«Potrebbe
essere lei». Melisa lo disse
in tono neutro, quasi indifferente – lo stesso che aveva
utilizzato per
riassumergli la vicenda; stava tastando il terreno, voleva studiare la
sua reazione,
Kotuno lo comprese.
Un gruppo di
banditi aveva tentato,
circa dieci giorni prima, di attaccare un piccolo villaggio, ma era
stato
respinto: il merito era stato attribuito a un “Arche
prodigio”. Le fonti di
Melisa si basavano su chiacchiere di mercanti, reperire ulteriori
dettagli si
era rivelato impossibile; persino sul sesso dell’Arche non
c’era stato un
parere univoco. L’unico elemento che pareva certo era che
l’Arche in questione
avesse manipolato un’ingente quantità
d’acqua.
Kotuno non
batté ciglio al termine del
resoconto. Si alzò e recuperò una mappa dal
cassetto della scrivania, per poi
spiegarla sul tavolo. «Ripetimi: dov’è
successo?»
Melisa
ripeté il nome del villaggio,
avvicinandosi al tavolo per aiutarlo nella ricerca.
Non fu difficile
trovarlo: la sua idea
si era rivelata corretta. Puntò il dito su Lytho,
un minuscolo puntino accanto al fiume Tar.
«Potrebbe», affermò. Risalì
il corso
del fiume con il dito, fermandolo su un altro punto, leggermente
più marcato.
«Mi è sfuggita qui, quasi dieci
cicli fa. Temevo di averla persa – che qualcuno la stesse
aiutando. Sembra mi
fossi sbagliato» commentò tra sé,
ghignando.
«Perché
esporsi così, dopo tutto questo
tempo? Finora non avevamo trovato nemmeno l’ombra di una
traccia» intervenne Melisa,
diffidente.
«Hai
ragione» concesse Kotuno; il
ghigno non sparì dal suo volto. «Potrebbe essere
una coincidenza, un vero
prodigio – o una leggerezza. Una trappola, persino»
rifletté, incontrando lo
sguardo di Melisa. «In quest’ultimo caso, le si
rivolterà contro» affermò
convinto, mentre un’idea si faceva strada nella sua mente.
«Sembri
avere un piano», constatò cauta
lei, squadrandolo. Kotuno notò le sue kerai, normalmente inerti e mimetizzate tra i capelli, oscillare – si
chiese cosa stesse captando. Non negò.
«Manderò
il ragazzo».
Con questa
affermazione ottenne una
reazione più forte. La Fonè inarcò le
sopracciglia e aprì la bocca in
un’espressione sorpresa e – sospettò
– lievemente contrariata. «È
rischioso».
L’uomo
mosse la mano, come per
scacciare quell’insinuazione. «Ridicolo»
replicò secco. «È totalmente in mio
potere. Se non bastasse, c’è qualcuno che deve
proteggere. Non farà niente di
sciocco – non ne è capace»
affermò, liquidando la questione. «Ed è
più sicuro
che mandare te».
Melisa non
ribatté. D’altra parte, la
decisione spettava a lui; le possibilità di farlo
ritrattare erano ben poche.
«Bene,
allora» disse infine la Fonè,
spezzando il silenzio che si era protratto per quasi un minuto dopo
quell’ultimo scambio. Gli diede le spalle e raggiunse la
porta.
«Convocalo
da me» le disse mentre era
già sull’uscio. «Voglio che parta
subito. Non da solo, naturalmente».
Melisa
assentì brevemente prima di varcare la soglia.
~
Dopo il breve,
enigmatico incontro
interrotto da Odrik il giorno dell’attacco, Aidra –
la cui curiosità era ben
lontana dall’essere paga – nei giorni seguenti
aveva setacciato le strade di
Lytho in cerca di Isryl, o meglio, aveva tentato di farlo.
Non si era
sbagliata: nessuno degli
abitanti aveva intuito chi fosse realmente, ma questo non significava
che non
si fossero sentiti in diritto di fermarla a vista per chiederle
spiegazioni.
“Come ci sei riuscita?”, “Da quando sei
così potente?”, “Perché ce
l’hai tenuto
nascosto?” erano solo alcune delle domande che si era sentita
ripetutamente
rivolgere da praticamente chiunque, Odrik per primo.
Aveva dato la
stessa, vaga risposta a
tutti, e – chi più, chi meno – era
riuscita a convincerli che non ci fosse
niente di strano in lei, che si era allenata molto e che riuscire a
formare la
cupola era stata una semplice questione di fortuna; che senza
l’aiuto degli
altri Archi non sarebbe mai riuscita nel suo intento, non avrebbe
nemmeno osato
provarci. Forse perché sarebbe stato seccante, per i più anziani, riconoscere di essere stati superati di tanto da quella che ai loro occhi era ancora una ragazzina, forse perché
nessuno aveva realmente voglia di farsi troppe domande –
erano al sicuro? Bene
–, probabilmente perché loro stessi non avevano
trovato una spiegazione
migliore, era bastato a convincerli. Era bastato per tutti –
quasi.
Aidra odiava
mentire, avrebbe preferito
evitarlo; soprattutto non avrebbe voluto rifilare quella lista
insensata di
falsità almeno al suo
migliore amico.
Ciononostante, l’aveva fatto. Ascoltando la sua versione, gli
occhi di Odrik si
erano velati di dolore – l’aveva visto.
L’aveva visto e c’era stata male,
peggio di quanto non le fosse già costato l’atto
di mentirgli in sé; non aveva detto
niente, e così lui. Banalmente, Odrik aveva assentito come
se avesse deciso di
crederle.
Sapevano
benissimo entrambi che non era
così.
Lui era
l’unico ad aver sospettato – no,
compreso – che ci fosse molto di
più, dietro a quella storia, e lei l’aveva capito.
Non avrebbe voluto ferirlo,
non avrebbe voluto deluderlo. Farlo le causava tanta sofferenza quanta
ne provocava
in lui.
A
metà racconto, vedendolo adombrarsi,
avrebbe voluto interrompersi, dire che era tutto falso, che la
verità era
un’altra. Svelargli il suo segreto più grande,
finalmente.
Non
l’aveva fatto – non aveva
potuto farlo. Le si era
formata in mente una scena ben precisa.
Una scena
avvenuta realmente diverso
tempo prima.
Allora non erano
passati più di due
cicli da quando aveva iniziato a vivere con Mirel, e da molto meno la
Fonè le
aveva spiegato la verità sui suoi poteri.
Euforica,
ingenua, non aveva dato
troppo peso alle sue raccomandazioni di segretezza. Quel pomeriggio era
corsa
dai suoi amici, l’aveva detto.
Le avevano riso
in faccia. “Dai, smettila di
scherzare.”
Uno dei bambini
più grandi aveva
sbadigliato, guardandola senza nascondere l’irritazione. “Ti alleni per il Patkar? Va’ a
farlo da un’altra parte.”
Aidra aveva
gonfiato le guance,
insistito. L’unica risposta che aveva ottenuto era stata una
generica scrollata
di spalle, accompagnata da una frase.
Una
semplicissima frase che non avrebbe più
potuto scordare.
“Lo
sanno tutti che non esistono.”
Le era venuto da
piangere, era corsa
via. Si era nascosta, rannicchiata dietro al grande albero vicino al
fiume,
finché Mirel non era venuta a recuperarla. Lei non
l’aveva sgridata. L’aveva
presa per mano e, una volta a casa, le aveva spiegato con voce triste
che
quella dei bambini era stata una reazione normale.
Le antiche
leggende erano questo, per
la maggior parte degli abitanti di Fisis: nulla più che
favole, immagini
mitiche che i genitori invocavano per spaventare i figli disobbedienti.
Niente di più.
Aidra ricordava
d’aver promesso di
essere più cauta, una volta calmatasi.
Dopo
quell’incidente era
passato del tempo, quasi un intero maran, prima che
uscisse nuovamente a giocare con gli altri. Scoprire che agli occhi dei
suoi
compagni di gioco – e non solo ai loro – non
sarebbe dovuta esistere l’aveva
scossa profondamente. L’aveva trovato incredibilmente
ingiusto, l’aveva fatta
sentire inadeguata, sbagliata.
Non molto tempo
dopo, Odrik era andato
a trovarla. Lui non era stato presente quel pomeriggio, non aveva
assistito
alla sua umiliazione. Non aveva
idea
del perché fosse sparita così a lungo. Aidra era
stata felice di vederlo, ma al
contempo aveva esitato. Lui forse aveva percepito che qualcosa non
andava:
aveva iniziato a raccontarle delle sue giornate, di come
nell’aiutare i
genitori avesse confuso un ingrediente con un altro, finendo per creare
un
dolce dal sapore orribile – storie quotidiane, semplici, che
l’avevano fatta
ridere, le avevano fatto scordare almeno per qualche istante la brutta
avventura vissuta.
Si era sentita a
suo agio, con lui. Si
era sciolta, aveva risposto alle battute, aveva contribuito ai
racconti. Si era
divertita.
Prima che
andasse via, si era fatta
coraggio; stringendo i pugni fino a sentire le unghie inciderle la
pelle,
gliel’aveva chiesto. “Cosa
pensi degli
Ela?”
Aidra scosse la
testa, cercando invano
di scacciare quel ricordo. Odrik quella volta aveva riso, dandole
più o meno la
stessa versione degli altri bambini – solo, con frasi
più gentili.
In
fondo cos’altro avrebbe potuto sperare?
Da allora si era
adeguata alle
raccomandazioni di Mirel, aveva nascosto il suo potere il
più possibile e non
ne aveva fatto parola con nessuno, mai.
Aveva temuto che i tre, quattro bambini che avevano ascoltato la sua
avventata
confidenza potessero ricordarla, smascherarla – non era mai
successo. Con il
passare del tempo aveva capito che non avevano il minimo ricordo di
quel
giorno, delle sue bugie di allora.
Quel pomeriggio
aveva lasciato un segno
importante, ma solo in lei.
Sapeva che Odrik
non aveva voluto
ferirla, che era solo un bambino allora e che gli era stato insegnato
così;
sapeva anche che non avrebbe retto il sentirsi nuovamente come quel
giorno, il
veder rifiutare la sua verità proprio da lui.
Aidra strinse i
pugni. Sapeva che
avrebbe dovuto affrontare Odrik, prima o poi – se
fosse rimasta, le suggerì un pensiero a tradimento
–, ma non era
pronta. Non ancora.
Sorrise triste.
Poteva davvero pensare
di partire e sostenere il suo destino se non riusciva neanche a fronteggiare
con onestà un amico?
D’un
tratto intravide, dal lato opposto
del vicolo in cui si trovava, una chioma bionda che non
mancò di riconoscere –
impossibile confonderla: Isryl era l’unico con quel raro
colore, a Lytho, che
lei sapesse. Il ciclo di pensieri e ricordi s’interruppe;
Aidra accantonò
momentaneamente i sensi di colpa, rimandò ancora il momento
di affrontarli.
Si
affrettò in direzione del biondo,
determinata a non perderlo.
~
Malek uscì dallo studio in totale
silenzio; solo dopo aver svoltato nel corridoio principale si accorse del
tremito delle sue mani. Sollevò la sinistra e rimase a fissarla per vari
secondi, cercando invano di riprendersi. Infine la chiuse di colpo, in uno
scatto di rabbia.
Odiava quell’uomo, odiava l’effetto che
aveva su di lui. Gli bastava vederlo perché un irrazionale terrore l’assalisse.
Terrore e rabbia, ogni singola volta.
Il tremore insistente che l’aveva colto
ora, però, non dipendeva solo da quei sentimenti. Malek scagliò il pugno chiuso
contro il muro accanto a sé, sperando vanamente che bastasse a farlo star
meglio. Aveva supposto pessime notizie dal momento in cui aveva ricevuto la
convocazione nel suo studio, ma non si era aspettato neanche lontanamente
quell’ordine – ancora non l’aveva assimilato del tutto.
Se non fosse stato così avvelenato nei
confronti dell’uomo, avrebbe potuto trovarlo ironico: dopo averlo costretto nell’Accademia
così a lungo, gli ordinava di lasciarla. Solo per svolgere un suo incarico,
certo – e quale incarico.
Malek si era rassegnato alla sua
situazione, ormai. Non l’aveva accettata, questo no; Kora visitava i suoi
incubi ogni notte, sempre nella stessa forma. Bloccata a terra da qualcuno che
Malek non riusciva a scorgere, ma di cui intuiva inconsciamente l’identità, lo
fissava con uno sguardo pieno di tristezza. I suoi occhi dicevano tutto: non
riusciva mai a scorgervi del rimpianto, solo una profonda tristezza,
paradossalmente contornata da lampi di speranza e determinazione. Se possibile,
era questo a farlo stare peggio. Avrebbe preferito che Kora lo accusasse, che
il suo volto gli gridasse che era tutta colpa sua, che avrebbe preferito non
averlo mai conosciuto. Era l’esatto contrario: l’ultimo sguardo – prima che il
dolore lo sfigurasse – che la ragazza gli aveva rivolto sembrava gridare “Lo
rifarei”, in perfetto accordo con il “Vai avanti” che era riuscita a stento a
mormorare mentre Kotuno, un tempo visto come un padre, le serrava la gola e ne sorbiva la vita.
Non aveva saputo seguire la sua ultima
richiesta. Non era andato avanti, aveva lasciato ogni speranza. Dimenticato le
esortazioni disperate di Amok, deciso di ignorare ciò che ci si aspettava da
lui. Abbandonata ogni velleità di fuga, totalmente alla mercé del suo
carnefice, si era piegato. Sapeva che gli sarebbe toccata la stessa sorte di
Kora, l’aveva accettato – a volte aveva persino sperato che quel momento
arrivasse in fretta.
Aveva compreso di non poter difendere
nessuno, tantomeno sé stesso, non se si trattava di quell’uomo. Aveva creduto
che cedere fosse l’opzione migliore, l’unico modo certo di preservare almeno
Clari.
Era bastato quel breve colloquio a
infrangere, nuovamente, ogni sua convinzione.
Gli era finalmente chiaro perché fosse
stato lasciato “libero” di muoversi nella sua gabbia dorata, perché dopo quella
sera non l’avessero semplicemente rinchiuso ma anzi spinto a migliorare il
controllo sul suo potere, sia pure sotto attenta sorveglianza. Non doveva
essersi trattato d’altro che di affilare uno strumento, per il Direttore. Uno
strumento che non avrebbe potuto opporsi alle sue richieste, una potente pedina
nelle sue mani. Una pedina che, doveva darlo per scontato, non si sarebbe mai
ribellata.
Dopo aver ascoltato il compito
assegnatogli, due pensieri l’avevano attraversato in contemporanea, con pari
forza.
“Non posso” – “Devo”.
Malek si sentiva ribollire d’ira e
frustrazione, del tutto incapace di prendere una decisione. Fissò impotente il
proprio pugno, rimasto contro il muro tutto quel tempo. Le nocche iniziavano a
dolergli.
L’abbassò con lentezza, sentendosi
improvvisamente svuotato.
Inutile
porsi tanti problemi, si
disse amaramente. Non è che abbia scelta.
Non mi muoverò da solo – non posso rischiare anche lei.
Lo sguardo fisso al pavimento, si
trascinò stancamente in camera – gli sembrava quasi di muoversi in un sogno.
Non richiuse la porta; una volta dentro si lasciò cadere sul letto e vi rimase,
immobile, assorto in pensieri tremendi.
Lui era segnato, ma non voleva portare
nessuno sul fondo con sé. Non di nuovo.
Se solo fosse stato possibile.
~
Legenda Temporale
Ciclo: corrisponde, più o meno, a un nostro anno
Kalam: un periodo di settanta giorni, potremmo definirla una stagione. Ne esistono cinque. {Vapti, Pumi, Nira, Lis, Vimana}
Maran: periodi di trentacinque giorni; ogni kalam è composto di due maran.
NdA
Buondì! Per chi è arrivato qui: grazie *___* Vi meritate dei biscotti.
Spero la leggenda qui sopra sia chiara (?), mi sembrava fosse il momento di fare un po' di chiarezza con la terminologia.
Non ho moltissimo da dire su questo capitolo - per non assillarvi, più che altro -. Spero vivamente che la parte di Aidra non sia risultata confusionaria, con l'oscillazione tra passato e presente; ho preferito renderla così, più che con un vero e proprio flashback, sperando di rendere proprio l'idea che sia assalita dai ricordi, ma non so se ho ottenuto il risultato sperato t.t
Passando ad argomenti più lieti, vi lascio qui due meravigliose fan-art di Alchimista di Neve *-*
Ecco a voi Aidra, lettrici e lettori!
Al prossimo capitolo! ^^
P.S.
Se leggendo vi ritrovate a pensare "cliché", "banale", "che diamine sto leggendo" o simili, vi invito a farmi presenti le vostre perplessità: prometto che non mordo. Voglio il meglio per questa storia, quindi eventuali critiche - mosse in toni civili, naturalmente - possono solo farmi bene. ^^