapidità dalla sorpresa.
Itachi si avvicinò, si tolse cappotto e sciarpa e li posò su una sedia posta di fronte alla scrivania, per poi accomodarsi con eleganza sull’altra. Accavallò con scioltezza una gamba e infine lo guardò, dicendo:
“Sì, la tua segretaria è uscita, come gli altri. Ci siamo solo io e te qui”
La voce era pacata e controllata, ma le mani erano intrecciate e posate sul grembo altrimenti si sarebbero mosse come impazzite, per tentare di allentare la tensione del ragazzo.
Shisui riuscì a rimettere su un’espressione più controllata, anche se il ritrovarselo davanti così all’improvviso lo avesse scombussolato. Era passata una settimana, esattamente il venerdì prima si erano ritrovati assieme a bere e lui, ubriaco, aveva parlato troppo; quei sette giorni non erano stati sufficienti per smaltire o diluire il peso di quelle parole. Aveva rovesciato una boccetta intera d’inchiostro scuro, ma nemmeno una vita sarebbe bastata per riassorbirlo tutto e far tornare immacolata la superficie macchiata.
“Cosa vuoi, Itachi?” si risolse a domandare alla fine.
“Parlare. Con te”
Shisui fece una specie di smorfia che non ricordava nemmeno lontanamente il suo sorriso. Si poggiò all’indietro contro la poltroncina ergonomica e lo guardò; se avesse avuto una cravatta se la sarebbe di sicuro allentata, ma non le indossava mai e i primi due bottoni della camicia erano già aperti.
“Lo so che non posso rimangiarmi nulla, ma davvero… lasciamo perdere, Itachi. Ero ubriaco ed è un periodo difficile qui a lavoro, ho straparlato. Possiamo limitarci a questo? E ho già detto che ero ubriaco? Davvero, davvero ubriaco”
Itachi con la sua giacca senza una piega e la cravatta perfettamente annodata, guardò i suoi occhi scuri che dicevano molto più delle sue parole. Quegli occhi che tante volte aveva fissato; persino da bambino aveva sempre pensato che i suoi fossero i più belli.
“No” rispose soltanto.
“Che cazzo, Itachi!” sbottò Shisui sbattendo la mano sulla scrivania e facendo cadere a terra una scatolina con delle graffette colorate che si sparsero a terra. “Vieni qui all’improvviso, dici che vuoi parlare ma mugugni due cose in croce. Vuoi parlare davvero? Allora apri la bocca e fallo, io ho detto fin troppo, cazzo!”
Nonostante fosse difficile, continuò a guardarlo e a quel modo si accorse di un fatto straordinario: Itachi era in difficoltà, il rossore sulla punta delle orecchie che sbucavano dalla massa folta dei suoi capelli, i pollici che non stavano fermi un attimo, il piede della gamba accavallata che ciondolava, niente di tutto ciò apparteneva all’imperturbabile e calmo ragazzo che conosceva.
“È che non so bene cosa dire, so solo che voglio parlarti” ammise infatti Itachi e si odiò per quello sfoggio di mediocrità e incapacità, soprattutto in un momento tanto cruciale.
Shisui invece sorrise brevemente e si appoggiò nuovamente allo schienale. Il cugino era lì, per lui, per risolvere il casino che aveva combinato; nemmeno Shisui era certo sulla cosa giusta da fare, ma forse l’unica strada da tentare era quella della verità, non c’era più motivo di nascondere le cose o nascondersi. Bisognava far cadere le ultime foglie di fico che li ricoprivano.
“Nemmeno io so cosa dirti, per questo non ti ho chiamato in questi giorni”
“Credevo fossi arrabbiato con me e non volessi più vedermi” ammise Itachi, mordicchiandosi il labbro inferiore, altro gesto inusuale che però piacque a Shisui. Desiderò alzarsi, stringerlo tra le braccia con forza, baciarlo ed essere lui a mordere quel labbro con gentilezza, per dare piacere e aumentare la voglia, come aveva già fatto in passato, come entrambi erano bravi a fare tra di loro. Rimase però seduto, non mosse un muscolo e si limitò a guardarlo, non era quello il momento; adesso era il momento delle parole che, forse, avrebbero addirittura stabilito che il tempo di quelle carezze era finito.
“Diciamo che quella sera ero abbastanza incazzato, svegliarmi il giorno dopo con i postumi di una sbornia colossale non mi ha aiutato, ma… come dire? Mi sono reso conto subito della cazzata che avevo fatto. No, Itachi, non scuotere la testa, la cazzata l’ho fatta io. In fondo non ti ho mai detto nulla, né i miei comportamenti ti hanno mai fatto credere diversamente, ho avuto vari fidanzati e fidanzate, non ti stavo certo aspettando in monastica attesa. Non puoi leggermi nel pensiero se non parlo e l’altra sera, invece di essere più delicato, sono sbottato come un idiota. Ecco, adesso ho detto tutto e mi sento proprio un perfetto imbecille patetico” sospirò guardando il soffitto e incrociando le dita dietro la testa, facendole scomparire tra i capelli corti e mossi.
Il silenzio li cullò per qualche istante, si udiva il rumore del traffico nonostante i doppi vetri e il ticchettio di un rubinetto che gocciolava nelle vicinanze, se avessero teso le orecchie forse avrebbero sentito anche i loro cuori che non volevano saperne di calmarsi.
“Hai ragione, non posso leggerti nel pensiero, i miei occhi non arrivano a tanto, ma posso leggere altro, i tuoi comportamenti per esempio – disse Itachi che non voleva esularsi dalla sua parte di colpe – tu sei onesto e fedele, eppure hai sempre tradito tutti i tuoi partner ogni volta che ti venivo a cercare senza pensare a queste conseguenze. Venivo da te perché mi ero mollato, o magari solo perché ti volevo e non mi hai mai detto di no; io l’ho semplicemente dato per scontato, senza riflettere su quanto ti sarebbe costato. Non ho nemmeno notato che poco dopo lasciavi sempre i tuoi partner, che idiota cieco, eh? Eppure non è successo una volta sola. Hai mollato persino Annie, credevo che l’avresti sposata”
“Lo credevo anch’io, ma non riuscivo a stare ancora con qualcuno sapendo di averlo tradito, mi sono preso anche qualche schiaffo delle volte”
Fece una risata amara, passandosi una mano su una guancia, come se gli dolesse in quel momento; i suoi occhi erano ancora puntati sul soffitto, mentre sapeva che quelli di Itachi erano su di lui.
“Avrei dovuto intuire qualcosa, non dico capire, ma qualche sospetto avrei potuto anche farmelo venire. Ti chiedo scusa, Shisui”
Itachi era mortalmente serio, perché si era reso conto appieno quanto avesse influenzato la vita del cugino. Se fosse stato capace di tenersi il cazzo nei pantaloni, o perlomeno di far funzionare a dovere quel cervello che tutti elogiavano, a quel punto Shisui avrebbe potuto avere una moglie e dei figli, o semplicemente un fidanzato. Di sicuro non si sarebbe ritrovato single, senza uno straccio di relazione seria all’alba dei trent’anni.
“E cosa dovrei farmene esattamente delle tue scuse, Itachi?” domandò decidendosi finalmente a guardarlo, seppure con la testa inclinata. Le sue parole non furono acide o arrabbiate, come avrebbero giustamente potute essere, furono invece quasi incolore, piatte; ciò ferì maggiormente Itachi che si trovò a stringere forte una mano a pugno, sentendo le unghie premere contro il palmo.
“A un cazzo, non servono proprio a un cazzo” sputò amareggiato, consapevole della loro inutilità e della propria.
“Smettila di darti tutte le colpe, sono sicuro che lo stai facendo. È stata soprattutto colpa mia, potevo farmi uscire il fiato prima o mettermi l’anima in pace e cercare di dimenticarti, invece non ho fatto niente di tutto ciò. Mi merito ciò che mi sta accadendo e che mi è successo – si alzò e si andò a mettere di fronte a lui, poggiando il bacino contro la scrivania – basta con i rimorsi e i rimpianti, con i se e i ma, con avrei potuto o avrei dovuto. Ne sono stufo marcio e non cambieranno un bel niente. Dobbiamo pensare al futuro, è l’unica cosa che possiamo fare”
Si interruppe e guardò Itachi dall’alto, scrutando i suoi occhi scuri che però lo fissavano in attesa. “Immagino che ormai tra di noi sia finita, in quel senso perlomeno… però possiamo ancora essere amici, lo siamo sempre stati in fondo. E poi, se non ci pensassi io a stapparti fuori di casa o a farti battute, moriresti di solitudine e malinconia”
Si passò una mano sul collo, tentando di sorridere a quel suo tentativo di fare ironia, ma non risultò affatto convincente, solo triste.
Itachi scattò in piedi, incapace di stare ancora seduto e fermo e gli afferrò i lembi della giacca, stropicciandoli tra le dita.
“Shisui, ma…”
L’Uchiha più grande osservò come l’altro fosse genuinamente sconvolto, forse quasi spaventato e capì che non aveva mai pensato sul serio che tra di loro potesse finire, ma non poteva continuare come era sempre stato, non più, doveva per forza cambiare qualcosa.
“Itachi, io ti amo e questo non posso negarlo né cambiarlo, tu mi vuoi bene ma non mi ami, almeno non nel senso che vorrei io e non possiamo negare nemmeno questo – disse prendendogli le mani tra le sue, lasciando che le loro dita si intrecciassero – ci sarò sempre per te, solo in modo un po’ diverso”
Itachi deglutì a vuoto dinanzi a quella confessione tanto diretta, senza fronzoli eppure tremendamente bella. Molte persone gli avevano detto di amarlo, ma mai si era sentito tanto emozionato e vicino alle lacrime come allora. Strinse forte le sue dita e cercò di parlare, perché doveva spiegarsi, non poteva lasciare che Shisui prendesse tutte le decisioni, anche lui era un adulto e doveva comportarsi come tale, prendersi le proprie responsabilità ed essere sincero con se stesso.
“Quello posso cambiarlo però, posso amarti. Shisui, io non voglio perderti, solo l’idea di non poterti più abbracciare o baciare mi fa stare male e non mi sono sentito così nemmeno quando Konan mi ha lasciato… ed io pensavo di amarla davvero, pensavo di sposarla, di passare la vita al suo fianco. Anche adesso voglio baciarti, sentire i tuoi capelli nelle mie mani e il profumo sottile del tuo dopobarba mentre mi avvicino al tuo collo. Ti ho sempre desiderato intensamente e, come hai detto quella sera, a nessuno tranne te ho mai permesso di prendermi, sei l’unico che mi sia mai entrato dentro. Nemmeno tu mi puoi leggere nel pensiero e quindi non puoi stabilire cosa provo, non puoi decidere anche per me”
Shisui chiuse gli occhi e si morse le labbra, mentre la stretta delle loro dita diventava quasi dolorosa. Itachi non gli stava rendendo affatto le cose facili, perché quello stupido doveva essere sempre tanto testardo?
“Sei soltanto confuso e hai paura di perdermi – disse tornando a guardarlo – non puoi importi di amarmi, e io nemmeno voglio un amore del genere, dettato dalla paura; non farmi questo. Ci vogliamo bene, possiamo essere solo amici e cugini, non cercare di amarmi per paura o… per pietà. Non lo voglio”
La sua voce faticò a rimanere limpida e chiara sulle ultime parole e Itachi avvertì una stretta al cuore, continuava a farlo soffrire anche quando non voleva. Nemmeno in passato aveva voluto, ma quanto aveva sofferto Shisui nel vederlo spensierato e ignaro vicino ad altre persone, a dargli consigli o a spingerlo a chiamare quella ragazza o quel tipo che gli aveva infilato un biglietto col numero sotto il tergicristallo?
La sua era davvero solo paura o pietà confuse per amore?
Iniziò a non vederci tanto bene, tutto gli apparve distorto e offuscato, anche l’udito funzionava male perché non udiva altro che il rimbombo del proprio cuore che pareva voler fuggire dal petto, quello stupido capriccioso cuore.
“Shisui…” mormorò e, senza nemmeno rendersene conto, le sue mani si erano divincolate ed erano sulle sue guance, a stringergli con delicatezza il viso e a tirarlo contro il proprio per baciarlo. Ci fu un attimo di resistenza da parte di Shisui, ma si arrese subito e alzò bandiera bianca. In fondo non c’era mai stata una vera battaglia: contro Itachi era inerme e indifeso come un neonato e desiderava solo avere più da lui, non lasciarlo andare, come un fottuto drogato in cerca della sua dose che non gli sarebbe bastata mai. Gli prese a sua volta il viso tra le mani e lo baciò con irruenza, senza risparmiarsi. Lo spinse e camminarono lenti, impacciati, fino a incontrare un muro contro cui lo premette col proprio corpo, tentando di essere più vicini che mai con quel bacio. Voleva penetrare dentro di lui, rendere i loro toraci un'unica cassa, le braccia e le gambe fuse assieme, così come le labbra che non voleva lasciare. Confusamente pensò che quel giorno le previsioni del tempo avevano sbagliato: stava piovendo, aveva tutto il viso bagnato e quella pioggia era strana, era salata e sembrava non voler smettere.
“Itachi…” ansimò contro la sua bocca mentre le sue mani cercavano di asciugargli il volto. Si allontanò a fatica perché il minore non glielo permetteva, ma alla fine si ritrovò a guardare i suoi occhi lucidi, le guance rigate di lacrime e pensò che non aveva mai pianto per nessuno, nemmeno per Sasuke.
“Shisui, questa non può essere pietà o paura, non è possibile. Non ti mentirò, non ti dirò improvvisamente che ti amo, ma ti dirò che non voglio lasciarti, voglio che mi dai una possibilità ora che so la verità. Voglio che ci proviamo sul serio, senza più segreti o bugie”
Shisui chiuse gli occhi, ma fu comunque inutile perché l’immagine del cugino era impressa sulla sua retina e continuò a vederlo lo stesso, non c’era proprio nessun modo per sfuggirgli. Se anche si fosse cavato i globi oculari, ci avrebbe pensato il suo cervello a mandargli immagini e ricordi in un film continuo. Sollevò quindi le palpebre e passò le dita sui suoi zigomi, raccogliendo le tracce umide del suo affetto, si sentì speciale perché era stato l’unico a far piangere Itachi che ora lo guardava speranzoso. Non era mai stato così cristallino nel mostrare i suoi sentimenti e Shisui si morse con forza un labbro, lottando con la sua razionalità e il desiderio di lasciarsi andare; qual era la decisione giusta? Non riusciva a scegliere, c’era troppo in ballo, troppo da perdere o da vincere in entrambi i casi.
“Non esiste la scelta giusta – disse Itachi che parve comprendere il suo dilemma – ci siamo solo noi che possiamo provarci, nessuno può fare previsioni del futuro. Persino io che sono tanto meticoloso e accurato nel lavoro, quando sono in tribunale non posso fare altro che sperare per il bene, perché anche il migliore dei miei lavori può essere smontato o ribaltato da un imprevisto. Però, quando sono lì, so di aver dato tutto me stesso e non ho mai niente da rimproverarmi; adesso è la stessa cosa. Non c’è giuria, né avvocati, io e te siamo gli unici giudici, e io non voglio lasciare niente di intentato. Non voglio svegliarmi domani e rimpiangere di averti lasciato andare senza aver lottato abbastanza. Per questo ti chiedo una possibilità, Shisui, non negarmela”
Lo guardò con gli occhi ormai asciutti ma non per questo meno espressivi o intensi, e tacque, in attesa della sentenza. Aveva esposto la sua arringa, lo aveva fatto al meglio delle sue possibilità nonostante col cugino non riuscisse a mentire o usare le sue arti affabulatorie; ora poteva solo attendere il verdetto. Non si sarebbe appellato alla clemenza della corte, non avrebbe pregato, perché non è così che funziona l’amore. L’amore deve essere spontaneo, non può essere forzato: si può anche piantare il seme, ma il terreno deve essere fertile e pronto, altrimenti nessuna pianta sarebbe mai germogliata, non è qualcosa da programmare o pretendere. Per quello aveva capito la richiesta precedente di Shisui di non amarlo per pietà, la pensavano allo stesso modo, ed era certo che non gli avrebbe mai inflitto niente di tanto orribile.
Shisui intanto lo guardava, continuando a martoriarsi il labbro, l’espressione seria che però si aprì in un piccolo sorriso ironico, una lontana eco del suo solito e smagliante sorriso, ma pur sempre un inizio.
“Fatico a credere che tu abbia perso qualche causa in tribunale, sei maledettamente convincente – tornò serio – sul serio riusciresti a convivere senza i tuoi segreti, a essere sincero con me?”
Itachi non rispose subito, per calibrare bene le parole: stavano camminando su una lastra di ghiaccio sottilissima e il minimo errore avrebbe mandato tutto in frantumi.
“Finora tra di noi sei stato tu quello che si è tenuto per sé il segreto più grosso di tutti” gli fece notare.
Shisui assentì col capo e sospirò piano:
“Siamo cugini, siamo uomini… che vita potrei mai offrirti? Sempre a nasconderci o abbandonare le nostre famiglie per vivere alla luce del sole? Perché forse potrebbero accettare il fatto che siamo gay, bisessuali, trisessuali o qualche altra diavoleria, ma non passerebbero mai e poi mai sopra al fatto che siamo cugini”
“Eppure Yuri e Akane si sono sposati ed erano primi cugini, come noi”
“Non erano due uomini, ma un uomo e una donna, anche così c’è ancora chi li guarda storto – gli carezzò una guancia – sei ancora in tempo per ripensarci. Esci di qui, rimaniamo amici e trova qualcuno di cui innamorarti sul serio, qualcuno che potresti presentare ai tuoi”
Sapeva che Itachi amava profondamente i genitori e che andare contro i desideri del padre, passare anni senza parlargli, lo aveva segnato profondamente e, proprio per l’amore che provava nei suoi confronti, non voleva costringerlo a rinunciarvi o a fare una scelta.
Itachi però gli posò una mano sulla nuca, affondando tra i capelli soffici, stringendoli con forza pur non facendo male.
“Rinneghi i tuoi primi insegnamenti? Sei tu che mi hai fatto capire di dovermi accettare e di essere in grado di farlo, grazie a te ho smesso di mentire a me stesso, sei un ipocrita Shisui – gli disse con un sorriso canzonatorio sulle labbra – per me arrivi a essere anche questo”
Pensò a Sasuke, al fatto che si era preoccupato di non poter portare Gaara a una stupida riunione di famiglia, dispiacendosene, eppure questo non lo avrebbe fermato dal continuare a frequentarlo, non più almeno. Il fratello era cambiato, aveva preso coscienza di sé e dei propri sentimenti, doveva farlo anche lui e non poteva stando lontano da Shisui.
“Cosa vuoi che ti dica, Itachi? – sospirò, stanco – Cosa vuoi che ti dica?”
“Di sì. Dimmi che mi dai un’altra occasione – lo incalzò – non ti prometto che mi innamorerò, che magicamente tra un mese proverò i tuoi stessi sentimenti, la verità è che nemmeno io capisco bene cosa provo adesso. Sei intessuto così profondamente in ogni aspetto della mia vita che voglio capire se è amore ma non ho mai osato confessarmelo, o se sei un pilastro essenziale ma non l’uomo che amo. Se ti sto lontano non potrò mai capirlo e lo devo a me stesso e a te. In fondo quella sera non mi hai confessato tutto perché volevi tentare il tutto per tutto pur di non perdermi? Perché io non dovrei fare lo stesso?”
Shisui poggiò la fronte contro la sua e chiuse gli occhi, sentendo le sue mani ancora tra i capelli e le proprie spalle scosse da una debole risata.
“Itachi, Itachi… come riesci a rigirare la frittata e a portare tutti gli argomenti dalla tua parte ha qualcosa di incredibile. Sei davvero l’avvocato del diavolo – spostò la testa per guardarlo – non ho più obiezioni, vostro onore”
Era sconfitto su tutta la linea e ormai non aveva più la forza di lottare, né ne vedeva il motivo. Se lo amava così tanto da diventare addirittura un fedifrago o un ipocrita, avrebbe anche corso il rischio di dargli un’altra chance; in fondo non era detto che si sarebbe ritrovato per forza col cuore spezzato, magari… magari, vedendolo sotto un’altra luce, come un vero partner, i sentimenti di Itachi sarebbero diventati più chiari e forse lo avrebbe corrisposto.
Poteva mettersi ancora in gioco, per lui.
“Bene, dichiaro sciolta la seduta” scherzò Itachi, carezzandogli i lineamenti delicati del viso, come se li stesse vedendo per la prima volta.
“E adesso? Qual è il verdetto? Come funziona d’ora in avanti?” domandò invece Shisui serio, in una strana inversione dei ruoli.
Infatti Itachi sorrise di nuovo e, spensierato, scrollò le spalle dicendo:
“Direi che potremmo darci appuntamento per stasera e vedere come andrà, ma è vietato ubriacarsi”
Shisui finse di pensarci su, roteando anche gli occhi verso l’alto, poi lo guardò, vide le sue labbra sorridenti e le baciò; una volta, due e un’altra ancora.
“Non stai correndo troppo?” rise Itachi.
“Mi hai vietato di ubriacarmi, non di baciarti” gli ricordò Shisui tra uno schiocco di labbra e l’altro, ridendo a sua volta, adorando sentire la sua voce a quel modo.
Era ancora tutto incerto e sospeso, nessuno garantiva loro che ci sarebbe stato un happy ending, che non avrebbero più sofferto o altri triti e banali cliché da film, ma erano insieme ed insieme avrebbero tentato, avrebbero scritto la loro storia; insieme avrebbero deciso il loro futuro.

Lo farò per lui.

L’angolino oscuro: Scusate il ritardo, ma sono perdonata con questo capitolo sostanzioso, vero? Anche se ci siamo spostati un po’ di più verso Itachi e Shisui, le vicende di Sasuke e Gaara fanno sempre da cornice agli eventi. Grazie per continuare a seguire questa storia e a lasciarmi un commento per farmi sapere che ne pensate, alla prossima!

 

 

 

   
 
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