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Autore: Scarlatta    11/12/2018    2 recensioni
"Solas, Var lath vir suledin"
"Vorrei che fosse possibile, Vhenan"
[...] Eppure lei continuava a cercare, sognare e attendere... Decisa a trovare un modo per cambiare il cuore del Temibile Lupo.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cullen, Inquisitore, Solas
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Era abituato all'Oblio e alle sue complessità ma questo era troppo anche per lui. 
Deglutì pesantemente cercando di allontanare quei ricordi e l'immagine di quello spirito con le sembianze di Halla che stava di fronte a lui. 
Si concesse qualche istante per maledirsi da solo perché, se non avesse usato costantemente l'Oblio come tramite per rivivere i suoi ricordi, nessun demone sarebbe riuscito a scorgere in lui la benché minima debolezza.
Congiunse le mani dietro la schiena e, dopo avergli rivolto il suo solito sguardo glaciale, senza aggiungere nulla, fece per allontanarsi.
«Sei stato tu! È tutta colpa tua. È sempre stata tutta colpa tua!», urlò il demone intralciandogli il cammino. 
Sapeva fin troppo bene che non era davvero lei, ma non per questo le accuse lo ferivano di meno. La sua voce, per quanto distorta, restava la sua voce e quello sguardo pieno di rancore era lo stesso che aveva già visto scolpirsi sul bel volto che amava. 
Non si trattava della vera Halla, ma ne era sicuramente un'ottima imitazione.
Tentò di colpirlo con uno schiaffo. Solas usò i suoi poteri e bloccò il colpo con il solo sguardo, senza scomporsi minimamente; impassibile, almeno nell'aspetto, come sempre. Il demone si dissolse in una sorta di miasma verdastro, nulla che lo avesse sorpreso, poi riapparve qualcosa di simile poco distante da lui. Questa volta la figura era quasi trasparente, più evanescente, e poteva scorgere la sua fisionomia, marcata da un pulviscolo nero, solo a tratti. Non sembrava un normale spirito, non uno di quelli a cui era abituato almeno, aveva qualcosa di strano. Avrebbe dovuto ignorarlo ma era sempre stato troppo curioso per non cedere alla tentazione.
Era ancora Halla, almeno così credeva, ed era spaventata. Stringeva le braccia al petto. Nei sui gesti si notava una certa quiete, tristezza, forse rassegnazione. «Perché ci hai traditi?». Ma lo spirito non pareva parlasse con Solas, sembrava piuttosto stesse dando voce ai suoi intimi pensieri o cercasse di riprodurre frammenti di memorie disperse nell'Oblio. «Ho freddo... Perché non posso lasciare questo posto?». 
La voce, che suonava come un eco, si fece d'un tratto disperata e il fumo di pece che componeva le sue fattezze cominciò a vibrare di rabbia. «Non ho sofferto abbastanza? Perché non posso lasciare questo posto? Perché mi tormenti ancora?».
Non lo stava guardando, era come se per lei non fosse lì, ma il Temibile Lupo sapeva che si stava riferendo a lui. 
Non se ne era nemmeno accorto, ma nel tentativo di studiare quello spirito, si era avvicinato ancora. Le si era fatto così tanto vicino che, quando lei si voltò premendogli inaspettatamente la mano contro il petto, lui non riuscì nemmeno a schivarla. Era una trappola. 
«Mar solas ena mar din» [Il tuo orgoglio ti porterà alla morte], ma il timbro di voce adesso era maschile, roco e roboante mentre lo derideva e i suoi occhi erano rossi come il lyrium.
Sentì subito una fitta al cuore tanto forte da togliere il respiro. Chiuse gli occhi in una smorfia di dolore e iniziò ad avere visioni orribili. Una sequenza interminabile di immagini strazianti: sangue, viscere, denti digrignati, specchio, cadaveri... Montagne di cadaveri, ricordi che si susseguivano veloci e inarrestabili accompagnati da urla inquietanti e maledizioni in una lingua antica ormai perduta da tempo. Riaprì le palpebre ma le visioni terrifiche non andavano via, anzi le grida si facevano sempre più acute e tormentate e il tutto continuava a sfrecciare a intermittenza nella sua mente. Bocche grondanti di sangue, un eluvian, altre viscere, altro sangue, occhi stralunati, ombre dietro lo specchio.
Tutto finì solo quando lo spirito interruppe il contatto svanendo nel nulla.  
Stava ancora cercando di capire come fosse stato possibile tutto ciò, cosa o chi fosse quel demone e che poteri dovesse avere per osare tanto, quando notò che lo scenario attorno a lui era cambiato di nuovo.
Ruotò con diffidenza lo sguardo per capire dove fosse. Un luogo decisamente familiare, un luogo dove aveva trascorso il più delle sue giornate fintanto che era rimasto con l'inquisizione: la rotonda di Skyhold.
Provò un certo senso di oppressione, irrequietezza, come se si sentisse in gabbia. Tentò di non lasciar trapelare nessun tipo di turbamento come al suo solito, ma c'era qualcosa che non andava. Era come se non avesse più il pieno controllo del suo corpo o delle sue azioni, come se la sua razionalità stesse pian piano scemando e con essa ogni maschera dietro cui lui usava celarsi. 
Non era abituato a non essere del tutto cosciente e padrone di quello che accadeva nei suoi sogni, e ciò non gli piaceva affatto. Tuttavia questi pensieri che lo legavano alla realtà stavano abbandonando la sua mente, lasciandolo in balia di un ginepraio di emozioni che per troppo tempo si era rifiutato di affrontare.
Sentì dei passi scendere per le scale. Si voltò e la vide. Era come una scena già accaduta mille volte e, come altre volte, avrebbe voluto fermarla e raccontarle tutto, ma proprio tutto. Fece per andarle incontro ma Halla attraversò la stanza con passi svelti, senza nemmeno degnarlo di un'occhiata.
Confuso dalla reazione inaspettata si arrestò sul posto finché una nuova copia di Halla non sopraggiunse alle sue spalle spintonandolo con disprezzo. 
«Ma harel lasa!» [Mi hai mentito!]
Era affranto ma non poteva negare. Tentò di accarezzarle le braccia e avvicinarla a sé, come se ciò potesse in qualche modo placarla. «Ir abelas, Vhenan...» [Mi dispiace, Cuore mio...]. 
Si liberò dal suo tocco disgustata. «Tel'abelas! Banal'vhenan!» [Tu non sei dispiaciuto! Tu non hai un cuore!]
Avrebbe voluto ribattere ma lei svanì in fretta come un battito di ciglia.
Una sottile e spensierata risata che giungeva da dietro di lui richiamò la sua attenzione. Quasi avesse timore a girarsi del tutto, voltò il capo solo quel tanto che bastava per scorgerli con la coda dell'occhio.
Lei continuava a ridere. «No, te lo giuro: non era un trucco, erano veri tatuaggi. Ha fatto un incantesimo per rimuoverli».
Cullen scuoteva il capo confuso, sorridendo di rimando. «Ma non capisco perché. Perché te li ha voluti togliere?».
«Andavano...», si prese un attimo di pausa per cercare di non rabbuiarsi, «Andavano tolti. Purtroppo rappresentavano qualcosa di crudele di cui non ero a conoscenza. Non chiedermi oltre, ti prego».
Il comandante si grattava la nuca turbato. «Io credo che i vallaslin facessero parte di te, al di là del loro significato. È stato egoista da parte sua chiederti tanto. Tu sei perfetta esattamente come sei».
Halla si appuntò imbarazzata una ciocca di capelli dietro l'orecchio, abbozzò un ultimo sorriso e fece per andarsene. 
Cullen rimase lì a guardala fintanto che poté. Solas aveva già visto quello sguardo, era lo stesso che anche lui posava su di lei. 
"Non è reale" pensò. Le tempie gli facevano male. Puntò le mani contro la parete più vicina, voleva isolarsi, magari dimenticare. Chiuse gli occhi. Il battito del suo cuore era come un martello su un pezzo di stoffa: colpiva incessante, pulsava violento fino alle orecchie ma nessuno a parte lui poteva sentirlo.
La sua razionalità cercava incessantemente di tornare da lui, ma qualcosa di quel posto continuava a impedirglielo.
«Non è reale», sibilò dolorante.
«È l'oblio. Qui tutto è reale. Me lo hai detto tu», disse Halla appena apparendo tra lui e il muro, a meno di un respiro dal suo viso.
Alzò su di lei il suo sguardo triste e rassegnato, ma restò immobile e non rispose. 
Halla gli accarezzò la guancia lasciando scorrere lentamente le sue dita e i suoi occhi sulla mappa che conosceva a memoria delle sue lentiggini. 
Il suo tocco era miracoloso come lui lo ricordava, bastava quello per fargli dimenticare tutto il resto. Mai nessuno nella sua lunga vita lo aveva sfiorato così nel profondo, rompendo tutte le sue maschere. Non lo aveva permesso a nessun altro, o forse a nessun altro era mai importato di riuscirci, ma ciò non cambiava quanto lei fosse unica.
«Starti vicino mi fa impazzire», ammise Solas controvoglia, come se si stesse liberando di un peso, «E anche non starti vicino mi fa impazzire...».
Di tutta risposta lei appoggiò il naso contro il suo mentre allungava le labbra in un dolce sorriso, un gesto che aveva ripetuto spesso fin tanto che erano stati insieme, ma il calore del suo gesto non poteva mitigare il gelo che si stava diffondendo nella stanza.
Lui serrò forte le palpebre, come se ciò potesse servire a contenere la sofferenza delle sue parole. «Vederti intrappolata nei miei incubi è quello che ho sempre voluto risparmiarti. Non avrei mai voluto trascinarti in questa storia con me,  non avrei mai voluto ferirti».
«Solas», lo riprese Halla con tono serio, «Tu non mi hai ferita. Mi hai lasciata morire».
Al suono di quelle parole riaprì le palpebre ma tra loro due ora c'era una lastra di ghiaccio. Non capiva cosa stesse succedendo, non capiva dove fosse. Si scrutò attorno mentre respirava affannosamente. Riconobbe quel posto, per quanto l'Oblio lo avesse distorto in una visione glaciale, era il tempio di Mythal e quello sotto di lui era il Pozzo del Dolore, ma era ghiacciato e lei era intrappolata sotto di esso.
«Vhenan!», gridò mentre scagliava un pugno contro il ghiaccio che li divideva.
Lei stava annegando e ogni sua supplica di aiuto si disperdeva vana e silenziosa nell'acqua.
Un altro pugno sulla lastra ghiaccio, poi un al'tro ancora, e un altro ancora finché il sangue uscito dalle sue mani impregnò di rosso la ragnatela di crepe sotto di lui, tanto da impedirgli di vedere ancoro il viso della sua amata.
Non sarebbe riuscito a salvarla e non sarebbe riuscito a perdonarselo.
«No! Ti prego! No!», e l'ira dei suoi gesti cominciò a tramutarsi in terrore.
Un indolente rumore di tacchi sì avvicinò a lui, che disperato com'era, non riuscì neanche a distiguerlo finché lei non aprì bocca. «Avresti dovuto fermarla prima se ci tenevi tanto...». Flemeth se ne stava lì guardandolo dall'alto in basso col suo solito sorriso sardonico.
Si voltò verso di lei con un'espressione rabbiosa e colma di rancore, ma sapeva che l'unico da incolpare era lui. Come un lupo ferito, cercò di mettere da parte l'orgoglio, per lei. «Salvala, ti scongiuro».
«No», rispose subito senza neanche pensarci. «Non c'è più niente che tu possa fare per la mortale. Le hai detto addio già da tempo, quando l'hai lasciata scendere nel pozzo. Ormai mi appartiene e io già ti ho dato molto, Temibile Lupo».
«La colpa è la mia, non la sua! Sono io che dovrei pagarne il prezzo», digrignò tra i denti tornando a colpire il ghiaccio con tutta la sua forza. Quando poi finalmente lo ruppe, ne tirò fuori solo il corpo gelido ed esanime di Halla.
«E infatti sei tu che ne stai pagando il prezzo», constatò Flemeth prima andarsene.
Incapace di dire o fare nient'altro, Solas strinse Halla contro il suo petto. 
Era morta; e sebbene una parte di lui ancora sapesse si trattasse solo di un incubo, il dolore che provava era molto reale e irrefrenabile mentre nella sua gola prendeva forma di grida e pianti, e come un ulato si spargeva terribile e solitario in un cielo cupo senza luna.

   
 
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