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Autore: _Agrifoglio_    28/11/2018    18 recensioni
Una missione segreta, un’imboscata vicino al confine austriaco e il corso degli eventi cambia. Il senso di prostrazione dovuto al fallimento, il dubbio atroce di avere sbagliato tutto, un allontanamento che sembra, ormai, inesorabile, ma è proprio quando si tocca il fondo che nasce, prepotente, il desiderio di risorgere. Un incontro giusto, un’enorme forza di volontà e, quando tutto sembrava perduto, ci si rimette in gioco, con nuove prospettive.
Un’iniziativa poco ponderata della Regina sarà all’origine di sviluppi inaspettati da cui si dipanerà la trama di questa storia ricca di colpi di scena, che vi stupirà in più di un’occasione e vi parlerà di amore, di amicizia, di rapporti genitori-figli, di passaggio alla maturità, di lotta fra concretezza e velleitarismo, fra ragione e sogno e della difficoltà di demarcarne i confini, di avventura, di duelli, di guerra, di epos, di spirito di sacrificio, di fedeltà, di lealtà, di generosità e di senso dell’onore.
Sullo sfondo, una Francia ferita, fra sussulti e speranze.
Davanti a tutti, un’eroica, grande protagonista: la leonessa di Francia.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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La compagnia della rosa bianca
 
– Il vile ricatto è stato formulato – disse il Generale de Jarjayes, stringendo nella mano un foglio di carta ruvida e scrutando, con aria grave, i suoi interlocutori, seduti di fronte a lui oltre l’imponente scrivania di noce e palissandro.
– Immaginavo che ci aveste mandati a chiamare per metterci a parte di qualche sviluppo, ma mai avrei creduto che si sarebbero sbrigati tanto…. Sono passati soltanto due giorni dal rapimento! – commentò, accigliato, il Conte di Fersen.
– Questi delinquenti non perdono tempo e, del resto, chi sa da quanto avevano ordito il piano – fece notare, con una smorfia di disprezzo, il Colonnello de Girodel.
– I servizi segreti – continuò il Generale – hanno scoperto che la tengono prigioniera nella zona orientale di Parigi, nei sotterranei di una fortezza che, un tempo, era un carcere di massima sicurezza e che, ora, è una residenza privata di proprietà del Duca d’Orléans.
– Gran bastardo! – esclamarono, all’unisono, il Conte di Fersen e il Colonnello de Girodel mentre il Generale annuiva.
– Generale, cosa è scritto in quella lettera? – chiese, subito dopo, Girodel.
– In poche parole – rispose il vecchio nobiluomo – i rapitori chiedono, anzi, esigono che, in cambio della liberazione di Oscar, il Re abdichi e vada in esilio nella Martinica e che la Regina sia consegnata al…. tribunale del popolo…. – aggiunse, con aria sarcastica, dopo una breve pausa.
All’udire l’ultima parte della frase, il Conte di Fersen sobbalzò e gli occhi di lui si velarono di raccapriccio.
– Qualora la Corona non dovesse ottemperare a queste deliranti pretese – aggiunse, con strazio e voce cupa, il Generale – Oscar ci sarà restituita a pezzi….
Ascoltando quelle parole, il Conte e il Colonnello rimasero sgomenti.
– Ecco, leggete Voi stessi – ingiunse il Generale, porgendo ai suoi ospiti il foglio di carta spiegazzato – La grammatica è quella che è, ma la minaccia è chiara.
Girodel afferrò il foglio di carta, quasi strappandolo dalle mani del Generale mentre Fersen gli si accostava per leggerlo anche lui.
– Il Re, ovviamente, non intende cedere al ricatto né vuole che la cosa si sappia – proseguì il Generale – Gli Stati Generali sono una polveriera e Sua Maestà non vuole acuire i già enormi contrasti insorti col terzo stato, rendendo di dominio pubblico un grave crimine commesso ai danni di un’esponente di spicco del secondo né, in questi frangenti così delicati, desidera fare sapere che la Casa Reale è rimasta sguarnita del Comandante Supremo delle sue Guardie.
– La situazione è drammatica! – proruppe il Conte di Fersen, pentendosi subito dopo della sua gaffe, perché conscio di avere esacerbato, anziché rinfrancato, lo stato d’animo di un padre.
– Per farla breve, il Re non divulgherà la notizia del rapimento né si attiverà ufficialmente per liberare Oscar – disse, con voce tetra, il vecchio militare – ma consentirà a noi e alle Guardie Reali che intendessero aiutarci di fare, in segreto, tutto il possibile per salvare mia figlia e metterà a nostra disposizione armi, archivi e spie. Di più non sono riuscito a ottenere – aggiunse, infine, passandosi una mano davanti agli occhi.
– Io sono con Voi, Generale! – disse, con impeto, il Colonnello de Girodel.
– Anch’io! – si accodò il Conte di Fersen – Nelle Americhe, ho maturato una buona esperienza militare che metterò interamente al Vostro servizio!
Il Generale li ringraziò entrambi e, dopo che il Conte di Fersen si fu congedato, chiese al Colonnello de Girodel di trattenersi ancora qualche minuto per discutere di una questione che preferiva non fuoriuscisse ancora dal circuito delle Guardie Reali.
– Colonnello, avete fatto progressi nell’individuazione della spia?
– No, Generale, ma credo che ci possiamo fidare del Conte di Fersen.
– Anch’io, ma preferisco che questa cosa, per ora, non si sappia. Mi avevate accennato, ieri, a un possibile coinvolgimento della Contessa di Polignac col Duca d’Orléans.
– Stiamo tenendo sotto stretto controllo la Contessa, ma nulla di significativo è emerso, a parte una possibile liaison fra lei e il Duca.
– La Contessa, già in passato, ha tentato di fare del male a mia figlia e, di certo, le porta ben poco amore. Ella, tuttavia, è stata, per molto tempo, un’intima amica della Regina e ha frequentato la stessa cerchia del Conte di Fersen. Per questa ragione, non desidero che il Conte, almeno per adesso, sia messo a parte delle indagini che state svolgendo su di lei. Ritengo che egli sia legato a mia figlia da un’amicizia di gran lunga superiore a quella che potrebbe unirlo a Madame de Polignac, ammesso che, fra i due, ci sia mai stato un qualche tipo di simpatia, ma, data la frequentazione pregressa, non voglio metterlo in difficoltà.
– Generale, avete la mia parola che le indagini sulla spia non fuoriusciranno dalla cerchia delle Guardie Reali.
Contemporaneamente, nei giardini antistanti l’atrio di Palazzo Jarjayes, Alain parlava concitatamente con sua sorella Diane.
– Mi dispiace di non poterti dare grandi informazioni, Alain, ma nessuno si confida con me né io faccio domande.
– Non hai colto proprio nulla, Diane? Neppure dove la tengono prigioniera o cosa vogliono i rapitori?
– Credo che la prigione di Madamigella Oscar sia stata individuata, ma non so dove essa sia.
Alain strinse le mani in un gesto di frustrazione e di impotenza quando scorse, in lontananza, il Conte di Fersen che usciva dal portone principale e si dirigeva verso le scuderie.
– Ehi, Diane, cosa ci fa qui l’amante de…. il Conte di Fersen?
– Il Generale ha convocato d’urgenza lui e il Colonnello de Girodel per discutere di qualche novità.
– Benedetta ragazza e tu non hai provato a origliare o a captare informazioni?
– Alain, origliare…. ma che dici mai?
– Dannazione a me e a quando ho deciso di fare di te una bravissima fanciulla! Avrei dovuto insegnarti qualcosa di più utile come origliare o cogliere segnali e informazioni!
– Alain, queste cose non si fanno!
Mentre i due fratelli erano impegnati in questi battibecchi, anche il Colonnello de Girodel uscì dal portone di Palazzo Jarjayes e Alain gli si diresse incontro a grandi falcate.
– Perdonate l’ardire, Colonnello, mi chiamo Alain de Soisson e sono il soldato della Guardia Metropolitana che è sopraggiunto, l’altra sera, sul luogo del rapimento del Comandante de Jarjayes. Appena Vi ho visto uscire da palazzo, Vi ho riconosciuto.
– Cosa posso fare per Voi, soldato? – gli chiese Girodel, col volto stanco e l’espressione corrucciata.
– Vorrei chiederVi informazioni sul Comandante – rispose Alain, con fare concitato.
– Mi dispiace, ma, data la delicatezza della faccenda, ogni informazione è riservata.
– Colonnello, sono una persona affidabile e ho le mie risorse. Potrei dare il mio contributo!
– E sia – si lasciò andare Girodel, che era stato vincolato al massimo riserbo soltanto per la questione relativa alla spia e che, nei mesi successivi al ritorno di Oscar nel corpo delle Guardie Reali, l’aveva sentita parlare molto spesso in termini estremamente lusinghieri di Alain – La tengono rinchiusa nei sotterranei di una fortezza a est di Parigi, di proprietà del Duca d’Orléans.
– Vi sono infinitamente grato, Colonnello! – esclamò Alain con gli occhi che gli brillavano di felicità – Ho capito qual è il palazzo al quale Vi riferite. Vedrete che mi renderò utile!
Pronunciate queste parole, gli fece il saluto militare e si diresse verso sua sorella, per prendere congedo anche da lei.
 
********
 
Oscar solcava la cella a grandi passi, da un angolo all’altro, nervosa e insofferente come una fiera in gabbia.
Nonostante la totale assenza di finestre e di luce solare, dal numero delle volte che le era stato portato il cibo, si era resa conto dei giorni precisi che erano trascorsi da quando era stata catturata. Da alcuni rumori di passi e di ferraglia sbattuta, aveva intuito l’ubicazione delle porte più vicine e aveva capito che, proprio sopra la cella, si snodava una scala.
Tutte le cellule del cervello di lei erano in fermento, alla ricerca di una via di fuga. Non si era sbarazzata del fantasma della tisi per morire assassinata da quei facinorosi!
Doveva fuggire da lì….
E’ stata una vera fortuna che André non si trovasse con me, la sera dell’agguato a Saint Antoine…. – pensò, con sollievo, la donna – In fin dei conti, André è nobile da meno di un anno….
Doveva fuggire da lì….
 
********
 
Alain camminava per i vicoli popolari di Parigi, abbigliato in borghese, cercando di nascondere le sue sembianze sotto un mantello verde e un ampio copricapo dello stesso colore. Si guardava intorno, alla ricerca di qualcuno. A un certo punto, scorse in lontananza un uomo che gli fece un cenno.
Diamine, se non assomiglia ad André…. Ma André è più distinto, ha un viso più bello e disteso e, soprattutto, uno sguardo più sereno…. – pensò il grosso soldato, scrutando Bernard Châtelet.
– Volevate un colloquio con me, soldato? – gli domandò, con aria circospetta, Bernard Châtelet – L’oste Gaston Previn mi ha riferito che mi cercavate.
– Sì, Monsieur Châtelet, avere delle conoscenze in comune, a volte, aiuta – scherzò Alain, nel tentativo di stabilire un contatto emotivo mentre l’altro rimaneva impassibile come una statua.
– Prego, entriamo in questa locanda – lo esortò Bernard, indicandogli, con la mano, un portone.
– Riuscite a intuire la ragione di questo colloquio? – gli domandò Alain, dopo che si furono seduti a uno dei tavoli.
– In verità, no – mentì Bernard, nel tentativo di prendere tempo e di studiare più a fondo l’interlocutore.
– In breve, il Maggior Generale e Comandante Supremo delle Guardie Reali, Oscar François de Jarjayes, che Voi ben conoscete, è stata rapita da ignoti tre giorni fa ed è, a tutt’oggi, illegittimamente privata della sua libertà.
– Capisco – disse Bernard che non aveva partecipato alla preparazione e all’esecuzione del rapimento, ma che ne era stato informato a cose fatte.
– Di conseguenza – disse Alain, col solito fare schietto che contrastava con quello guardingo e sospettoso di Bernard Châtelet – anche in considerazione dei legami che Voi e Vostra moglie avete col Comandante, Vi chiedo di sollevare il popolo contro la fortezza dove è rinchiusa, al fine di liberarla!
– Mi dispiace, ma non posso tradire i…. il popolo!
– Non credo che sia il popolo quello che non volete tradire – proruppe, senza peli sulla lingua, Alain – ma qualche Vostro compare…. Sta bene – aggiunse, subito dopo, con aria disincantata – Non mi sarei aspettato una Vostra adesione sul punto e non mi mancano certo le conoscenze per suscitare un tumulto…. Vorrei, da Voi, un aiuto diverso.
– Del tipo? – domandò Bernard, scrutando l’interlocutore.
– Qualunque informazione che possa tornare utile – sibilò Alain, tentando di mantenere calmi i nervi, già messi a dura prova dall’atteggiamento freddo e supponente dell’altro – La fortezza del Duca d’Orléans ha qualche punto debole? Ha, per caso, un’entrata occulta o dei passaggi segreti? Da quanti uomini è sorvegliata? La cella del Comandante dov’è ubicata, di preciso?
– Mi dispiace – disse l’altro, trattenendo, a stento, una smorfia di rammarico – ma non posso tradire la causa.
– Sapete dove ve la ficco io la causa! – urlò Alain, prendendo per il bavero Bernard e fulminandolo con i suoi occhi che, ormai, ardevano di brace mentre gli avventori della locanda li guardavano basiti – Voi dovete tutto al Comandante e ad André e, se c’è una cosa che non sopporto, è l’ingratitudine…. Perciò, se desiderate conservare integro quel vostro bel cervellino tanto superiore a quello di noi comuni mortali e non volete che esso vada a imbrattare questo muro già sporco a sufficienza di suo, fate il vostro dovere di uomo d’onore, se non di amico!!!!
– CalmateVi soldato – disse Bernard, per nulla spaventato mentre scansava, con le sue, le grosse mani di Alain e si riaggiustava il bavero – Non sono un ingrato, ma la mia fedeltà va al popolo mentre, per i nobili, non posso fare alcunché.
– Il Comandante è una nobile illuminata, pagliaccio che non siete altro, e, ripeto, voi le dovete tutto! Pertanto, o muovete il culo per aiutarmi o vi sarete guadagnato un nemico per il resto dei vostri giorni che, vi giuro, saranno molto pochi!!!!
– D’accordo – disse Bernard, credo di avere qualcosa per Voi e, se mi aspetterete cinque minuti, Ve la porterò…. Ma sappiate che cedo al senso dell’onore e non alla violenza – e, alzandosi dalla sedia, si incamminò verso l’uscita della locanda.
Alain lo osservò sparire dietro la porta e iniziò ad aspettarlo. Certo che, se era quello il futuro che attendeva la Francia, c’era poco da stare allegri…. L’aristocrazia della ragione avrebbe sostituito quella del sangue, supponenza si sarebbe avvicendata a supponenza e noncuranza per tutto ciò che non riguarda gli adepti al proprio gruppo avrebbe preso il posto di altra noncuranza, ma, ricambio della classe dominante a parte, la musica non sarebbe cambiata e la gente comune sarebbe rimasta per sempre nella cacca…. C’era, poi, il pericolo che quell’intellettuale da strapazzo, dritto come un manico di scopa, lo raggiungesse coi suoi degni compari per ammazzarlo di botte…. Ma era un rischio che era disposto a correre per il suo Comandante! Avrebbe venduto cara la pelle e nessun damerino dell’inchiostro lo avrebbe sopraffatto!
Dopo cinque minuti esatti, Bernard tornò nella locanda, da solo e per nulla spaventato, con dei fogli di carta sotto al braccio. Sedutosi di nuovo davanti al tavolo, vi dispiegò sopra un grande foglio mezzo ingiallito.
– Ecco – disse ad Alain – Questa è una mappa della fortezza. Come vedete, l’edificio si articola su tre piani, ma a Voi interessano soltanto i sotterranei che sono questi. Dove ho segnato la X, è ubicata la cella del Comandante. Che io sappia, la sorveglianza è affidata a una ventina di uomini che si suddividono fra il piano terra e le segrete sotterranee. Qui, c’è un ingresso nascosto, usato, un tempo, dagli ufficiali che volevano sottrarsi agli assedi o ricevere messaggi senza farlo sapere agli altri. L’ingresso segreto immette in un cunicolo della lunghezza di un miglio, che sbuca nelle campagne a est di Parigi, fuori della cinta muraria e si attiva, venendo dal cunicolo, con una leva e, da dentro la fortezza, infilando le dita negli occhi di un gargoyle. Un altro passaggio segreto sfrutta la rete fognaria e vi si accede in questo punto qui…. Non è una soluzione pulita, ma porta in qualsiasi punto della città.
Bernard passò circa dieci minuti a illustrare ad Alain tutti i dettagli e, alla fine, i due uomini si alzarono dal tavolo per accomiatarsi.
– Più di così non posso fare – disse Bernard – Ma, credetemi, ho saputo del rapimento a cose fatte, non vi ho partecipato in alcun modo e, se mia moglie sapesse che sono a conoscenza della cosa….
– Non Vi preoccupate, non farò il Vostro nome neanche sotto tortura e, per quello che mi riguarda, conserverete intatti l’amore e la stima di Vostra moglie. Che Dio Vi renda merito per l’aiuto che avete dato al Comandante e a me.
– Dio non esiste. Esistono soltanto i lumi della ragione.
– Come preferite – rispose Alain e, con un cenno del capo, si congedò da lui.
 
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Il Colonnello de Girodel e il Conte di Fersen stavano mestamente camminando per i corridoi della reggia e discutevano sul da farsi.
La Regina li aveva esortati, fra lacrime e singhiozzi, a fare tutto il possibile per salvare Oscar, dicendosi disposta anche a vendere tutti i suoi gioielli per finanziare la missione di salvataggio. Il Principino stava morendo, il cuore di lei era in frantumi e, se avesse perso anche la sua più cara e fidata amica, sarebbe morta o impazzita. Più e più volte, aveva chiesto a gran voce di essere abbandonata al tribunale del popolo e al linciaggio, purché un’innocente non dovesse scontare gli errori di lei e il Re, in preda al dolore e alla disperazione, si era messo le mani fra i capelli e aveva ordinato alla dame di sedarla con il laudano. La Regina aveva gettato per terra il bicchiere e aveva iniziato a urlare ancora più forte, finché il Conte di Fersen, con sagge e sincere parole, sgorgategli direttamente dal cuore, aveva calmato la donna amata, rassicurandola sul suo onore che avrebbe fatto tutto il possibile per salvare Oscar e convincendola, poi, a bere il laudano e a riposare.
Terminata quella straziante scena, i due uomini, col cuore gonfio di dolore, erano usciti dagli appartamenti della Sovrana e si erano incamminati verso l’ufficio di Girodel, intenti a discorrere dei loro piani, quando si imbatterono nella Contessa di Polignac.
La leggiadra e scaltra nobildonna, nel vederli, giunse le mani sotto al mento e, con gli occhi languidi, la bocca increspata in un delizioso broncio e la soave voce rotta dal pianto, si rivolse a loro:
– Signori, sono esterrefatta per l’accaduto! Il mio cuore sanguina al pensiero che una persona così nobile e fiera debba patire i rovesci di un’avversa fortuna! Sappiate che, di qualunque aiuto abbiate bisogno, io sarò sempre disposta a fornirVelo! Farò tutto il possibile per Madamigella Oscar!
Avete già fatto abbastanza! – pensò Girodel, con la rabbia che gli montava dal cuore alla testa – Giuda, al vostro confronto, era un dilettante!
Il vostro dolore è sincero come l’affetto che dite di provare per la mia amata Regina! – pensò, a sua volta, il Conte di Fersen.
– Il Vostro strazio è grande come la Vostra nobiltà d’animo, Contessa – le rispose Girodel, accompagnando al gioco di parole un inchino.
– Persone come Voi fanno dell’esistenza un affare da eroi – aggiunse, altrettanto ambiguamente, il Conte di Fersen.
I due gentiluomini si allontanarono, lasciando la Contessa a recitare da sola.
 
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Un lampo squarciò il cielo e ad esso seguì, pochi attimi dopo, un cavernoso e roboante tuono. Quella luce improvvisa e quasi innaturale illuminò le tenebre e, con esse, il volto dell’uomo a cavallo, schiaffeggiato dalla pioggia e grondante d’acqua. I capelli del viaggiatore, fradici e appesantiti, erano incollati al volto e i vestiti, completamente imbevuti di pioggia, aderivano come alghe al corpo di lui.
Più e più volte, in quell’incedere nelle tenebre, aveva sbagliato strada e aveva anche rischiato di finire in un crepaccio. Da quando, poi, aveva iniziato a cavalcare in una foresta vicina alla città di Lille, la situazione si era complicata. Non contava più i rami che lo avevano percosso e, almeno tre volte, il cavallo era quasi finito in una scarpata e si era salvato soltanto grazie a una forza erculea e al movimento convulso delle zampe. I frequenti lampi rischiaravano le sagome degli alberi che apparivano all’improvviso, come mostri stilizzati, con le braccia protese in ogni dove e, subito dopo, sparivano con altrettanta rapidità. L’aria elettrica faceva da potente cassa di risonanza ai molteplici tuoni, il cui rimbombo era acuito da una vasta eco.
A un tratto, un fulmine colpì un ramo che si spezzò, finendo quasi per abbattersi sull’animale e sul cavaliere. Il cavallo scartò di lato e per poco non sbalzò di sella l’uomo che riuscì a mantenersi in groppa con molto sforzo e grande destrezza. Un altro lampo, più intenso dei precedenti, illuminò a giorno la nottata e l’impavido viaggiatore scorse, da sotto l’altura che stava percorrendo, la città di Lille.
– Ecco, ecco, cos’è questa fretta?! Date un attimo di tregua alle mie stanche ossa!! – disse il portinaio, in risposta al concitato picchiare sul portone di legno.
Appena ebbe aperto, si trovò di fronte un gigante, zuppo di pioggia e con gli occhi stralunati, che sembrava uno spettro fuggito dall’inferno e, col cuore che gli scoppiava in petto per il terrore, sbatté di scatto la porta in faccia all’uomo che ne impedì la chiusura mettendo un piede di traverso.
– Dite al Conte di Lille che Alain de Soisson è qui e lo cerca – ordinò l’apparizione al vecchio tremante.
In quei cinque giorni che erano seguiti al rapimento di Oscar, André era stato colto da una febbre nervosa altissima che gli aveva impedito di mandare a segno qualsiasi proposito. Di questa situazione, avevano approfittato il Conte di Canterbury e Sir Percy Blakenay per chiudere in casa André, impedendogli quella che, ai loro occhi, era pura follia: salire in sella a un cavallo e precipitarsi a Parigi all’inseguimento di un incubo. Da circa un’ora, la febbre era scesa e André fremeva per mettersi in viaggio, ma era trattenuto a forza dai due amici.
– Conte di Lille, un uomo chiede di Voi – disse il vecchio, correndo verso André con tutte le forze che l’età gli consentiva, ma finendo per essere sorpassato da un Alain fuori della grazia di Dio.
– André, hanno rapito il Comandante, la tengono rinchiusa nei sotterranei di una fortezza nei rioni orientali di Parigi! – urlò il soldato, con tutto il fiato che aveva nei polmoni.
– Oh mio Dio! Me lo sentivo! Oh mio Dio! – gemette André, con un urlo così disperato da squarciare i cuori degli astanti.
Guardò, quindi, fuori dalla finestra e si accorse che era spiovuto, ma, se anche ci fosse stato in atto il diluvio universale, la risoluzione di lui non sarebbe stata diversa:
– Alain, corriamo a Parigi a liberarla!
– Veniamo anche noi! – esclamarono, all’unisono, il Conte di Canterbury e Sir Percy Blakenay.
Il quartetto si mosse in fretta, alla ricerca dello stretto indispensabile per mettersi in viaggio, sotto gli occhi increduli del vecchio che biasimava, in cuor suo, l’avventatezza giovanile.
 
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– André, ragazzo mio, che gioia rivederti! – esclamò il Generale, poggiando le mani sulle spalle di André.
– Generale, sono pronto a dare la vita per la salvezza di Oscar! – disse André accoratamente, guardando il volto pallido e provato del Generale e avvertendo una stretta al cuore.
– Conte di Canterbury, Sir Percy, sono felice di riincontrarVi e mi rincresce soltanto che la circostanza non sia più lieta! – disse, poi, rivolto ai due parenti di oltre Manica.
– Capovolgeremo la situazione e renderemo allegre queste ore dolorose o non mi chiamo più Sir Percy Blakenay – rispose il nobiluomo inglese mentre il Conte di Canterbury contraccambiò il saluto del Generale con un inchino.
– Signor Generale, permettete che Vi presenti un mio ex commilitone, il soldato della Guardia Metropolitana parigina Alain de Soisson  che è stato uno degli uomini più capaci e fidati di Oscar – disse André al Generale, dopo essersi accorto che questi scrutava interrogativamente il colossale sconosciuto.
– Siate benvenuto in casa mia.
– Agli ordini, Generale! – rispose Alain, mettendosi sull’attenti.
– Riposo, soldato.
Alain obbedì e, simultaneamente, iniziò a scrutare il Generale. Era incredibile come il vecchio militare fosse, in tutto e per tutto, simile al Comandante! Se lo avesse incontrato per strada, lo avrebbe riconosciuto anche senza presentazioni! Il volto, il taglio degli occhi, il naso dritto, il mento un po’ sporgente, il profilo da rapace, lo sguardo, l’espressione e il portamento erano gli stessi della figlia e la madre di lei, qualunque ne fosse stato l’aspetto, non le aveva lasciato un grosso segno nel sembiante….
Mentre Alain pensava a queste cose, André si rivolse, con voce emozionata, al Generale.
– Generale, Alain mi ha detto che Oscar è stata catturata nel corso di una missione militare nel Faubourg Saint Antoine e che si trova reclusa in una fortezza di proprietà del Duca d’Orléans, sita nella parte orientale di Parigi.
– E’ così, André….
– Generale, il mio amico Alain ha una piantina di quella fortezza e sa come accedervi, tramite un cunicolo o attraverso le fogne.
– Soldato – domandò il Generale ad Alain – da chi avete avuto la mappa?
– Da un uomo che, adesso, sta facendo i conti con la sua coscienza…. – rispose Alain, con un ghigno amaro.
– Generale – disse André – Alain e io ci recheremo, domani, all’interno della fortezza, la perlustreremo e ci faremo un’idea precisa, così da potere elaborare un piano più concreto e particolareggiato.
– Bene! – rispose il Generale e, subito dopo, iniziò a discutere con i suoi quattro interlocutori dei dettagli del salvataggio.
 
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– Forza, Alain, sbrighiamoci! – disse André, esortando l’amico.
Il volto del giovane era tirato e, dalla mano destra di lui, pendeva una lanterna.
– Ecco, ecco, mi sbrigo, ma ricordati bene che siamo qui in missione esplorativa e che il tentativo di salvataggio vero e proprio lo faremo fra due giorni insieme agli alleati del Generale de Jarjayes! Da soli, non avremmo la minima possibilità di spuntarla e ci faremmo ammazzare! Ricordatelo, me lo hai promesso!
André e Alain procedevano lungo il cunicolo sotterraneo che metteva in comunicazione le campagne parigine con l’interno della fortezza, intenzionati a perlustrare l’edificio per, poi, riferire al Generale e agli alleati di lui. La luce delle lanterne proiettava sulle pareti le lunghe ombre dei due uomini che procedevano afflitti dall’umido e dall’aria viziata e districandosi fra ragnatele e pipistrelli.
Se André avesse ceduto all’istinto, si sarebbe precipitato alla ricerca di Oscar, infischiandosene di avere molte o poche possibilità di riuscita, ma era in compagnia di Alain e portava su di sé il peso della vita dell’amico oltre che della sua. Alain doveva tornare a casa dalla madre e dalla sorella e lui non era nessuno per impedirglielo. Agendo d’impulso, poi, avrebbe bruciato ogni possibilità di salvezza di Oscar oltre che sua e questo rischio andava scongiurato a ogni costo. Già una volta, era stato avventato, sbendandosi e mettendosi alla ricerca di lei, invece di chiedere aiuto ad altre persone e aveva pagato quel colpo di testa a caro prezzo. Ora che la vista gli era stata restituita e, con essa, una seconda possibilità, non avrebbe mandato tutto all’aria per una pazzia, ma si sarebbe comportato con giudizio. No, non avrebbe ceduto all’istinto….
Dopo avere percorso un miglio, i due amici videro il loro oscuro sentiero terminare davanti a un’opera in muratura.
– Ci dovrebbe essere una leva – disse Alain – Eccola lì, alla tua destra!
André tirò la leva e il muro si aprì, scorrendo lateralmente, con uno scricchiolio sordo e una pioggia di polvere.
– E’ molto usato questo passaggio segreto, non c’è che dire! – scherzò Alain, scrutando, contemporaneamente, a destra e a sinistra, per sincerarsi che il rumore non avesse attirato delle sentinelle – Aspetta che chiudo!
Ciò detto, infilò l’indice e il medio nelle fessure che costituivano gli occhi del gargoyle e il muro si richiuse così come, prima, si era aperto.
I due uomini iniziarono a percorrere i corridoi della fortezza, seguendo la mappa che Bernard aveva fornito ad Alain. Dopo alcuni minuti, giunsero nel lato sud del salone grande dell’edificio e, nascosti dietro ad alcune colonne, iniziarono a spiare all’interno.
– Ma quello è…. Maximilien de Robespierre! – esclamò, a voce bassa, André – L’ho visto mentre teneva un discorso davanti al Re e alla Regina e, poi, in una taverna ad Arras e, dopo ancora, in un’altra taverna, questa volta parigina, in compagnia di Bernard Châtelet, mentre Oscar e io eravamo pestati a sangue!
– Shhhh!!!! Parla piano! E quel tizio zoppicante e col naso rosso come un peperone che gli sta accanto chi è?
– Quello non lo conosco….
Contemporaneamente, in un’altra parte della fortezza e, precisamente, all’interno della sua cella, Oscar stava mettendo a segno un tentativo di evasione. Forte del fatto che i carcerieri erano diversi da quelli della volta precedente, aveva pensato di reiterare l’inganno. Si era, quindi, tolta la giacca e l’aveva appoggiata sul lenzuolo che copriva il giaciglio, dopo averlo gonfiato col cuscino, così da simulare la presenza di un corpo. Si era, poi, arrampicata sul soffitto, in attesa che quel brutto ceffo che le portava il mangiare entrasse nella cella.
Dopo pochi minuti, l’uomo aprì la porta e varcò la soglia. Rapida come un fulmine, Oscar gli piombò addosso e lo tramortì con un colpo sulla nuca, legandogli, poi, le mani e imbavagliandolo con alcuni brandelli del lenzuolo. Gli tolse, infine, le chiavi dalla cinta e lo chiuse dentro la cella.
Ormai libera dalla segreta, Oscar iniziò a correre per i corridoi della fortezza, attenta a ogni minimo rumore. A un certo punto, svoltando, vide una rampa di scale e vi si diresse, desiderosa di guadagnare il piano superiore e, con esso, la libertà. Dopo alcuni minuti di quel peregrinare, giunse  nel lato nord del salone grande della fortezza che poté spiare da dietro a un parapetto.
Ma quello è…. Maximilien de Robespierre! Lo riconosco…. e quell’altro, col naso fracassato e l’incedere claudicante, dev’essere il sicario che ha aggredito mio padre e il Generale de Bouillé! – pensò la donna, in preda all’eccitazione.
A un tratto, Louis Antoine de Saint Just iniziò a parlare:
– Abbiamo in mano un pezzo grosso della nobiltà e non possiamo perdere questa preziosa occasione! Se il Re non abdicherà…. e vedrai che non lo farà, la porteremo in una piazza e la daremo in pasto ai parigini…. Dopo che l’avranno denudata, seviziata, sbudellata e ridotta in brandelli, dopo che avranno trascinato i resti di lei in processione per la città, prenderemo gli avanzi, li porteremo a Versailles e li sbatteremo in faccia all’austriaca!
– Le tue sono le parole di un beccaio e non di un uomo di legge! – rispose, con una smorfia di disgusto, Robespierre.
– Non ti atteggiare a padre nobile, che non ti si addice…. Tu brami il potere esattamente quanto me e farai più vittime tu con le tue parole di quante ne farò io con la mia spada!
– Tu vuoi soltanto il terrore, Saint Just!
– Perché, tu no? Questa società corrotta si potrà rigenerare soltanto con un bagno di sangue! Quando avremo tagliato la testa al Re e alla Regina, quando avremo fatto a pezzi tutti i nobili che calpestano la terra, quando avremo sgozzato ogni singolo prete, frate e suora in circolazione, allora e solo allora, le cose cambieranno! Sulle ceneri di questa società morente, sul sangue e sulle interiora di questi degenerati, noi getteremo le fondamenta della Repubblica, modellata sulle città – stato dell’antichità!
– Tu corri troppo con la fantasia….
– Neanche per sogno…. O il Re abdicherà e, allora, tanto meglio per noi o linceremo la donna con la divisa e vedrai che l’eccidio de Jarjayes sarà la molla che solleverà il popolo…. Ricorda che l’animale che ha assaggiato il sangue non può più farne a meno…. – e proruppe in una risata sgangherata.
All’udire queste parole, Oscar diventò di ghiaccio mentre André, dall’altro lato del fabbricato, iniziò a fremere, quasi perdendo la sua proverbiale lucidità.
– Ricordati che hai promesso – gli bisbigliò Alain, posando una mano su quella di lui, quasi a volerlo trattenere – Una sortita sarebbe un disastro sotto il profilo tattico, perderebbe noi e condannerebbe a morte lei.
Ho promesso! Ho promesso! Ho promesso! – si ripeteva mentalmente André, col volto pallido e gli occhi da pazzo mentre la febbre tornava a salirgli.
– Ricordati che hai promesso! – insistette Alain.
– Sì, Alain, ho promesso – sussurrò André, recuperando un’espressione normale.
D’un tratto, si udì una voce concitata:
– E’ evasa! E’ evasa!
– Cosa dicono quelli? – chiese, preoccupato, André.
– Non ho capito, ma noi diamocela a gambe – rispose Alain.
– Mi è piombata addosso dall’alto, mi ha tramortito e mi ha rinchiuso nella cella! – disse il carceriere ai compari.
Oscar, intanto, aveva lasciato il suo nascondiglio dietro al parapetto e cercava di fuggire, ma fu presto raggiunta e circondata da dieci uomini armati che la riportarono in cella.
– Ecco, adesso, non farete più acrobazie! – ghignò il carceriere, imprigionandole i polsi con delle robuste catene che terminavano in due grossi anelli assicurati al muro.
André e Alain, nel frattempo, fuggirono a rotta di collo e col fiato in gola dalla parte opposta, senza udire e vedere più nulla che non fosse la via di fuga. Nella mente di André, rimbombavano, come cannonate, le parole di Saint Just e sarebbe inciampato e rovinato al suolo, se Alain non lo avesse prontamente sorretto. Giunti davanti al passaggio segreto, Alain premette gli occhi del gargoyle, tirò la leva subito dopo e i due uomini sparirono dietro al muro scorrevole.
 
********
 
Il Generale de Jarjayes guardava i suoi interlocutori con espressione autorevole e decisa. Il dolore per il rapimento della figlia e l’incertezza sulle sorti di lei, infatti, avevano tolto sonno alle notti del vecchio gentiluomo e aggiunto anni alla fisionomia di lui, ma non ne avevano affatto scalfito il coraggio e la risolutezza. La mente dell’uomo, agile come quella di un giovane, elaborava e limava piani finalizzati all’irruzione nella fortezza e alla liberazione di Oscar.
– Colonnello de Girodel, quante sono le Guardie Reali disposte a unirsi alla missione?
– Dopo essermi consultato col Capitano de Valmy, ho deciso di rivelare l’esistenza del piano soltanto alle Guardie Reali la cui fedeltà è maggiormente comprovata. Sono circa cinquanta e tutte hanno accettato – rispose Girodel.
– Ho organizzato i turni in modo tale che, per dopodomani sera, quelle cinquanta Guardie siano libere dal servizio – aggiunse il Capitano de Valmy.
– Cinquanta Guardie Reali dovrebbero essere sufficienti – si inserì Alain – dato che il mio informatore mi ha riferito che, di guardia alla fortezza, ci sono soltanto venti uomini. D’accordo col Colonnello d’Agout, poi, per il giorno della spedizione, mi sono fatto assegnare il turno di notte da quelle parti e, così, potrete contare anche sul supporto esterno delle Guardie Metropolitane.
– Ammesso che le sentinelle a guardia della fortezza siano effettivamente soltanto venti, la nostra superiorità numerica non deve farci cadere nell’errore di prediligere lo scontro aperto – disse Sir Percy – La nostra è e resta un’irruzione notturna da condurre il più possibile in sordina, perché loro hanno l’ostaggio e noi no e nessuno impedirebbe a quegli sgherri di uccidere mia cugina, se le cose si dovessero mettere male.
A quelle parole, il Generale e André impallidirono.
– Sono d’accordo – disse, subito dopo e non senza apprensione, André – Tanto più che disponiamo della mappa procurataci da Alain che mostra i passaggi segreti e le vie più brevi per arrivare alla cella dove è rinchiusa Oscar.
– Quella mappa è attendibile? – domandò il Generale.
– Ritengo di sì – gli rispose il Conte di Fersen – Ho indagato negli Archivi Reali, messi a nostra disposizione da Sua Maestà e vi ho trovato delle altre cartine, risalenti all’epoca in cui la fortezza era ancora un carcere di massima sicurezza di proprietà dello Stato. Le maggiori differenze rispetto alla pianta attuale riguardano il piano nobile mentre i sotterranei, le segrete e le vie d’accesso sono rimasti identici.
– Bene! – esclamarono, all’unisono, il Generale e André.
– Propongo che ognuno di noi si prenda in carico un piccolo gruppo di Guardie Reali e faccia loro da guida – aggiunse il Conte di Canterbury – dato che noi conosciamo la mappa e loro no.
Gli astanti annuirono in segno di approvazione.
– Perfetto! – esclamò, con aria solenne, il Generale – Dichiaro costituita la nostra compagnia che non si scioglierà fino a che non avremo restituito a Oscar la libertà.
I presenti accolsero le parole del Generale con un’acclamazione.







Ed ecco costituita la Compagnia della Rosa Bianca!
Il Generale è Gandalf, Girodel è Legolas, André è Frodo e Alain è Boromir. La spia, ovviamente, chiunque essa sia, è Gollum. E, ora, cosa succederà?
   
 
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