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Autore: Roberto Turati    05/12/2018    1 recensioni
Laura, Sam, Chloe e Jack sono quattro neo-laureati di Sidney che, dopo aver trovato un libro segreto firmato Charles Darwin che parla di ARK, un'isola preistorica abitata da creature ritenute estinte da milioni di anni, da un intrigante popolo, protetta da una barriera che altera lo spazio-tempo e che nasconde un "Tesoro" eccezionalmente importante, decidono di scoprire di più... andando su ARK. Ma le minacce sono tante, siccome l'arcipelago arkiano non è certo il più accogliente dei posti... però, per loro fortuna, non saranno soli nell'impresa. Fra creature preistoriche, mostri surreali, nemici che tenteranno di fermarli o di ucciderli per diversi motivi, rovine antiche, incontri da ogni luogo, da ogni epoca e da altri universi e gli indizi sul misterioso passato dimenticato di ARK, riusciranno a venire a capo di un luogo tanto surreale?
 
ATTENZIONE: oggi, il 30/06/2021, è iniziato un rifacimento radicale della storia usando l'esperienza che ho fatto con gli anni e la nuova mappa di ARK usata per l'isola del mio AU. Il contenuto della storia sta per cambiare in modo notevole.
Genere: Avventura, Mistero, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un'Isola Unica al Mondo'
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Era passata una settimana da quando i ragazzi avevano scoperto che avrebbero seguito i quattro sopravvissuti su ARK. Erano stati sette giorni di fermento per tutti loro: Laura contattava Helena praticamente una volta al giorno per chiederle dritte e suggerimenti su cosa potevano portare per essere pronti a un viaggio simile. Per il resto, i ragazzi avevano discussioni animate su quali fossero gli oggetti e l’attrezzatura più adatti per stare su un’isola preistorica. Cercavano di usare i loro viaggi precedenti come riferimento, ma era ovvio che nessun altro posto poteva paragonarsi a quello che li attendeva.

Uno degli argomenti su cui tornavano più spesso era il cibo. Le opinioni al riguardo erano contrastanti: Jack e Chloe ritenevano più saggio portare una scorta di alimenti non deperibili. Sam e Laura non lo consideravano necessario, dal canto loro: sostenevano che avrebbero potuto procacciarsi il cibo o trovarne nei villaggi. ARK era un’isola civilizzata, dopotutto, come indicavano i racconti dei sopravvissuti. Jack non era tanto entusiasta all’idea di andare a caccia o mangiare quello che avrebbero trovato nella natura selvaggia, ma alla fine Laura riuscì a persuaderlo ricordandogli che avrebbero avuto degli “esperti” al loro fianco.

Seguivano poi le attrezzature. Dapprima, erano tutti concordi sul portare tantissimi cordini per montare delle palafitte in cui passare le notti, ma ci avevano rinunciato quando Helena aveva rassicurato Laura che avrebbero fatto soste regolari nei villaggi delle tribù arkiane e che i tragitti nelle zone pericolose non avrebbero previsto fermate. Non potevano mancare le bussole, com’era ovvio. Sam ci rise sopra commentando che, adesso, la loro vita avrebbe potuto dipendere dalle gare di orienteering fatte alle superiori.

Nel corso della settimana, radunarono tutto l’equipaggiamento di cui avevano imparato a munirsi in passato: abbigliamenti a cipolla, vestiti impermeabili, ricambi tenuti in sacchetti isolati per quando si sarebbero bagnati, borracce, una cassetta del pronto soccorso, repellenti per insetti e parassiti, scorte di biancheria intima, paia di scarponi, sacchi a pelo e via discorrendo. Laura provava un lieve senso di conforto, sapendo che avevano già quantomeno una base di preparazione. Tuttavia, era impossibile illudersi che sarebbe stato così facile da far bastare quei preparativi: stavano pur sempre andando in mezzo ai dinosauri, e neanche solo quelli. Laura non sapeva se fosse una buona idea precisare ai suoi amici che avrebbero dovuto stare attenti anche ai grandi artropodi del Paleozoico e i mammiferi del Cenozoico; alla fine, decise di omettere quei dettagli: sarebbe stato come rigirare il coltello nella piaga.

Seguiva il problema più grave di tutti: la sopravvivenza. Prepararono esche e acciarini per accendere i fuochi da campo il più in fretta possibile. Oltretutto, Sam insisteva che dovevano portare qualcosa per spaventare gli animali. Laura non la trovava affatto una cattiva idea; Helena l’aveva rassicurata che Mei-Yin e Nerva potevano badare a difendere tutti, ma non si sapeva mai. Quindi diede il via libera a Sam e il rosso, il giorno dopo, tornò a casa dal lavoro armato di un machete e di un pennato, una piccola accetta per tagliare il legno. Alla vista di quelle lame d’acciaio luccicanti, Jack strabuzzò gli occhi e chiese:

«Caspita! Dove li hai presi? Sei andato in un’armeria? Non ti sembra di esagerare?»

Sam scoppiò a ridere:

«Armeria? Che melodrammatico! No, li ho presi in un negozio di attrezzatura da campeggio. È roba che si usa tra i boy scout, sai?»

Jack alzò un sopracciglio, scettico:

«I boy scout usano machete e asce?»

«In che mondo fatato vivi, scusa?»

Il biondo scosse la testa e sospirò. Chloe gli poggiò una mano sulla spalla con fare incoraggiante e lo esortò:

«Prevenire è meglio che curare. Preferisci prendere un dinosauro ad accettate o farti mangiare?»

Jack alzò le braccia e ammonì:

«Basta che le accettate non le debba tirare io»

Ci fu una risatina nervosa da parte di tutti, poi sulla sala da pranzo dell’appartamento calò il silenzio. Passarono alcuni secondi, prima che Chloe si schiarisse la voce e chiedesse:

«Avete già fatto la chiamata?»

Laura e i ragazzi le lanciarono un’occhiata confusa e preoccupata. Chloe alzò gli occhi al cielo per una frazione di secondo e si chiarì:

«Non ricordate? Eravamo d’accordo che avremmo chiamato i nostri parenti per dirgli che stiamo per partire»

Tutti ebbero un’illuminazione improvvisa, mentre il pensiero tornava al momento in cui avevano discusso sul loro “alibi” da stabilire: non potevano certo raccontare alle loro famiglie che stavano per seguire quattro estranei conosciuti di punto in bianco su un’isola di dinosauri. Laura fece un sospiro nervoso e scosse la testa:

«Io no, mi è proprio sfuggito»

«Sto ancora pensando a come dirlo senza che mia madre se la prenda per il poco preavviso» ammise Jack.

Sam sbuffò:

«Oh, ma dai! Ti spaventi ancora per queste cazzate? Hai ventiquattro anni, non devi mica chiederle il permesso di uscire»

«Perché, tu l’hai già detto ai tuoi?» ribatté il biondo, sulla difensiva.

Il rosso esitò:

«Ehm… no, ma solo perché prima l’ho detto al mio capo»

Laura scosse la testa e li zittì alzando le mani:

«Va bene, ascoltate, facciamolo adesso. Togliamoci il pensiero dalla testa. Ora vado in camera e faccio la mia chiamata»

Intuì subito che Chloe aveva avvertito la tensione nella sua voce, perché la sua amica le si avvicinò, incrociò le braccia e la fissò con uno sguardo preoccupato:

«Non hai ancora parlato con tuo padre da quando hai il lavoro, vero?»

Laura serrò le labbra, indecisa se essere vaga o onesta. Alla fine, confessò:

«No. Ho lasciato che glielo dicesse mia madre»

«Ti senti pronta per questo?» chiese Chloe, seria.

Laura fece una risatina per sdrammatizzare:

«Oh, ma dai! È mio padre, non mi mangia mica! Sarà contento del posto di lavoro»

Chloe la fissò, come per dirle di non prenderla in giro. Laura si pentì subito di aver fatto la finta tonta e chinò lo sguardo. L’amica le parlò, prima che potesse trovare giustificazioni:

«Sai cosa voglio dire, Laura. Sei davvero pronta per quello che stiamo per fare? Ci siamo dentro insieme e ti staremo accanto, ma tu? Oltre l’entusiasmo, te la senti? Rispondimi sinceramente, è importante»

Laura rialzò il capo e la guardò dritta negli occhi. Era incapace di rispondere, perché non riusciva a decifrare il turbine di emozioni che stava vorticando nelle sue viscere. Le due sensazioni più forti erano la curiosità e la paura. Si mescolavano e tentavano di soffocarsi a vicenda. Si sbracciavano e urlavano dentro di lei, come due tifoserie avversarie, per convincerla o dissuaderla.

Cosa aspetti?! Corri su ARK! Farai l’impossibile! Realizzerai un sogno che per tutti sarebbe una follia! Vedrai e toccherai ciò che è solo un ricordo del passato!

Che stai facendo?! È stupido! Sei stupida! Hai riaperto le ferite di tre persone e assecondato un vecchio pazzo solo perché avevi qualche domanda! Ti rendi conto del casino che hai fatto per un libro? Se vai su quell’isola, non durerai un giorno! Tirati indietro finché puoi!

Non fermarti ora! Ti sei assicurata l’occasione di una vita! Che paleontologa saresti, se rifiuti di studiare creature estinte vive? Per non parlare di tutti quei misteri: sarà il massimo scoprire tutto quanto!

Resta coi piedi per terra! Vuoi morire e rovinare il futuro che ti sei costruita solo perché hai letto un libro?

Sempre più tesa, Laura lanciò una rapida occhiata a Sam e Jack. Entrambi, quando il loro sguardo si puntò su di loro, iniziarono a fingere di guardare il cellulare. Chloe la stava ancora aspettando, seria ma paziente. Alla fine, Laura deglutì, aprì la sua rubrica, avviò una telefonata con suo padre e si accostò il telefono all’orecchio. Chloe le rivolse un sorriso incoraggiante e la lasciò passare, quando Laura si diresse alla stanza delle ragazze. Mentre il telefono squillava all’altro capo della linea, la ragazza chiuse la porta e si rannicchiò sul suo letto, in sofferente attesa. Alla fine, sentì la voce calda e profonda di Carl Hamilton, suo padre:

«Sì? Laura?»

La ragazza fece un respiro profondo per calmarsi e rispose:

«Ehi, papà!»

«Ciao, spiga d’oro!»

Laura fu subito scossa da un brivido di imbarazzo, temendo che gli altri avessero sentito. Appena si riprese, sbuffò e protestò:

«Eddai, mi chiamavi così da bambina, non ti sembra l’ora di smettere?»

Suo padre rise:

«Ahahaha! Perché dovrei? Hai sempre dei bellissimi capelli dorati»

«Sì, grazie. Allora, hai sentito la grande notizia dalla mamma?»

Dall’altro capo ci fu una pausa di silenzio; brutto segno. Infatti, appena suo padre rispose, si accorse subito del cambio di tono: ora si stava sforzando di sembrare felice, ma era un entusiasmo forzato.

«Dal primo istante. Quindi ce l’hai fatta: andrai a tirare fuori ossa dalla polvere»

«In realtà, potrei anche iniziare a dare lezioni. Sai, per arrotondare»

«Appunto»

Laura sentì un lieve sobbalzo. Immaginò che suo padre se lo fosse lasciato sfuggire e se n’era accorto troppo tardi. Decise di andare oltre: del resto, sapeva già cosa pensavano i suoi genitori della sua scelta lavorativa.

«Ehi, come sta Jim?»

«Oh, tuo fratello si sta rilassando a più non posso: le ultime settimane sono state tremende per lui, a scuola. È contentissimo per te, ovviamente! Ha chiesto quand’è che gli porterai un teschio di T. rex a casa»

Laura scoppiò a ridere; suo fratello era sempre stato dolcissimo con lei.

«Cavolo, di T. rex? La vedo dura. Dici che se gli porto una coprolite, mi odierà a vita?»

«Aspetta, cosa?»

«Sai, perché le coproliti sono… lascia perdere, digli che appena posso gli farò fare un giro guidato in un museo. Comunque, ti ho chiamato per avvisarti»

«Perché? Cosa c’è?»

«Niente di grave, papà. Io e i ragazzi faremo il nostro viaggio annuale più presto, quest’anno. Abbiamo pensato di fare così per festeggiare il mio posto di lavoro, prima che cominci»

«Ah, ho capito. Dov’è che dovevate andare, quest’anno?»

«A Bali»

«Oh, bellissima. Vi trattate bene, eh?»

Laura fece una risatina nervosa:

«Be’, sai, occasione speciale e tutto»

«Quindi quanto starete via? Quando andate?»

«Partiamo venerdì prossimo. Ovviamente dovremo tornare per quando dovrò iniziare a lavorare, ma forse un paio di settimane ce le potremo concedere»

Per Laura fu molto difficile raccontare quella bugia. Non solo perché non potevano sapere quanto ci sarebbe voluto a trovare il tesoro di Darwin una volta su ARK, ma soprattutto perché la barriera avrebbe potuto condurli in qualsiasi epoca senza criterio, una volta che l’avrebbero aperta coi manufatti. E se si fossero ritrovati decenni nel futuro o nel passato? Helena aveva avuto una gran fortuna a fare un salto di “soli” otto anni, ma chi diceva che a loro sarebbe andata così bene? Tuttavia, la ragazza deglutì e si sforzò di sembrare naturale e rilassata, mentre annunciava la partenza. Suo padre non sembrò sospettare nulla:

«Ho capito. Ci manderete delle foto, vero?»

Laura sbarrò gli occhi. Improvvisò la prima scusa che le venne in mente:

«Oh, caspita, mi sa che non posso»

«Perché?»

«Ormai il mio cellulare ha sempre l’archivio pieno, non importa quanta pulizia cerchi di fare. Dovrei ricordarmi di chiedere a Chloe di fare le foto per me, ma non ti prometto niente»

«Capisco»

Ci fu un breve silenzio, prima che suo padre sospirasse e iniziasse a congedarsi:

«Be’, grazie per aver avvisato»

«Aspetta, posso salutare Jim, solo un attimo?»

«Meglio di no: sta studiando, adesso non vuole essere disturbato da nessuno»

«Oh, va bene. Allora ciao, papà»

«Ciao, spiga d’oro. Spero che ce la faccia, ora che hai realizzato il tuo sogno»

Detto questo, riattaccò. Laura fu amareggiata dal tono in cui glielo disse, ma lo ignorò: ci aveva fatto l’abitudine. Rimase seduta sul letto per qualche minuto, fissando il vuoto e agitando le gambe con frenesia: la paura di non rivedere i suoi cari diventava sempre più concreta. Quando sentì che i suoi occhi stavano per inumidirsi, si affrettò ad alzarsi e tirare un respiro profondo per calmarsi. Uscì dalla stanza delle ragazze e tornò in salotto.

«Bene, io sono a posto» annunciò.

Ma la sua voce era strozzata. Un attimo dopo, l’impulso di piangere tornò a tradimento, più forte che mai. Laura non riuscì a trattenere un singhiozzo e le sfuggirono due lacrime, che si affrettò ad asciugare.

«Scusate. Sono stupida, lo so» mormorò, imbarazzata.

Chloe fece un’espressione intenerita e venne ad abbracciarla:

«Oooooooh, Laura! Non sei stupida, non è facile neanche per noi» la consolò.

Dopo una breve esitazione, rassicurata dalla calda e affettuosa stretta dell’amica, Laura ricambiò l’abbraccio e si lasciò andare. Odiava quando aveva quelle ondate emotive: le ricordavano le volte in cui da bambina non riusciva a trattenere le lacrime quando si trovava in imbarazzo o le volte in cui gli altri ragazzini la prendevano in giro perché le piaceva una cosa “da maschi” come i dinosauri.

«Ehi, non fare così! Sei più straziante di un gattino ferito!» esclamò Sam.

Il rosso si avvicinò e Chloe si fece da parte per lasciare che le desse una confortante pacca sulle spalle. Jack, invece, la guardò preoccupatissimo e le chiese:

«Ti senti in colpa, vero?»

Era sempre stato molto perspicace, doveva ammetterlo. Laura, tra i singhiozzi, annuì e andò a sedersi al tavolo. Sam continuò a tenerle le mani sulle spalle, stando in piedi dietro di lei. Jack prese posto davanti a Laura e la incoraggiò con lo sguardo a sfogarsi. Laura si asciugò ancora le lacrime e disse:

«Sì, mi sento in colpa. Stiamo dicendo ai nostri che staremo via per un viaggetto, ma non sappiamo neanche se sopravvivremo! Sono un’egoista! Ci sto mettendo in pericolo per… per…»

Sam sbuffò:

«Oh, falla finita! Ti abbiamo detto che ci stiamo, basta! Se uno di noi diventa la cena di un lucertolone, saremo consenzienti»

Chloe lo fulminò con lo sguardo:

«Sam, per favore. Non scherziamo su questo»

Sam rimase interdetto, la baldanza abbandonò il suo volto poco a poco. Ma ritrovò subito l’ironia:

«D’accordo, mi è uscita male. Ma hai capito il concetto, Laura! Non ci stai costringendo a venire con te, siamo noi che lo vogliamo»

Jack annuì con convinzione e, dopo aver balbettato un po’ in cerca delle parole giuste, affermò:

«Sì! E poi… e poi… chi dice che moriremo per forza? Tu sei un’esperta, quei quattro conoscono l’isola, bene o male noi quattro sappiamo muoverci nella natura; se facciamo del nostro meglio e stiamo più attenti che mai, possiamo farcela! Coraggio, non deprimerti ora!»

Sam ridacchiò:

«E se uno come Jack ti dice “non deprimerti”, sai che dice sul serio»

«Che vorrebbe dire?» chiese il biondo, perplesso.

Sam fece spallucce:

«Be’, sai, di solito sei tu il depresso represso, senza offesa, quindi se la motivi tu, a maggior ragione. O no?»

«Lascia perdere, che è meglio – sbuffò Chloe – Comunque, hai capito, Laura? Questo non è il momento delle lacrime, per te. È il momento di fare i salti di gioia! Avrai i dinosauri, la scoperta del secolo e noi al tuo fianco. Cosa vuoi di più? Anzi, mi hai pure regalato un’occasione di imparare una lingua nuova! Ti devo un favore!»

Laura, a poco a poco, riuscì a convincersi delle parole dei suoi amici. Fece di tutto per concentrarsi solo sugli aspetti positivi dell’avventura su ARK e, alla fine, l’entusiasmo che l’aveva travolta la prima volta che aveva incontrato Helena tornò ad ardere e bruciò tutta la tristezza e il senso di colpa. Dopo aver annuito con forza, inspirò a fondo, si alzò in piedi e sorrise:

«Avete ragione. Grazie, ragazzi: siete i migliori. Sono davvero una cretina, a volte»

«Chi non lo è, quando è insicuro?» chiese Sam.

Jack gli rivolse uno sguardo sospettoso:

«È un’insinuazione? Tipo, perché io sono quasi sempre incerto…»

Il rosso alzò le mani:

«Ehi, lo stai dicendo tu, mica io»

Laura ridacchiò e chiese:

«Allora, avete fatto le vostre chiamate?»

«Sì. I miei non hanno nulla in contrario» rispose Chloe.

«Io ho mandato un messaggio al mio vecchio» disse Sam.

Jack, invece, si grattò il collo e chinò lo sguardo:

«Mia madre non l’ha presa bene: si è irritata perché non l’ho avvisata che avremmo potuto fare il viaggio prima dell’estate»

Sam sbuffò:

«Ma dai, quella è una pazza! Smettila di avere paura di lei, guarda come ti ha conciato! Mandala a…»

«Ehi! È pur sempre mia madre!» protestò Jack, sulla difensiva.

Il rosso alzò le mani, deluso. Dopodiché, aggiunse:

«Comunque, venerdì prossimo, eh?»

«Esatto» confermò Laura.

«Bene, allora dico la data al proprietario della barca. Il mio capo me l’ha già fatto incontrare ieri»

«Ah, però! Ti sei organizzato meglio di me? I miracoli esistono!» scherzò Chloe.

Sam fece un inchino esagerato e plateale, soddisfatto:

«Ci pensa lo zio Sam! Be’, non quello zio Sam: questo, coi capelli rossi. Ho il patentino per navigare, abbiamo la barca: non ci resta che incontrare ancora quei quattro e andare sull’isola che non c’è»

«Molto bene. Lo farò sapere a Helena» disse Laura.

Jack alzò la mano per richiamare l’attenzione.

«Sì?» chiese Sam.

«Ho solo una richiesta da farti. Ricordi quella volta che abbiamo noleggiato una barca in Florida?»

«Oddio, ancora quella storia» mormorò Chloe.

«Ecco, non investire nessun alligatore, stavolta. Anzi, qualunque cosa peggiore di un alligatore ci sia su ARK»

Sam fece l’offeso:

«Ehi, se Chloe non mi avesse distratto, l’avrei visto! Comunque starò attentissimo, rilassati»

Chloe si mise i pugni sui fianchi e protestò:

«Bugiardo! L’hai visto eccome! Te l’avevo indicato, ma l’hai investito lo stesso!»

Sam non disse più niente. Laura scosse la testa con un sospiro, prima di comporre il numero di Helena. A quel punto, non dovevano fare altro che aspettare il giorno fatidico.

IL VENERDÌ SUCCESSIVO…

La mattina presto, Sam accompagnò i ragazzi al molo dove li attendeva la barca che avevano preso in prestito. Laura aveva dato le indicazioni a Helena per raggiungerli; adesso, i ragazzi stavano aspettando i sopravvissuti davanti all’imbarcazione. Ciascuno di loro, ai propri piedi, teneva un voluminoso zaino con tutto l’occorrente che avevano deciso di portare. Il machete e la piccola accetta pendevano fiere ai lati dello zaino di Sam, quasi come trofei.

Le loro future guide si presentarono puntuali: alle otto in punto, come concordato. Anche loro portavano zaini carichi degli oggetti necessari per il viaggio. Sam dovette trattenere una risata, quando vide com’era vestito Rockwell: sembrava quasi un vecchio pescatore, col gilet impermeabile pieno di tasche che indossava sopra una maglia blu a maniche lunghe. Mei-Yin, invece, lo stupì: sotto un k-way grigio, indossava un’armatura leggera rosso brillante, di cui peraltro teneva i gambali sopra i pantaloni. Doveva aver preso quella storia molto sul serio. Sam non seppe resistere:

«Corazzata già adesso? Addirittura! Non siamo neanche partiti!»

Mei gli rivolse uno sguardo interrogativo e allargò le braccia:

«È l’armatura che indossavo sull’isola. E quindi? Mi servirà dal primo istante»

Sam fece spallucce e ridacchiò:

«Come ti pare, Mulan»

Chloe gli tirò subito una gomitata delle sue e gli altri lo fulminarono con lo sguardo. Laura si affrettò a scusarsi:

«Lasciatelo perdere, di solito non fa così. Dev’essere il nervoso, eh, Sam?»

«Ugh… sì, sono un po’ emozionato»

Rockwell alzò gli occhi al cielo e salì subito a bordo, senza guardare in faccia nessuno di loro. Dopo un attimo, si voltò indietro, si sporse dal parapetto e incalzò il rosso:

«Ebbene? Vogliamo salpare o sarò costretto ad assistere ad altre commediole da quattro soldi da parte tua?»

Sam ci rimase malissimo, ma stette zitto e balzò subito sulla barca: voleva proprio vedere se il vecchio inglese avrebbe avuto ancora da lamentarsi di lui, dopo che l’avrebbe portato alla sua preziosa isola in men che non si dica. Raggiunse il timone e osservò tutti gli altri salire a bordo. Depositò il suo zaino accanto a sé e lasciò che gli altri si sistemassero sottocoperta. Poco dopo, Rockwell lo raggiunse con una carta nautica in mano e gli mostrò la rotta che aveva tracciato:

«Dunque, questo è il tragitto che devi seguire, in base alle coordinate di ARK. Mi auguro che sia abbastanza competente da farci arrivare là senza colare a picco»

Sam gli lanciò un’occhiataccia:

«Ehi! Qualcuno si è alzato con la luna storta, eh? Non ti ho fatto niente!»

Edmund lo ignorò, stizzito:

«Ti spiace accendere il motore e partire?»

«Va bene, va bene! Porca vacca!»

Con uno sbuffo, Sam girò le chiavi e mise in moto l’imbarcazione. Fece manovra con scioltezza e disinvoltura, come aveva imparato a fare dopo anni di pratica regolare. Poco dopo, timonò la barca fuori dal porto, svoltò verso Est e accelerò, in direzione del Pacifico. In quel momento, vide gli altri uscire dalla cabina per osservare la costa di Sidney dietro di loro per l’ultima volta. Quindi decise di voltarsi per un attimo, per dire addio alla sua città con lo sguardo. Mentre guardava la sponda che si allontanava, vide qualcsa in cielo. Incuriosito, si tolse gli occhiali da sole e strizzò gli occhi: sembrava una sorta di elicottero, ma non aveva la forma giusta. D’un tratto, lo riconobbe: ne aveva visto una foto in una rivista di velivoli, una volta, in pausa dal lavoro in officina. Era un girocottero, una sorta di piccolo elicottero scoperto con un solo posto.

“Figo, non pensavo di vederne uno qui” pensò.

A quel punto, si rimise gli occhiali e tornò a concentrarsi sull’immensa distesa blu dell’oceano.

SEI GIORNI DOPO…

Il sole rosso dell’alba era appena spuntato all’orizzonte. Un luccichio abbagliante scintillava sull’oceano ancora in penombra, mentre il cielo diventava più chiaro ogni minuto. Sam si era appena rimesso al timone, dopo aver fatto una breve dormita. Navigava sempre dritto, con la rotta da seguire accanto a sé, e ammirava l’immensa distesa piatta dell’oceano davanti alla prua. Una volta che il cielo diventò del tutto azzurro, si strofinò gli occhi un po’ assonnati e inforcò i suoi inseparabili occhiali da sole. Era emozionato: secondo i suoi calcoli, basati sulla velocità e la costanza di navigazione e l’assenza di imprevisti, quello era il grande giorno. Il giorno in cui ARK sarebbe apparsa all’orizzonte. Il ragazzo timonava con un sorriso.

Era stata una settimana monotona per lui, resa interessante solo dalle discussioni che i quattro sopravvissuti facevano coi ragazzi o tra loro riguardo a vari argomenti da tenere a mente sull’isola preistorica. E in parte da Jack che vomitava quasi sempre, dopo aver mangiato. Il povero diavolo aveva il peggior mal di mare che Sam avesse mai visto.

A un certo punto, sentì la porta della cabina aprirsi dietro di lui e i ragazzi si unirono a lui. Subito dopo, anche i quattro sopravvissuti entrarono. Si raggrupparono di fianco a lui da entrambi i lati e tutti iniziarono a guardare l’orizzonte, in un silenzio imbarazzante. Sam guardò a destra e a sinistra, perplesso, e si alzò gli occhiali da sole sulla fronte.

«Ehilà? Il vostro capitano è qui in mezzo, vorrebbe sapere che sta succedendo» disse, scherzoso.

Helena gli sorrise:

«Ieri sera hai detto che avremmo potuto arrivare su ARK oggi. Abbiamo pensato di goderci il momento insieme»

Sam rise:

«Ah, così la fate quasi sembrare una crociera! Non che mi dispiaccia»

Mei-Yin incrociò le braccia e sospirò:

«Non è un momento da festeggiare. Dovremmo pensare a quale potrebbe essere il primo incidente, una volta superata la barriera»

Chloe fece spallucce:

«Non saprei, qualche mostro marino?»

Laura rimuginò:

«Sì, ma quale dei tanti? Megalodonti? Mosasauri?»

Helena propose:

«Per me, il candidato migliore è un leedsittide. Tra gli Arkiani sono famosi perché attaccano le imbarcazioni»

Sam si allarmò subito e le lanciò un’occhiata preoccupata:

«Frena, frena tutto, cosa?! Un mostro che ce l’ha con le barche?! Perché me lo dici solo ora? Cosa dovrei fare se qualcosa ci sfonda la barca prima ancora di toccare terra?»

Nerva gli rispose in tono tranquillo:

«Tre anni fa, abbiamo costruito una barca da soli. Possiamo farlo di nuovo»

Sam si irritò:

«Sì, ma io ho pagato per prendere in prestito questa nave, avete idea di quanto dovrò sborsare se le succede qualcosa?!»

Helena lo rassicurò:

«Non ti preoccupare, i leedsittidi sono i pesci più grandi mai esistiti, ma sono anche lentissimi. Una barca come questa può seminarne uno senza problemi»

«Così va meglio»

Rockwell si schiarì la voce:

«Dobbiamo anche iniziare a organizzarci sulla ricerca dei manufatti. Potrebbe essere accaduto di tutto a ogni artefatto, da quando ce ne siamo andati. Abbiamo bisogno di capire come rintracciarli e radunarli tutti»

Jack fece un’ipotesi azzardata:

«E se fossero ancora dove li avete lasciati? Magari nessuno li ha più toccati. Dalle vostre storie, non mi pare che gli indigeni fossero interessati ai manufatti»

Il vecchio inglese fece una lieve risata sardonica:

«Non so se sei ironico o troppo ottimista, ragazzo, ma in ogni caso credi troppo nella fortuna»

Mei si intromise, in tono fermo:

«Ascoltate, prima ci accertiamo di poter sopravvivere, poi iniziamo la ricerca. Dobbiamo ottenere delle creature e delle armi al più presto. Posso pensare io alle bestie»

Helena la guardò, perplessa:

«Mei, non credi che sia più facile andare al villaggio più vicino e farci dare le cavalcature? È uno sforzo in meno ed è più sicuro»

«Non voglio dipendere da nessuno» replicò la guerriera, secca.

A quel punto, Nerva le lanciò un’occhiata nervosa:

«A tal proposito, devo confidarvi il mio timore principale: non so se mi converrà mettere piede nei villaggi degli abitanti dell’isola. Dopo tutto quello che ho fatto, camminare tra loro come se niente fosse sarebbe come una sfida o un’umiliazione. Potrei scatenare la loro ira»

Chloe alzò un sopracciglio, dubbiosa:

«Oppure potrebbero solo guardarti male o non fare nemmeno caso a te. Hai dato così tanto spettacolo, tre anni fa?»

Jack le rispose per Gaius:

«Chloe, gli ha fatto la guerra! Vuoi che ci passino sopra e basta?»

La ragazza insisté:

«Una guerra che hanno vinto loro, poi l’hanno legato e sono stati contenti di lasciarlo andare via. Fidatevi, non se la possono essere legata al dito più di tanto»

Nerva la guardò a occhi sbarrati: era senza dubbio stupito dalla sicurezza con cui Chloe faceva affermazioni del genere. Rockwell, dal canto suo, la provocò:

«Chi sei tu, per parlare come se fossi una diplomatica incallita?»

Chloe fece un sorrisetto malizioso:

«Oh, niente di che, ho solo una laurea in mediazione linguistica, una magistrale in interpretariato e ho risolto svariate dispute interculturali tra aziende e società. È solo il mio lavoro»

Edmund si aggiustò gli occhiali, diffidente:

«Un consiglio: avvisa di sapere di cosa parli, prima di aprire bocca. Sarai molto più credibile»

Poco dopo, Jack alzò una mano e chiese:

«Giusto per capire meglio cosa aspettarmi, qual è la cosa peggiore che potremmo incontrare su ARK?»

Mei-Yin gli rispose subito senza esitare:

«Il Re dei Demoni» affermò, in tono greve.

I ragazzi la fissarono, perplessi e preoccupati. Helena alzò un sopracciglio:

«Usi ancora quei nomi che davi alle creature?»

«Sì. Si addicono molto meglio alle bestie di quelle parole lunghe e bizzarre che usano gli studiosi come te»

«Cos’è un “re dei demoni”?» domandò Jack.

«Si riferisce al più grande carnivoro mai visto al mondo: il giganotosauro» spiegò.

Laura prese subito l’enciclopedia di Darwin dal suo zaino e iniziò a sfogliare le pagine in silenzio. Si allontanò e iniziò a leggere una pagina Sam intuì essere quella della creatura interessata. Jack inclinò il capo, incuriosito:

«Gigantosauro?»

Laura alzò lo sguardo dal libro e lo corresse:

«No, è “giga-no-tosauro”. Il gigantosauro è un sauropode. Uno degli erbivori col collo lungo, per intenderci»

«Capito. Comunque, quanto è pericoloso questo coso?»

Nerva incrociò le braccia, con uno sguardo torvo:

«Troppo per chiunque. Mei-Yin ne aveva uno e ho commesso l’errore di ordinare ai miei legionari di attaccarlo. La sua furia è stata tale che si è rivoltato contro la sua stessa padrona; ha sterminato entrambi gli schieramenti senza distinzione. Abbiamo rischiato di morire tutti»

Jack rimase a bocca aperta. Poi deglutì e chiese, timoroso:

«Quante probabilità ci sono di incontrarne uno?»

Helena fece un sorriso rassicurante:

«Poche, per fortuna: è piuttosto raro. Ci basterà fare di tutto per evitare qualunque contatto con un esemplare e avremo un problema in meno»

Sam ripensò a quello che aveva appena sentito e provò a rimanere ottimista:

«Ma hai detto che Mei ne aveva uno, quindi anche questo giga-qualcosa si può domare. Non è poi così male, o sbaglio?»

Mei scosse la testa:

«Ti sbagli eccome: sono riuscita a prevalere per pochissimo. Ho dovuto sacrificare moltissime bestie solo per sfiancarlo. Datemi retta: è meglio se stiamo lontani dal Re dei Demoni»

Sam si serrò le labbra:

«Bello! Come non detto»

All’improvviso, Rockwell sobbalzò, afferrò il polso di Sam con una forza inaspettata e gli ordinò a gran voce:

«Ferma la barca!»

Sam, colto di sorpresa, esclamò:

«Woah! Calma! Perché dovrei?»

«Sbrigati!» insisté Edmund.

Il rosso non aveva alcuna voglia di discutere con quel vecchio gallinaccio, così sbuffò e girò le chiavi; il motore si spense e l’imbarcazione rallentò fino a fermarsi. Ora era immobile, cullata dalle onde. Con un sospiro irritato, Sam allargò le braccia e disse:

«Ecco, siamo fermi. Contento?»

Rockwell guardò l’orizzonte e fece una smorfia soddisfatta:

«Sono a dir poco entusiasta. Siamo arrivati!»

Confuso, Sam diede un’occhiata alla distesa blu sempre uguale davanti alla barca, poi guardò i suoi amici, che ricambiarono il suo sguardo con espressioni disorientate; allora volse lo sguardo ai quattro sopravvissuti e si accorse che stavano guardando tutti l’oceano con espressioni diverse: Helena pareva emozionata, Rockwell aveva uno sguardo sognante, mentre Mei e Nerva sembravano amareggiati. Sam si tolse gli occhiali da sole per mostrare loro quanto fosse disorientato e si schiarì la voce:

«Ehm… pronto? Terra chiama quattro naufraghi? Non c’è niente lì davanti. Sapete, a parte chilometri di acqua salata»

«Ci siamo» affermò Helena, tesa.

Rockwell sospirò e indicò l’oceano:

«Osservate bene, ragazzi. Non notate nulla di strano nell’aria?»

Sam e gli altri provarono ad aguzzare la vista. Dapprima, il rosso non notò nulla di particolare. Poi, però, vide del movimento: un tremolio nell’aria che deformava l’immagine del mare e del cielo. Era come quando l’aria del deserto era così rovente che le vampate di calore diventavano visibili. Quella era afa. Laura ne parlò prima che lo facesse lui:

«Quella è umidità calda?»

Helena le posò una mano sulla spalla e sorrise:

«Lo sembra, ma non lo è. Si tratta della barriera invisibile, ragazzi»

Jack sbarrò gli occhi:

«Volete dire che l’isola è invisibile? Davvero?»

Mei-Yin annuì:

«Nessuno di noi se n’è accorto, prima di avvicinarsi senza saperlo»

Chloe ci rimuginò un po’ sopra, poi dedusse:

«In effetti, credo che ormai i satelliti l’avrebbero vista, se non fosse nascosta»

«Esatto» confermò Helena.

A quel punto, la biologa batté le mani e si rivolse a tutti:

«Bene, questo è il punto di non ritorno, in ogni senso della parola. Siete pronti, ragazzi?»

I quattro amici si scambiarono un’ultima occhiata determinata, per poi annuire in silenzio. Helena fece uno dei suoi sorrisi confortanti, dopodiché si accostò a Mei e le mormorò:

«Ne sei davvero sicura, Mei?»

La guerriera fissò la cortina d’aria tremante per qualche secondo, prima di guardare Helena negli occhi e dirle:

«Lo sto facendo per te, Helena. Voglio ripagarti per tutto quello che mi hai dato. Quindi sì, sono sicura»

Rockwell tagliò corto schioccando le dita:

«Molto bene, vi siete fatti coraggio. Che la spedizione abbia inizio! Riaccendi il motore, ragazzo: la rivoluzione della scienza ci attende»

Sam si rimise gli occhiali da sole e obbedì.

«Agli ordini, Doc» scherzò.

Chloe esortò, in tono spiritoso:

«Dinosauri, Laura sta arrivando a studiarvi tutti!»

Mentre la barca tornava a muoversi, i ragazzi ridacchiarono per quell’ultima battuta. La presunta afa si avvicinò in fretta, finché non ci passarono attraverso. Sam ebbe una strana sensazione: sentì un formicolio intenso in tutto il suo corpo, così in profondità che credette di averlo persino nelle ossa. Non fu affatto gradevole. Gli altri dovevano star provando quello stesso disagio, a giudicare dalle loro espressioni infastidite. Ci volle un paio di secondi perché iniziasse ad affievolirsi, ma alla fine andò via. Sam tirò un sospiro di sollievo e fu stupefatto, alla vista di cosa aveva di fronte. Come dal nulla, in mezzo al mare era apparsa un’ampia battigia che correva da Nord a Sud, alla quale si stavano avvicinando da Ovest.

«Incredibile!» esclamò Jack.

Sam osservò tutta la linea della costa: da quella distanza gli sembrava sconfinata, perché non riusciva a vedere estremità definite né da un lato, né dall’altro. Davanti a loro, la spiaggia cedeva il posto a un rigoglioso palmeto; a sinistra, il paesaggio si apriva in una prateria. A destra, in lontananza, vedeva giganteschi scogli bianchi. In mezzo alla foresta davanti a loro, oltre gli alberi, si stagliava una sorta di torre o colonna nera e liscia, la cui punta luccicava al sole con un bagliore verde.

«Cos’è quello?» domandò.

«L’obelisco verde, il più sicuro da raggiungere» rispose Helena.

Rockwell incrociò le braccia:

«Molto bene, possiamo partire da lì. Verificheremo se i manufatti sono stati effettivamente spostati»

Chloe si mise le mani dietro la testa e fece un’espressione rilassata e soddisfatta:

«Che dire, la prima impressione è ottima: mi ricorda quasi i Caraibi. Siete d’accordo, ragazzi?»

«Sicuro» annuì Sam.

Il ragazzo sentì un lieve spruzzo d’acqua in lontananza. All’improvviso, Laura emise uno squittio eccitato e si precipitò sul parapetto della fiancata destra della barca. Helena, Chloe e Jack la seguirono. Sam non poteva abbandonare il timone, quindi si accontentò di voltarsi per vedere: la paleontologa si stava sporgendo oltre il bordo per ammirare un gruppo di animali simili a delfini che, a un centinaio di metri di distanza, spuntavano dall’acqua.

«Oh mio Dio, quelli sono ittiosauri!» trillò Laura.

Helena fece un dolce sorriso e le avvolse un braccio intorno alle spalle:

«Benvenuta su ARK, Laura» le disse.

«Sono sveglia? Qualcuno mi pizzichi! Ah, ecco, inizio a diventare scema» farfugliò la ragazza, estasiata.

Sam lanciò un’occhiata complice a Jack e gli indicò Laura con un cenno del mento: stava cercando di invitarlo a pizzicare Laura, visto che l’aveva chiesto, e già che c’era di farlo anche particolarmente in basso. Jack non sembrò capirlo, infatti lo fissò confuso e allargò le braccia, per poi chiedergli col labiale cosa volesse. Sam ci rinunciò e sbuffò, dopo avergli fatto cenno di lasciar perdere. Sentirono degli starnazzi nel cielo, a sinistra. La ragazza si voltò, sgranò gli occhi e corse subito al lato opposto della barca per guardare in alto. Sam si sporse fino al parabrezza della cabina per vedere cosa osservava: c’era un trio di bizzarri cormorani giganti ed esili che planavano verso la costa.

«Oh! Fantastico! Pelagorniti! Sai, Helena, io e gli altri abbiamo visto lo scheletro al National Museum, una volta che siamo stati a Washington» raccontò, emozionata.

La biologa si limitava ad annuire a braccia incrociate, con uno sguardo intenerito. Sam era contento di vedere Laura così: se non altro, si stava godendo l’isola preistorica fin dall’inizio, prima ancora di toccare terra. A quel punto, diede una rapida occhiata a Rockwell, Mei e Nerva, che erano rimasti con lui in cabina.

«Non vi unite alla combriccola lì fuori?» chiese.

Edmund si aggiustò gli occhiali, con aria indifferente:

«La fauna è l’interesse di Helena e della tua amica. Preferisco riflettere su quale sia il metodo più efficiente e rapido per trovare i manufatti»

«Cerchi scorciatoie? Bene, non mi lamento» commentò Sam.

«Almeno c’è chi è felice di essere intrappolato qui» sospirò Mei-Yin.

Sam guardò bene in faccia la Regina delle Bestie: sembrava tesa, oltre che turbata da qualcosa. Il rosso volle tentare di alleggerire un po’ l’atmosfera, quindi le chiese:

«Ehi, hai una faccia da traumatizzata. I ricordi del Vietnam ti hanno già assalita di prepotenza?»

Mei si voltò per guardarlo; la sua espressione, da preoccupata, diventò confusissima:

«Aspetta, cosa? Vietnam? Perché… che c’entra?»

Sam si pentì subito della battuta e provò a spiegarla:

«Oh, non l’hai mai sentita? Perché in Vietnam c’è stata la guerra, i soldati tornavano a casa coi traumi e… sai che c’è? Dimentica quello che ho detto. Comunque rilassati, proverò a non metterti in imbarazzo ogni singola volta che ti rivolgerò la parola!»

Mei lo fissò ancora più perplessa:

«Ehm… va bene?»

Rockwell fece una risatina sarcastica:

«Non che qualcuno ti abbia mai chiesto di aprire bocca finora»

Mei-Yin lo fulminò subito con lo sguardo e Sam non perse l’occasione di fare altrettanto, visto che aveva Mei dalla sua parte. Edmund non si voltò nemmeno per guardarli: non gli importava. Non smetteva un secondo di fissare l’isola, con le mani dietro la schiena, come fosse stregato.

“Vecchio stronzo inquietante” pensò Sam.

Ci fu un attimo di silenzio in cabina, mentre Laura continuava a impazzire per le creature marine che avvistava. Dopodiché, Nerva fece una risata nervosa, incrociò le braccia e guardò Mei-Yin:

«Lo sai, è la cosa più ironica che mi sia mai successa» affermò.

«Altrettanto» rispose lei, secca.

Il Romano precisò:

«Mi riferisco a noi due. Eravamo qui come nemici, quando siamo partiti ero il tuo prigioniero di guerra e adesso siamo uniti nel compito di difendere i nostri compagni di viaggio»

«E con questo cosa cerchi di dirmi?» domandò lei, in tono un po’ irritato.

Gaius assunse una posa solenne e dichiarò:

«Solo il fato può giocare con noi in questo modo. Come può un’ironia del genere sembrarti un caso?»

Mei-Yin sbuffò:

«Non è stato un caso, è cambiata la situazione. Sai bene cosa penso del destino»

Il centurione scosse la testa, sicuro di sé:

«Prima o poi dovrai accettare che le svolte sono dettate dal fato: ha fatto in modo che tornassi qui, come se dovessi finire qualcosa che ho iniziato. Forse è questo il mio nuovo scopo: trovare il perdono degli Arkiani, fare ammenda per la guerra che ho scatenato»

La replica della guerriera fu immediata:

«Quello è il tuo senso di colpa. Mi fa piacere che ti penta delle tue azioni, ma sei stato tu a scegliere di seguire Helena ed Edmund, come me»

«È stato il fato a volere che accettassimo di venire» insisté lui.

Rockwell alzò gli occhi al cielo e tuonò, esasperato:

«Insomma, volete smettere di punzecchiarvi come due marmocchi? Non riesco a ragionare! È incredibile: ci si aspetta che siate soldati seri e disciplinati, invece sono tre anni che continuate con questo dibattito sul principio filosofico più insulso di sempre! Se mi cercate, sarò sottocoperta»

Stizzito, il vecchio inglese uscì dalla cabina, ignorò l’invito di Helena a unirsi a lei e i ragazzi e si chiuse a chiave nella coperta. Dapprima imbarazzato, ma poi divertito, Sam fissò intrigato i due guerrieri:

«Bene bene, e così piace anche a voi fare a gara su chi ha ragione su un argomento?»

«Anche noi?» chiese Nerva, curioso.

Sam fece spallucce:

«Be’, sapete, è una cosa che ogni tanto facciamo io e Chloe. Solo che lei ha la lingua così lunga che mi frega ogni…»

Prima che il rosso finisse la frase, sentì un fortissimo impatto sotto di sé e, all’improvviso, la barca girò su se stessa quasi di novanta gradi, ondeggiando con violenza. Tutti persero l’equilibrio e caddero rovinosamente sul lato destro del ponte. Sam riuscì ad aggrapparsi alla leva dell’acceleratore prima di sbattere contro il muro e fermò la barca.

«Ah! Ma che cazzo?!» gridò.

L’imbarcazione stava ancora girando e volteggiando, a causa dell’impatto. Quando le oscillazioni si calmarono, Sam osò staccarsi dal suo appiglio e gli altri si alzarono, con fare cauto. Il rosso raggiunse gli amici sul ponte e chiese:

«Tutto a posto?»

«No» borbottò Jack.

Sam lo guardò e capì subito che si stava sforzando di non vomitare: era diventato più pallido di quanto non fosse di solito sulla barca e si teneva una mano davanti alla bocca. Alla fine, Jack non resisté più e si precipitò al parapetto per buttare fuori tutto in mare. Rimase piegato in avanti sulla ringhiera, col respiro affannoso, con lo sguardo fisso sull’acqua. Sam pensò di andare da lui e dargli qualche forte pacca sulla schiena per aiutarlo quando, di colpo, uno spruzzo bianco travolse il biondo in piena faccia.

«Woah! Dio!» sobbalzò Sam.

Jack rimase immobile per un attimo, per poi voltarsi lentamente con gli occhi chiusi. Era visibilmente disgustato, teneva le labbra serrate e le braccia larghe ed era pregno dalla testa al petto di un liquido biancastro e oleoso. In un’altra situazione, Sam avrebbe voluto fare una battuta sulla natura ambigua di quella sostanza, ma non era affatto il caso.

«Che sta succedendo?» chiese Chloe, allarmata.

«Non c’è niente da temere, tranquilli» li rassicurò Helena.

Sam si stupì della tranquillità della biologa. Si guardò in giro, per controllare gli altri naufraghi: Mei-Yin, Nerva e Rockwell, che si era appena affacciato dalla coperta, apparivano scossi, ma per nulla spaventati. Contrariato, protestò:

«Niente da temere? Qualcosa ha appena girato la barca dall’altra parte!»

«E ora Jack non osa neanche aprire gli occhi e la bocca» aggiunse Laura, che guardava l’amico imbarazzata.

Helena fece un sorrisetto divertito e indicò il mare, davanti alla barca:

«Guardate laggiù»

I ragazzi si avvicinarono alla prua e scrutarono l’acqua. A una decina di metri da loro, emerse una strana balena dal muso lungo e sottile, con le fauci irte di grossi denti appuntiti. Si immergeva e usciva dall’acqua di continuo e, ogni tanto, spruzzava dallo sfiatatoio. Osservando meglio, Sam notò che non era sola: sotto la superficie, ai fianchi del cetaceo, intravedeva le sagome di quelle che sembravano delle mante. Laura emise un altro squittio eccitato:

«Bellissimo! Un basilosauro!»

Chloe alzò un sopracciglio, perplessa:

«Perché “sauro”? A me sembra una balena»

«È una balena, ma quando trovarono i primi resti non lo sapevano» spiegò la bionda.

Dietro di loro, Jack si azzardò ad aprire bocca:

«Quindi mi ha starnutito in faccia?»

«In pratica» rispose Helena, dispiaciuta.

«Devo lavarmi subito» disse Jack, prima di correre sottocoperta.

«Ehi, sei sicura che non siamo in pericolo?» insisté Sam, cauto.

Helena alzò una mano per rassicurarlo:

«No, te lo garantisco. È probabile che ci abbia spinti col muso per giocare. Sono animali curiosi, la sagoma di questa barca deve esserle sembrato una novità. Avrà voluto osservarlo meglio»

«Che tenera» commentò Chloe.

«L’unico pericolo sarebbero le mantinache che lo seguono ovunque, ma finché non entriamo in acqua non ci faranno niente» aggiunse Helena.

«Una simbiosi? Interessante» rispose Laura.

Sam annuì, sollevato:

«A posto, allora. Vediamo di approdare. Ehi, per caso tutto il viaggio sarà così?»

«Di solito, è molto peggio» gli rispose Mei-Yin, tetra.

«Stupendo!» esclamò Sam, sarcastico.

Senza perdere altro tempo, il rosso riaccese il motore, fece manovra per orientare di nuovo la barca verso la costa di ARK e spinse la leva dell’acceleratore. Mentre l’imbarcazione sfrecciava verso la spiaggia sempre più vicina, Jack uscì di nuovo sul ponte pulito e con un vestito diverso. Tutti si radunarono a prua, con lo sguardo fisso sul palmeto. Dopo una decina di minuti, finalmente, la barca raggiunse la barriera corallina. Sam diede un’occhiata al fondale: era molto vicino alla chiglia e i coralli erano diffusi. Era meglio fermarsi lì, prima che le eliche si incastrassero da qualche parte. Dunque spense il motore e gettò l’ancora. A quel punto, si piazzò di fronte a tutti e, con fare plateale e un sorriso a trentadue denti, annunciò:

«Gentili passeggeri, qui è il vostro capitano che vi parla: siamo arrivati alla spiaggia del posto più letale sulla Terra! L’equipaggio non si prende la responsabilità per eventuali sbudellamenti, grazie per la comprensione»

Chloe alzò un pollice:

«Che professionalità»

Rockwell sbuffò:

«Dimmi se hai finito, così possiamo inziare il vero viaggio»

«Il capitano non aggiunge altro, neanche sulla sgarbatezza dei passeggeri di terza età» scherzò Sam.

«Mezza» sibilò Edmund, risentito.

Si radunarono sul bordo della barca, pronti a saltare nell’acqua bassa. I ragazzi decisero di concedere a Laura l’onore di scendere per prima. La bionda fece un respiro profondo per calmarsi; poi, finalmente, mise piede su ARK.

   
 
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