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Autore: Sognatrice_2000    24/11/2018    1 recensioni
AU-Tutti umani- Ispirato al libro dal titolo omonimo di Tabitha Suzuma-
Fuori, nel mondo, Klaus non si è mai sentito a suo agio.
Gli altri sono tutti estranei, alieni… l’unico con cui può essere se stesso è suo fratello Elijah.
Klaus ed Elijah hanno altri tre fratellini da accudire: Kol, Freya e Rebekah sono la loro ragione di vita e la loro maggiore preoccupazione, da quando il padre violento e alcolizzato è morto e la madre si è trovata un nuovo fidanzato e a casa non c’è mai.
Il tempo passa e solo una cosa ha senso: essere vicini, insieme, legati, forti contro tutto e contro tutti.
Per Elijah, Klaus è il migliore amico. Per Klaus, Elijah è l’unico confidente.
Finché la complicità li trascina in un vortice di sentimenti, verso l’irreparabile.
Qualcosa di meraviglioso e terribile allo stesso tempo, inaspettato ma in qualche modo anche così naturale.
Un sentimento che si rivelerà la loro salvezza e contemporaneamente la loro condanna.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Elijah, Esther, Klaus, Kol Mikaelson, Mikael, Rebekah Mikaelson
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Incest, Non-con
Capitoli:
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Elijah

  

 

Ci fermiamo in un grosso parcheggio, pieno di macchine della polizia di vari modelli. 

Vengo di nuovo afferrato con forza per il braccio e trascinato fuori dall'abitacolo.  

Attraversato lo spiazzo, mi conducono attraverso un'entrata secondaria, lungo un breve corridoio e oltre una porta con la scritta  Stanza Interrogatori

Un uomo in divisa siede dietro una scrivania alta. 

I due agenti al mio fianco lo chiamano sergente e lo informano del mio crimine, ma con mio grande sollievo lui quasi non mi guarda mentre inserisce meccanicamente i miei dati sul computer.

L'accusa mi viene riletta a voce alta, ogni parola è un pugnale che si conficca a fondo nelle mie ossa, e quando mi chiedono se ho capito, il mio annuire non è sufficiente. La domanda viene ripetuta e mi viene intimato di rispondere a voce alta.

“Sì.” Questa volta mi esce solo un sussurro. 

Lontano da casa e dal pericolo di turbare ulteriormente Niklaus, sento che le forze cominciano ad abbandonarmi: sto per soccombere allo shock, all'orrore, al panico insopportabile di tutta la situazione.

Seguono altre domande. 

Mi viene chiesto di ripetere nuovamente nome, indirizzo, data di nascita. 

Mi sforzo di rispondere ma il mio cervello sembra annebbiarsi lentamente. 

Quando mi chiedono la mia occupazione, io esito. “Non... non ce l’ho."

“Beneficia del sussidio di disoccupazione?”

“No. Io... sono ancora studente.”

A quel punto il sergente solleva la testa per guardarmi. 

Mi sento bruciare sotto il suo sguardo penetrante. 

Seguono domande sul mio stato di salute e anche sulle mie condizioni mentali. 

Penseranno di sicuro che solo uno psicopatico può essere capace di un crimine simile. 

Mi chiedono se voglio un avvocato e io rispondo subito scuotendo la testa. Non voglio che siano coinvolte altre persone, che altri sappiano le cose terribili di cui sono accusato. 

E inoltre io sto cercando di dimostrare la mia colpevolezza, non la mia innocenza.

Mi tolgono le manette, mi ordinano di consegnare tutti i miei averi, e quando arriva il momento di togliermi il braccialetto di Niklaus sto per scoppiare in lacrime.  

Accarezzo il piccolo cuore argentato con un dito un’ultima volta prima che un agente me lo strappi bruscamente dalle mani, spazientito dalla mia esitazione.

 

Perdonami, Niklaus, ti avevo promesso che l’avrei portato sempre con me… ma adesso non ne sono più degno, adesso agli occhi del mondo sono il cattivo della tua storia, sono colui che ti ha fatto del male, non più l’uomo che ha sussurrato parole d’amore sulla tua pelle … ma non ho bisogno di un oggetto per sentirti vicino. 

Fai parte del mio essere, e quella parte di me che sei tu non morirà mai, e nessuno me la potrà mai portare via.

 

 

 

Sono sollevato di non aver preso la foto dalla mia stanza. Forse Niklaus se ne ricorderà e la metterà al sicuro. 

Non posso fare a meno di sperare che conservi l’istantanea di quel momento in cui eravamo tutti insieme.

Perchè in fondo eravamo una vera famiglia, una famiglia felice, di persone che si volevano bene a vicenda, che hanno faticato e lottato per restare unite.

E questo Kol, Freya e Rebekah dovranno ricordarlo quando saranno più grandi.

Mi chiedono di svuotare le tasche e di togliere i lacci alle scarpe. 

Di nuovo il tremore alle mani mi tradisce e mentre mi inginocchio sul linoleum sporco tra le varie gambe in divisa, avverto l'impazienza degli agenti, il loro disprezzo. 

I lacci vengono messi in una busta e io devo controfirmarne la consegna, il che mi sembra assurdo. 

Segue una perquisizione e al tocco delle mani dell'agente sul corpo, su e giù per le gambe, mi devo aggrappare al bordo della scrivania per non perdere l'equilibrio.

In una piccola anticamera, vengo fatto accomodare su una sedia: mi fanno una foto segnaletica, poi mi passano un tampone all'interno della bocca. 

E mentre le dita mi vengono premute ad una ad una su un cuscinetto d'inchiostro e poi di nuovo su un modulo prestampato, sono sopraffatto da una sensazione di estraniamento totale. 

Ai loro occhi, sono un semplice oggetto. 

A malapena un essere umano.

Mi sento quasi sollevato quando vengo finalmente spinto in una cella e la pesante porta si richiude sbattendo alle mie spalle. Fortunatamente è vuota. 

Piccola e claustrofobica, con solo un letto stretto, incassato nella parete. 

Vicino al soffitto c'è una finestra con le sbarre ma la luce che riempie la stanza è del tutto artificiale, impietosa e troppo violenta. Le pareti sono imbrattate di graffiti e l’odore che inonda l’aria è così nauseante che sono costretto a respirare dalla bocca per evitare di soffocare.

Ora, finalmente al riparo da occhi indiscreti, non riesco più a smettere di tremare. 

Ho paura che un agente possa irrompere nella cella da un momento all'altro, sono fin troppo consapevole della finestrella nella porta, con lo sportellino appena sotto. Come faccio ad essere certo che non mi stiano spiando anche in questo momento? 

Dopo essere stato buttato giù dal letto con solo i boxer addosso, scortato seminudo in camera da due poliziotti, costretto a vestirmi sotto i loro occhi, vorrei ci fosse un modo per coprirmi per sempre. 

Da quando ho sentito pronunciare questa orrenda accusa nei miei confronti, ho cominciato a provare profonda vergogna per il mio corpo, per quello che ha commesso, per quello che gli altri pensano abbia commesso.

Torno alla spessa porta di metallo e avvicino l'orecchio. Lungo il corridoio risuonano grida, imprecazioni ubriache,  ma sembrano provenire da una certa distanza. 

Dando le spalle alla porta, se anche un agente dovesse sbirciarmi dalla finestrella, non riuscirebbe comunque a vedermi in faccia.

Ma appena capisco di avere finalmente un po' di privacy, la valvola di sicurezza del cervello che finora mi ha permesso di agire si apre di colpo, quasi per saturazione, e vengo sommerso da un fiume di immagini e ricordi. 

Mi avvicino al letto ma le ginocchia cedono prima di riuscire a raggiungerlo.

Mi accascio sul pavimento di cemento e mi aggrappo con le unghie allo spesso lenzuolo di plastica cucito attorno al materasso. Lo tiro con tale forza che ho paura di strapparlo. Piegato in due, premo la faccia contro il letto, coprendo il più possibile naso e bocca. 

Singhiozzi strazianti mi squassano il corpo, minacciando di tranciarmi in due, tanto sono violenti. 

L’intero materasso vibra e la mia cassa toracica trema contro la base dura del letto, mi sto quasi strangolando, soffoco, mi manca l'ossigeno, ma non riesco sollevare la testa e riprendere fiato per paura di far rumore. 

Piangere non è mai stato tanto doloroso. 

Vorrei strisciare sotto il letto, se mai qualcuno dovesse affacciarsi dalla finestrella e vedermi in questo stato, ma lo spazio è troppo stretto. 

Non posso nemmeno usare il lenzuolo per avvolgermelo intorno, non c'è modo di nascondersi.

Risento nella mia mente le grida angosciate di Kol, rivedo i suoi pugni che picchiano contro il finestrino, la sua sagoma smilza che corre dietro la macchina, il suo corpo che si affloscia quando si rende conto che non può salvarmi. Penso a Freya e a Rebekah che giocano da Keelin, che corrono in giro per la casa piene di entusiasmo, ancora all'oscuro di ciò che le attende al rientro. 

Diranno loro la verità? 

Le interrogheranno su di me, su tutte le coccole, i bagnetti, l'essere messe a letto, il farsi il solletico, il rotolarsi e il giocare insieme? 

Le convinceranno che ho abusato anche di loro? 

E in futuro, se mai dovessimo rincontrarci da adulti,   riusciranno a guardarmi in faccia? 

Freya avrà qualche vago ricordo di me ma Rebekah mi avrà conosciuto solo nei primi sette anni della sua vita. 

Che ricordi avrà, se mai gliene resterà qualcuno?

Alla fine, troppo debole per continuare a tenerlo lontano dai miei pensieri, ripenso a Niklaus. Niklaus, Niklaus, Niklaus. Singhiozzo il suo nome tra le mani, sperando che tale suono possa darmi un po' di conforto. 

Non avrei mai e poi mai dovuto mettere in pericolo la sua felicità. 

Per il suo bene, per il bene dei nostri fratelli, non avrei mai dovuto permettere alla nostra relazione di spingersi oltre. Per quanto mi riguarda, non mi pento di niente, avrei sopportato qualunque cosa per i brevi momenti di pura felicità che abbiamo condiviso insieme. 

Ma non ho mai pensato al pericolo che incombeva su di lui, all'orrore che sarebbe stato costretto ad affrontare.

Sono terrorizzato al pensiero di quello che forse gli staranno già facendo: tempestarlo di domande a cui faticherà a rispondere, combattuto tra il volermi proteggere dicendo la verità e il dovermi accusare di stupro per consentirgli di proteggere la nostra famiglia. 

Come ho potuto trascinarlo in una situazione del genere? Come ho potuto chiedergli di affrontare una simile scelta?

Il frastuono di chiavi e serrature di metallo mi attraversa il corpo come una scossa, riportandomi ad uno stato di coscienza confuso, in balia del panico. 

Un agente mi ordina di alzarmi, informandomi che sarò accompagnato nella sala interrogatori. 

Prima ancora di riuscire a convincere il mio corpo a reagire, vengo afferrato per il braccio e rimesso in piedi. Indietreggio un attimo, tentando disperatamente di riordinare i pensieri. 

Mi serve solo un minuto per schiarirmi le idee, per ricordarmi cosa devo dire. 

Questa potrebbe essere la mia unica possibilità e non posso permettermi il minimo errore, devo fare in modo che non ci sia la minima contraddizione tra la mia versione e quella di Niklaus.

Vengo nuovamente ammanettato e condotto attraverso diversi lunghi corridoi, illuminati a giorno. 

Non ho idea di quanto tempo sia passato da quando mi hanno sbattuto in cella. 

Il tempo non esiste più, non ci sono finestre e non saprei nemmeno dire che ore sono. 

Ho le vertigini per il dolore e la paura. 

Una sola parola sbagliata, un solo passo falso e rischio di distruggere tutto, lasciandomi sfuggire qualcosa che potrebbe coinvolgere anche Niklaus.

Anche la sala interrogatori ha una luce impietosa: neon intensi che colorano la stanza di un inquietante tono giallastro. 

Non è molto più grande della mia cella, ma qui le pareti sono spoglie e il pavimento è di moquette. 

Gli unici mobili sono un tavolo stretto e tre sedie. 

Due agenti sono seduti al lato, in fondo, un uomo e una donna. 

L'uomo avrà circa quarant’anni, con un viso lungo e i capelli a spazzola. 

La durezza dello sguardo, l'espressione grave, la mandibola volitiva, fanno pensare che conosca la procedura a menadito; certamente sono anni che studia i criminali. Sembra un tipo sveglio, astuto e ha un che di duro, che intimidisce. 

La donna, invece, appare più anziana di lui e più ordinaria, con i capelli biondi corti e sbarazzini che le circondano il viso severo ma gentile, ma i suoi occhi sono incredibilmente acuti e penetranti.

Ho un tuffo al cuore nel riconoscere Liz Forbes, la madre di Caroline.

L’ho vista solo poche volte davanti ai cancelli della scuola ad aspettare sua figlia all’uscita, a malapena ci siamo salutati qualche volta, eppure Caroline potrebbe benissimo averle raccontato di quello che è successo a scuola con Niklaus, di come l’abbia trattata duramente non appena gli ha rivolto la parola, di come mi abbia preso a pugni in corridoio quello stesso giorno.

Questa donna è intelligente, sia lei che il suo collega sembrano abilissimi nell'arte di manipolare, minacciare, rabbonire o addirittura mentire, pur di estorcere quello che vogliono dai loro sospettati. 

Nonostante sia stordito e confuso, intuisco subito che sanno fare bene il loro mestiere.

Se Caroline le ha davvero raccontato quegli episodi, non avrà difficoltà a capire che Niklaus non è certo il tipo di persona che può essere costretto a fare qualcosa contro la propria volontà, e il mio piano rischia di fallire miseramente.

Un sudore fretto mi scende lungo le tempie.

Calma, mantieni la calma, continuo a ripetere dentro di me per prepararmi a quello che dovrò affrontare.

Vengo fatto accomodare sulla sedia di plastica grigia posizionata davanti a loro, a meno di mezzo metro dal bordo del tavolo e con lo schienale appoggiato contro la parete alle mie spalle. 

Il tavolo non è molto largo ed è tutto troppo ravvicinato per sentirsi a proprio agio. 

Sono fin troppo consapevole dei capelli che mi si appiccicano alla fronte, la stoffa sottile della t-shirt incollata alla pelle, con le chiazze di sudore in bella vista. 

Mi sento sporco e schifoso, con il sapore di bile in gola, sangue amaro in bocca, e malgrado l'espressione impassibile degli agenti, il loro disgusto è quasi tangibile in questo spazio ristretto e chiuso.

L'uomo non ha ancora alzato lo sguardo da quando sono entrato, ma continua a scribacchiare su un foglio. 

Quando finalmente alza gli occhi, mi irrigidisco e tento automaticamente di spingere la sedia all'indietro, ma sono bloccato.

“Questo interrogatorio sarà registrato e ripreso da telecamere. “Occhi simili a minuscoli sassolini grigi penetrano nei miei. “Ha qualcosa in contrario?”

Come se avessi scelta. “No.” 

Noto una telecamera discreta nell'angolo della stanza, puntata sul mio viso. 

La fronte mi si ricopre di sudore fresco.

L'uomo aziona il pulsante di un apparecchio per la registrazione e legge a voce alta il numero del caso, seguito dalla data e dall'ora. 

Prosegue dicendo: “Sono presenti il sottoscritto, Ispettore Detective Sutton. Alla mia destra, l'Ispettore Detective Forbes. Di fronte a noi il sospettato. Può gentilmente identificarsi?”

Per chi sarà questa registrazione di preciso? 

Altri agenti, specialisti della voce, il giudice e la giuria? L'interrogatorio sarà proiettato in tribunale? 

La descrizione che farò dei miei orrendi misfatti verrà fatta ascoltare ai miei familiari?  

Niklaus sarà costretto a sentirmi balbettare e incespicare per tutto l'interrogatorio e poi gli verrà chiesto di confermare se ho detto la verità o meno?

 

 

Non pensare a queste cose adesso. 

Smettila di pensarci; devi concentrarti solo sui gesti e sulle parole.

Tutto quello che uscirà dalla tua bocca dovrà essere convincente al cento per cento.

 

 

“Elijah…” Mi schiarisco la gola, la voce è debole e incerta.

Riprovo di nuovo, e questa volta finalmente la voce mi esce ferma, decisa. “Elijah Mikaleson.”

Seguono le solite domande: data di nascita? Nazionalità? Indirizzo? 

L'ispettore Sutton quasi non alza lo sguardo, sia perché è impegnato a prendere appunti, sia perché è intento a sfogliare rapido il mio dossier, con gli occhi che si muovono rapidamente mentre scorrono le righe.

“Sa perché si trova qui?” I suoi occhi incrociano i miei

all'improvviso, facendomi sobbalzare.

Io annuisco. Poi deglutisco. “Sì.”

Lui continua a guardarmi con la penna sospesa, come se aspettasse che io prosegua. Stringo i pugni sotto il tavolo e mi faccio coraggio per pronunciare le parole successive. “Per... aver abusato sessualmente di mio fratello.” Sono costretto ad aggiungere, con voce forzata ma ferma. 

Le parole restano sospese nell'aria come tante piccole ferite da puntura. Sento l'atmosfera farsi più spessa, tesa. Anche se i due agenti hanno già messo tutto per iscritto, dirlo a voce alta, alla presenza sia di una telecamera che di un registratore, rende la cosa d'improvviso immutabile. Quasi non mi sembra più di mentire. 

Forse non esiste un'unica verità. 

Incesto consensuale per me, abuso di minore in famiglia per loro. Forse entrambe le definizioni sono corrette.

E poi comincia l'interrogatorio.

All'inizio sono tutte domande di rito. 

Minuzie tediose e senza fine: dove sono nato, da chi è composta la famiglia, la data di nascita di ognuno, i dettagli su nostro padre, il mio rapporto con lui, con i miei fratelli, con mia madre. 

Quando devo parlare di Mikael la voce mi trema nel pronunciare il suo nome, e spero con tutto me stesso che non se ne siano accorti.

Sono costretto ad indossare una perfetta maschera di impassibilità per tutte le domande che hanno a che fare con lui. 

Ricaccio nell’angolo più remoto della mia mente l’immagine di Niklaus disteso nella vasca, immerso nel suo sangue, i suoi vestiti strappati sparsi sul pavimento della camera da letto dei miei genitori, le parole di disprezzo di Mikael, il suo ghigno compiaciuto mentre mi raccontava nei particolari quello che aveva fatto a mio fratello, la scioccante scoperta che lui non era il suo padre biologico, le mie lacrime, la mia disperazione, la mia rabbia cieca e incontrollabile, il dolore talmente accecante da essersi trasformato in pazzia, la mia mano che affondava la lametta nel suo petto, il suo corpo che si accasciava immobile a terra, la casa che bruciava davanti ai miei occhi.

E dato che nessuno potrà smentire la mia versione tranne mia madre, troppo debole e vigliacca per confessare la verità, racconto una storia migliore, la storia che avrei sempre voluto per Niklaus.

Parlo di un padre gentile, amorevole, che aveva insegnato ai suoi figli ad andare in bicicletta e a giocare a calcio, parlo di un uomo che amava la sua famiglia, scomparso troppo presto in un tragico incidente, addormentandosi con una sigaretta accesa.

E piango mentre ne parlo, piango perché avrei voluto che fosse vero, piango perché avrei voluto questo per Niklaus: un’infanzia felice, un padre che gli volesse bene.

Fortunatamente gli agenti credono che siano lacrime di tristezza per la scomparsa di mio padre, e per il momento non mi fanno altre domande su di lui. 

Per tutto il resto mi attengo il più possibile ai fatti, raccontando loro anche del turno di notte di mia madre al ristorante, della sua relazione con David.  

Tralascio volutamente le parti su cui spero che anche la mamma e Kol avranno il buon senso di glissare: il suo problema con l'alcol, le liti per i soldi, il fatto che si sia trasferita a casa di David e il suo quasi totale abbandono della famiglia. 

Invece, dico loro che ha iniziato a lavorare fino a tardi solo di recente e che io dovevo restare a disposizione la sera, ma solo dopo che i bambini sono già stati messi a letto.  

Fin qui tutto bene. 

Niente di eclatante, una famiglia che rientra quasi nei limiti della norma. 

E poi, dopo aver fornito loro ogni più piccolo dettaglio, dal numero di stanze in casa nostra, al nome delle nostre rispettive scuole, fino a nostri voti a e alle attività che svolgevamo nel pomeriggio, arriva la fatidica domanda:

“Quando è stata la prima volta che ha avuto contatti di natura sessuale con suo fratello?” Lo sguardo dell'agente è fisso e la voce inespressiva come prima, ma d'un tratto sembra guardarmi con molta attenzione, in cerca del più piccolo cambiamento di espressione sul mio viso.

Il silenzio appesantisce l'atmosfera, risucchiandone via l'ossigeno, e io riesco a sentire il mio stesso respiro rapido, i polmoni che implorano automaticamente di ricevere più aria. 

Mi sento esausto e dolorante e so per certo che l'ispettore è in grado di cogliere la paura nei miei occhi. 

“Quando... quando dice contatti di natura sessuale, si riferisce... a sensazioni fisiche, o alla prima volta... che l'ho toccato, oppure... ?”

“La prima volta che si è verificato un contatto inappropriato.” La voce si è fatta più dura, la mascella è tesa e le parole gli escono dalla bocca come piccoli proiettili.

Non ho la mima idea di come rispondere a questa domanda.

Ai miei occhi e a quelli di Niklaus, non c’è mai stato niente di inappropriato nei nostri abbracci, nelle nostre carezze, nei nostri baci. 

Procedendo a fatica tra confusione e panico, tento di dare la risposta giusta. È fondamentale che racconti tutto con precisione, affinché la mia versione corrisponda esattamente a quella di Niklaus. 

Il primo bacio la sera del mio appuntamento…   

“Si decide a rispondere?” La temperatura sale. 

Lui pensa che io stia prendendo tempo per cercare di scagionarmi, quando in realtà è l'esatto opposto.

“Non... non sono sicuro della data esatta. Sarà stato… più o meno novembre.” O forse era ottobre? Non riesco più a ragionare con lucidità.

“Mi dica cos'è successo con precisione.”

Cerco di pensare in fretta ad una bugia convincente. 

“Lui… è tornato a casa dopo un appuntamento con una ragazza della sua scuola. Abbiamo... cominciato a litigare perché gli ho fatto il terzo grado.

Ero preoccupato... voglio dire, arrabbiato... volevo sapere se era andato a a letto con lei. Ero sconvolto…”

Nella mia mente rivedo quella scena, la rabbia e il dolore sul volto di Niklaus, e il mio immenso sollievo nel sapere che era geloso di me, che mi desiderava tanto quanto io desideravo lui…

“Cosa intende per sconvolto?” La voce incalzante dell’agente mi riporta al presente. 

“Ho cominciato a... piangere…” Proprio come sto per fare adesso, al ricordo di ciò che ho provato quella sera, alla gioia e alla paura quando ci siamo baciati per la prima volta. 

Voltando la testa verso la parete, mi mordo forte la lingua, ma il dolore dei denti che lacerano la carne non serve a nulla. 

Nessun dolore fisico può più attenuare quest'agonia mentale. 

Dopo neanche cinque minuti di interrogatorio sono già a pezzi. È inutile, è tutto assolutamente inutile, non funzionerà mai, deluderò Niklaus, deluderò tutti.

“Poi cos'è successo?”

Faccio di tutto per trattenere le lacrime, ma è inutile. 

La pressione aumenta e capisco dalla faccia di Sutton che è convinto che io voglia solo guadagnare tempo, fingendo di essere pentito, mentendo.

“Poi cos'è successo?” Questa volta, la voce sale di tono.

Mi irrigidisco. “Gli ho detto... ho cercato di... ho detto che doveva... l'ho costretto a…"

Non riesco a trovare le parole, anche se voglio farlo a tutti i costi, come se sognassi di poterle gridare ai quattro venti.  Tutti i miei ricordi più intimi e personali, tutti i momenti di tenerezza trascorsi con Nik, tutti gli attimi preziosi che hanno reso gli ultimi mesi i più felici della mia vita ai loro occhi non sono altro che un abuso orrendo, putrido, vergognoso, con me nel ruolo dell'aguzzino che ha costretto il fratello più giovane a commettere atti sessuali ripugnanti, contro la sua stessa volontà.

“Elijah, ti suggerisco caldamente di non farci perdere altro tempo e di cominciare a collaborare. Come immagino già saprai, nel Regno Unito la massima condanna prevista per uno stupro è l'ergastolo. Ora, se tu collabori e ti mostri pentito del crimine che hai commesso, la condanna sarà sicuramente ridotta, forse anche a soli sette anni. Ma se scegli di mentire o di negare tutto, noi scopriremo lo stesso la verità e il giudice sarà molto meno clemente.”

Di nuovo tento di rispondere e di nuovo non ce la faccio. 

Mi vedo con i loro occhi: un ragazzo malato, patetico e fuori di testa, che ha finito per abusare del fratellino con cui un tempo giocava, carne della sua carne.

“Elijah…” Liz Forbes si sporge verso di me, le mani giunte allungate sul tavolo, un sorriso quasi comprensivo spunta sul suo volto. Quando parla, la sua voce è inaspettatamente dolce, carezzevole. “Mia figlia Caroline va a scuola con te; mi ha parlato di te qualche volta. Dice che sei un bravo ragazzo, gentile ed educato. Vedo che ti senti in colpa per quello che è successo, ed è già un buon segno. Significa che stai cominciando ad assumerti la responsabilità delle tue azioni. Magari non credevi che avere una relazione sessuale con tuo fratello potesse davvero nuocergli, magari non dicevi nemmeno sul serio quando minacciavi di ucciderlo, ma è fondamentale che tu ci racconti per filo e per segno quello che è successo, quello che hai fatto e che hai detto. Se ti ostini a nascondere le cose o a tacere, prendere tempo o mentire, allora le cose per te si complicheranno sul serio.”

Io annuisco con un respiro profondo, sforzandomi di farle capire che sono disposto a collaborare e che possono anche smetterla con questa farsa del poliziotto buono e del poliziotto cattivo, solo per farmi confessare. 

Basta che io riesca a riprendermi, a trattenere le lacrime e a trovare le parole giuste per descrivere ciò che obbligavo Niklaus a farmi, tutte le cose che l'ho costretto a sopportare.

“Elijah, ascoltami bene. Se tu oggi collabori, se ci racconti quello che è successo, farà una bella differenza. Siamo tutti esseri umani. Commettiamo tutti degli errori, no? Tu hai solo diciotto anni, sono certa che non ti rendi conto della gravità di quello che hai fatto e il giudice ne terrà conto. Il ragazzo che mi descritto Caroline di sicuro è profondamente pentito di ciò che ha fatto, ne sono certa.”

Sicuramente Liz Forbes sta fingendo di confortarmi e di mostrarsi gentile nella speranza che io mi fidi di lei quel tanto che basta per rilassarmi, calmarmi, illudermi che lei voglia davvero aiutarmi e non stia cercando invece di estorcermi una confessione.

Tutte bugie. Ho diciotto anni e verrò processato come qualsiasi adulto. 

Può anche risparmiarsi queste bugie manipolative per qualcuno che vuole davvero nascondere i propri misfatti.

Annuisco e mi asciugo gli occhi con la manica. 

E comincio finalmente a parlare. 

Le bugie sono la parte più facile: obbligare Niklaus a saltare la scuola, infilarmi nel suo letto ogni notte, ripetere la stessa minaccia giorno dopo giorno, ogni qual volta lui mi implorava di lasciarlo in pace. 

Ma quando devo raccontare la verità è più difficile, è la nostra verità, sono i nostri segreti più intimi, i nostri attimi più privati, i piccoli dettagli preziosi dei nostri brevi, idilliaci, momenti insieme. 

Sono quelle le parti che mi fanno confondere e tremare. 

Ma mi sforzo di proseguire, anche se non riesco più a trattenermi, anche se le lacrime cominciano a scendermi lungo le guance, anche se la voce inizia a tremarmi per via dei singhiozzi trattenuti, e sento la pietà mescolarsi al loro sguardo disgustato.

Vogliono sapere tutto. 

La prima volta che ci siamo baciati, la nostra prima notte insieme. 

Cosa ho fatto io, cosa ha fatto lui, cosa ho detto, cosa ha detto Nik. 

Come mi sono sentito... Come ho reagito... Che reazione ha avuto il mio corpo... 

Io dico loro la verità e sento una mano che mi entra nel petto e comincia a squarciarmi in due. 

Quando finalmente arriviamo agli eventi della mattina, affrontando ciò che loro definiscono "penetrazione", preferirei morire pur di cancellare il dolore. 

Mi chiedono se ho usato precauzioni, se Niklaus gridava, quanto è durato... è talmente doloroso, talmente umiliante, talmente avvilente che vorrei vomitare.

L'interrogatorio sembra trascinarsi per ore. 

È come se ormai fosse notte fonda e noi fossimo chiusi in questa minuscola stanzetta senza aria da un'eternità. 

Loro escono a turno per mangiare qualcosa o prendere un caffè. 

Mi offrono dell'acqua, che io rifiuto gentilmente. 

Alla fine sono così distrutto che mi accascio contro la parete, con la voce completamente rauca, la faccia appiccicosa per il sudore e le lacrime essiccate. 

In una fitta nebbia mentale, li sento dire che sarò riaccompagnato in cella e che l'interrogatorio riprenderà domani.

Il registratore viene spento, un altro agente viene a prelevarmi, ma per alcuni istanti non riesco neanche ad alzarmi in piedi. 

L'ispettore Sutton, rimasto freddo e impassibile, sospira e scuote la testa con un'espressione quasi di pietà. 

“Sai, Elijah, sono anni che faccio questo mestiere e so bene che provi rimorso. Ma temo sia troppo tardi. Non solo sei accusato di un crimine molto serio, ma a quanto pare le tue minacce hanno terrorizzato talmente tanto tuo fratello da spingerlo a firmare una deposizione in cui giura che la vostra relazione sessuale era del tutto consensuale, nonché istigata da lui stesso.”

L'aria abbandona il mio corpo. 

La stanchezza svanisce. 

Di colpo c'è solo il battito del mio cuore inorridito a riempire l'aria. Non può essere… Niklaus gli ha detto la verità?

“Una deposizione scritta... ma ora non è più valida, giusto?”   Ora che io ho ammesso tutto e vi ho raccontato esattamente com'è andata.” La mia voce ora è frenetica,  disperata. “Lo sapete anche voi che ha detto quelle cose solo perché l'ho costretto, gli ho detto che l'avrei ammazzato se fossi finito in carcere. Perciò… ora che ho confessato nessuno gli crederà, vero?” La voce è spezzata, roca e tremante, ma devo sforzarmi di mantenere la calma a tutti i costi.

Mostrarsi pentito va bene, ma devo comunque mascherare la reale intensità del mio shock e della mia incredulità.

“Dipende da come il giudice vedrà la cosa.”

“Il giudice?” Ora sto urlando, con una voce che rasenta l'isteria. “Ma Niklaus non è accusato di stupro!"

“No, ma anche l'incesto consensuale è contro la legge. In base all'articolo sessantacinque della legge sugli abusi sessuali, tuo fratello potrebbe essere accusato di "consenso alla penetrazione da parte di un congiunto adulto" per il quale è prevista una condanna fino a due anni di carcere.”

Io lo guardo fisso. Senza parole. Scioccato. 

Non è possibile…

L'ispettore sospira e lancia il dossier di nuovo sul tavolo con un improvviso gesto di stanchezza. 

“Perciò, a meno che non ritratti la sua deposizione, rischia l'arresto anche lui.”

 

Perché l’hai fatto, Niklaus? Perché, perché, perché?

 

 

 

Collassato in terra contro la porta di metallo, guardo la parete di fronte con lo sguardo fisso nel vuoto. 

Tutto il mio corpo è indolenzito perché sono ormai diverse ore che me ne sto così, immobile. 

Non ho più la forza di sbattere la testa all'indietro contro la porta nel disperato, frenetico tentativo di trovare un modo per convincere Niklaus a ritrattare la sua deposizione. 

Dopo aver gridato per ore, aver implorato le guardie di farmi telefonare a casa, finisco per perdere del tutto la voce. 

Io e Niklaus non potremo più parlarci, almeno finché non avrò scontato la mia condanna. 

A detta dell'ispettore, potrebbe essere tra più di dieci anni.

Ho il cervello azzerato e fatico a ragionare. 

Se Niklaus non dovesse ritrattare la sua deposizione, potrebbe essere arrestato come me, forse addirittura sotto gli occhi di Freya e Rebekah. 

Senza più nessuno in casa ad occuparsi di loro, nessuno in grado di nascondere il bere e il disinteresse di nostra madre, i nostri fratelli verrebbero sicuramente affidati ai servizi sociali.

E Niklaus sarebbe portato in commissariato, sottoposto alle mie stesse umiliazioni, alle mie stesse domande, fino ad essere accusato anche lui di reato sessuale. 

Anche se fosse la mia parola contro la sua, io potrei fare ben poco. 

Se continuassi ad autoaccusarmi dell'abuso, comincerebbero a domandarsi come mai sia diventato di colpo così deciso ad assolvere Niklaus da ogni implicazione, specie dopo aver ripetutamente abusato di lui e averlo minacciato più volte di morte se avesse aperto bocca. 

Sarei con le spalle al muro, senza alcuna possibilità di proteggerlo, poiché a forza di insistere che Niklaus è innocente e che il colpevole sono io, loro finirebbero per credere alla versione di Nik. 

Non ci metterebbero molto a capire che mi sto addossando tutta la colpa solo per proteggerlo, che sto mentendo perché lo amo e che non potrei mai e poi mai abusare di lui, minacciarlo o fargli del male. 

E ovviamente c'è anche Kol, l'unico vero testimone. 

Persino Freya e Rebekah, se interrogate, insisteranno che Niklaus non ha mai avuto paura di me, che mi sorrideva sempre, rideva con me, mi accarezzava la mano o addirittura mi abbracciava. 

E così la polizia capirà che Niklaus è coinvolto in questo crimine esattamente come me.

Qualunque cosa io tenti di fare adesso è inutile, specie perché ogni speranza di far cadere Nik in contraddizione è vana, visto che lui sta dicendo la verità e io no. 

Potrà persino spiegare il colpo che gli ho dato sul labbro come il mio ultimo, disperato tentativo di farlo sembrare mio stupro.

Niklaus verrà trascinato in tribunale e condannato a due anni di reclusione. 

Comincerà la sua vita da adulto in prigione, lontano non solo da me, ma anche da Kol, Freya e Rebekah, che gli vogliono così tanto bene…

E una volta scontata la pena, ne uscirà emotivamente segnato, inchiodato a una fedina penale sporca per il resto della sua vita. 

Non potendo avere contatti con gli altri fratelli per via del crimine commesso, si ritroverà completamente solo, mentre io sarò ancora dietro le sbarre, a scontare una condanna ben più lunga, visto che sarò processato come adulto. 

Riflettere su tutte queste cose è davvero più di quanto possa sopportare. 

E so già che, amandomi così tanto, se io non trovo il modo di parlargli, lui, testardo e appassionato com'è, non si arrenderà mai. Ha fatto la sua scelta ormai.

Ma preferirei restare in prigione a vita piuttosto che fargli vivere questi momenti...

Non serve a niente starsene seduto così a piangere. 

Non succederà nulla di tutto ciò. Non lo permetterò mai. Eppure, malgrado mi sprema le meningi per ore, sferrando ogni tanto un pugno di frustrazione contro il cemento freddo che mi circonda, non riesco a escogitare un modo per far cambiare idea a Niklaus.

Comincio a convincermi che niente potrà mai indurlo a ritrattare la sua deposizione e ad accusarmi di stupro. Ormai avrà capito anche lui che, così facendo, mi consegnerebbe alla giustizia. 

Se fossi fuggito, come mi aveva detto all'inizio, e per qualche miracolo la polizia non mi avesse riacciuffato, lui non avrebbe avuto problemi a mentire per il bene dei nostri fratelli. 

Ma sapendomi qui dentro, in questa cella, a scontare per il resto dei miei giorni la sua accusa o la sua ammissione di stupro, non cederà mai. Adesso ne ho la lacerante certezza. Mi ama troppo. Volevo così tanto avere il suo amore, tutto il suo amore, e sono stato accontentato... e ora dovremo pagarla cara entrambi. 

Che stupido sono stato a chiedergli di fare una cosa simile, adesso me ne rendo conto: illudermi che fosse disposto a sacrificare la mia libertà per la sua. 

La mia felicità era tutto per lui, come anche la sua per me. A parti invertite, non avrei mai accettato di accusarlo ingiustamente solo per sottrarmi a una punizione che spettava anche a me.

Eppure continuo a essere divorato dai rimorsi. 

Se fossi scappato quando ne avevo la possibilità, se fossi fuggito lontano e mi fossi sottratto all'arresto, Niklaus non avrebbe confessato. 

Non ci avrebbe guadagnato niente a dire la verità, avrebbe fatto soffrire i nostri fratelli e basta. 

Non avrebbe mai confessato se la polizia non mi avesse acciuffato...

Il mio sguardo sale lentamente lungo la parete fino alla piccola finestrella in alto, appena sotto il soffitto. 

E ad un tratto, la risposta ce l'ho lì, davanti agli occhi. 

Se voglio far ritrattare a Niklaus la sua deposizione, non posso certo restarmene qui dentro in attesa della condanna, non posso ritrovarmi intrappolato in una cella a scontare anni e anni di reclusione. Devo fuggire lontano.

Staccare i fili del lenzuolo cuciti al materasso ben presto mi rende le mani rigide e insensibili. 

Prendo mentalmente nota del tempo che passa tra un controllo e l'altro, contando ritmicamente tra me e me mentre strappo le cuciture in modo preciso e metodico. Chiunque abbia progettato queste celle ha fatto un ottimo lavoro nel renderle a prova di fuga. 

La finestrella è talmente alta che ci vorrebbe una scala di tre metri per raggiungerla. 

Ci sono le sbarre, ovviamente, ma l'estremità superiore sporge in fuori. 

Con un lancio di precisione, dovrei riuscire tranquillamente a incastrare un laccio ad anello in una delle sbarre, così che le strisce annodate di tessuto pendano poi a un'altezza tale da poterle afferrare, come si faceva con le corde su cui ci arrampicavamo nell'ora di ginnastica. 

Io me la cavavo bene, mi ricordo, ero sempre il primo ad arrivare in cima. 

Mi basterebbe replicare quei successi per raggiungere poi la finestra, quel piccolo quadrato di luce, il mio biglietto per la libertà. È un piano assurdo, ne sono consapevole. 

Ma non ho altra scelta per salvare la nostra famiglia. 

Devo andarmene da qua. Sparire dalla circolazione.

Le sbarre che ricoprono il vetro hanno diverse chiazze di ruggine e non sembrano molto solide. 

Se resistono giusto il tempo di farmi raggiungere la finestra,  potrebbe anche funzionare.

Seicentoventitré secondi dall'ultima volta che i passi della guardia sono echeggiati davanti alla porta della mia cella. Appena è tutto pronto, avrò circa dieci minuti per sbrigare ogni cosa.  

Una volta finito di strappare tutte le cuciture di plastica del lenzuolo, gli do un piccolo strattone e lo sento spostarsi, ormai libero dal materasso sottostante. 

Posizionandomelo davanti, faccio il primo taglio con i denti e mi metto poi a strapparlo, pezzo per pezzo. 

A occhio e croce, dovrebbero bastare tre strisce di lenzuolo annodate insieme. 

Il tessuto è resistente e ho le mani che mi fanno male, ma non posso tirarlo con forza per paura che si senta lo strappo. 

Una volta pronte le tre strisce, ho le unghie tutte spezzate, le dita insanguinate. 

Ma ora non resta che attendere che ripassi la guardia.

Il minore dei passi si avvicina e io inizio improvvisamente a tremare. Tremo così forte che quasi non riesco a pensare. Non ce la farò mai. 

È un piano assurdo, mi scopriranno di sicuro, fallirò miseramente. 

Le sbarre sembrano fin troppo fragili. 

E se poi si spezzassero prima che io possa raggiungere la finestra?

Il minore dei passi sia riallontana e io subito annodo insieme le strisce. 

I nodi devono essere stretti abbastanza da sostenere tutto il mio peso. 

Devo fare in fretta, in fretta, in fretta, ma le mani continuano a tremarmi. 

Il corpo mi grida di smettere, di rinunciarci. 

La mente mi costringe a continuare. 

Non ho mai avuto tanta paura.

Mancata. Continuo a mancare la sbarra. 

Nonostante il peso del tessuto e del cappio stesso, appesantito dai nodi, non riesco a centrare nessuna delle sbarre. Ho fatto l'anello troppo stretto. 

Alla fine, preso dalla disperazione, faccio un lancio fino al soffitto e, con mio grande stupore, il cappio ricade giù agganciandosi a una delle sbarre più esterne, con le strisce di lenzuolo annodate che penzolano giù lungo la parete come una spessa corda. 

Io la guardo fisso per mi po', completamente scioccato: è lì, pronta per essere scalata, il mio biglietto per la libertà. 

Con il cuore che mi batte all'impazzata, faccio per afferrare il tessuto più in alto possibile. 

Tirandomi su con le braccia, alzo le gambe, sollevo le ginocchia, incrocio le caviglie per incastrare il tessuto tra i piedi e comincio ad arrampicarmi.

Raggiungere la cima è molto più arduo del previsto. 

Ho le mani sudate, le dita indebolite dall'aver scucito e strappato il lenzuolo e, a differenza delle corde di scuola, le strisce di lenzuolo quasi non hanno presa. 

Non appena arrivo in cima, incastro le braccia intorno alle sbarre, con i piedi a mezz’aria in cerca di un punto d'appoggio lungo la parete scheggiata e ruvida. 

La punta della scarpa trova una piccola sporgenza, e grazie alla presa delle suole da ginnastica, riesco ad appoggiarci sopra il peso. 

Ci siamo. L'arrampicata avrà indebolito le sbarre? Un ultimo, violento, strattone verso il basso le staccherà dalla parete?

Non ho tempo di ispezionare la ruggine attorno ai fissaggi. Come un arrampicatore sul bordo di un burrone, mi aggrappo con le mani alle sbarre e con i piedi alla parete, mentre ogni singolo muscolo del corpo è teso a contrastare la forza di gravità. 

Se mi scoprono adesso, è finita. 

Ma esito lo stesso. 

Le sbarre si spezzeranno? 

Per un attimo, sento la luce dorata del sole morente che mi sfiora il viso attraverso la finestra sporca, aldilà della quale si estende la libertà. 

Intravedo l’esterno, il vento che scuote le cime degli alberi verdi in lontananza. 

Il vetro spesso è come un muro invisibile che mi taglia fuori da tutto ciò che è reale, vivo, necessario. 

Quand'è che ci si arrende, che si decide che il troppo è troppo? La risposta è una sola. Mai.

Ormai ci siamo. 

Se fallisco, mi sentiranno e a quel punto mi metteranno sotto sorveglianza o mi trasferiranno in una cella più sicura, perciò so che questa è la mia prima e ultima possibilità. 

Un singhiozzo terrorizzato minaccia di uscirmi dalla bocca. Sto per crollare, qualcuno mi sentirà. Ma non voglio farlo. Ho paura. Talmente tanta paura.

Con il braccio sinistro ancora aggrappato alle sbarre a sostenere quasi tutto il peso del corpo, mentre il metallo mi taglia la carne, premendo contro l'osso, io libero una mano per afferrare il lenzuolo che penzola sotto di me. 

E poi capisco che ormai ci siamo. 

La guardia ripasserà nel corridoio da un momento all’altro.

Un’idea esplode improvvisa con dolorosa chiarezza nella mia mente.

Un flashback del mio diciottesimo compleanno mi fa capire tutto.

Sorrido amaramente, mentre ricordo cosa avevo scritto sul mio biglietto segreto, prima di gettarlo nel falò.

 

Niklaus, Freya, Kol, Rebekah… qualunque cosa succeda, promettetemi che resterete uniti.

Promettetemi che sarete felici anche senza di me.

 

 

 

Ora so cosa devo fare per salvare la mia famiglia.

Malgrado il terrore accecante, mi infilo un secondo laccio ad anello intorno al collo.

Stringo il cappio e un singhiozzo lascia le mie labbra.

Penso a tutte le cose che dovrò lasciar andare per sempre: la zazzera bionda di Rebekah, il suo sorriso birichino. 

I grandi occhi verdi di Freya, il suo sorriso dolce con le fossette. 

Le urla entusiaste di Kol, il suo illuminarsi d’orgoglio.

Niklaus e i suoi occhi azzurri pieni di lacrime davanti all’immagine di papà che picchiava la mamma, 

Niklaus che si infilava nel mio letto nel cuore della notte quando la paura dei mostri che si annidavano nel buio era troppo forte, 

Niklaus e la sua mano che cercava la mia quando era spaventato,

Niklaus e i suoi riccioli morbidi, infuocati come un tramonto estivo,

Niklaus e l’espressione curiosa mentre impugnava un pennello per la prima volta, 

Niklaus e il sorriso felice che aveva davanti davanti ad un bignè al cioccolato, 

Niklaus e le sue risate durante i pomeriggi in spiaggia,

Niklaus e il suo modo di amare disperato e totalizzante e crudelmente sincero.

Niklaus, fragile eppure così forte, oscuro, arrabbiato, appassionato, spaventato, testardo, complicato e stupendo.

Ti ho amato dal primo momento. 

Ti ho amato fin da quando ti ho visto la prima volta, sporco di sangue e di vita.

Ti ho amato come si amano le cose che ti tengono aggrappato alla vita, con il corpo, con il cuore e con l’anima. Con ogni centimetro di pelle.

Con le tue paure, le tue fragilità e le tue imperfezioni.

E ti ho odiato perché ti ho amato subito, ti ho odiato perché avevamo lo stesso sangue, perché era tutto sbagliato e perché nonostante tutto non sono mai riuscito a pentirmi di questo sentimento.

Ti porto con me, ovunque vada ti porterò sempre con me.

Lascio la presa.

Niklaus.

Un attimo prima di addormentarmi, avevo desiderato sognarlo per sempre.

  
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