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Autore: Colarose    02/12/2018    3 recensioni
Quando si perde tutto, non si fa che rimproverarsi di non aver fatto di più per non perdere quel tutto.
E Harry ha perso tutto.
Ma gli verrà data un seconda possibilità.
Un viaggio nel tempo, 27 anni indietro nel passato.
Prima che Voldemort seminasse terrore, prima della Prima Guerra Magica, prima dei Mangiamorte e prima della fondazione dell’Ordine della Fenice.
Prima di quel 31 ottobre, prima di quell’esplosione.
Prima dei Malandrini.
Una nuova responsabilità si fa carico sulle spalle di Harry: vincere la Prima Guerra, prima che ce ne sia anche una seconda.
Ma ci sarà un piccolo imprevisto.
**********
Siete pronti per la lettura?
Ma soprattutto, siete pronti per la storia del quinto Malandrino?
Genere: Comico, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Potter, I Malandrini, Lily Evans, Marlene McKinnon, Mary MacDonald | Coppie: James/Lily
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica, Contesto generale/vago
Capitoli:
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Cinque minuti prima di dividerci

Peter non era sicuro che la situazione gli piacesse. Eppure James sembrava trovare il tutto molto divertente: il suo soffocare le risate per poco non lo faceva cadere a terra, mentre correva.

Peter era consapevole che, al posto suo, sarebbe già caduto da tempo. Ma al contempo, era anche consapevole che non avrebbe mai riso mentre scappava da Gazza e da quel diavolo che lo accompagnava sempre: Mrs Purr.

Perfino Sirius ghignava, ma non rideva insieme a James, ultimamente non era stato molto su di morale. Remus, davanti a lui (Peter), imprecava e li insultava, incolpandoli di averlo trascinato nell’ennesima marachella, dicendo che erano degli irresponsabili e altre cose che aveva detto per la duecentesima volta.

Ma, a meno che la sua memoria non lo ingannasse, il biondino si ricordava perfettamente lo sguardo esaltato di Remus mentre organizzavano il piano. E non gli pareva l’avessero costretto.

Naturalmente, addirittura Remus- povero licantropo che cercava ancora (invano) di seguire le regole imposte dalla scuola- non aveva resistito alla tentazione di veder Gazza strillare, inseguito da tre serpenti finti, che sembravano seguirlo in ogni suo movimento.

Si erano divertiti un mondo a godersi lo spettacolo! Vedere lo scontroso custode che scappava, completamente bianco in volto e impanicato, aveva fatto nascere in loro una grande soddisfazione: tutte quelle volte in cui li aveva puniti, inseguiti e guastato i loro piani, erano state vendicate!

Il tutto si era complicato quando Mrs Purr – coraggiosa gatta quando si tratta del padrone, ma codarda quando si tratta d’altri – era intervenuta, inseguendo a sua volta i serpenti (la cosa era diventata ancor più comica, ci mancava solo un cane e il quadro sarebbe stato perfetto). Sfortunatamente ne aveva morso uno, facendo affondare i suoi denti nella plastica. Poco ci era voluto perché Mrs Purr informasse Gazza (attraverso miagolii furiosi che solo lui capiva).

Nel mentre, avevano già preso a correre, prima che il custode li riconoscesse.

Ora si trovavano in giro per i corridoi, scansando studenti che li guardavano sconcertati, svoltando per i corridoi ed evitando con agilità porte finte. Gazza era da qualche parte, ma Peter sentiva, quasi fosse in un film horror (ma Peter sapeva a malapena cosa fosse un film, quindi non fece neanche il paragone), i passi veloci e che si facevano sempre più vicini, e sarebbe sbiancato se non avesse avuto le guance rosse per l’affaticamento.

Harry era davanti lui, all’inizio l’aveva scambiato per James. Era davvero deprimente il fatto che da dietro non riuscisse ancora a distinguerli, dopo tre anni.

I passi più vicini, più vicini. Se solo James avesse smesso di ridere maledizione!

Peter guardò indietro, e vide Gazza spuntare dietro un angolo con la faccia indemoniata.

Perché, Peter? Perché hai guardato indietro?

Harry scese velocemente e con agilità le scale, evitando il secondo gradino a trabocchetto (scompariva). Evidentemente nessuno, a parte Peter, si era accorto che Gazza li avesse visti perfettamente e che ormai, li avesse riconosciuti. Di questo passo, non valeva nemmeno la pena lottare.

Gli occhi di Peter puntati indietro, verso Gazza, furono fatali per il nostro futuro topo più odiato. O, più nello specifico, lo furono per Remus.

O per entrambi.

Ma questo non è importante, perché Peter inciampò al secondo gradino e per poco non fece il volo di una Fenice (mi correggo, lo fece eccome).

«AAAAAH!» urlò, al momento non fece neanche caso al pezzettino di foglia che cadeva inesorabilmente (più che comprensibile, di certo in punto di morte non si pensa a questo).

Harry e Remus si voltarono di scatto, e gli altri si fermarono.

Peter si era già preparato al duro impatto con la pietra, ma, con sua grande sorpresa, cadde sul morbido, quel morbido che caratterizza quei soffici cuscini su cui ci passeresti la vita intera. Tenne gli occhi chiusi per un istante, strizzati fino all’inverosimile, poi, lentamente, li aprì.

No, non era su un enorme cuscino, ma sulle scale, che erano ritornate dure. Cacciò la testa dalle braccia e si guardò intorno, notando vari studenti osservarlo sollevati (alcuni cupi. Evidentemente avevano desiderato che morisse). Guardò i suoi amici, che sembravano aver ripreso fiato, James aveva ancora la mano poggiata sul manico della bacchetta nella tasca, nel gesto di tirarla fuori (dietro di loro c’era Gazza, e anche lui non sembrava molto contento della sua salvezza).

Ma Harry, com’era facilmente intuibile, era stato più veloce, e lo guardava ancora con la bacchetta sguainata.

«Beh, che avete da guardare? Filate altrimenti domani mattina vi troverete con delle aragoste nelle mutande!» sbottò Sirius infastidito, alla folla di studenti. Questi si dispersero rapidamente, quasi come se fosse stata la McGranitt a ordinarglielo.

«Peter, stai bene?» gli sussurrò Remus, precipitatosi accanto a lui.

Peter stava per annuire, dire che si sentiva ancora scosso per lo spavento, ma tutto sommato stava bene.

Poi la vide.

Oh no, maledetta.

«No, no, non sto bene» disse Peter con una voce stridula, osservando con occhi spalancati la fogliolina a terra, sul quarto gradino. «No, non sto bene! Non di nuovo! No…»

Remus lo osservava con uno sguardo interrogativo, poi seguì la direzione dei suoi occhi. Sospirò e gli diede delle pacche di conforto sulla spalla.

«Non sei obbligato a farlo, Pete…» probabilmente era anche in procinto di cullarlo, quando Peter scosse violentemente la testa.

«Lo faccio, lo faccio» mormorò testardamente.

«Bene, bene» giunse la malevola voce di Gazza, che accarezzava teneramente Mrs Purr, appollaiata fra le sue braccia. «Nel mio ufficio» sibilò.

 
I cinque seguirono sia sollevati, che sconfitti, il custode che li portava nel suo squallido e puzzolente ufficio.

«Grazie, Harry» sussurrò Peter, ricevendo per risposta, una semplice scrollata di spalle.



«Ero sicuro fosse qui!» insistette James, osservando torvo il muro.

«Sarà scomparsa, James, come ci hai detto tu» disse Sirius sospirando, stranamente non partecipando alla missione di James: cercare di far comparire quell’enorme porta.

«Tra cinque minuti Harry verrà a cercarci…» intervenne Peter, guardandosi intorno.

Remus non sapeva se Sirius non partecipasse perché giudicava il tutto ridicolo (James era arrivato a supplicare la porta di comparire prima, in modo disperato) o perché semplicemente non aveva voglia. Questo, comunque, non spiegava perché lo guardasse in continuazione, quasi aspettandosi che intervenisse svelando il trucchetto, dettogli da Gesù Cristo in persona.

Ma Harry non era sicuramente Gesù Cristo, e altrettanto sicuramente Remus non avrebbe aperto bocca, benché James gli facesse pietà.

Remus notò qualcosa di innaturale: la voce di James non si sentiva più. Il corvino osservava corrucciato il muro, cercando di trovare una soluzione.

«Non possiamo andare in un aula vu-» iniziò svogliatamente Sirius.

«Shhh» lo zittì immediatamente James, guadagnandosi uno sguardo offeso da Sirius, a cui però non diede conto. «Cosa pensavi mentre correvamo?» gli chiese poi.

Sirius quasi assunse una faccia indignata quando comprese che, dopo averlo zittito senza il minimo riguardo, gli chiedesse anche il suo aiuto come se non fosse successo niente. Ma si era tra migliori amici, e queste cose si perdonano, anche se uno dei due era già arrabbiato di suo.

«Pensavo solo a trovare un posto dove parlare, tutto qui.» rispose.

Seguì un minuto di silenzio, e Remus guardò distrattamente l’orologio.

Quattro minuti.

James parve giungere a un’illuminazione «Ma certo!» esclamò, poi chiuse gli occhi e corrugò la fronte.

Sicuramente la comparsa della porta era collegata alle proprie volontà! Si ricordava benissimo che in quel momento non c’era altro pensiero nella sua testa.

Dopo un po’, sotto gli sguardi preoccupati di tutti, Sirius decise di accertarsi della salute del compagno: «Ehm… stai bene, James?»

Questo fece riaprire gli occhi al corvino, che guardò deluso il muro vuoto.

Tre minuti.

«Fratello, devi aiutarmi! Sono sicuro che la porta compare per la nostra volontà, perché non compare? Sto pensando che voglio una stanza dove parlare!»

Sirius lo guardò scetticamente «Forse non compare perché non compare così…?» chiese lentamente.

Il Black stava ancora a chiedersi il perché James si fosse tanto intestardito su quella stanza. Certo, era interessante, a Sirius sarebbe piaciuto scoprirne di più e indagarci sopra, ma poiché tra pochi minuti Harry sarebbe venuto a cercarli, credeva fermamente che questo non fosse decisamente il momento adatto per crucciarsi su quell’enorme porta. Se James gli avesse dato ascolto, ora sarebbero già a parlare in un aula vuota nei meandri del castello.

«Forse devi pensarlo più intensamente!» suggerì Peter frettolosamente, guardando dietro di lui.

«La sto pensando intensamente!» sbottò Jamie, spazientito.

Due minuti.

Remus guardò speranzoso l’orologio (Forse sarebbe riuscito ad evitare la riunione! Forza, Harry, liberati dell’ “Appiccicati Tutto!”)

Agli occhi costantemente indagatori di Sirius, non sfuggì neanche una singola emozione negli occhi di Remus.

«Che facciamo, Peter?» chiese James disperato al biondino, poiché sembrava l’unico che lo considerasse. Peter si aspettava quasi di veder Harry svoltare l’angolo e osservarli come una belva, pronto a scannarli.

No no, Harry arrabbiato non lo voleva proprio vedere.

«Come mi ha salvato, può uccidermi!» pensò, e probabilmente era troppo melodrammatico, perché Harry era una brava persona, non avrebbe mai ucciso i suoi amici! Però sembrava che lo spirito di Sirius avesse lasciato temporaneamente il corpo di quest’ultimo e fosse entrato in Peter.

Intanto James continuava a fissare intensamente il muro

Un minuto.

«Pensa più intensamente!» lo
incoraggiò Peter.

«Lo sto facendo!»
Peter azionò meglio che poté il suo cervello, e gli venne una banale soluzione. Era qualcosa di stupido, molto stupido, e Peter si chiese come gli fosse venuta in mente una cosa del genere.

«Cammina avanti e indietro!» suggerì, e allo sguardo interrogativo di James, aggiunse: «Aiuta a pensare meglio!»

Remus guardava ossessivamente l’orologio, la lancetta che si spostava, lentamente, con esasperante lentezza.

James seguì il suo consiglio, quasi riluttante, e prese a camminare avanti e indietro, con gli occhi chiusi.

Remus sembrava estremamente terrorizzato, mentre guardava James camminare avanti e indietro, avanti e indietro, avanti e indietro…

Come aveva fatto Harry…

«È comparsa!» strillò Peter, facendo aprire di scatto gli occhi a James.

Corsero all’interno, e chiusero la porta alle loro spalle.

Remus si appoggiò su di essa, osservando l’orologio. La lancetta dei minuti si fermò sul sei e sospirò.

L’Appiccicati Tutto si era sciolto, ed era all’interno della Stanza delle Necessità.

Sfortunatamente.


*


«È a dir poco disgustoso!» esclamò Marlene schifata, mentre aiutava Harry a togliersi un liquido bianco melmoso che colava dalla manica del maglione.

Harry fece una smorfia, staccando un filo di quella sostanza che se ne stava tranquillamente sulla sua guancia. Avevano provato a pulirsi con un colpo di bacchetta, ma quella maledetta melma non si era tolta: sembrava incollarsi a tutto. Molti residui, come macchie enormi, si erano tolte, dato che ad un tratto il liquido si era fatto molto molle, ma certe macchie (testarde!) si ostinavano a rimanere lì dove stavano.

Harry si vergognò immensamente quando si ricordò come se le fosse procurate.

Quella melma di un bianco vomitevole gli aveva appiccicato i piedi al suolo, e aveva cercato di staccarsi, facendo forza e abbassandosi sempre più verso destra. Tanto le sue scarpe erano incollate al pavimento, che quasi Harry pensò di essere capace di piegare il corpo in modo dritto e tenere comunque le scarpe appoggiate al suolo,  mantenendo la posizione. Ma i suoi piedi non erano strettamente vicini, e anche se fosse, non lo avrebbe fatto; non era sicuramente Michael Jackson e non ci teneva a rompersi un osso.

Dopo due minuti, Harry si era già arreso al fatto che i suoi carissimi amici, dopo essere scappati come antilopi quando Sirius aveva casualmente versato un barattolo dal contenuto misterioso a terra, casualmente sulle scarpe di Harry, non sarebbero tornati per un bel po’ perché a quel punto, sicuramente, si erano già rinchiusi nella Stanza delle Necessità (intanto, contava di non aiutare Sirius a salvarsi dalla furia di Remus la mattina).

Sta di fatto che, all’ennesima spinta, la melma si era fatta improvvisamente più molle ed era scivolato, cadendo maldestramente a terra (Harry ringraziò il fatto che avesse la bocca chiusa, mentre cadeva). Ma Harry non si sarebbe vergognato così tanto se al momento della figuraccia ci fosse stato solo lui, ma il destino volle che in quel momento passasse Marlene. E oltre ad aver assistito alla sua caduta, si era beccata degli schizzi di melma, la poveretta.

Harry ringraziò anche il fatto che l’amica avesse ricevuto pochi schizzi e che, quei pochi schizzi, se ne fossero andati facilmente. Anche il fatto che Marlene lo stesse aiutando, e non se ne fosse andata, poiché tra poco scattava anche il Coprifuoco, era qualcosa che Harry teneva molto in considerazione.

Dopo pochi minuti, Marlene e Harry potevano dire, con sollievo, che quest’ultimo non tenesse più tanta melma addosso. Ce ne aveva ancora un po’, ma non abbastanza da farsi notare e farlo sembrare appena uscito dal naso di un enorme Gigante (sì, perché per quanto il paragone sia disgustoso, l’Appiccicati Tutto sembrava proprio del muco).

Marlene diede distrattamente dei piccoli schiaffetti sui vestiti del corvino, giusto per cercare ancora di togliere le gocce secche. Gli aggiustò anche la cravatta, perché, per quanto considerasse il suo Harry  bello sempre e comunque, non voleva farlo sembrare ancora più trasandato di quanto già non fosse.

I capelli già erano abbastanza, grazie.

«Ehm, M-Marlene?» borbottò Harry imbarazzato. Le guance di Lene arrossirono leggermente, ma lei cercò di fare come se nulla fosse.

«Sembravi appena uscito da una centrifuga» si giustificò allontanandosi, ed Harry evitò di chiedergli come sapesse l’esatta funzione di una centrifuga.

«Non c’è alcun modo per togliere la melma da lì?» chiese Marlene, osservando il pavimento, dove un'enorme pozzanghera bianca se ne stava comodamente sopra.

Gazza non ne sarebbe sicuramente stato contento.

«Finchè non sanno chi è stato, stiamo a posto» la rassicurò Harry, e si incamminarono verso la Sala Comune.

Il corvino osservò i capelli di Marlene, notando uno schizzo di melma. Alzò la mano e cercò di toglierlo.

«Che f-fai?» chiese quest’ultima, mentre il viso raggiungeva le tonalità di un pomodoro maturo (Sì, di questo passo a un piccolo abbraccio sarebbe svenuta!).

«Avevi uno schizzo nei capelli» rispose Harry, togliendo la mano dai capelli, poi glieli scompigliò con un sorrisetto beffardo.

La biondina non sapeva se sciogliersi o dargli uno schiaffo.

Poi gli lanciò un’occhiata letale, mentre si passava frettolosamente le mani fra i capelli, lisciandoli e cercando di renderli il più presentabili possibili «Se non fossi tu, Harry, saresti già morto stecchito. Provaci ancora e lo sarai per davvero.» sibilò lei.

Harry la osservò con gli occhi spalancati «Ricevuto» assicurò.

Marlene annuì soddisfatta, poi guardò con la coda dell’occhio le mani di Harry, ricordando quando gliele aveva passate fra i capelli.

Fece finta di notare qualcosa, mentre si lisciava i capelli dietro la testa «Sai che forse c’è un altro schizzo?»


*


«Sì, si impara al primo anno, ma l’incantesimo era Non-Verbale» fece notare James.

«Niente di nuovo, quindi» sussurrò sconsolato Peter. Harry aveva fatto incantesimi Non-Verbali numerose volte, anche prima che iniziassero a sospettare, si ritornava a un punto morto, alla fine.

«Mi spiegate perché abbiamo indetto una riunione quando non c’è niente da dire?» domandò Remus, infastidito, con le braccia incrociate e il dito che picchiettava in continuazione sul braccio, rendendo anche solo la vista snervante.

«Magari qualcosa ci è sfuggito, perché tutto sembra normale! È da tre giorni che è così!» insistette James, passandosi una mano fra i capelli. «Se solo sapessimo qualcosina in più…» mormorò.

Gettò un’occhiata al suo migliore amico, che fissava testardamente il tappeto, la guancia poggiata su una mano. Sembrava quasi assente, o nel tentativo di non esplodere. Il motivo, a James, non era ancora stato detto, ma era sicuro che fosse qualcosa che riguardava l’unica persona del gruppo che non aveva motivo di diventare un Animagus.

«Perché non lo chiediamo a Remus?» sbottò Sirius, alzando di scatto lo sguardo e guardando Remus con aperta sfida.

Remus sentì il suo cuore fermarsi per un nano secondo, per poi prendere a battere furiosamente. Gli altri due guardavano il Black in modo interrogativo, ma per lo sguardo di Sirius, sembrava esistere solo lui.

«Cosa ti prende?» chiese Remus, cercando di ergere una debole barriera, perché già se lo sentiva:
Era spacciato.

Gli occhi grigi di Sirius si scurirono ancor di più, assottigliandosi pericolosamente. Se c’era un cosa che Sirius non tollerava era il tradimento. E forse qualcuno gli avrebbe detto che stava esagerando, ma il doppiogioco al Black non era mai piaciuto molto tra amici, o si mettevano subito in chiaro le cose, o niente. E si dia il caso, che secondo le sue più che logiche deduzioni, Remus stava facendo il doppiogioco.

A favore di Harry.

«L’altro giorno» iniziò lentamente «Sei tornato dalla biblioteca e ci hai detto che Harry era rimasto lì. Peccato che, dopo pochi minuti da quel momento, abbia visto Harry uscire dall’ufficio del Preside…»

Remus sbiancò.

«Dimmi tu cosa devo pensare.» concluse con la voce tagliante come una lama, una leggera ironia nelle sue parole.

Il licantropo deglutì, andando alla ricerca disperata di una scusa. Ma era talmente agitato che non era per niente facile trovarne una che facesse conciliare tutto.

«Ho mentito» ammise «Ma non ne so niente! Se n’è andato prima di me, e mi ha pregato di dirvi che era rimasto in biblioteca!» inventò, anche se consapevole dell’inutilità di quella farsa.

La speranza è l’ultima a morire…

In questo caso la speranza degli stupidi, però. La cosa brutta è che non sapeva come tirarsene fuori, perché non poteva dire agli altri i reali motivi che lo spingevano a far questo. Non poteva dire loro che si trattava di qualcosa di delicato e pericoloso, in cui c’era finito di mezzo senza che neanche Harry volesse. Per di più sapeva solo le informazioni più superficiali, in fondo, neanche lui conosceva bene Harry, e dubitava ci sarebbe mai riuscito. E naturalmente, non dirglielo e negare tutto, non faceva che peggiorare le cose.

Remus ne ebbe l’ulteriore conferma quando vide la bocca di Sirius essere in procinto di ringhiare. Quasi si chiese del perché, incazzato nero, il Black non avesse ancora buttato la foglia nel water, tirando lo sciacquone.

«E ti aspetti che ti creda?» ringhiò infatti Sirius «Guarda, vedendola sotto la mia prospettiva, tutto ha più senso! Può essere mai che proprio tu non avessi mai sospettato di Harry prima di noi? Sì, proprio tu, così attento ai dettagli di ciò che ti circonda! L’hai messo alla strette e… da quel momento ci nascondi anche tu qualcosa!» sputò poi.

Le bianche e candide nuvole del cielo di primavera avevano solo da invidiare la pelle di Remus, in quel momento.

Quest’ultimo non era sicuro del fatto che la capacità di Sirius di indovinare eventi di cui teoricamente non avrebbe dovuto saperne niente fosse dovuto ai suoi innati viaggi mentali, forse da babbano lo sceneggiatore sarebbe stata la sua carriera ideale.

Però, quel che stupiva Remus - facendogli chiedere se avesse conservato la propria sanità mentale- era che pensasse a una probabile carriera babbana adatta a Sirius in un momento del genere, quando invece di viaggi mentali se li sarebbe dovuti fare lui, per inventarsi una scusa decente!

Gli occhi di Peter e James erano puntati su di lui, e quest’ultimo già sembrava essere dalla parte di Sirius.

Ovviamente.

Non che poi Remus si stupisse, era più che legittimo e logico schierarsi dalla parte di Sirius, ma era consapevole che James sarebbe stato sempre stato dalla parte di Sirius, in qualunque caso, a eccezione di quelli estremamente speciali.

Gli parve di aver le parole bloccate in gola, quando vide perfino Peter guardarlo con diffidenza. Involontariamente, senza neanche accorgersene, aprì e chiuse la bocca senza cacciar fuori neanche una sillaba.

Senza accorgersene, c’è da specificare, perché se Remus lo avesse fatto accorgendosene, avrebbe immediatamente smesso, poichè sembrava più un atteggiamento di un colpevole che di una persona innocente.

«Quando hai intenzione di sputare il rospo?»

Remus sembrò risvegliarsi da uno stato catatonico, osservando dritto negli occhi Sirius, sentendo un improvviso fastidio montare in sè «Hai la minima idea di cosa mi stai chiedendo di fare?» chiese.

Black annuì, assumendo un’espressione quasi derisoria: «Di sputare il rospo» ripeté sarcastico.

«Mi stai chiedendo di scegliere!» esclamò Remus, stringendo i pugni. Seguì il silenzio. «Harry si è fidato di me, quando avrebbe potuto benissimo farmi dimenticare tutto!»

Sirius si morse il labbro, guardandolo indeciso. «Allora scegli» sussurrò, ritrovando l’ardore di prima.

Remus lo osservò sorpreso, aprendo e chiudendo i pugni. Abbassò lo sguardo, non parlando.

Sirius lo osservava assottigliando le labbra, non proprio sicuro di quel che stava facendo. Allo stesso tempo, James non credeva fosse il modo migliore per risolvere le cose, ma ogni qual volta cercava di incrociare lo sguardo di Sirius, questi lo evitava.

Sirius quasi sentiva un piccola speranza nascere in lui, e no, non era solo perché voleva sapere del segreto di Harry, ma anche perché voleva continuare a parlare con il Licantropo, anche a costo di sentire i suoi noiosi rimproveri e raccomandazioni.

Remus si alzò di scatto.

«Che fai?» domandò immediatamente Peter, guardandolo timoroso, mentre Sirius osservava con attenzione, e con un pizzico di incredulità, Lupin in piedi, che li guardava a malapena.

Remus scrollò le spalle, dirigendosi verso la porta «Ho scelto» rispose, e uscì dalla stanza.

Inutile dire, che fu abbastanza ovvio chi avesse scelto.


*


Harry sapeva che prima o poi si sarebbe giunti a questo punto, e non capì perché averlo saputo da Remus lo avesse turbato così tanto. Forse perché tutto era stato improvviso, senza che ce ne fossero veri e propri segni prima che succedesse.

Se ce n’erano stati, Harry non li aveva notati.

Già dal momento in cui Remus era tornato in Sala Comune, aveva capito che qualcosa non andava. Remus si era ostinato a non guardarlo dritto in faccia, ma era evidente che fosse distrutto e logorato dai sensi di colpa.

Harry avrebbe preferito, fin dall’inizio, che l’unico a finirci di mezzo fosse lui stesso. Senza trascinarci Remus, solo lui contro gli altri. Per quanto apprezzasse il fatto di avere qualcuno al proprio fianco, che lo sostenesse nonostante questo comportasse liti con i propri amici, vedere Remus così di malumore non gli piaceva. Non aveva idea di cosa Remus avesse pensato nel momento in cui Sirius gli aveva chiesto di scegliere, ma era sicuro che tra i suoi pensieri di amicizia, ci fosse finito di mezzo anche il “giusto” e lo “sbagliato”.

Secondo Harry, ormai, in questa situazione, il “giusto” e lo “sbagliato” si confondevano e si scambiavano di ruolo. Era giusto non tradire colui che ti ha donato fiducia, ma è sbagliato mentire ai propri amici. È sbagliato non permettere al resto del gruppo (tanto unito) di non conoscere per davvero uno dei componenti, ma è giusto non coinvolgere troppo gli altri.

Comunque, più passavano i giorni, più Harry si sentiva legato a Remus rispetto agli altri, e non sapeva se questo derivasse unicamente dal fatto che il licantropo lo conoscesse meglio.

Benché né lui né Remus rivolgessero una sola parola a Peter, James e Sirius, Remus aveva notato che il Black mangiava ancora con attenzione il cibo, che fosse ancora attento a tenere la bocca serrata quando non parlava, che si lavasse ancora i denti con esasperante lentezza, costringendosi ad alzarsi, insieme a Harry, cinque minuti prima degli altri, solo per cercare di non fare più ritardo di quanto già non facesse a lavare i denti.

Questo significava che Sirius non aveva alcuna intenzione di buttare la foglia al vento, e chi s’è visto s’è visto. C’era ancora una possibilità di chiarire, alla fine.

E Remus sperava che avvenisse il più presto possibile.

Anche se, per loro, e per tutti, una divisione del genere tra Malandrini non s’era mai vista. Non era – per niente – quella che era avvenuta dei primi di Settembre, in cui, nonostante si parlassero a malapena, camminavano comunque insieme per i corridoi, si sedevano vicini e passavano il tempo insieme. Questa invece, era molto più evidente. Dove erano seduti James, Sirius e Peter in Sala Grande, sette posti più lontano c’erano Remus e Harry, questi ultimi non si sedevano più in fondo all’aula insieme agli altri, né camminavano per i corridoi insieme agli altri tre, formando i Malandrini al completo.

James avrebbe giurato che addirittura la Evans fosse dispiaciuta per la situazione, ma forse se l’era solo immaginato.

Naturalmente, nessuno a Hogwarts sa farsi i fatti suoi, quindi si diedero via alle più strampalate teorie. C’è chi diceva che Harry e James avessero litigato, perché entrambi innamorati di Lily Evans, e che Remus invece era dalla parte di Harry perché credeva che lui e Lily fossero una coppia perfetta. Altri ancora dicevano che era perché durante una litigata (“di cui motivi sconosciuti” sì, dissero proprio così, evidentemente non avevano abbastanza inventiva per inventarsi un motivo) che coinvolgeva Remus, Harry, Black, Minus e Potter, i primi due avevano insultato il padre defunto di James, e quindi, come risultato, si erano divisi.

Quando James sentì questa assurda teoria sussurrata, si trattenne da lanciare schiantesimi e fatture, ma il suo sguardo inquietante bastò a far zittire un gruppetto del secondo anno.

Se Remus sembrava a disagio, sapendo di tutti i pettegolezzi negativi che gli giravano attorno (un'altra fantasiosa teoria riguardava un amore segreto di Remus verso la bella Marlene McKinninon; segreto perché James aveva confessato da tempo di essere innamorato della biondina, e che usasse la Evans per farla ingelosire. Successivamente, Remus, non potendone più, aveva confessato la sua sbandata verso la fanciulla di James, e a quel punto, erano volate parolacce. Harry era rimasto dalla parte di Remus per puro spirito di amicizia nei suoi confronti), Harry sembrava farseli scivolare addosso con estrema indifferenza e apatia, e il licantropo ebbe l’impressione che perfino nel suo tempo Harry Potter non fosse stato un comune e semplice studente. Ma questo era facilmente intuibile, era il futuro figlio di James!

Però Harry sembrava più abituato alle dicerie negative, piuttosto che quelle positive.

La mattina del 7 Ottobre (era quasi giunta la fine di quell’infernale settimana!), Harry si svegliò alle otto e mezza di mattina, e si vestì silenziosamente. Quando fu pronto, uscì dal dormitorio, dopo aver guardato brevemente i volti dei suoi compagni.

Il castello era totalmente silenzioso, solo alcuni mattinieri erano in giro, ed Harry giudicò il silenzio pacifico e rilassante.

Non poté evitare di sentirsi ansioso, quando gli tornò il mente il perché si fosse svegliato in orario così inusuale per lui. Sperava che gli avvertimenti dati a Silente bastassero a fargli desistere dal toccare l’anello senza pensare alle conseguenze.

Dopo aver detto la parola d’ordine, salì le scale e bussò alla porta.

«Ti aspettavo, Harry» annunciò Silente, quando entrò. Era girato  verso la finestra che di solito era alle sue spalle, ad osservare il cielo leggermente nuvoloso, da cui qualche raggio spuntava a riscaldare almeno un po’ il clima fresco. 

 «Buongiorno, signore» lo salutò Harry, chiudendo la porta.

 «Suggerirei di non perdere tempo, suppongo» disse il preside, voltandosi. «Dove siamo diretti?»

Harry giudicava estremamente strano sapere qualcosa che Silente non sapeva.

«Prima devo dirle qualche, ehm, dettaglio, che non le ho detto» Harry giudicava riduttivo definire un “dettaglio” Voldemort che divideva la propria anima in sette parti (anche se in questo tempo erano “solo” cinque).

Silente lo guardava attentamente.

«La Pietra della Resurrezione è incastonata in un anello appartenente ai Gaunt, che Riddle rubò – quando frequentava ancora Hogwarts-  trasformandolo in un Horcrux» spiegò Harry, in una versione molto riduttiva. Non credeva che questo fosse il momento adatto per parlare di tutte le vicende oscure di Voldemort, piuttosto, al momento, non voleva perderci molto tempo.

«Horcrux?» ripetè Silente, piuttosto turbato.  Sfortunatamente sapeva dell’esistenza e della funzione di simili orrori della Magia Oscura, ed era abbastanza scontato che Voldemort fosse talmente immerso in essa da sapere anche quell’antica e rivoltante magia. Quando aveva creato un Horcrux, era ancora un ragazzo, questo significava che per quanto ci avesse minimamente sperato il preside di salvarlo ai tempi in cui frequentava Hogwarts, già non era più possibile. Per creare un Horcrux c’era bisogno di un omicidio, e macchiarsi di un simile atto già da giovane per Tom non aveva rappresentato alcun problema, evidentemente.  Ma Silente conosceva Voldemort, conosceva Tom Riddle, ed era sicuro che non si fosse fermato solo a un Horcrux.

«Chi ha ucciso?» chiese Silente.

«Suo padre» rispose Harry, che poi anticipò la domanda di Silente: «ne ha poi creato altri sei, successivamente. Ma per ora ce ne ha cinque. Quindi, ora, oltre a recuperare la Pietra, recupereremo anche un Horcrux»

Albus annuì, capendo che per ora era meglio evitare domande «Dove si trova?»

Seguì un attimo il silenzio, in cui Harry guardava il vuoto, come a richiamare a sé tutte le memorie del sesto anno «Nella Baracca dei Gaunt a… Little Hangleton» rispose.

«Bene» assentì Silente, affiancandosi a lui e porgendogli il braccio. Harry lo afferrò saldamente, e si  smaterializzarono.

Comparvero di fronte a una casa assai malandata, e aveva tutta l’aria di cadere da un momento all’altro, le pareti erano coperte di muschio, numerose tegole mancavano al tetto (più di quante Harry se ne ricordasse dal ricordo), le ortiche erano alte e appassite, e le finestre piccole e talmente sporche che a malapena si riusciva a vedere l’interno della casa.

Silente osservava la casa impassibile, e Harry si chiese se entrandoci si sarebbe ammalato per intossicazione, dovuta probabilmente alla polvere che vi albergava all’interno.

Harry mosse un paio di passi sul sentiero che portava verso la porta della squallida baracca, seguito da Silente.

Quando giunsero di fronte, Silente calpestò qualcosa, causando uno scricchiolio sinistro. Il preside fece un passo indietro, rivelando lo scheletro di quello che una volta era un serpente. Harry arrivò a domandarsi per quanti anni quel povero serpente fosse stato attaccato alla porta.

La porta si aprì con un cigolio, ed entrarono all’interno. Vi era un tavolo con tre sedie vicino al muro, ricoperto da strati e strati di polvere, anzi, s’è per questo, tutto era ricoperto da strati di polvere. In fondo alla stanza c’era una sudicia piccola cucina, il lavandino pieno di piatti sporchi (da decenni probabilmente), dove alcune mosche giravano in tondo, quasi in modo malinconico. All’angolo c’era un caminetto, con una poltrona dalla stoffa sgualcita e sporca, così come le altre due. Un po’ ci volle a Harry per abituarsi alla puzza della casa, e né lui, né Silente, osavano toccare anche solo un mobile, poiché avevano tutta l’aria che, appena toccati, buttassero fuori un’ondata di polvere.

«Sai anche in che punto si trova, Harry?» gli chiese il preside, piuttosto guardingo. Il diretto interessato fece una smorfia, inorridendo al solo fatto di mettersi a cercare.

«Purtroppo il suo se stesso del futuro non me l’ha detto» borbottò Harry, sperando che la memoria non lo ingannasse.

Seguì un attimo il silenzio.

«Credo sia… a terra.» disse Silente chinandosi, chiudendo gli occhi, poi annuì fra sé e sé «Sento Magia Oscura»

Ma allora era Magia Oscura quel qualcosa di opprimente nell’aria? Che faceva desiderare a Harry di uscirsene da lì?

Harry si chinò  anche  lui «Sotto le tavole del pavimento?» chiese.

«Sì»

Forse all’esterno sarebbe risultato surreale, vedere Harry e Silente (Silente!) picchiettare sulle tavole del pavimento, ma Harry, dopo un po’, picchiettando su una tavola vicino a una poltrona, sentì un rumore diverso.

Silenziosamente, staccò la tavola e vide una scatola d’oro, di medie dimensioni. Subito sentì irradiare da lei una forte Magia Oscura.

«Professor Silente! Credo di averlo trovato!» esclamò, squarciando il silenzio che s’era creato.

Con un’agilità che non ci si aspetta da un anziano di circa novant’anni, Silente corse a fianco a lui.

«È senz’altro lì dentro» disse il preside, poi sguainò la bacchetta «E c’è anche una Maledizione»

Sapere questo per Harry non fu affatto una sorpresa, e annuì, spostandosi.

Il preside prese ad agitare la bacchetta in movimenti complessi, sussurrando una cantilena in latino, di cui Harry capiva giusto qualche parola (di cui comunque non sapeva il significato). Passarono due minuti, e sembrava che la formula che pronunciava Silente stesse quasi giungendo al termine.

Poi, ebbe una strana sensazione, come se qualcosa non tornasse.

Gli stava sfuggendo qualcosa.

Harry osservò concentrato Silente sussurrare con gli occhi chiusi, poi si guardò intorno, inquieto, supponendo che la strana sensazione fosse dovuta a qualcuno che non doveva esserci. Ma non c’era nessuno, erano soli.

Silente riaprì gli occhi, sospirando piuttosto esausto, ma soddisfatto.

La sue mani si avvicinarono alla scatola, per toglierla dal buco sotto la tavola.

«Silente non ha visto l’anello» pensò d’un tratto Harry «Così deve essere stato nel mio tempo. Quindi non ha tolto la maledizione dalla scatola, ma lui ha preso la Maledizione solo dopo aver indossato l’anello. Perché, toccando semplicemente la scatola senza togliere la maledizione, non si è fatto male? Perché è caduto in tentazione senza neanche vedere la Pietra?»

Harry spalancò gli occhi «Merlino! Silente non è così sciocco!»

Con uno scatto, afferrò il polso del preside, fermando la mano che si avvicinava per toccare l’anello. Silente aveva un’espressione estremamente desiderosa e sofferente, perso in mari di ricordi che solo lui sapeva. Era quasi ipnotizzato, e Harry vide per la seconda volta nella sua vita un uomo distrutto e vulnerabile, oltre la corazza di Silente.

Tuttavia, anche se la maledizione sulla scatola era stata sciolta, Harry percepiva anche da lontano un’altra Magia Oscura, molto più potente della prima, ma Silente, sembrava non essersene minimamente accorto.

«Harry?» sussurrò Silente flebile, come svegliatosi d’improvviso, la mano completamente immobile, il polso intrappolato nel pugno di Harry.

«È così che ha rischiato di morire nel mio tempo, signore» mormorò Harry morbidamente, allontanando delicatamente la mano del preside dall’anello «Lì c’è un’altra Maledizione, non la sente?»

Albus sembrò tornare nel mondo reale, perdendo lo sguardo perso di prima. Osservò la pietra scura incastonata nell’anello, con sopra disegnato il simbolo dei Doni della Morte, poi sospirò, chiudendo strettamente gli occhi e riprendendo a sussurrare, agitando la bacchetta, mentre Harry sospirava di sollievo.

Per sciogliere la maledizione, ci volle più tempo questa volta.

Quando ci riuscirono, Silente indossò l’anello e questa volta Harry non glielo impedì, nonostante in quell’anello ci fosse un pezzo d’anima di Lord Voldemort.

Davanti a loro comparve una ragazza, con i ciuffetti dei capelli attaccati dietro da una molletta, aveva un viso dolce e tondo, e guardava Albus sorridendo leggermente. Poi comparve un uomo anziano, robusto e con un po’ di barba incolta, i capelli bianchi e gli occhi seriosi, ma nei quali si riusciva a scorgere, nascosto in fondo, un amore paterno. A fianco a lui comparve una donna, i capelli raccolti in una crocchia disordinata, i lineamenti marcati e un’espressione che aveva un che di malinconico.

Harry osservò il preside, che guardava quelle tre persone con gli occhi lucidi, assorbendosene ogni particolare. 

Con estremo silenzio, uscì dalla baracca, decidendo di lasciare un po’ di privacy a Silente con la sua famiglia. Si appoggiò a un tronco di un albero nelle vicinanze, aspettando.



Dopo dieci minuti, in cui si era rassegnato a giocare con i fili d’erba, seduto a terra, Silente uscì dalla squallida casa, con l’anello non più al dito, ma stretto in pugno.

Si vedeva leggermente che aveva pianto, ma a Harry parve quasi più leggero del solito, e stranamente contento.

«Mi scuso, Harry, per averti fatto aspettare. E ti ringrazio immensamente per la pazienza, e per la comprensione» disse Silente grato, avvicinandosi.

Harry si grattò la nuca, imbarazzato, mentre si alzava «Non c’è di che, signore.» rispose.

Silente sorrise e gli porse il braccio, che Harry afferrò.

Si materializzarono di nuovo nell’ufficio del preside, e quest’ultimo si diresse dietro la scrivania, poggiandoci l’anello sopra.

Poi Silente puntò la bacchetta sull’anello, e dopo un po’, la pietra si staccò, saltando fuori e atterrando qualche centimetro più in là.

Harry la prese, osservandola.

Era proprio come se la ricordava, scura e con il segno dei Doni della Morte che sfoggiava fieramente. Si ricordò quando l’aveva usata, poco prima di consegnarsi. In quel momento era stato così sicuro di doversi unire ai suoi genitori… a Sirius e a Remus. Nel suo tempo era finita dispersa chissà dove nella Foresta Proibita, e tuttora Harry credeva che fosse stata la soluzione migliore. Era meglio che i Doni della Morte non si riunissero mai, la Pietra era bella, ma anche pericolosa. «Mi chiedevo, signore, ma se quattro maghi prima di me hanno fatto il rituale… perché è perfettamente intera?» domandò perplesso.

«Vedi che i lati della Pietra sono piuttosto rozzi?» gli fece notare Silente «L’hanno tagliata. Credo che originariamente fosse un po’ più grande, ma forse non volevano rovinarla, quindi hanno tagliato solo i lati, facendola comunque rimanere un rombo» spiegò.

Harry si immaginò un mago con la faccia dai contorni distorti prendere le misure per tagliare bene la Pietra.

«C’è una complicazione che non ho pensato, signore… questa Pietra è un Horcrux…» sussurrò Harry, sconsolato. Non aveva alcuna intenzione di ri-andare a uccidere il Basilisco, magari finendoci pure morto stecchito. L’Ardemonio era una buona opzione, ma a quel punto della Pietra sarebbero rimaste solo ceneri irriconoscibili.

«Oh, non ti preoccupare Harry. Il potere e la magia della Pietra sono talmente forti che non possono essere in alcun modo alterati. Il pezzo d’anima è esclusivamente nell’anello. Facci caso, percepisci Magia Oscura quando la tocchi?»

Harry la tastò cautamente, tendendo le orecchie, quasi aspettandosi di sentire un sibilio fastidioso, che ormai non avrebbe più capito.

Ma non sentì né percepì niente, e aggrottò le sopracciglia, incerto «N’è sicuro, signore? Sa… non vorrei digerire un pezzo d’anima di Voldemort…»

Silente ridacchiò, e Harry si chiese cosa ci trovasse di divertente. Non sapeva se il pezzo d’anima di Voldemort sarebbe poi rimasto (di nuovo) nel suo corpo o se sarebbe finito nel water, in tutta sincerità.

«Ne sono sicuro» confermò Silente, divertito.









P.s. Mi scuso per eventuali errori di grammatica o/e battitura
 





Capitolo gentilmente revisionato da lilyy, 感謝 !(Giapponese random)
   
 
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