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Autore: Sognatrice Realista    25/11/2018    3 recensioni
Archìa, Plasma, Empatia.
Gli Archi guidano gli Elementi, ma c'è chi con loro si fonde – sarà solo leggenda?
«Come ti è saltato in mente?» percepì distintamente il sibilo del ragazzo, ora vicinissimo. Fece per ritrarsi, ma lui riuscì ad afferrarle il polso.
Con la mano avvolta dalle fiamme.
Lo stupore la paralizzò, mentre un’assurda sensazione di serenità l’invadeva. Non provò dolore al contatto, il fuoco non la bruciò.
Durò solo un secondo.

IN REVISIONE
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Fisis'
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Codice

«Potrebbe essere lei». Melisa lo disse in tono neutro, quasi indifferente – lo stesso che aveva utilizzato per riassumergli la vicenda; stava tastando il terreno, voleva studiare la sua reazione, Kotuno lo comprese.

Un gruppo di banditi aveva tentato, circa dieci giorni prima, di attaccare un piccolo villaggio, ma era stato respinto: il merito era stato attribuito a un “Arche prodigio”. Le fonti di Melisa si basavano su chiacchiere di mercanti, reperire ulteriori dettagli si era rivelato impossibile; persino sul sesso dell’Arche non c’era stato un parere univoco. L’unico elemento che pareva certo era che l’Arche in questione avesse manipolato un’ingente quantità d’acqua.

Kotuno non batté ciglio al termine del resoconto. Si alzò e recuperò una mappa dal cassetto della scrivania, per poi spiegarla sul tavolo. «Ripetimi: dov’è successo?»

Melisa ripeté il nome del villaggio, avvicinandosi al tavolo per aiutarlo nella ricerca.

Non fu difficile trovarlo: la sua idea si era rivelata corretta. Puntò il dito su Lytho, un minuscolo puntino accanto al fiume Tar. «Potrebbe», affermò. Risalì il corso del fiume con il dito, fermandolo su un altro punto, leggermente più marcato.

«Mi è sfuggita qui, quasi dieci cicli fa. Temevo di averla persa – che qualcuno la stesse aiutando. Sembra mi fossi sbagliato» commentò tra sé, ghignando.

«Perché esporsi così, dopo tutto questo tempo? Finora non avevamo trovato nemmeno l’ombra di una traccia» intervenne Melisa, diffidente.

«Hai ragione» concesse Kotuno; il ghigno non sparì dal suo volto. «Potrebbe essere una coincidenza, un vero prodigio – o una leggerezza. Una trappola, persino» rifletté, incontrando lo sguardo di Melisa. «In quest’ultimo caso, le si rivolterà contro» affermò convinto, mentre un’idea si faceva strada nella sua mente.

«Sembri avere un piano», constatò cauta lei, squadrandolo. Kotuno notò le sue kerai, normalmente inerti e mimetizzate tra i capelli, oscillare – si chiese cosa stesse captando. Non negò.

«Manderò il ragazzo».

Con questa affermazione ottenne una reazione più forte. La Fonè inarcò le sopracciglia e aprì la bocca in un’espressione sorpresa e – sospettò – lievemente contrariata. «È rischioso».

L’uomo mosse la mano, come per scacciare quell’insinuazione. «Ridicolo» replicò secco. «È totalmente in mio potere. Se non bastasse, c’è qualcuno che deve proteggere. Non farà niente di sciocco – non ne è capace» affermò, liquidando la questione. «Ed è più sicuro che mandare te».

Melisa non ribatté. D’altra parte, la decisione spettava a lui; le possibilità di farlo ritrattare erano ben poche.

«Bene, allora» disse infine la Fonè, spezzando il silenzio che si era protratto per quasi un minuto dopo quell’ultimo scambio. Gli diede le spalle e raggiunse la porta.

«Convocalo da me» le disse mentre era già sull’uscio. «Voglio che parta subito. Non da solo, naturalmente».

Melisa assentì brevemente prima di varcare la soglia.

~

Dopo il breve, enigmatico incontro interrotto da Odrik il giorno dell’attacco, Aidra – la cui curiosità era ben lontana dall’essere paga – nei giorni seguenti aveva setacciato le strade di Lytho in cerca di Isryl, o meglio, aveva tentato di farlo.

Non si era sbagliata: nessuno degli abitanti aveva intuito chi fosse realmente, ma questo non significava che non si fossero sentiti in diritto di fermarla a vista per chiederle spiegazioni. “Come ci sei riuscita?”, “Da quando sei così potente?”, “Perché ce l’hai tenuto nascosto?” erano solo alcune delle domande che si era sentita ripetutamente rivolgere da praticamente chiunque, Odrik per primo.

Aveva dato la stessa, vaga risposta a tutti, e – chi più, chi meno – era riuscita a convincerli che non ci fosse niente di strano in lei, che si era allenata molto e che riuscire a formare la cupola era stata una semplice questione di fortuna; che senza l’aiuto degli altri Archi non sarebbe mai riuscita nel suo intento, non avrebbe nemmeno osato provarci. Forse perché sarebbe stato seccante, per i più anziani, riconoscere di essere stati superati di tanto da quella che ai loro occhi era ancora una ragazzina, forse perché nessuno aveva realmente voglia di farsi troppe domande – erano al sicuro? Bene –, probabilmente perché loro stessi non avevano trovato una spiegazione migliore, era bastato a convincerli. Era bastato per tutti – quasi.

Aidra odiava mentire, avrebbe preferito evitarlo; soprattutto non avrebbe voluto rifilare quella lista insensata di falsità almeno al suo migliore amico. Ciononostante, l’aveva fatto. Ascoltando la sua versione, gli occhi di Odrik si erano velati di dolore – l’aveva visto. L’aveva visto e c’era stata male, peggio di quanto non le fosse già costato l’atto di mentirgli in sé; non aveva detto niente, e così lui. Banalmente, Odrik aveva assentito come se avesse deciso di crederle.

Sapevano benissimo entrambi che non era così.

Lui era l’unico ad aver sospettato – no, compreso – che ci fosse molto di più, dietro a quella storia, e lei l’aveva capito. Non avrebbe voluto ferirlo, non avrebbe voluto deluderlo. Farlo le causava tanta sofferenza quanta ne provocava in lui.

A metà racconto, vedendolo adombrarsi, avrebbe voluto interrompersi, dire che era tutto falso, che la verità era un’altra. Svelargli il suo segreto più grande, finalmente.

Non l’aveva fatto – non aveva potuto farlo. Le si era formata in mente una scena ben precisa.

Una scena avvenuta realmente diverso tempo prima.

Allora non erano passati più di due cicli da quando aveva iniziato a vivere con Mirel, e da molto meno la Fonè le aveva spiegato la verità sui suoi poteri.

Euforica, ingenua, non aveva dato troppo peso alle sue raccomandazioni di segretezza. Quel pomeriggio era corsa dai suoi amici, l’aveva detto.

Le avevano riso in faccia. “Dai, smettila di scherzare.”

Uno dei bambini più grandi aveva sbadigliato, guardandola senza nascondere l’irritazione. “Ti alleni per il Patkar? Va’ a farlo da un’altra parte.”

Aidra aveva gonfiato le guance, insistito. L’unica risposta che aveva ottenuto era stata una generica scrollata di spalle, accompagnata da una frase.

Una semplicissima frase che non avrebbe più potuto scordare.

“Lo sanno tutti che non esistono.”

Le era venuto da piangere, era corsa via. Si era nascosta, rannicchiata dietro al grande albero vicino al fiume, finché Mirel non era venuta a recuperarla. Lei non l’aveva sgridata. L’aveva presa per mano e, una volta a casa, le aveva spiegato con voce triste che quella dei bambini era stata una reazione normale.

Le antiche leggende erano questo, per la maggior parte degli abitanti di Fisis: nulla più che favole, immagini mitiche che i genitori invocavano per spaventare i figli disobbedienti. Niente di più.

Aidra ricordava d’aver promesso di essere più cauta, una volta calmatasi.

Dopo quell’incidente era passato del tempo, quasi un intero maran, prima che uscisse nuovamente a giocare con gli altri. Scoprire che agli occhi dei suoi compagni di gioco – e non solo ai loro – non sarebbe dovuta esistere l’aveva scossa profondamente. L’aveva trovato incredibilmente ingiusto, l’aveva fatta sentire inadeguata, sbagliata.

Non molto tempo dopo, Odrik era andato a trovarla. Lui non era stato presente quel pomeriggio, non aveva assistito alla sua umiliazione. Non aveva idea del perché fosse sparita così a lungo. Aidra era stata felice di vederlo, ma al contempo aveva esitato. Lui forse aveva percepito che qualcosa non andava: aveva iniziato a raccontarle delle sue giornate, di come nell’aiutare i genitori avesse confuso un ingrediente con un altro, finendo per creare un dolce dal sapore orribile – storie quotidiane, semplici, che l’avevano fatta ridere, le avevano fatto scordare almeno per qualche istante la brutta avventura vissuta.

Si era sentita a suo agio, con lui. Si era sciolta, aveva risposto alle battute, aveva contribuito ai racconti. Si era divertita.

Prima che andasse via, si era fatta coraggio; stringendo i pugni fino a sentire le unghie inciderle la pelle, gliel’aveva chiesto. “Cosa pensi degli Ela?”

Aidra scosse la testa, cercando invano di scacciare quel ricordo. Odrik quella volta aveva riso, dandole più o meno la stessa versione degli altri bambini – solo, con frasi più gentili.

In fondo cos’altro avrebbe potuto sperare?

Da allora si era adeguata alle raccomandazioni di Mirel, aveva nascosto il suo potere il più possibile e non ne aveva fatto parola con nessuno, mai. Aveva temuto che i tre, quattro bambini che avevano ascoltato la sua avventata confidenza potessero ricordarla, smascherarla – non era mai successo. Con il passare del tempo aveva capito che non avevano il minimo ricordo di quel giorno, delle sue bugie di allora.

Quel pomeriggio aveva lasciato un segno importante, ma solo in lei.

Sapeva che Odrik non aveva voluto ferirla, che era solo un bambino allora e che gli era stato insegnato così; sapeva anche che non avrebbe retto il sentirsi nuovamente come quel giorno, il veder rifiutare la sua verità proprio da lui.

Aidra strinse i pugni. Sapeva che avrebbe dovuto affrontare Odrik, prima o poi – se fosse rimasta, le suggerì un pensiero a tradimento –, ma non era pronta. Non ancora.

Sorrise triste. Poteva davvero pensare di partire e sostenere il suo destino se non riusciva neanche a fronteggiare con onestà un amico?

D’un tratto intravide, dal lato opposto del vicolo in cui si trovava, una chioma bionda che non mancò di riconoscere – impossibile confonderla: Isryl era l’unico con quel raro colore, a Lytho, che lei sapesse. Il ciclo di pensieri e ricordi s’interruppe; Aidra accantonò momentaneamente i sensi di colpa, rimandò ancora il momento di affrontarli.

Si affrettò in direzione del biondo, determinata a non perderlo.

~

Malek uscì dallo studio in totale silenzio; solo dopo aver svoltato nel corridoio principale si accorse del tremito delle sue mani. Sollevò la sinistra e rimase a fissarla per vari secondi, cercando invano di riprendersi. Infine la chiuse di colpo, in uno scatto di rabbia.

Odiava quell’uomo, odiava l’effetto che aveva su di lui. Gli bastava vederlo perché un irrazionale terrore l’assalisse. Terrore e rabbia, ogni singola volta.

Il tremore insistente che l’aveva colto ora, però, non dipendeva solo da quei sentimenti. Malek scagliò il pugno chiuso contro il muro accanto a sé, sperando vanamente che bastasse a farlo star meglio. Aveva supposto pessime notizie dal momento in cui aveva ricevuto la convocazione nel suo studio, ma non si era aspettato neanche lontanamente quell’ordine – ancora non l’aveva assimilato del tutto.

Se non fosse stato così avvelenato nei confronti dell’uomo, avrebbe potuto trovarlo ironico: dopo averlo costretto nell’Accademia così a lungo, gli ordinava di lasciarla. Solo per svolgere un suo incarico, certo – e quale incarico.

Malek si era rassegnato alla sua situazione, ormai. Non l’aveva accettata, questo no; Kora visitava i suoi incubi ogni notte, sempre nella stessa forma. Bloccata a terra da qualcuno che Malek non riusciva a scorgere, ma di cui intuiva inconsciamente l’identità, lo fissava con uno sguardo pieno di tristezza. I suoi occhi dicevano tutto: non riusciva mai a scorgervi del rimpianto, solo una profonda tristezza, paradossalmente contornata da lampi di speranza e determinazione. Se possibile, era questo a farlo stare peggio. Avrebbe preferito che Kora lo accusasse, che il suo volto gli gridasse che era tutta colpa sua, che avrebbe preferito non averlo mai conosciuto. Era l’esatto contrario: l’ultimo sguardo – prima che il dolore lo sfigurasse – che la ragazza gli aveva rivolto sembrava gridare “Lo rifarei”, in perfetto accordo con il “Vai avanti” che era riuscita a stento a mormorare mentre Kotuno, un tempo visto come un padre, le serrava la gola e ne sorbiva la vita.

Non aveva saputo seguire la sua ultima richiesta. Non era andato avanti, aveva lasciato ogni speranza. Dimenticato le esortazioni disperate di Amok, deciso di ignorare ciò che ci si aspettava da lui. Abbandonata ogni velleità di fuga, totalmente alla mercé del suo carnefice, si era piegato. Sapeva che gli sarebbe toccata la stessa sorte di Kora, l’aveva accettato – a volte aveva persino sperato che quel momento arrivasse in fretta.

Aveva compreso di non poter difendere nessuno, tantomeno sé stesso, non se si trattava di quell’uomo. Aveva creduto che cedere fosse l’opzione migliore, l’unico modo certo di preservare almeno Clari.

Era bastato quel breve colloquio a infrangere, nuovamente, ogni sua convinzione.

Gli era finalmente chiaro perché fosse stato lasciato “libero” di muoversi nella sua gabbia dorata, perché dopo quella sera non l’avessero semplicemente rinchiuso ma anzi spinto a migliorare il controllo sul suo potere, sia pure sotto attenta sorveglianza. Non doveva essersi trattato d’altro che di affilare uno strumento, per il Direttore. Uno strumento che non avrebbe potuto opporsi alle sue richieste, una potente pedina nelle sue mani. Una pedina che, doveva darlo per scontato, non si sarebbe mai ribellata.

Dopo aver ascoltato il compito assegnatogli, due pensieri l’avevano attraversato in contemporanea, con pari forza.

“Non posso” – “Devo”.

Malek si sentiva ribollire d’ira e frustrazione, del tutto incapace di prendere una decisione. Fissò impotente il proprio pugno, rimasto contro il muro tutto quel tempo. Le nocche iniziavano a dolergli.

L’abbassò con lentezza, sentendosi improvvisamente svuotato.

Inutile porsi tanti problemi, si disse amaramente. Non è che abbia scelta. Non mi muoverò da solo – non posso rischiare anche lei.

Lo sguardo fisso al pavimento, si trascinò stancamente in camera – gli sembrava quasi di muoversi in un sogno. Non richiuse la porta; una volta dentro si lasciò cadere sul letto e vi rimase, immobile, assorto in pensieri tremendi.

Lui era segnato, ma non voleva portare nessuno sul fondo con sé. Non di nuovo.

Se solo fosse stato possibile.

­­­~







Legenda Temporale

Ciclo: corrisponde, più o meno, a un nostro anno
Kalam: un periodo di settanta giorni, potremmo definirla una stagione. Ne esistono cinque. {Vapti, Pumi, Nira, Lis, Vimana}
Maran: periodi di trentacinque giorni; ogni kalam è composto di due maran.


NdA
Buondì! Per chi è arrivato qui: grazie *___* Vi meritate dei biscotti.
Spero la leggenda qui sopra sia chiara (?), mi sembrava fosse il momento di fare un po' di chiarezza con la terminologia.
Non ho moltissimo da dire su questo capitolo - per non assillarvi, più che altro -. Spero vivamente che la parte di Aidra non sia risultata confusionaria, con l'oscillazione tra passato e presente; ho preferito renderla così, più che con un vero e proprio flashback, sperando di rendere proprio l'idea che sia assalita dai ricordi, ma non so se ho ottenuto il risultato sperato t.t
Passando ad argomenti più lieti, vi lascio qui due meravigliose fan-art di Alchimista di Neve *-*
Ecco a voi Aidra, lettrici e lettori!
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Image and video hosting by TinyPic Al prossimo capitolo! ^^

P.S.
Se leggendo vi ritrovate a pensare "cliché", "banale", "che diamine sto leggendo" o simili, vi invito a farmi presenti le vostre perplessità: prometto che non mordo. Voglio il meglio per questa storia, quindi eventuali critiche - mosse in toni civili, naturalmente - possono solo farmi bene. ^^
   
 
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