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Autore: Krestal    29/11/2018    4 recensioni
Ha diciannove anni, sa controllare il tempo, ha la miccia corta e poca voglia di impegnarsi. Quando Valerie Jenkins arriva alla Yuuei per uno scambio scolastico, riesce subito a fare amicizia con Aizawa Shota, complice una comune passione per i gatti. Valerie sa bene che la prima volta che combatterà davanti ai suoi compagni potrebbe stabilire se diventerà la sfigata del corso o qualcuno da ammirare. Sarebbe proprio un peccato se combattesse contro chi può annullarle il quirk, vero?
Storia ambientata durante il terzo anno di Eraserhead/Aizawa Shota e Present Mic/Hizashi Yamada
Eraserhead/Aizawa Shota x OC
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Present Mic, Shōta Aizawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 7 - Come se gli altri non potessero capire

 

Valerie entrò nell’ufficio di Kobayashi ancora bagnata e con della schiuma addosso. “Prof, se è per quello che è successo durante la prima prova, io—”

“Siediti, Jenkins,” le disse l’uomo, facendole cenno verso la sedia. Il suo tono era gentile.

“Forse è meglio di no, sono sporca e bagnata,” obiettò Valerie.

“Per favore,” insistette lui. Valerie cedette.

Che cazzo avrò fatto di tanto grave?

“Tua nonna si è sentita male.”

Se fosse stata in piedi, sarebbe crollata a terra. “Cosa—”

“Sta bene. Le sue condizioni sono stabili. È svenuta durante una passeggiata e le si è rotto un femore. I tuoi genitori hanno telefonato alla scuola, pregandoci di dirtelo al termine delle lezioni, per non distrarti.”

“Che stronzi,” borbottò Valerie. “Avevo il diritto di saperlo subito.”

“Tua madre ha ripetuto più volte che ora sta bene. E che devi stare tranquilla.”

“Professore,” disse Valerie, con lo sguardo perso, “con tutto il rispetto, ma quanto può stare bene una novantacinquenne che da tre anni ha smesso di riconoscere perfino suo figlio?”

“Mi dispiace, Jenkins.” Kobayashi si era alzato in piedi e le aveva messo una mano sulla spalla. “I tuoi genitori hanno detto anche che ti sconsigliano di rinunciare a questa esperienza e tornare a casa. Tuo padre ha detto che sua mamma ti avrebbe voluta esattamente qui, in Giappone.”

Valerie annuì. Una parte di lei avrebbe voluto disperatamente tornare a casa e riabbracciare sua nonna. L’altra parte, però, sapeva che sarebbe stata una pessima idea sotto ogni punto di vista.

 

Valerie era salita in fondo all’autobus senza neanche cambiarsi. Si era messa la musica nelle orecchie e aveva iniziato a fissare fuori dal finestrino ancora prima che il mezzo partisse.

Nessuno l’aveva disturbata. Che fosse perché Kobayashi aveva accennato l’indispensabile o per l’espressione che Valerie aveva in faccia, era irrilevante.

Appena tornata alla Yuuei, era andata in camera e si era fatta una doccia bollente. Si era messa a letto ancora nuda e aveva dormito, anche se non era neppure ora di cena. Voleva solo smettere di pensare a tutta quella massa di emozioni negative che la opprimeva.

Quando riaprì gli occhi, era solo l’una di notte. Aveva sognato il funerale di sua nonna, si sentiva un peso sul petto come se fosse successo davvero. Sapeva che non sarebbe riuscita ad addormentarsi a breve.

Aveva voglia di parlare con qualcuno.

Mandò lo stesso messaggio a Nemuri e Hizashi, chiedendo se fossero svegli. Nessuna risposta.

Provò con un altro nome, stesso messaggio. Lui le rispose nel giro di un minuto.

 

AS: Dormivo, ma dimentico sempre la suoneria. Che succede?

 

Un minuscolo pezzetto di quel peso sul petto scivolò via.

 

VJ: Non sto molto bene. Ho anche fame.

 

AS: Mi dispiace. Che succede? Non hai niente in camera?

 

VJ: No, ho già esaurito tutte le mie scorte di junk food. Devo fare la spesa. Mi sento da schifo.

 

AS: Se vuoi ho delle patatine e un po’ di cioccolato, ma non saprei come portarteli. Non vorrei rischiare di essere visto da qualcuno, sai che di notte è vietato.

 

Forse era una pessima idea, ma era la migliore che aveva in quel momento. Gli rispose senza pensarci.

 

VJ: Potrei venire in camera tua bloccando il tempo. Sei sul mio stesso piano, no?

 

Quella volta, Aizawa ci mise un pochino di più per risponderle.

 

AS: L’ultimo, sì. Vieni pure. La porta è aperta. È la prima a destra, nel corridoio sulla destra.

 

Valerie indossò la biancheria intima e un imbarazzante pigiama con i gattini. Si mise davanti alla porta. “Stop.”

La aprì e corse più veloce che poteva. Per fortuna la stanza di Aizawa non era lontana. Aprì la porta e se la richiuse alle spalle, quindi fece play e riprese fiato. Aizawa era sdraiato su un fianco con il cellulare in mano. Trasalì.

“Non mi ero aspettato che facessi così in fretta,” le disse, tirandosi su. Parlava molto più piano del normale. “Non fare casino, o ci sentiranno tutti, anche se Mic è nella stanza accanto e non direbbe mai niente a nessuno.”

“Va bene,” rispose Valerie.

“Scusa per il disordine,” disse Aizawa grattandosi il collo. In effetti, c’erano vestiti, libri e altri oggetti sparsi in giro. Non c’erano poster, né oggetti inutili di alcun tipo, a differenza di tante altre camere. Sembrava che ci fossero solo gli oggetti indispensabili.

“Camera mia è molto peggio,” ribatté lei, spostando una maglietta dalla sedia della scrivania e sedendosi sopra.

Aizawa le porse un grosso pacco di patatine e mezza tavoletta di cioccolato. “Mangia quello che vuoi,” le disse.

“Se mi dici così rischi che ti finisca tutto,” gli disse. Saltare la cena era stata una pessima idea.

Aizawa fece spallucce. “Fallo. Domani le ricompro.” Sembrava più assonnato del solito. Si sedette sul futon. Sbadigliò e le chiese: “Allora, che è successo?”

Valerie buttò giù qualche patatina. “Mia nonna si è sentita male,” disse. “Ora pare che sia stabile, ma comunque è anziana, non riconosce nessuno di noi, e…” Lasciò la frase in sospeso, scuotendo la testa.

“Mi dispiace molto. È la nonna che ti ha insegnato il giapponese?”

“Sì. È l’unica nonna che mi è rimasta.” Cazzo, quanto erano buone quelle patatine. “Da una parte vorrei tornare e starle accanto, ma so che non ha senso. So che lei mi avrebbe voluta qui. Da una parte, però, mi sento un’egoista schifosa. A te è mai capitato niente di simile?”

Aizawa aveva lo sguardo malinconico. “L’anno scorso ho perso mia mamma.”

Valerie si bloccò. “Oddio. Mi dispiace tanto.”

“Già,” mormorò lui. Poi le sorrise. “Non smettere di mangiare per colpa mia.”

Valerie annuì, intenerita, e si ficcò delle patatine in bocca.

“Negli ultimi suoi mesi di vita, passavo la vita a studiare in ospedale. Lei leggeva, o si faceva sottoporre a qualche trattamento, e io ero lì con lei a studiare. Era il mio modo per sentirmi meglio, sentivo di avere uno scopo.” Sospirò. “Forse è stupido.”

“Non esiste un modo stupido per reagire nel vedere che qualcuno che si amiamo si sta spegnendo,” disse Valerie, senza pensarci. “Non dire neanche per un secondo che è stupido.”

Le sorrise. Aveva gli occhi lucidi. “Ci proverò.”

Valerie continuava a mangiare e parlare tra un boccone e l’altro. “Non so mai come comportarmi, in questi casi. Mi sento impotente, mi sembra di dire solo cazzate. Ma una cosa posso dirla, se vuoi parlare con qualcuno… Beh, io sono qui.”

“Non è una cosa di cui sono abituato a parlare,” le disse. “Mi sento sempre come se gli altri non potessero capire. Anche con Mic ne ho parlato pochissimo.” Scosse la testa. “Scusa, si stava parlando di te, non di me.”

Valerie mangiò ancora qualche patatina, quindi richiuse il pacco alla bene e meglio e prese il cioccolato. “Non è obbligatorio parlarne, ma io mi sento sempre come se gli altri riuscissero a portare un pochino di quel peso insieme a me, quando lo faccio. Se non vuoi farlo, va bene così. Ma ti prego, non ti far scrupoli solo perché il discorso è iniziato parlando di me.”

Le sorrise ancora una volta. Una lacrima gli rigò il volto. “Sei gentile. Grazie.”

Valerie scrollò le spalle, mentre mangiava un altro quadretto di cioccolato. “Mi sembra il minimo.”

“Mi puoi dare un pezzo di cioccolato?” Le chiese.

Valerie si alzò e andò a sedersi sul futon accanto a lui, quindi gliene fece staccare un pezzo. “Sicuro che lo posso finire?”

Lui annuì. “Ne hai più bisogno di me.”

“I miei fianchi, le mie cosce e tutto il resto dicono il contrario.”

Aizawa la guardò come per dire qualcosa, ma alla fine si limitò a: “Intendevo dire che non hai cenato.”

Valerie buttò giù anche l’ultimo quadratino, quindi si alzò per gettare nel bidone l’incarto del cioccolato, quindi andò in bagno a lavarsi le mani. Quando fu tornata, si buttò a pancia in giù sul letto di Aizawa, visto che lui era seduto sul bordo.

“Quanto al discorso di prima,” esordì lui, “Non ti sentire in colpa solo perché non stai reagendo come tutti si aspetterebbero. L’importante è che stia bene tu.”

Valerie annuì, con la faccia affondata nel suo cuscino. Gli occhi stavano cominciando a farsi pesanti. “Comunque, per quanto riguarda quello che ti ho detto oggi…” Valerie lasciò la frase in sospeso.

“Quale cosa?”

“Sul mio orientamento sessuale,” rispose lei, con lo sguardo fisso sul cuscino. “Non è un problema, quindi, vero?”

“Non vedo perché dovrebbe esserlo.” Aizawa si portò una mano dietro al collo. “Certo, forse dovrei dirti che da quanto ne so Nemuri è etero, ma…”

“Cosa?” Urlò Valerie, interrompendolo. “Nemuri è bellissima, e fisicamente mi attrae un sacco, ma…” Ma temo di avere una cotta per qualcun altro. “Ma siamo troppo amiche perché io possa desiderare qualcosa di diverso.”

Aizawa sgranò gli occhi. “Oh. Immagino che abbia senso.” Per un attimo a Valerie parve di vederlo sorridere, poi tornò ad avere un’espressione neutra e illeggibile. “Comunque, come già detto, nessun problema.”

Valerie sorrise e affondò la faccia nel cuscino. “Mi sento un po’ più tranquilla, adesso.” Talmente tranquilla che sentiva di essere sul punto di addormentarsi lì e ora.

Aizawa le sorrise, poi si girò. “Vado un attimo a lavarmi i denti. Torno subito.”

 

Il modo in cui si era sviluppata quella serata era stato assurdo. Shota non si sarebbe mai aspettato nulla del genere, pensò mentre si lavava i denti.

Eppure, in qualche modo, stava meglio di prima.

Uscendo dal bagno, la trovò ancora lì nella stessa posizione, a pancia in giù con le braccia sotto al cuscino. Però, a differenza di prima, russava.

Shota sorrise. Era infinitamente tenera. Si trattava di un lato di lei che non aveva potuto vedere fino ad allora.

Avrebbe potuto svegliarla, ma si sentiva troppo in colpa. Valutò se stendersi accanto a lei, ma non ci sarebbe stato lo spazio. Con un sospiro, realizzò che era arrivato il momento di utilizzare per la prima volta l’ultimo regalo di sua mamma.

Glielo aveva preso quando aveva avuto in programma di andare in campeggio con Hizashi e altri compagni di scuola. In campeggio, però, non c’era mai andato, perché sua madre era morta pochi giorni prima.

Con una piacevole malinconia nel cuore, srotolò il sacco a pelo giallo. Non aveva idea di quando avrebbe potuto riutilizzare un oggetto del genere, ma per quella notte avrebbe dormito lì.

 

Spazio dell’autrice:

 

Come vi avevo anticipato, in questo capitolo c’era una delle mie scene preferite… L’ultima. Mi piace l’idea di dare un significato a quel sacco a pelo giallo che Aizawa si porta sempre dietro nella serie, e non è stato neppure particolarmente ragionato o pianificato: mi è venuto così e basta.

I due si stanno finalmente avvicinando un po’, mettendo da parte le difficoltà iniziali. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, se vi va lasciate un commento <3

April

   
 
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