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Autore: Sognatrice Realista    05/12/2018    1 recensioni
Archìa, Plasma, Empatia.
Gli Archi guidano gli Elementi, ma c'è chi con loro si fonde – sarà solo leggenda?
«Come ti è saltato in mente?» percepì distintamente il sibilo del ragazzo, ora vicinissimo. Fece per ritrarsi, ma lui riuscì ad afferrarle il polso.
Con la mano avvolta dalle fiamme.
Lo stupore la paralizzò, mentre un’assurda sensazione di serenità l’invadeva. Non provò dolore al contatto, il fuoco non la bruciò.
Durò solo un secondo.

IN REVISIONE
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Fisis'
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Fu un rumore familiare a svegliare Aidra; ancora a metà tra l’incoscienza e la veglia, riconobbe lo scrosciare della pioggia. Fissò gli occhi gonfi di sonno sulla finestra accanto al suo giaciglio e appurò di non essersi sbagliata: le nubi si svuotavano impietose sul villaggio, quel giorno. Non se ne stupì; Nira si era dimostrato fin troppo clemente, fino a quel momento.

Si stiracchiò sorridendo allegra. La pioggia non la disturbava, anzi – la metteva a suo agio; la causa principale del suo buon umore, tuttavia, era un’altra. Il ricordo del pomeriggio precedente era ancora fresco. Era rimasta nella radura con Isryl fino a sera e, sebbene avesse l’impressione d’aver rivelato più lei su sé stessa, aveva appreso varie cose sul ragazzo. Stando con lui si sentiva libera di lasciarsi andare davvero, privata d’ogni freno; euforica, in una parola.

Il fatto che fosse un estraneo avrebbe, forse, portato molti a trattenersi, ma per lei era vero il contrario: persino con Mirel, la sua unica parvenza di famiglia, non sempre agiva spontaneamente. Sentiva di doverle dimostrare qualcosa, a volte; provava soggezione all’idea di deluderla. A Isryl non doveva dimostrare proprio nulla.

Mormorando tra sé una melodia insegnatale dalla sorella, lasciò il piccolo spazio adibito a camera e passò alla stanza principale, che utilizzava principalmente per cucinare e mangiare. Non le erano rimaste molte provviste, ma trovò qualche frutto per colazione e l’accompagnò a un bicchiere di nettare.

Mentre ragionava sui suoi programmi per la giornata, sentì bussare alla porta. Un picchiettio frenetico, urgente. Non impiegò molto a intuirne il perché: fuori diluviava! Si affrettò a raggiungere e spalancare l’uscio, ritrovandosi davanti la figura completamente fradicia del suo migliore amico.

«Od?» mormorò, spiazzata. In un attimo mille pensieri diversi le riempirono la mente, cercando di trovare una spiegazione logica alla presenza lì dell’Arche. Se aveva affrontato la pioggia doveva esserci un motivo serio – motivo che forse, sotto sotto, lei conosceva.

«Posso entrare?»

Aidra si scostò, dandosi della stupida, e gli permise di mettersi al riparo. Richiuse la porta e gli si avvicinò.

«Sei zuppo» constatò, preoccupata. «Che ci fai qui, Od?» pose la domanda torcendosi le mani. Aveva un brutto presentimento.

Lui non rispose subito, non la guardò. «Perché, aspettavi qualcun altro?» replicò, atono, dopo un po’.

Avvertì una stretta al cuore. Sussurrò una risposta negativa e andò a recuperare un telo da una pila di panni affastellati in un angolo della sua stanza. Odrik l’accettò, iniziando ad asciugarsi in silenzio.

Aidra si accovacciò di fronte a lui, la schiena contro la parete; si sentiva in colpa. Non si era comportata bene con Odrik negli ultimi giorni, presa da altro l’aveva relegato in un angolo remoto dei suoi pensieri. Ora se lo ritrovava davanti, con un’accusa che non pronunciava.

«Se continui così finirai per stracciarla».

Si paralizzò, le mani attorcigliate attorno a un lembo della camicia che aveva indossato per la notte. Le distese lentamente, cercando di regolarizzare il respiro e tornare in sé.

«Mi dispiace», sussurrò.

Odrik la fissò, per la prima volta da quand’era arrivato. Aidra non vide rabbia nel suo sguardo: solo tristezza, e questo la fece sentire peggio.

«Sei sparita per giorni. Volevi evitarmi? Perché?»

La prima domanda le suonò più come un’affermazione. Tornò a stringere il tessuto e ricambiò triste il suo sguardo. «Evitavo tutti» disse. «Dall’attacco mi guardate con occhi diversi. Sono sempre io, Od».

Lui si incupì. «So che sei tu – vorrei crederlo» la sua voce si spense in un sussurro finale. «Ma mi hai mentito». Strinse un pugno, Aidra lo notò. Non si difese da quell’accusa.

«Cos’è che non vuoi dirmi, Ai?»

Sussultò – Odrik non era mai così diretto. Solo questo sarebbe bastato a comprendere la serietà della situazione, se non le fosse già stata abbastanza chiara.

“Lo sanno tutti che gli Ela non esistono”.

“Sono solo storie”.

Si abbracciò con forza le ginocchia, incerta. Cosa avrebbe dovuto dirgli?

Una parola sottile, carezzevole le echeggiò nella mente: verità. Tremò al pensiero – affrontò lo sguardo inquisitore dell’amico. Inspirò a fondo.

«Non posso». Era una verità anche quella, in fondo.

Odrik non abbassò lo sguardo. «Perché?»

«Per favore, Od». Le costò uno sforzo significativo, ma riuscì ad accennare un sorriso. «Fidati di me. Puoi farlo?»

Si fissarono per momenti che le parvero infiniti, dopo quella domanda.

Poi Odrik si alzò, mosse un passo, le porse una mano. Lei l’accettò e si lasciò rimettere in piedi. Sostennero ognuno lo sguardo dell’altra ancora per un secondo, poi il ragazzo l’abbracciò. Avvenne così rapidamente che Aidra non lo realizzò subito; l’attimo prima si sforzava di non perdersi nell’ambra sofferente dei suoi occhi, quello dopo si ritrovò tra le sue braccia. Fu un abbraccio umido – il telo non era bastato ad asciugare del tutto la tunica –, ma caldo. Percepì tutto l’affetto di Odrik, in quella stretta che ricambiò con un peso sul cuore.

Si sentì in colpa, Aidra, ma anche grata. Affondò il volto nell’incavo della sua spalla, permettendo a due lacrime calde di confondersi sulla veste già bagnata.

«Non voglio perderti».

Esitò, prima di rispondere a quella dichiarazione accorata. «Non succederà».

~

«Non ci voleva».

«Non prendertela tanto, Rod; non è così inaspettato. Avremmo dovuto pensarci».

Malek non si unì allo scambio di battute. Immobile accanto al suo kutirai, osservava le gocce di pioggia infrangersi sulla protezione plasmata da Siana. L’acquazzone li aveva bloccati sul posto, rallentandoli. Non sapeva se esserne contento o amareggiato. Abbassò lo sguardo in direzione di Lytho: cosa lo aspettava, lì? – continuava a chiederselo.

«A che pensi?»

La voce di Siana disturbò le sue riflessioni, riportandolo bruscamente al presente. La guardò torvo. «Se ti distrai, la protezione cadrà» le fece notare piatto.

«Se mi distraggo a far cosa? Parlare con un muto?» replicò lei, sempre sorridente. «Non ho una conversazione decente con te da… ho perso il conto dei cicli».

«Perché non c’è niente da dire».

Lei lo fissò penetrante, avvicinandosi ulteriormente. «Non sei mai stato particolarmente socievole», iniziò, «ma da quella sera è cambiato tutto. Per quanto ancora scapperai?» l’incalzò. «Cos’è successo con Kora, quella volta?»

Malek si irrigidì, strinse i pugni – le nocche sbiancarono. Distolse lo sguardo.

Siana sospirò. «Era anche mia amica».

«Non ti riguarda», scandì lentamente Malek. «Stanne fuori, Siana».

Se il rifiuto l’indispettì, la ragazza non lo lasciò trasparire. Si scostò d’un passo. «Rendi sempre tutto così difficile», commentò. «Pensaci, Mal».

Mentre si allontanava a rinforzare la sua barriera, il moro la seguì con la coda dell’occhio, sentendosi sollevato per la fine – almeno momentanea – della questione.

Carezzò il dorso liscio del kutirai, sperando bastasse a calmarlo. Si sentì un po’ meglio.

“Kora? È Kora quella a terra? Perché non stai facendo nulla? Malek!”

Scosse la testa. Non era certo di potersi fidare di Siana, ma non era quello il punto.

Non c’era bisogno che nessun altro sapesse cos’era realmente successo quella notte.

Tornò a guardare verso l’alto, chiedendosi quando la pioggia sarebbe cessata. Aveva deciso: qualsiasi cosa l’aspettasse, voleva solo chiudere in fretta la missione e rientrare.

Chiuse gli occhi, visualizzando un’immagine spiacevolmente familiare.

~

«Date una moneta a una sventurata».

Kotuno ignorò la supplica dell’incappucciata di fronte all’Accademia, pur trovandolo insolito. Erano pochi i mendicanti che osassero avvicinarsi così tanto; la maggior parte temeva di venire bruscamente scacciata dai suoi allievi. In realtà, non gli interessava. Usciva di rado, comunque.

Notò quasi per caso la mano della donna tendersi nel tentativo d’afferrargli il braccio; un movimento sorprendentemente rapido, che poté evitare solo grazie ai suoi riflessi allenati. Le afferrò il polso, torcendolo poco gentilmente. La donna aveva tutta la sua attenzione, ora.

«Guarda, guarda» mormorò, intravedendo il volto celato dal cappuccio. «Vuole essere mia ospite, signorina?»

Quella cercò di ritrarsi, ma desisté presto. «Mi piacerebbe, perché no» gli rispose, con una voce diversa, più sottile, rispetto a quella con cui gli aveva chiesto l’elemosina.

«Prego», l’esortò a precederlo spingendola verso il cancello. Fece un cenno agli uomini di guardia perché la lasciassero passare.

La donna non se lo fece ripetere, varcando la soglia dell’Accademia a viso alto, seppur sempre coperto. La seguì da presso, guidandola verso le sue stanze private.

«Porta spesso in casa dei perfetti sconosciuti?» domandò la ragazza mentre lui chiudeva la porta dietro di loro. Le indicò una sedia e raggiunse il mobile dall’altra parte della stanza, estraendone due tazze. Le poggiò sulla scrivania, sedendosi poi di fronte a lei.

«No», rispose infine. «Potrei farlo più spesso, se fossero tutti come lei».

Soddisfatto, l’osservò rinunciare definitivamente all’anonimato garantitole dal cappuccio. Poté osservare, contornato da una folta chioma rossa, ciò che prima aveva solo intuito: da dietro le orecchie della donna sporgevano due prolungamenti sottili, organi che avrebbero suscitato repulsione e inquietudine nei più, ma che lui conosceva bene: kerai.

«A cosa devo l’onore della visita di una Fonè?» chiese, piegando le labbra in un ghigno divertito. Allungò una mano verso la caraffa d’acqua già pronta sul tavolo e la scaldò con un gesto, per poi versarla nelle tazze.

«Volevo solo una moneta» rispose lei, apparentemente a suo agio. Aveva osservato attentamente ogni suo gesto, Kotuno ne era certo. «Non pensavo fosse così facile riconoscermi».

«Le kerai erano ben nascoste», concesse lui, «ma ci vuole ben più di un cappuccio per ingannarmi».

«Ingannare è un termine forte», replicò lei pronta. «Ero solo curiosa. Si sente molto parlare di quest’Accademia, per tutta Fisis».

«È così?» stette al gioco, niente affatto persuaso. «Posso fare qualcosa per lei, allora?» si informò, aggiungendo la sua miscela favorita in ognuna delle due tazze.

«Cos’è?» sviò la Fonè, le kerai vibranti verso la bevanda.

«Non ha mai bevuto un infuso di croco?» domandò retorico. Bevve un sorso della sua per rassicurarla. «È innocuo, come può vedere».

«Non avevo dubbi in proposito», affermò la donna. Tese il braccio sopra il tavolo. «Abbiamo saltato le presentazioni».

Le sorrise. «Temo di non potermelo permettere», declinò. Si tirò indietro sulla sedia, squadrandola deliziato. «Il rituale dei gomiti sta cadendo in disuso, d’altra parte. Incredibile come i giovani attribuiscano sempre meno importanza alle tradizioni degli antenati, non ho ragione?»

«Non sembra così anziano da poter fare un discorso del genere». La Fonè sorrideva ancora, ma la sua facciata iniziava a incrinarsi, Kotuno se ne accorse e provò l’impulso di ridere. Quanto avrà avuto, la ragazza davanti a lui, venti cicli? Melisa gli aveva detto che loro maturavano più rapidamente rispetto agli altri, ma la rossa doveva essere piuttosto ingenua, se davvero aveva creduto di poterlo toccare così facilmente.

«Saltando le formalità, il suo nome vorrei conoscerlo».

Stupendolo leggermente, lei non esitò a quella richiesta. «Mirel» scandì a voce alta e limpida. Dal modo che aveva di pronunciare la e, probabilmente proveniva da ovest. Anche la sua tunica di lana bianca, a malapena visibile sotto il mantello, avvalorava la sua deduzione. A est era uso comune tingerle di blu, a sud di verde. Bene, bene.

«Vieni da ovest?» domandò, abbandonando ogni inutile cerimonia. «Ho mandato una squadra in quella direzione proprio ieri – che coincidenza».

Mirel non negò; batté lentamente le palpebre, lo scrutò. Kotuno si scoprì a provare ammirazione per la sua fierezza. Contro di lui non aveva speranze, ma la sua determinazione era senz’altro lodevole.

«Avrai sentito dell’Arche d’Acqua» continuò, desiderando una reazione più rivelatrice. Non fu accontentato: se l’informazione l’aveva turbata, riuscì a non mostrarglielo.

La vide scrollare le spalle con indifferenza. «Uno in particolare? Ne esistono molti».

«Conosci le antiche leggende, immagino».

«Le interessano molti argomenti diversi, vedo».

Sorrise a quella replica. «C’è una leggenda interessante, sulle Fonè».

«Sono solo fiabe, a detta di tutti».

«Pensi?» la sfidò, fissandola penetrante. La vide esitare, stavolta; non trovò una risposta, evidentemente, perché non gliene fornì alcuna.

«Silenzio piuttosto eloquente» commentò impietoso. «Dove c’è una Fonè, c’è un’Ela. Non era così?»

Mirel scosse la testa, accennando un sorriso. «Non proprio. La leggenda dice solo che le Fonè sono destinate a incontrare gli Ela, prima o poi – non quando. Potrebbero anche incrociarsi per un solo istante in tutta la vita, se vogliamo darle credito».

«Raramente è così».

«Ha incontrato molti Ela, sulla sua strada?» Vide il suo sguardo accendersi; ma sì, si disse, questo posso anche concederglielo.

«Qualcuno» rispose, vago. «Sono creature piuttosto interessanti».

«Vorrei incontrarne uno anch’io, un giorno».

«Davvero» accertò, ironico. «Se resti qui, il tuo desiderio potrebbe avverarsi».

«Al mio villaggio soffrirebbero troppo la mia mancanza, temo». Mirel sorrise a mo’ di scusa. «Mi sono molto affezionati, sa».

«Qualcuno in particolare? Una sorella, o un fratello, magari?» indagò, terminando l’infuso che aveva sorseggiato fino a quel momento. La tazza dell’ospite era ancora mezza piena, notò.

Lei scosse la testa. «Sono figlia unica», affermò decisa – troppo, forse.

Kotuno inarcò un sopracciglio, palesando il suo scetticismo. «Gli abitanti di Fisis guardano con ostilità al diverso, è sempre stato così» sentenziò, serio. «Mi è difficile credere che ti siano affezionati. Accoglierebbero la tua sparizione con sollievo».

Colse, o così gli parve, un balenio di sfida negli occhi verdi della ragazza.

«È vero, il popolo è diffidente» ammise. «Ma mi hanno cresciuta come una figlia. Rispettavano molto mia nonna. Mi vogliono bene».

Quell’affermazione stupì seriamente l’uomo. Sebbene i suoi poteri non funzionassero sulle Fonè, restava assai abile nel leggere e comprendere le persone. Adesso era suonata realmente convinta, era quasi certo che non avesse mentito, nelle ultime tre frasi. Sono passati sopra la sua diversità? Questo sì, è sorprendente.

Intrecciò le dita sotto al mento, i gomiti poggiati sulla scrivania.

«Al tuo villaggio sei ben voluta, dici» riprese. «Eppure sei venuta qui, a cercarmi – hai tentato di captarmi. Perché l’avresti fatto?» chiese retorico. Aveva i suoi sospetti, pressoché certezze, sulle reali motivazioni.

«Brama di conoscenza» rispose lei, senza scomporsi. Ricambiò il suo sguardo freddo. «È stato un incontro molto interessante, posso dirmi soddisfatta».

«E sei convinta che uscire di qui sarà facile quanto entrare».

Mirel non batté ciglio a quella non tanto velata minaccia. Si alzò in piedi. «Vuole impedirmelo?»

Kotuno non la imitò; abbassò le mani, scoprendo il proprio ghigno e continuando a fissarla.

«La cosa ti indisporrebbe?»

~

«Mezza giornata persa per la pioggia. Avremmo dovuto portare con noi un Arche d’Acqua» brontolò Rod.

«Chissà, magari al ritorno l’avremo» commentò Siana. «Giusto, Mal?»

«Forse». Non aveva quasi sentito la domanda, concentrato sul battito ritmico della sua cavalcatura. Avevano perso mezza giornata, ma quasi certamente sarebbero arrivati entro la sera seguente, anche se avesse piovuto di nuovo. Era a un passo dal potenziale Ela. «Potremmo anche non trovarla» puntualizzò, poco convinto.

Avvertì lo sguardo curioso di Siana su di sé, ma non si voltò verso di lei.

«Preferirei non aver fatto un viaggio a vuoto» asserì Rod. «Vista la compagnia, soprattutto».

Nessuno dei due gli rispose; continuarono a cavalcare finché Yan non sparì oltre la linea dell’orizzonte.

   
 
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