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Autore: queenjane    03/12/2018    1 recensioni
Riprendendo spunto da una mia vecchia storia, Beloved Immortal, ecco il ritorno di due amati personaggi, due sorelle, la loro storia, nella storia, sotto altre angolazioni. Le vicende sullo sfondo tormentato e sontuoso del regime zarista.. Dedicato alle assenze.. Dal prologo .." Il 15 novembre del 1895, la popolazione aspettava i 300 festosi scampanii previsti per la nascita dell’erede al trono, invece ve ne furono solo 101.. "
Era nata solo una bambina, ovvero te..
Chiamata Olga come una delle sorelle del poema di Puskin, Onegin ..
La prima figlia dello zar.
Io discendeva da un audace bastardo, il figlio illegittimo di un marchese, Felipe de Moguer, nato in Spagna, che alla corte di Caterina II acquistò titoli e fama, diventando principe Rostov e Raulov. Io come lui combattei contro la sorte, diventando baro e spia, una principessa rovesciata. Sono Catherine e questa è la mia storia." Catherine dalle iridi cangianti, le sue guerre, l'appassionata storia con Andres dei Fuentes, principe, baro e spia, picador senza timore, gli eroi di un mondo al crepuscolo" .... non avevamo idea,,, Il plotone di esecuzione...
Occhi di onice.
Occhi di zaffiro."
"Let those who remember me, know that I love them" Grand Duchess Olga Nikolaevna.
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Zarista
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
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A ritroso, nel comune passato. Eravamo due adolescenti, come tante, nonostante il rango smisurato, la differenza era nella qualità della nostra amicizia, un legame speciale e unico.
Lei era la figlia dello zar, io di un principe, il mondo pareva appartenerci, avevamo grandi speranze, attese e avventure, lo rivelano i nostri sguardi, rifletto a posteriori, osservando le foto di noi in bianconero di quel periodo, prese a tradimento, nelle pose ufficiali mi irrigidivo e venivo sempre male.
In una, Olga che mi abbraccia, possessiva, appoggio la schiena contro il suo torace, le sue  braccia mi cingono. Sei mia e solo mia, scherzava, in apparenza, la mia principessa.
E ti sono appartenuta, sai, in senso traslato, amiche e sorelle, nonostante tutto,  il nostro legame, troppo perfetto, ha sfiorato la feccia e l’amaro, abbiamo bevuto ogni goccia di assenzio, prima di diventare cenere, ci siamo perse e  ritrovate, fino all’ultimo gioco di dadi, di respiro.
Granelli di sabbia, la vita, che ci ha diviso, mai separato per davvero, ti sarebbe piaciuto viaggiare, avere una famiglia, leggere il più possibile.
Te per me, io per te, Olga, sempre.

A 15, 16 anni era stupenda, senza alcuna goffaggine di adolescente, snella e leggera,  i capelli dorati e screziati di castano, le iridi di zaffiro, venate di grigio o indaco nelle sfumature quando era in collera o pensierosa.
E si muoveva leggera e senza peso nella corsa, raccoglieva le gonne nel passeggiare con suo padre o nel cavalcare, era un portento.
La mia sola amica, in questa vita.
Unica e sola.
Due diverse, due controcorrente, un miracolo.


Ed era un miracolo che il nuovo palazzo a Livadia fosse pronto, non la palazzina di legno dove era morto Alessandro III, padre di Nicola II, dopo una lunga agonia.
Era appellato  the White Palace, situato su un prato che discendeva verso la spiaggia, svettava alto sopra le terrazze e i giardini di rose, in basso ecco la città di Yalta.
I muri del palazzo de quo, rilevai, che contava 60 stanze,  erano circondati da terrazze, logge e colonnati, ricordi dell’infanzia di Alix a Osbourne e dei viaggi in Italia compiuti da ragazza, con sua nonna.
E rievocavo le dolci pietre di Ahumada, arrossate dal tramonto, piene di edera, la rocca dei Fuentes, costruita per difesa, non per il piacere.
E le sere profumavano di fumo di sigarette e petali di rose, chiacchiere sparse.
Dolcezza.
Come lo zarevic, quando voleva,  riusciva ad essere molto dolce, come le sere estive, i tremanti tramonti autunnali., come quella volta che era sulle spalle di Nagorny, teneva in mano il filo di un aquilone e lo faceva innalzare, abilissimo. “Vola, vola ..” doveva compiere sette anni, era esile e abbronzato, con i pantaloni corti e una camicia da marinaio, il profumo delle rose e del mare stordiva, poi me lo aveva passato e lo avevo fatto schizzare ancora più in alto, una rapida torsione del polso “Brava .. Catherine! Lascialo, libero, via!!”  “Facciamolo insieme.. me lo potete passare, signor Nagorny?” ero sempre gentile, con loro, chiamandogli signore Derevenko o Nagorny, usando per favore e simili. E mi era salito tra le braccia, ridendo, che andava sulle nuvole, magari fino in America e facendo ciao con la manina.
Ed era, ancora e sempre, il mio piccolino, che ti rigirava con un sorriso e una battuta “Catherine..” mi annunciò una volta “ Sono grande” “Eh..” “Non porto più i pannolini!!!” entusiasta, omettendo che glieli mettevano per il riposino pomeridiano e per la notte, non ci badai. “Lo so” poi “ A volte ti ho cambiato pure io, lo saprò” salvo lodarlo, era suscettibile come pochi, il mio zarevic, il  principe delle fate.



 
Olga amava vestire di rosa, semplice, classica, una fascia argentata le circondava i  capelli dorati, al collo portava una collana di perle.
Era fresca, esuberante, la gioia di vivere in persona, un vento di primavera, guardava oltre, ci volevamo bene.
A sedici anni, nel 1911,  festeggiò la cosiddetta maggiore età con un ballo a Livadia, in Crimea.
Ciò significava poter portare i capelli raccolti, le gonne lunghe ed il busto, riti di passaggio, minimi gesti che avevano una immensa importanza.
Si parlava di progetti matrimoniali in fieri, dato che era la figlia di un imperatore, non una comune cittadina, ma lei ci rideva sopra, l’idea di lasciare la sua famiglia le appariva lontana come un miraggio incongruo, una chimera, il principe ereditario di Romania, il principe di Galles e via così, declinavamo l’elenco, annotando che il caro granduca Dimitri, suo cugino, era sempre scapolo.
Comunque, in via ipotetica, tra noi ne parlavamo, tanto per ridere.
Mi suggerì l’estate, per organizzare il matrimonio, il mio, lei e le sue sorelle che mi avrebbero fatto da damigelle, anche se io ritenevo che non mi sarei mai maritata. Meglio quello che riflettere sul bizzarro comportamento di Alessandra, oggetto di eterni pettegolezzi, la passività apparente dell’imperatore, il disorientamento dei ministri e del parlamento, la Duma, dopo l’assassinio di Stolypin, primo ministro nel settembre 1911 a Kiev.
Era scoppiata una bomba, dinanzi al palco dello zar, che assisteva all’opera, con lui le granduchesse più grandi, l’ennesimo attentato cui Olga assisteva.
Uno stillicidio, Olga era rimasta ferma, composta, mentre i grandi occhi a mandorla di Tata si riempivano di lacrime, in seguito aveva avuto incubi, per un lungo periodo.
Il tutto aveva acuito i sospetti su Rasputin, poco prima che entrasse in teatro il siberiano  aveva detto al povero S. che la morte gli camminava vicino e poi vi era stato l’attentato, sapeva qualcosa od era un mero caso?
La  polizia lo teneva sotto controllo, annotando le sue malefatte e, insieme, lo proteggeva dai propri e altrui alterchi.
Si vociferava di alterchi, volgari litigi, visite alle prostitute e ai bagni turchi, notori luoghi malfamati, di ubriacature costanti. E si parlava di nuovo delle (presunte) lettere che la zarina Alessandra gli aveva scritto e che giravano in copie, si vociferava che il siberiano e l’imperatrice fossero amanti.
Rasputin, come un sultano orientale, aveva molte donne, mai conobbe carnalmente la zarina, tuttavia frasi come “.. Dove sei, mio adorato Maestro? Quando sei con me sono sollevata da ogni pena, vorrei dormire tra le tue braccia, per sempre..”destavano molti dubbi.
La Tedesca,la Nemka, anzi, la Nemka biald, la puttana tedesca,  tanto  controllata e fredda nella sua austera, glaciale  apparenza, nascondeva allora ogni turpitudine, era ricettacolo e sentina di ogni vizio, come mai l’imperatore non controllava quella sciagurata di sua moglie.
Forse era un burattino nelle grinfie della Nemka, che ancora non spiccicava quattro frasi insieme di russo decente, lei che era moglie dello zar.
Le caricature che seguirono la pubblicazione di tali missive (le riforme del 1905 avevano abolito la censura e garantito la libertà di stampa) raffiguravano Alix tra le braccia del soggetto innominato e innominabile, circondate dalle donne della casa imperiale nude e lascive.
In un’altra, Rasputin, tratteggiato come un gigante, teneva tra le mani due burattini, gli zar, con l’imperatore nudo tranne che per gli stivali e un cappello in testa, intorno a loro principi e granduchi.
Nicola II lo aveva rimandato  in Siberia.
Quel giro di danza nei confronti della morte me lo ero risparmiato, annottavo tra me che Olga era coraggiosa e ferma, Tata troppo sensibile, a prescindere dalle sue severità apparenti.
Era una principessa cigno, delle fiabe, troppo perfetta per quel mondo, io e Olga no, che amavamo la vita e le sue imperfezioni


Meglio tornare al ballo di Olga, ai solenni inviti inviati su pesanti biglietti color  crema in solenne e nero inchiostro: “Their Imperial Majesties invite[You] to dinner and a dancing party to be held on Thursday November 15th, at 6:45 in the evening, at the Livadia Palace.” Il dress code per quell’occasione era strettamente regolato, i militari dovevano mettere l’alta uniforme, ai civili era prescritto il vestito da sera con la cravatta bianca.
La cena venne servita su piccoli e rotondi tavoli con candidi tovaglioli e posate d’argento, lo champagne scorreva come la musica e i prelibati vini di Crimea.
I fiori, rose e gigli primeggiavano, le candele luccicanti che tremolavano per la brezza .. e Olga che portava i capelli raccolti, ufficiale, per la prima volta, in uno chignon.. e tutti le baciavano la mano e volevano ballare con lei, era la gioia di vivere quella sera, sottile e perfetta.  Le foto, i sussurri, era una meraviglia.
.. ci ritirammo alle 23, credo, rievocai una sera di molti mesi prima, come se non bastasse quello che avevo addosso.



Li avevo sentiti discutere, era molto tardi, i miei genitori, lui aveva perso non so quale cifra al tavolo verde e chiedeva a mia madre di intercedere con R-R, il mio caro zione, che si era stufato di pagare a nastro.
Aveva un frustino e..Le assestò una scudisciata in viso” una rosa di sangue fiorì sulle sue guance delicate.
Era  mia madre e veniva frustata.
Ero schizzata a difenderla, la rabbia e la frustrazione di anni esplose in un solo ruggito, ero una fiera leonessa, una combattente, gli avevo strappato di mano quell’arnese di tortura ed era andato fuori controllo, mi aveva colpito sulla schiena, in rapida successione, poi aveva smesso, che mia madre gli aveva tirato in testa una caraffa di brandy vuoto, ecco la leonessa che difendeva i suoi cuccioli, lui era stramazzato per terra.
Con lui avevamo finito entrambe, che si arrangiasse. Poteva sopportare per sé, Ella, non che toccasse i suoi figli.
Tra le scapole avevo un geroglifico di cicatrici grazie alle staffilate, lasciamo stare gli altri segni sulla spina dorsale, squarci che  avevano messo una lunga eternità a saldarsi, io a non impazzire per il dolore. Quando  mio zio le aveva viste, fresche,  aveva perso la calma, come Ella lanciando la caraffa, non lo aveva inibito mentre mi assisteva, disse solo che lei era lei, adulta, io solo una ragazzina che le aveva prese per averla difesa e  non era giusto, che quei segni me li sarei portati per sempre addosso. E mi cambiavo e vestivo da sola, ero indipendente fino alla nausea.
La bambina che ero stata, arrabbiata, sempre sulla difensiva.. che temeva gli sguardi del principe padre, i movimenti sofferti di sua madre, fino a esplodere, furia cieca, una ribelle ora e per sempre.
Da allora facevo conto di essere orfana, la figlia di Ella e basta, lui era solo una figura di rappresentanza,  se succedeva qualcosa mio zio o  chi per lui lo ammazzavano, Raulov, dopo averlo pestato a sangue.
 
Dai quaderni di Olga alla principessa Catherine “ ..l’anima nuda su un quaderno, come la schiena, ho deglutito per l’orrore, e sì che le avevo già viste, una sola volta, eri di spalle e oltre ai geroglifici tra le scapole altre cicatrici correvano traversali fino alla vita, incise sulla pelle come monito di un incubo. Linee contorte e trasversali, ormai rimarginate, bianche, ogni tanto un reticolo  od un nodo in un punto, provocato da un colpo che aveva lasciato una ferita troppo larga e i lembi non erano rimarginati bene Squarci su squarci, dolore su dolore.E ti eri girata, solo pochi attimi, non volevi mostrare quelle sulle braccia, rivestendoti come un fulmine, Tata si premette le dita sugli occhi, per non mettersi a piangere”
Dai quaderni di Catherine“.. sono contenta che voler fare da sola, senza cameriere, passasse per l’ennesima delle mie stramberie, a dire la verità questo arsenale che ho sulla schiena mi ha sempre fatto vergognare. Per settimane ho dovuto dormire sul fianco, sorvoliamo che quando mia madre mi medicava le ferite mi cacciavo un lenzuolo in bocca per non urlare.. E mettere il busto, con le fasciature, era una tortura, ho sempre evitato, il più possibile.. E da allora ho chiuso con il principe Raulov, come mia madre..Diciamo che gli tirò in testa una caraffa di brandy vuoto per farlo smettere dal suo zelante e nuovo passatempo.. Mio zio andò fuori controllo, credo che tra lui e Andres gliele abbiano ben suonate, ormai è andata.. “
Andres dei Fuentes, pupillo di mio zio e mio futuro marito, amore di una vita.
“Alexei, che fai? “ Senza dire, è tardi, che fai nella mia stanza, me lo tirai addosso, nella sua camicina da notte, le sue gambe intorno alla vita, battendogli la schiena appena sopra il pannolino “Cat”
“Sono qui” un sussurro, un bacio “Grazie di essere venuto”
“Prego” contento di essersela svignata di nascosto, io impensierita che potesse essersi fatto male "Stiamo un pochino, poi ti riporto" "Sì.. e no, Cat, non sono caduto e non ho sbattuto" sbuffando impaziente prime delle mie domande "I corridoi sono illuminati, prima di uscire ho controllato che non passava"(glissai sul refuso grammaticale)".. nessuno e sono venuto" "Eravamo tutti al ballo, ma se controllano la tua stanza?" Mi sorrise, trionfante "Ho messo due cuscini sotto le coperte e tirato tutto su" mio malgrado risi, era diabolico, mi allacciò le braccia al collo e si tirò indietro a fissarmi, adorante "Che storia vuoi?" "Pirati"
 
Quando Alessio stava bene, era la gioia del palazzo, il centro della vita familiare, il gioiello del tesoro, il più prezioso di tutti.
 Era uno splendido bambino, alto per la sua età, magro, con lineamenti fini e regolari, i capelli si erano scuriti, dall’infanzia, fino a diventare castano chiaro con riflessi ramati. Aveva gli occhi azzurri, zaffiro e indaco, che viravano al grigio quando aveva qualche pensiero.
Avrebbe voluto andare a cavallo, giocare a tennis, pattinare, ma quelle attività gli erano precluse erano troppo pericolose.
“Posso giocare a tennis con le mie sorelle?”
“No caro, sai che non puoi”
“Posso pattinare?”
“No, Alessio, è troppo pericoloso”
“Montare a cavallo?”intendendo un cavallo “vero”, come diceva lui, ovvero uno grande, che non fosse un pony di docili e garbate maniere o un placido mulo.
“NO. Gli urti potrebbero farti male”
“Perché gli altri ragazzi possono fare tutto e io niente?.”
Quello era un dialogo tipico, con minime variazioni che aveva con sua madre. E scoppiava in un pianto amaro, di rabbia, a nulla valeva che fosse amato, coccolato e viziato, con una stanza piena di giocattoli costosi, mancandogli la salute.
“Perché Catherine? Perché non posso fare nulla?”successe anche quella volta, era piombato come una furia nel salottino privato di Olga e Tanik, Nagorny dietro, che non sbattesse da qualche parte, Alix stava piangendo nel suo salotto malva.
Poche settimane prima,eravamo nel febbraio 1912, quando l’imperatrice madre l’aveva pregata di allontanare Rasputin, per non rovinare la dinastia, l’aveva difeso, enunciando che erano solo pettegolezzi esagerati e, alla fine, glielo aveva rivelato, che Aleksey era malato e Rasputin pregava per lui. Se pensava che la mossa potesse attirarle simpatia o comprensione, aveva scatenato l’effetto opposto e si era depressa ancora di più. E Alessio era cresciuto, diventava sempre più insofferente, voleva essere come tutti e non poteva.
“Zarevic, mi farete prendere un collasso, non potete scappare così” povero Nagorny, di pazienza ne aveva a iosa e .. con lui ne serviva a carrettate. E anche io sarei stata l’insofferenza personificata.
“Perché?” lo lasciai sfogare, con il tempo mi si era attaccato ancora di più e viceversa, mi nascose il viso contro la spalla, il braccio dietro il mio collo, lo strinsi, il mento appoggiato contro i suoi capelli. “Perché, avanti rispondi” arrabbiato e non con me.
“Olga, come sta Natalia?” quando era a quel modo era inutile stargli addosso, si sarebbe agitato ancora di più, lo sapevamo e con me si tranquillizzava.
“Meglio..” era una ragazzina che aveva problemi di zoppia, Olga le aveva pagato le cure, attingendo dal suo patrimonio privato. Elencammo altri malati che assisteva, Alessio diventò color brace, poi si rattristò, c’era chi faceva meno ancora di lui. “Non è giusto..”


Ben di rado la vita lo era, io ne sapevo qualcosa, per diretta e personale esperienza, la scuola del principe Raulov era stata un duro apprendistato. Sospirai, guardando fuori dalla finestra, i grandi prati del parco imperiale erano pieni di neve, si spingevano fino al lago ghiacciato, dove pattinavamo, circondato dai sempreverdi che creavano un verde arazzo nella dolce luce pomeridiana.
“Non è giusto” mi si strinse addosso, gli asciugai le guance, tra le mie braccia si sentiva sempre al sicuro “Hai ragione, non è giusto” un piccolo sussurro. Mi alzai in piedi, tenendolo sempre in braccio, si raccolse contro il mio fianco “E non ridire che a volte le cose succedono e basta, che non è colpa di nessuno”citandomi con esatta precisione.
“Non è una grande spiegazione e di meglio non ne ho. Alessio, balle in genere non ne dico”
“Lo so” si era calmato “E per sicurezza ..sei il solo erede al trono, zarevic, le donne non ereditano la corona, quindi ..” ti sorvegliano tutti, gli baciai la mano, il polso, gli volevo bene, ma come potevo aiutarlo?

“Quindi uffa.. ma non sto mai in pace, Catherine, ho tutti addosso” incollerito
“Se hai questi scatti, sicuro..” disse quella che era stata la regina delle collere improvvise, sempre arrabbiata e sulla difensiva
“Se mi tranquillizzo, forse andrà meglio” valutò
“Ottima strategia” sperando che l’applicasse " Sai che..".
Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine “ ..eravate due terremoti ambulanti, ti eri calmata solo in apparenza, e lo sapevi prendere, lasciandolo sfogare, senza opprimerlo di premure, strategia che dava sui nervi a chiunque, a lui in particolare. Lo facesti ridere, alla fine si addormentò in braccio a te, esausto per la tensione, te lo eri accostato contro con una naturalezza incredibile…Nagorny te lo voleva prendere per mettergli il pannolino, le consegne erano queste, gli sussurrasti no, per favore, lasciamolo tranquillo, lo sveglio tra qualche minuto. Che per Alessio era un’umiliazione continua e costante. In effetti, avevi ragione, tempo un quarto d’ora era a giocare nella nursery e si era calmato, noi continuammo con la nostra lista del comitato caritativo. E qualcosa ti bolliva in mente, facemmo una lista delle cose che poteva fare, era inutile opprimerlo con i divieti.. Non che fosse un granché, ma sempre meglio di nulla.”


Fu in aprile, in Crimea.
Sulle colline intorno a Livadia vi erano molti sanatori che necessitavano di sovvenzioni continue, la zarina per sovvenzionarli organizzò un evento di beneficenza, The White Flower Day.
Un bazar benefico, tipico evento di noblesse oblige, cui partecipava tutta la famiglia imperiale, che dovevano rendersi conto della tristezza che albergava dietro al mondo e alle sue bellezze, una definizione di Alessandra, le sue figlie avevano buona salute, Alessio no, era la prima vittima.
La zarina presiedeva una bancarella e vendeva gli squisiti lavori di ricamo e cucito, oltre che acquarelli, fatti da lei e dalle sue figlie, perfino lo zarevic faceva fronte ai suoi obblighi, seduto vicino a sua madre si inchinava a chi comprava e ringraziava. E venivano acquistati fiori candidi, sempre a beneficio degli ospedali, una benefica gara che riempiva di gioia.
Io compravo, che io ed il cucito eravamo sempre agli antipodi, come gli acquerelli, e vendevo fiori, sorridendo, il bianco dei miei denti sotto il grande cappello con la tesa fiorita
“Cat.. hai visto Alessio?” un piccolo sussurro di Marie, preoccupata.
“Pochi minuti fa.. era da quella parte..” ne erano passati giusto due o tre.
Vidi la sua faccia, una sfumatura di spavento, i suoi grandi occhi così immensi che li chiamavano i piattini di Maria  parevano raddoppiati.
“Sì ma..”
Oddio.
Era sparito.
Non si trovava.
Approfittando dell’assenza dei suoi marinai, si era accodato a suo padre, che si intratteneva con i vari personaggi, era vestito da marinaretto, come molti ragazzini, si mimetizzava bene.
I bambini sono assi a sparire, basta girarsi un minuto, distrarsi e ..
Lo guardavano più le sue sorelle degli adulti, come al solito.
“Facciamo un giro ..” mi incuneai nella folla scalpitante e festosa, la granduchessa mi prese per il gomito “Se tra quattro minuti non salta fuori avvisiamo..” E potevano essere quattro minuti di troppo, pure.. Non potevano averli rapiti, erano due assi a sparire, la sorveglianza era parte della loro vita, per prevenzione, ma Alessio e Anastasia erano curiosi e .. INSOFFERENTI, due campioni di monellerie.
“Tata è andata di là, ha detto la stessa cosa.. Olga è con mamma, aspettiamo ad agitarla.. “ Già, le fosse venuta una crisi di nervi per una volta avrebbe avuto ragione, ma .. il legame tra noi, ragazze e Alessio, il coprirci le spalle davanti e dietro gli adulti.. Sempre. Come in quel momento. 
“Anastasia dove è infilata..a proposito “strinsi il ciondolo con la perla che mi avevano regalato tanti anni prima, come a trovare un riparo, un’idea “Il gelataio, Marie, proviamo lì.. Piano, per non attirare l’attenzione” un punto che attraeva i ragazzi, il carretto  che elargiva coni e dolcezze, già pagato dall’imperatore, li vidi e ripresi a respirare, me ne ero dimenticata.
Aleksej si girò sulla spalla, fece per venirmi incontro, festoso, come sempre, ma vide la mia espressione rabbuiata e si astenne.
“Non mi prendere in braccio, Catherine”prevenendo quello che mi accingevo a fare, giuro, lo volevo legare.
“Zarevic, dammi la mano, guai a te .. se lo rifai” dura, obbedendo, il palmo più piccolo si serrò nel mio, avevo sussurrato, scandendo un duro mormorio. Strinsi Anastasia per la spalla.


“Siete due cretini, che avevate in mente..” Tatiana  dura, secca, li avrebbe appesi al muro, pareva davero la governante, il suo irrispettoso appellativo dato dai fratelli.
“Di fare un giro senza guardie al seguito..”Anastasia, sollevando il viso e prendendo suo fratello per mano, nel combinare guai erano due assi imbattibili, attaccava per difendersi, sapendo di essere in torto marcio. “Eravamo poco lontani comunque.. “
“A prendere il gelato e guardare l’organetto” Alessio “Catherine ci ha recuperato in pochi minuti”
“Hai preso urti, qualcuno ti ha tirato un pestone?”
“No..”
Anastasia, lui non è come gli altri bambini, non può .. lo sai, lo sai pure tu, Aleksey che non puoi” era più lo spavento  della rabbia, eravamo insieme in carrozza, sulla via del ritorno.
 Aleksej alzò la testa, arrabbiatissimo.“Io...”
“Tu fai le cose senza pensare, come al solito, come Anastasia.. Come sempre “Sospirò Tata, ogni traccia di collera era caduta, era solo desolata, io  muta.
“Catherine, dille qualcosa!!! “ mi tirarono per la manica
Io ho finito con voi due, Aleksey, Anastasia, per un pezzo, pensai, tenni chiusa la bocca e gli scoccai una dura occhiata, scura e gelida. E intanto me lo ero serrata addosso, Alessio, me ne sarei andata, era una litania, lui mi si era raccolto addosso, con dolcezza, capiva che ero nera, appunto, non esplodevo per mera cortesia. Dopopranzo mi chiese di rimanere con lui, per il suo riposino, avevo mugugnato un sì e mi ero stesa sulla schiena e lui si era sdraiato sopra la mia pancia, lo serravo tra le braccia, cercando gonfiori e affanni, non ve ne erano, solo pura fortuna, annegavo nella melassa della paura. Lo amavo e avevo paura, da brava vigliacca avevo paura, appunto, Scrutavo il suo amato visetto, era tenero affettuoso, e tanto, mi ripetevo, me ne dovevo andare, in fuga. E gli sussurravo una favola, gli avevo messo il pannolone per il riposino pomeridiano, appunto, tenendolo poi abbracciato, nulla,stretto stretto, il passato e il presente, aveva tre anni o quasi otto? Cat.. il pomeriggio eravamo andati in spiaggia.. Non ci riesco, devo andare via, Alessio intuiva che avevo qualcosa in mente, mi tirava per la gonna, raccolse delle conchiglie, lo lodai, e tanto ero altrove con la testa. E lo avevo preso in braccio, ridendo, come nei nostri giorni migliori. "Cat, tutto a posto?" "Io sto bene e tu?" "SIII" Uno dei nostri infiniti segreti condivisi. "SSST" implorai dopo cena "Dormi" mi si era attaccato alle braccia, tenace, lo strinsi, da capo, con cura "Non mi lasciare" "Ti lascio quando dormi" fingendo di non avere compreso cosa intendesse. 
 

E fui di parola, mia madre, che continuava a marinare nel senso di colpa, per la mia schiena, accolse con gioia la mia idea estemporanea di andare a Parigi e Londra  per il resto della primavera, mi avrebbe concesso tutto pur di farmi stare bene.
Non avevo il potere di metterli in punizione, mica erano i miei fratelli, però sapevo colpire duro, mettendo la distanza.
E allora avevamo un’idea, io e mia mamma, che volevamo mettere in attuazione, eravamo un pezzo avanti, la sapeva giusto Olga e poi Tata.
“.. allora, cara la mia enciclopedia Raulov, hai avuto successo nel nuovo obbiettivo ? una bella trovata, un poco da outsider come te, e non ne dubitavo affatto, solo  che .. “ la frase si interrompeva, proseguiva poi con i saluti
“Solo che a cosa è ..riferito?” chiese Tatiana, finendo di spazzolarsi i capelli, flettendo il collo “Che inventa? Si sposa?”
“No.. è andata a visitare la Sorbona e Cambridge, tra le altre cose” citando due famose università. “Sentendo vari cicli di lezioni”
“E allora..? “
“Hanno preso le informazioni per frequentare i corsi.. “ avesse detto che mi era spuntata la gobba si sarebbe sorpresa meno, poi si mise a ridere “Ce la vedo, però.. E’ intelligente, e .. sì sarebbe bello, per lei”
Ma non per loro, che implicava un trasferimento, tralasciando che mancava veramente poco e me ne sarei andata, sia pure per altri motivi.
“Mi mancherebbe, in caso..”
“E piacerebbe anche a te, Olga, il ciclo di lezioni l’hai finito, completato e più che altro ora segui programmi universitari” lei fece le spallucce. “Lingue e letteratura, storia e storia dell’arte.. “
“Vallo a dire ai due disgraziati” riferito ad Anastasia e Alessio, che vedevano gli studi come il fumo negli occhi. “Per la crociera torna, a proposito..?”
“Sì..”
“Il cliché sarebbe bella ma oca.. “
“Sì, magari..lei è una ribelle nata.. vai a sapere che si inventerà una volta o l’altra”




“Si era arrabbiata e spaventata, tesoro” come me, come Tata, pensò, con i fiocchi, abbiamo mantenuto il silenzio, a torto o a ragione, ormai è andata, che lo opprimerebbero ancora di più, tranne che gli manca, come all’altra peste.
“Torna ..?”ansioso. “Certo.. lo sai che tutte le primavere va all’estero”gli diede un bacio. Se non altro si era calmato,  “Ragiona, tesoro.. Se Anastasia si butta in un pozzo, che fai, le vai dietro?” “Con una corda per uscire sì” enunciò Alessio ridendo. “Olga.. ti voglio bene” “Anch’io, tesoro..”
 La mattina eravamo stati sugli scogli, una gita sulla costa   e ci eravamo svagati, divertiti e lo zarevic avrebbe proseguito ad infinitum, adorava saltare nell’acqua, costruire castelli di sabbia e raccogliere conchiglie, vogare. Tranne che era stanco, sua madre gli aveva promesso che ci sarebbe stata un’altra escursione più avanti, dopo avere fatto delle foto, eravamo in piena estate boreale e la notte era solo un pallido riflesso, il cielo era un nastro perfetto e sfumato di azzurro e rosa pesca. 
Mi era sembrato che scivolasse, ma non potevo dirlo, aveva vicino i suoi marinai barra tate ben vicine.. O forse dopo, nella vasca, un bagno veloce per togliere la sabbia.
E il medico di bordo lo aveva visitato, Aleksej aveva detto di non avere nulla.
Quello che  era strano, conoscendolo, era che si fosse fatto mettere a letto, nel primo pomeriggio, senza i soliti capricci, o forse non voleva far saltare la gita, quando gli conveniva era obbediente e mi ero pentita di quel pensiero maligno.
Ancora, il mio stupore era salito nel non avere udito i suoi strepiti, che sicuro come la morte detestava che gli mettessero il pannolone, per la notte o un riposino, a prescindere dalle crisi, in quello eravamo migliorati, fino ai suoi sei anni sua madre glieli faceva portare sempre.


Un’oretta  e mezzo dopo, la famiglia imperiale faceva delle foto “ufficiali”, mi ero schernita dal partecipare, il mio odio per le pose formali era leggendario, venivo decente solo se non me lo dicevano.
E avevo notato che lo zarevic camminava rigido, sulla sinistra.
Le  onde che battevano pigre sullo scafo, qui c’è qualcosa che non torna.
E mi ero avvicinata al Dr Botkin, sussurrando che mi pareva che camminasse male, scaricando il peso sulla destra e non piegava il ginocchio sinistro, appunto,  
Marie aveva osservato ridendo che aveva le mani calde, non è che ti senti poco bene, lui che le aveva perennemente fredde.

Alessio cercava di sorridere, disinvolto, ed era sudato,  vedevo il suo viso imperlato di sudore, ancora, lo avevo annotato quando mi aveva dato un bacio di saluto sulla guancia.. e soprattutto aveva ancora il pannolino, quando sta male vuole farsi toccare il meno possibile.


Il medico aveva iniziato a muoversi, io ero stata più veloce, stava per giungere in un punto sconnesso del ponte dove inciampavi se non facevi attenzione “Zarevic..”il mio corpo era stato un cuscinetto che gli aveva ammortizzato la caduta contro il legno,  mi si era serrato addosso, per istinto, gli avevo messo una mano sulla nuca, sussurrando tranquillo, lo avevo accostato contro di me, la sua gamba destra contro il mio busto, sostenendo la sinistra, e alzandomi in fretta lo avevo portato dentro, approfittando della confusione, da sempre attenta al protocollo, lo prendevo in braccio a quel modo in pubblico .. che avevo fatto  ..
La gamba sinistra, rigida, immobile..che hai .. non la pieghi..
E poi me lo avevano tolto dalle braccia e mi sarei messa a piangere. Che lo sentivo piangere  e poi urlare, con nitida precisione..
“Che ti fa male?”
“Il ginocchio.. “
“Quella maledetta.. forse lo ha spinto..” la Vyribova, querula e indisponente
“No..mi faceva male da prima… e..”
“Maestà, la principessa Raulov ha segnalato che aveva male alla gamba .. Se non prendeva batteva una testata..” e la Vyribova, querula e indisponente rincalzava che era colpa mia (quel pomeriggio sono andata vicina a strozzarla..)
“No.. fatto tutto io..”
“Perché..”
“Perché le cose non le dici mai..”
“Alexei .. dì la verità.. ti ha fatto qualcosa Catherine..?”
“NO.. lei no, te lo giuro Mamma.. lei è brava .. ” ancora “Mamma, Cat .. non mi ha fatto nulla!! Anya è una bugiarda..”
“Mamma, voglio Catherine !!”e ancora “Dice sempre tutto, anche se non voglio!! Ai dottori, di quando sto male o sono stanco.. Sempre!! E' peggio lei dei marinai” la zarina si mise a piangere.



Alix mi aveva ringraziato, poi, una volta compreso, lui mi aveva detto che ero cattiva, avevo rovinato tutto, perché non posso essere come tutti, perché.. era arrabbiato nero, il resto di quel pomeriggio, sera e notte, mentre urlava e gemeva per i dolori si era fatto avvicinare da tutti, tranne che da me e Marie, avendo io riferito a Botkin, lei osservato che forse stava poco bene non fummo ammesse.. dopo, che nel breve momento mi voleva.
“Ti vuole vedere” avevo posato la tazza di tè, ormai fredda nella porcellana smaltata, a fiorellini, ravvivandomi i capelli con le dita, erano le sei di mattina e l’equipaggio si era dovuto mettere tamponi di cotone nelle orecchie per non sentire le sue urla, dopo ore i gemiti erano scemati, calati, forse era in fase di remissione.  Io ero nella mia cabina, la pagina di un libro aperta a caso, da ore, prima ero stata con Marie e Anastasia, cercando di distrarle, Olga era insieme ad Alix e Tata con lo zarevic.
“Va bene, Olga, arrivo subito..”
“Io vado a dormire un poco..”Era esausta, le occhiaie scavavano un solco sul suo viso rotondo  “Idem Mamma e Tanik..”
“Olga.. stava già male, non l’ho fatto cadere io, te lo giuro su quello che vuoi”
“CAT.. Grazie. Non hai colpe, gli hai evitato di cadere malamente, alla peste.. E lo ha detto, che non lo hai spinto, si era fatto male da prima. È una peste,ma non è un bugiardo…”
“ La Vyribova sostiene che lo ho spinto” amara. Lei era la migliore amica di Alix, già una volta mi avevano allontanato e non avevo combinato nulla, ora ero sospettata di avergli fatto male
“CATHERINE..idiota, quella mette solo zizzania. Dai, vai da lui” mi ero tormentata per ore. E non era vero. Mi aveva passato un braccio sulla vita, strofinando la guancia contro la mia spalla, affettuosa, per rassicurarmi “Vai, so che you love Aleksey for all the long, and he loves you .. too Go.”


SEI CATTIVA .. perché lo hai detto” era esangue, spiritato, i candidi  cuscini che lo sostenevano aveva più colore di lui
“Stavi male..”
“Per me è troppo chiedere di poter fare una gita, essere come tutti..” Per la collera riusciva a parlare, sovrastando il dolore, la stanchezza. Tacqui , spiazzata
“Hai rovinato tutto.. Perché non posso essere come tutti, perché?”Avevo taciuto, di nuovo, senza toccarlo, oltre a soffrire a livello fisico era tormentato dalla sua fragilità, che scivolava e aveva una crisi.. “Togliti di torno, voglio mia mamma”
“Si è stesa un’oretta…” che sennò sarebbe collassata
“Chiama Tatiana” “Anche lei.. si è stesa..”
“ E va bene, forza, vieni qui”  Tata era bravissima, passava ore ad assisterlo e a giocare con lui, quando stava male, tranne che un poco di riposo occorreva pure a lei.
E gli sistemai i cuscini,mi  mandava via e poi mi voleva, e mi sentivo in colpa, come se lo avessi spinto io.
Asciugai il sudore, in tanti anni ero diventata brava ad assisterlo
“Perché non posso essere come tutti, perché..”gli appoggiai una mano sul braccio, mi allacciò le dita “Perché..”
“Mi dispiace, Alessio, ma stavi male, volevo evitare che stessi peggio.. Per mio fratello Alexander avrei fatto uguale..”si mise a piangere, piano, desolato.
“E non è colpa tua, ci sono nato così, disgraziato”

E mi arrabbiai io, ero partita per la tangente “Disgraziato è chi non ha nessuno,  chi non è amato.. il discorso lo facciamo quando stai meglio, non ti devi stancare”Gli baciai i capelli, badando a non sfiorare la gamba lesa, mi misi sul lato destro “Sai quanto ti voglio bene?” Aprendo le mani, tracciando il segno dell’infinito. E sapevo che il Dr Botkin era sulla soglia, vigilava, e lui sapeva che ero più disgraziata io dello zarevic, in un dato senso, che il marito di mia madre, il principe Raulov, aveva picchiato me e lei, da sempre,  fino  a incidermi la schiena a frustrate.. L’ultima rottura, lo sfregio, la separazione definitiva. Preferivo non pensarci, per non ammattire, ero oltre la rabbia, non avevo dormito, che in genere non lo volevo toccare, appunto, se aveva una crisi, più o meno in atto, per tema di dargli più dolore.
“Aleksej, zarevic, mio prediletto, unico e viziato .. Cocciuto come un mulo, un lottatore nato..” aveva riso tra le mie braccia, realizzando poi quella novità. “Vieni qui.. “Serrandolo addosso, il viso contro il mio collo, gli baciai i capelli, gli toccai la nuca “Vieni qui .. Non ti faccio male, vero ?”
“ ..no.. “
“Aleksej, zarevic..amore, abbracciami”
Quando mai gli dicevo che gli volevo bene? Allora molto poco.  Ed era un evento incredibile che lo toccassi, quando aveva una crisi, del genere come la neve che cade in Castiglia in estate, quando all’ombra vi sono 40 gradi. O lo appellavo in modo tenero, molto dopo, ai tempi dei miei ingaggi, sancì che a volte riuscivo a essere dolce, ma va.

“Fatti visitare, se vuoi torno dopo”
“No .. resti, mi dai la mano” Avevo obbedito, già allora, dopo, se avessi voluto avrei abbattuto le distanze.


Una frase di una storia, un boccone. Le trame di un caleidoscopio, giocare con i soldatini, leggere .. boh.. Tartarino di Tarascona, Peter Pan e ridere e tenerlo tranquillo.
Mi appoggiava la testa contro la clavicola, il libro aperto davanti, serravo le palpebre e inventavo, la brezza batteva sui visi e i capelli, alla fine si appisolava e lo circondavo con il braccio libero, era leggero come un sacco di piume, era un tesoro il mio, appunto. “Racconta.. un boccone, una frase della storia e mi devi imboccare”
“Allora.. Altezza imperiale, potremmo partire da una storia di pirati e tesori..” Se lo chiamavo imperatore dei viziati avevo ben ragione, e tanto avevo contribuito io pure..E lo preferivo in quella modalità che prostrato dalla sofferenza.
“Aspetta, che fretta abbiamo.. io non ne ho..Mangia con calma” gli pulivo il viso sporco di minestra,mi sorrideva, un paio di volte mi imboccò lui, figuriamoci.
E diventai un tormento nel breve periodo, se non stava con sua madre o le sorelle, lo zar compariva a rate, voleva me.


“Braccio” mi aveva comandato dopo  quattro giorni
“Aspetta..”  lo avevo circondato e sollevato con dolcezza, portandolo fuori su una sdraia, cercando di non mostrare il pannolone,
“Ti voglio bene, Zarevic” 
“Io no..”
“Ah.. “ che soddisfazione e tanto decodificai che mi stava prendendo in giro, aveva un angolo delle labbra sollevato in un sorrisino”Ti adoro, Cat, è diverso”
“Tu sarai un grande rubacuori, fidati” e mi aveva smontato lo chignon, intanto, i capelli mi piovvero sulle spalle, fino alla vita, una massa castano scuro venata da riflessi ramati che avvolse tra le dita “Ed un birbante” sorrisi, esasperata, tenera, facendo una treccia improvvisata
“Me le hai prese poi le conchiglie?”
“No.. sì“tuffai le mani in tasca e le ritirai“Secondo te, in quale mano sono?” Mettendogli i pugni chiusi davanti, alle volte ero più bambina di lui.
“ In tutte  e due..”
“O in nessuna..”
“In tutte e due” baciandomi le guance
 “Aleksey.. vuoi fare le bolle di sapone?Guardami” “
“Posso soffiare..questo posso farlo”
“Scusami”
“A posto”
Ero orgogliosa di lui.

E poi si era rialzato io ero rientrata a San Pietroburgo, mentre la famiglia imperiale si recava a Spala per le cacce autunnali, pareva risolto e così non era, che poco dopo aveva avuto un’emorragia spaventosa che  lo aveva quasi  spedito al Creatore. E di averlo trattato in quel duro modo me ero pentita per un pezzo, dopo, e tanto me ne ero andata, senza appello o revisione.
 Ero orgogliosa di lui, sempre.
   
 
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