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Autore: NyxTNeko    09/12/2018    1 recensioni
Roma, 37 d.C.
Una giovanissima schiava proveniente dalla Gallia, abile conoscitrice di ogni tipo di erba, approda nella Città Eterna. Divenuta libera, la sua vita sembra essere destinata a svolgersi nell'ombra della Capitale del Mondo...fino a quando il potere non entrerà dalla porta della sua piccola bottega di filtri e veleni e le stravolgerà l'esistenza risucchiandola inevitabilmente nel suo vorticoso buco nero.
Locusta, la prima serial killer della storia, fu un personaggio enigmatico, quasi leggendario, di cui si sapeva davvero poco anche ai suoi tempi, una cosa, però, era assolutamente certa: la strega di Nerone non sarebbe sopravvissuta a lungo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana
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"Non est quod nos tumulis metiaris et his monumentis quae viam disparia praetexunt: aequat omnes cinis. Impares nascimur, pares morimur"
Seneca, Epistulae ad Lucilium, XCI, 16

Roma, 9 giugno 68 d.C.

Era una notte d'estate nuvolosa, incredibilmente fredda e nonostante la vitalità che si respirava nelle vie della città, della gente incurante dei problemi e delle congiure di palazzo, vi era una strana tensione nell'aria.

Una giovane donna bussò alla porta di Locusta, con molta foga ed agitazione. La donna era sveglia, ma pensierosa: la situazione per Nerone diventava ogni istante sempre più drammatica, nemici nuovi si aggiungevano a quelli già esistenti e tutti bramavano la sua testa e il suo trono.

Rivolte sparse per l'Impero, in particolare in Gallia e in Palestina, avevano minato le ultime certezze che il Princeps aveva, ed era chiaro che era arrivata, per lui, l'imminente fine.

Quel rumore la colse di soprassalto e tornata nella realtà si precipitò immediatamente ad aprire - Atte - fece Locusta ingoiando la saliva - Che ci fate qui? - chiese sempre più preoccupata.

- L'imperatore ha bisogno di me - rispose lei semplicemente, come se il resto fosse superfluo. Locusta capì e sbiancò. La fece entrare.

- Sapete dunque? - domandò mesta Locusta, dopo averla fatta accomodare.

- Non sarei qui - le fece notare la giovane donna, con la voce sul punto di cedere: l'amava ancora, anche se lui l'aveva rifiutata e fatta esiliare, lei non aveva mai smesso di provare amore sincero e profondo per Nerone.

- Cosa volete che faccia per voi? - richiese Locusta cupa ma decisa.

- Preparare il pugnale avvelenato per Nerone - riferì lapidaria Atte. La sua voce sembrò aliena persino a se stessa, tanto che risuonò fredda e stoica alle sue orecchie - Il servo Faone vuole aiutarlo, è uno dei pochi che gli è rimasto fedele a corte...

- Ma non aveva con sé una boccetta di veleno che gli consegnai qualche mese fa? - interrogò l'ex schiava.

- Non so nulla di ciò, ma se il liberto mi ha detto di riferirvi questo, vuol dire che non ce l'ha più - disse lei facendo spallucce.

- Capisco - sospirò nuovamente - Significa che glielo hanno rubato o sequestrato, forse per evitare che si uccida

- E avere così il piacere di farlo fuori e di annunciarlo alla popolazione, d'altronde Galba ha assunto molto potere e nessuno oserebbe contestarlo

- In effetti, Nerone è l'unico ostacolo per possedere tutto l'Impero - disse infine Locusta prima di chiudersi in un pesante silenzio ed eseguire quel compito arduo e difficile.

Atte si sedette in un angolo e attese che lei terminasse il lavoro.

Ma Locusta era agitata, la mano le tremava, quando aveva ucciso altri,  Claudio in particolare, non era stata così tesa e nervosa. Alcune lacrime bagnarono le mani e il pugnale, il suo cuore era a pezzi.

"Forse solo così potrà avere la sua pace" si disse lei per farsi forza e proseguire nella preparazione di un veleno molto potente ed estremamente letale.

Come se fosse priva di un'anima e senza alcuna stanchezza alla fine, portò a termine il suo dovere e s'incamminò verso la sala dove c'era Atte, appoggiata su di una finestra, ad osservare il cielo.

Quest'ultima si accorse dei passi e si voltò: vide Locusta che si dirigeva verso di lei con in mano un pugnale costosissimo, la cui lama era avvolta in un panno - Ecco qui - le disse porgendoglielo con estrema cura - Fate attenzione - le raccomandò con voce spenta.

- Certamente - sussurrò a fior di labbra Atte, stringendolo con forza e nascondendolo. Poi si avviò verso l'uscita e le chiese se volesse seguirla, ma Locusta le ripose di no e quindi, la donna, corse sul suo destriero in direzione della piccola villa di Faone.

Una volta che la giovane uscì, Locusta si accasciò su di un divanetto e scoppiò a piangere amaramente - Perdonatemi, mio imperatore, se non ho coraggio - mugugnò tra le lacrime.

Affranta com'era per la sorte del suo più grande tra i benefattori, non si preoccupò della sua e continuò a far scendere le lacrime e a lamentarsi, fino a quando, vinta dalla stanchezza, si addormentò. 
 

L'imperatore, nella sua Domus Aurea, si era svegliato di soprassalto, quasi come se avesse avuto un sentore, un preavviso di ciò che sarebbe stato il suo destino nelle ultime ore. Tremante, si alzò e cominciò a perlustrare ogni angolo della villa e nei dintorni, ma non vi era più nessuno.

La disperazione si faceva strada - Dunque, non ho più un amico? - emise con un lieve sospiro carico di angoscia. Tornò nella sua stanza, sconsolato e pronto a farla finita, però, dopo vari tentativi di suicidio, il coraggio gli venne meno.

La fuga rimase l'unica possibilità per sfuggire ad una fine peggiore del disonore. Il problema restava comunque: dove andare? E soprattutto da chi?

Come una sentenza divina, ecco che un liberto a lui fedele, Faone, entrò nella sia stanza; aveva infatti lasciato la porta aperta. - Altezza imperiale - soffuse inchinandosi profondamente ai suoi piedi - Seguitemi, vi condurrò nella mia villa, a quattro miglia da Roma, tra la via Salaria e la Nomentana, lì sarete più al sicuro dai nemici

- Davvero? - fece incredulo Nerone - Cosa aspettate, muoviamoci subito! - ordinò l'imperatore correndo; all'uscita trovò altri tre servi che gli avevano portato un cavallo e un travestimento per evitare di essere scoperto: un mantello logoro e un fazzoletto sul viso. Inoltre indosso aveva una semplice vestaglia, perciò, non avrebbero sospettato minimamente della sua identità.

Durante il viaggio, numerosi incidenti ridussero le già flebili speranze nel cuore dell'ormai ex imperatore. La terra tremò mentre si avvicinavano al campo dei Pretoriani, dove vi erano molti uomini che lo maledicevano, tra cui Tigellino, che non aveva esitato minimamente a schierarsi dalla parte del nemico.

Il generale Servio Sulpicio Galba, accolto tra i soldati, veniva acclamato a gran voce e già lo consideravano imperatore. Nerone, invece, cercando di non perdere la calma e la pazienza, udiva da alcuni gli ordini per andarlo a cercare, poiché era scappato e non sapevano dove.

- Costoro inseguono Nerone! - urlò sicuro uno di quelli che li intravide.

- A proposito, ci sono novità a Roma riguardanti quel maledetto? - interrogò un altro, sempre al gruppo di quei strani fuggiaschi. Non emisero una sillaba.

La fortuna non fu dalla loro parte, quella notte: d'un tratto il cavallo s'impennò spaventato nel vedere un cadavere giacente sul ciglio della strada. Il fazzoletto che si era messo l'imperatore si spostò un po' mostrando i suoi lineamenti e, come se non bastasse, un messaggero gli fece il saluto militare.

A quel punto si guardarono e scapparono lontano fino ad arrivare ad un ponte; la strada si divise e Nerone seguendo la via che Faone e gli altri gli indicavano proseguì, ovviamente non lo lasciarono da solo e avvolti nella più totale oscurità, rischiarata dalla debole luce delle torce, arrivarono finalmente alla villa. 
- Atte è giunta prima di noi! - esclamò Faone nel vedere l'abitazione illuminata.

- Atte? - sbottò Nerone - Che ci fa qui?

I quattro non risposero e, una volta giunti, si apprestarono a fare un buco alla parete, aiutati all'interno da Atte, che si rese utile come non mai; l'imperatore, invece si dissetò in uno stagno non molto lontano da lì. Bevve tantissimo, sapendo che quella poteva essere l'ultima volta.

Quando finirono di rompere il muro lo fecero entrare: vi era un giaciglio con sopra il mantello di un contadino - Accomodatevi pure, altezza - gli dissero rassicurandolo.

Tuttavia egli era pervaso dall'angoscia, aveva intuito, aveva intuito il perché di quella fuga: istogarlo al suicidio; era stato scoperto e le guardie non ci avrebbero messo molto a rintracciarlo.

Per rasserenarlo gli offrono quel poco che avevano a disposizione: del pane raffermo e un bicchiere d'acqua.

- Mi si è chiuso lo stomaco - rifiutò l'imperatore spostando quelle misere vivande con la mano - Prendetelo voi se volete - propose. Nessuno lo fece, erano tutti impensieriti e spaventati.

Un messo sbucò all'improvviso: lo guardavano terrorizzati, non portava di certo buone notizie. Infatti l'uomo porse la lettera direttamente all'imperatore, il quale si sentì male nel leggerla.

Fece cadere la lettera al suolo e Faone la lesse, sbiancò: - Il Se...Senato lo...lo ha dichiarato... nemico della pa... patria - emise balbettando - E...e inoltre... ha dato l'ordine di prenderlo e... punirlo secondo le antiche leggi... - non ce la fece a continuare.

- Ovvero appeso ad una forca e fustigato a morte - continuò Atte piangendo. Premette la mano sul punto in cui aveva nascosto il pugnale avvelenato.

Nerone al culmine della follia prese due pugnali, e puntandoli al petto esclamò - Ah! Quale artista muore con me! - la volontà tentennò, le lame cadendo risuonarono sinistre e si inginocchiò al suolo lamentandosi ed autocommiserandosi - Sono un codardo buono a nulla! Non ho il coraggio di essere un vero uomo nemmeno di fronte alla morte - dei violenti colpi alla testa accompagnavano la lagna.

Lo scalpitio in lontananza di un manipolo di soldati a cavallo lo ridestò e gli fece capire che ormai era tardi: se non voleva morire in quel modo atroce, doveva suicidarsi, il Senato non avrebbe vinto.

Atte intuì dall'espressione il volere di Nerone ed estrasse il pugnale avvelenato - Prendete questo, altezza - gli disse cercando di non piangere ancora - Me l'ha dato Locusta, lo teneva nascosto fino a quando non sarebbe arrivato questo momento - gli mentì per dargli almeno un po' di forza d'animo e fargli sentire la vicinanza della sua adorata Locusta.

- Allora non mi ha abbandonato - disse lui prendendo il pugnale e togliendo il fazzoletto che lo avvolgeva. Vide la lama scintillante ed ingoiò la saliva, strinse il manico con forza - Vi affido la mia ultima volontà e preghiera - aggiunse cupo - Non consegnate la mia testa ai nemici e non appena morirò, crematemi - alzò la testa e li guardò per l'ultima volta, poi il suo sguardo si fermò sul servo Epafrodito ed emise un verso in greco.

Il servo intuì e si avvicinò a lui, lo fece sedere a terra mentre Atte si fece da parte con il cuore colmo di tristezza.

Nerone puntò la punta in gola e premette esitante, Epafrodito lo aiutò. L'imperatore sentì un calore strano, non ebbe il coraggio di guardare quella fontana di sangue che usciva a spruzzo, sentiva solo il suo odore acre.

Il veleno penetrò con facilità e diede i primi risultati: la vista divenne sempre più opaca di quanto riuscì a fare la miopia in tutta la sua vita, gli occhi vitrei.

Era ancora cosciente, poiché riuscì a distinguere il centurione, inviato dal Senato per portarlo vivo, che gli poggiava il mantello per arrestare il flusso - È tardi! È questa, dunque, la tua fedeltà? - gli disse con il poco fiato che aveva.

Il respiro si fece più sporco, rantolante, il cuore si indeboliva fino a fermarsi, e sul suo viso si formò una smorfia di dolore così terrificante da far scappare i mandanti a gambe levate. Percepì la sua vita spezzarsi come un filo, il corpo diventare sempre più rigido e freddo, ed emesso l'ultimo respiro, spirò.

Morì all'età di trentuno anni, nell'anniversario della morte di Ottavia: uno scherzo del destino, quasi come se la sua ex moglie si fosse vendicata del torto subito.

   
 
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