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Autore: _Agrifoglio_    12/12/2018    20 recensioni
Una missione segreta, un’imboscata vicino al confine austriaco e il corso degli eventi cambia. Il senso di prostrazione dovuto al fallimento, il dubbio atroce di avere sbagliato tutto, un allontanamento che sembra, ormai, inesorabile, ma è proprio quando si tocca il fondo che nasce, prepotente, il desiderio di risorgere. Un incontro giusto, un’enorme forza di volontà e, quando tutto sembrava perduto, ci si rimette in gioco, con nuove prospettive.
Un’iniziativa poco ponderata della Regina sarà all’origine di sviluppi inaspettati da cui si dipanerà la trama di questa storia ricca di colpi di scena, che vi stupirà in più di un’occasione e vi parlerà di amore, di amicizia, di rapporti genitori-figli, di passaggio alla maturità, di lotta fra concretezza e velleitarismo, fra ragione e sogno e della difficoltà di demarcarne i confini, di avventura, di duelli, di guerra, di epos, di spirito di sacrificio, di fedeltà, di lealtà, di generosità e di senso dell’onore.
Sullo sfondo, una Francia ferita, fra sussulti e speranze.
Davanti a tutti, un’eroica, grande protagonista: la leonessa di Francia.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il traditore
 
Erano le otto di mattina e Oscar stava in piedi davanti allo specchio, nei suoi appartamenti di Palazzo Jarjayes, intenta ad allacciarsi gli alamari dorati della divisa turchese da Comandante Supremo delle Guardie Reali.
Un raggio di sole ravvivava la stanza, disegnando sul pavimento di marmo un’allungata scacchiera e ricordando, con la sua luminosità, che maggio volgeva ormai al termine.
Erano passati tre giorni dall’assalto alla vecchia fortezza e dalla missione di salvataggio e Oscar aveva passato i primi due fra il sonno e la veglia e soltanto nel corso dell’ultimo era stata cosciente, ma debole e col capo che le doleva. Madame de Jarjayes e la nonna di André si erano alternate al capezzale di lei, ma, dal pomeriggio del giorno precedente, la vecchia governante era rimasta da sola a svolgere quel grato compito, perché la Contessa era stata chiamata d’urgenza al castello di Meudon, a causa dell’aggravarsi delle condizioni di salute del Delfino al quale i medici avevano diagnosticato meno di una settimana di vita. Le due donne le avevano raccontato che era stata riportata a Palazzo Jarjayes, intorno alle due di notte, dal Conte di Fersen e dal Colonnello de Girodel e che il medico era stato praticamente buttato giù dal letto per venirla a visitare. Le avevano anche riferito che il soldato de Soisson, che aveva partecipato alla missione di salvataggio, si era recato lì due giorni fa, per informarsi sulle condizioni di salute di lei.
A parte una generale, ma comprensibile debolezza e alcune escoriazioni ed ecchimosi sparse, la donna non aveva riportato conseguenze da quella brutta avventura. Sulla fronte, risaltava, rosseggiante e contornato di violaceo, un graffio che, per fortuna, non aveva richiesto l’applicazione di punti né avrebbe lasciato cicatrici, tanto che la fasciatura avvolta intorno alla testa era finalizzata esclusivamente a nascondere il bernoccolo e a non suscitare le acute lamentele della nonna di André. Nei primi due giorni, dato lo stato di dormiveglia, era stata nutrita con brodo e acqua zuccherata mentre, il terzo, aveva mangiato in abbondanza, riacquistando completamente le forze.
Questa disavventura deve insegnarmi a essere più prudente e ad ascoltare i consigli di chi mi sta accanto. Girodel aveva intuito il pericolo e, se avessi tenuto in debita considerazione le esortazioni di lui, avrei evitato tante noie a tutti – rifletteva la donna, allacciandosi l’ultimo alamaro.
Mentre pensava queste cose e finiva di abbigliarsi, sentì bussare alla porta e ingiunse di entrare. Pochi istanti dopo, Marie Grandier varcò la soglia, recando fra le mani un vassoio carico di the e di biscotti.
– Madamigella Oscar, ma cosa fate?! Perché indossate la divisa? Tornate subito a letto, che siete convalescente!
– Non preoccuparti, Nanny, sto bene – rispose lei, sorridendo – Devo andare alla reggia a ringraziare il Re e la Regina, a chiedere informazioni sulla salute del Delfino e a farmi riferire le novità, per verificare se vi siano urgenze.
– Mi dispiace per il povero Principe…. E mi dispiace anche che Voi siate così testarda…. Tutti i giovani sono testardi…. Soltanto noi vecchi siamo saggi, ma siamo anche così malandati…. Le ossa mi fanno male e, se quello sciagurato di mio nipote fosse rimasto qui e non fosse stato Conte, avrei mandato su lui per la colazione….
Lasciato il vassoio su un tavolino, la vecchia governante uscì dalla stanza bofonchiando.
Questa poi! – pensò Oscar, con aria divertita – Ha sempre usato André come bersaglio delle sue recriminazioni e, ora, lo rimprovera pure di non essere qui, dopo nove mesi che se ne è andato!
Quando era in stato di incoscienza, per la verità, aveva avuto la sensazione che André fosse lì a prendersi cura di lei e a vegliarla. Le era parso che le mani di lui avessero raggiunto le sue, quando la masnada di energumeni stava per afferrarla sulla rampa di scale e che quegli occhi gentili l’avessero accarezzata con la loro premura mentre era svenuta.
Certo che la mente fa degli strani scherzi! Deve essere perché mi sento così sola e lui mi manca tanto….
Era da poco scesa al piano inferiore, quando udì il rimbombo di alcuni passi sull’impiantito e, subito dopo, vide Alain incedere a grandi falcate verso di lei.
– Il soldato Alain de Soisson chiede di Voi, Generale – disse un valletto, trafelato per la corsa ed alzando gli occhi al cielo, perché quel soldataccio era scappato avanti e non aveva atteso di essere annunciato come Dio comanda.
– Comandante, sono lieto di vederVi in piedi! – disse Alain, con un grande sorriso – Sono qui per sapere come state e, con l’occasione, Vi informo che, ieri, mi è giunta una lettera di mia madre, la quale mi ha scritto che rientrerà a Parigi il primo giugno e così io, il giorno dopo, verrò a riprendere mia sorella. Vi ringrazio di cuore per averla ospitata per tutti questi mesi e di esserVene presa cura con tanta dedizione!
– Oggi, sto bene, Alain e tu non devi ringraziarmi. E’ stato un piacere ospitare tua sorella. Mademoiselle Diane è una cara ragazza. Piuttosto, sono io che devo ringraziare te per avere preso parte alla missione di salvataggio.
– Non ne parliamo neppure Comandante! E’ stato un onore da parte mia! E’ un altro che dovete ringraziare….
– Ringrazierò il Conte di Fersen, il Colonnello de Girodel e il Capitano de Valmy questa mattina, appena sarò giunta alla reggia.
– Non è a loro che mi riferivo, Comandante.
– E a chi? – domandò, perplessa, Oscar – Mio padre ha dovuto raggiungere il suo reggimento il giorno successivo a quello del mio salvataggio, ma, quando sarà tornato, ringrazierò pure lui….
– Mi riferivo ad André, Comandante.
– Ad André?!?! – ripeté Oscar, al culmine dello stupore.
– Sì, ad André. Sono andato a Lille ad avvertirlo del Vostro rapimento e lui si è precipitato qui per dare il suo contributo. Si è messo in viaggio con me e con quei due Vostri parenti inglesi per venirVi a salvare, nonostante il tempo da lupi e una febbre molto alta che lo aveva colpito nei giorni precedenti. Si è dato da fare come un forsennato per Voi! Non ho mai visto nessuno combattere con un tale ardimento! Sembrava che fosse in gioco la sua stessa vita e non soltanto la Vostra!
– André è stato qui…. – balbettò Oscar, quasi inebetita.
– Sì, Comandante.
– Oh! Alain! Alain! Sono così contenta che tu sia qui! – li interruppe Diane, gettando le braccia al collo del fratello – Che bello! Che bello!
Oscar si accomiatò da loro e raggiunse le scuderie.
André è stato qui…. E’ stato qui e ha partecipato alla missione di salvataggio…. Ha sfidato il brutto tempo e delle condizioni di salute precarie…. Ha combattuto con grande ardimento per restituirmi la libertà…. Non si è dimenticato di me…. Non mi ha lasciata sola…. Il mio André! Il mio André!
 
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Infuriava la fine del mondo sotto al castello di Lille.
Nell’autunno del 1788, André aveva deciso di restaurare la torre del mastio e si era rivolto a un Ingegnere che aveva diretto i lavori, rinforzando la struttura, riparando scale, soffitti e pavimenti, consolidando le pareti e chiudendo buchi e fessure. Ciò aveva reso abitabile il corpo centrale del castello, in modo che, quando fossero ricominciati i lavori nei campi, André avrebbe potuto seguirli, soggiornando in un edificio confortevole anziché fatiscente. Circa tre settimane prima che il giovane avesse il presagio del pericolo incombente sul capo di Oscar e si ammalasse di febbre nervosa, l’Ingegnere gli aveva comunicato che i lavori di restauro erano terminati. L’uomo aveva, quindi, organizzato un ricevimento per inaugurare la torre e, essendo tornato a Lille il giorno prima della data fissata, per questioni pratiche e anche per riscuotersi dalla tristezza, aveva deciso di non rimandare i festeggiamenti. Fra gli invitati, figuravano il Conte di Canterbury, Sir Percy Blakenay, il Marchese Camille Alexandre de Saint Quentin con la sorella, Mademoiselle Victoire Aurélie e altri notabili del luogo, fra i quali André, per educazione, aveva dovuto includere la famiglia dei Marchesi d’Amiens. Alla comitiva si era aggiunto, in virtù di autoinvito, Maurice Le Barde, il poetastro.
Mentre fervevano i festeggiamenti, il castello era stato cinto d’assedio da una banda, piuttosto nutrita, di villici inferociti.
André aveva dato ordine di sprangare il portone d’ingresso e di calare anche la pesante grata di ferro, nella speranza che questa soluzione, unita al baluardo offerto dalle massicce mura difensive, avrebbe scoraggiato gli assalitori, facendoli desistere.
Quell’assalto era apparso subito anomalo, perché i contadini erano armati di fucili e di armi da fuoco, più che di forconi e di altri arnesi da lavoro e nessuno dei presenti li aveva mai visti nei paraggi. Non erano sicuramente persone del luogo e una ribellione contadina in trasferta era un’ipotesi alquanto peregrina. L’unica persona che fu individuata, sia da André sia da Mademoiselle de Saint Quentin, era Marc Kroger, il quarantenne sfregiato nonché uomo di fiducia del Duca di Germain. In lui, il Conte di Canterbury e Sir Percy riconobbero il sicario che, ad agosto, si era recato in Inghilterra, insieme a un compare, per assassinare il Conte.
Malgrado gli auspici di André, gli assalitori si mostrarono subito determinati e per nulla disposti a demordere, così che, trascorse le prime ore, tutti i presenti ebbero l’impressione che l’assedio sarebbe stato lungo e agguerrito. Dopo mezza giornata, gli assediati cominciarono a perdere sia la calma sia la fiducia nell’indistruttibilità delle mura difensive e soltanto Sir Percy pareva trovarsi nel suo elemento, con gli occhi che gli brillavano di una luce fiera e guerresca. Il nobiluomo inglese incitava gli assediati e lanciava divertenti provocazioni all’indirizzo degli assalitori che, a un certo punto, stanchi di essere dileggiati, si calarono le braghe e gli mostrarono le terga. Ciò fece infuriare la Marchesa d’Amiens che ingiunse alla figlia Geneviève di voltarsi dall’altra parte e rivolse livorose critiche alla Marchesina de Saint Quentin, la quale, anziché girarsi, aveva continuato a tenere gli assalitori sotto tiro con il fucile.
Il poetastro sembrava impazzito, perché saltellava in lungo e in largo, declamando versi e dicendo che quell’esperienza gli avrebbe sicuramente ispirato un’opera di pregio, tanto che André iniziò a temere che qualcuno degli assediati, perdendo la pazienza, avrebbe sparato a lui anziché ai ribelli.
Il giovane, che aveva ordinato di portare sul cammino di ronda tutte le armi disponibili, a un certo punto, ingiunse ai servitori di trasportarvi anche i vecchi cannoni, perché, pur non avendo la certezza di possedere l’indispensabile per farli funzionare, sperava che gli assedianti, vedendoli spuntare dalle feritoie, si sarebbero atterriti. Quelli, invece, alla vista degli obici, moltiplicarono gli sforzi, al grido di:
– Andiamo a prendere la testa del Conte di Lille!
Un gelo di morte si impadronì degli assediati insieme alla certezza che le cose si stavano mettendo malissimo.
 
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Al suo arrivo alla reggia, Oscar non fu ricevuta dal Re, impegnato negli Stati Generali né dalla Regina che, ormai, dimorava stabilmente nel castello di Meudon. Da un colloquio con Madame de Girodel, ebbe, però, conferma che le condizioni del Principino erano, purtroppo, irreversibili e rapidamente avviate a un’imminente fine.
Col cuore gonfio di tristezza, le due donne dovettero anche sopportare le ipocrite manifestazioni di giubilo della Contessa di Polignac che, incontrata Oscar, si sperticò in mirabolanti felicitazioni per il fausto esito di quel barbaro rapimento.
– Certo, Vi rimane in viso quel pallore innaturale – cinguettò la nobildonna – ma, d’altra parte, esso s’intona alla perfezione col turchese della Vostra divisa e, a ben vedere, troppo colorita non siete mai stata. Cosa Ve ne fate, poi, delle guance rosee se non Vi dovete sposare?
Madame de Girodel si comportò come se nulla fosse, dato che, ormai, ben conoscendo la Contessa, aveva capito che ignorarla era la soluzione migliore. Oscar fece altrettanto, in quanto a lei Madame de Polignac interessava soltanto come possibile talpa e, soprattutto, perché la mente le volava in un’altra direzione.
Perché André è corso a salvarmi? – si domandava la donna – La vita di lui, ormai, è a Lille….
Dopo che la Contessa le ebbe graziate del suo commiato, le due donne continuarono a discorrere del Principino, finché non furono raggiunte dal Colonnello de Girodel.
Il modo in cui i due coniugi si guardavano e si parlavano dava gioia al cuore. Si capiva che erano degli sposi estremamente bene assortiti, due anime affini e reciprocamente affezionate che, presto, avrebbero salutato lo sbocciare di una nuova vita. Tutto, nei loro gesti, nelle loro espressioni e in ogni sfumatura del loro essere, narrava di un affetto condiviso che, per quanto giovane, era già solido. Quel che maggiormente contava – e Oscar apprezzava ciò sopra ogni cosa – era che quell’affetto non veniva affatto ostentato, ma, anzi, di fronte agli altri, era contenuto per modestia e pudore e, proprio per questo, appariva ancora più profondo.
Loro non sono soli – pensava Oscar – Non lo sono più.
Preso, infine, congedo dalla moglie, il Colonnello de Girodel si diresse, insieme a Oscar, nell’ufficio di lui, per ragguagliarla sulle novità capitate quando lei era in mano ai rapitori.
Strada facendo, i due ufficiali si imbatterono nel Conte di Compiègne che camminava nella direzione opposta alla loro. Nel vedere Oscar, gli occhi del cortigiano assunsero una luce fredda e infastidita, ma, da consumato uomo di mondo, si riebbe immediatamente e iniziò a dissimulare, trasferendo il proprio malanimo sul cugino.
Salutata, infatti, Oscar con una rispettosa e impeccabile riverenza, il Conte di Compiègne si rivolse a Girodel con un’ironia che avvolgeva una cuspide di veleno, dicendogli:
– Vi invidio la moglie, le amicizie e finanche la capigliatura, caro Cugino, ma non certo l’eleganza nel vestire…. La Vostra giacca è terribilmente stazzonata – e concluse la frase con un sorriso sornione.
– E’ stazzonata perché torno adesso dalle scuderie, caro Cugino, dopo un’ora passata a guidare una spedizione a cavallo anziché a oziare. E’ buona regola, poi, non criticare, se si è i primi a essere in difetto o sono forse io ad avere perso uno dei miei bottoni di madreperla?
Il Conte di Compiègne si portò, d’istinto, la mano sull’elegante gilet azzurro cielo e, dopo averlo guardato, si accorse che una delle asole era poco elegantemente vuota.
– Io torno a Palazzo Girodel – fu l’unica frase che quello, aggrottando le ciglia, riuscì ad articolare.
Lasciato il Conte di Compiègne a medicarsi le ferite inferte dall’arma che lui per primo aveva usato, Oscar e Girodel entrarono nell’ufficio di lui.
– Bene, Comandante – disse il felice neosposo al suo superiore – Nei dieci giorni in cui siete mancata, nulla è successo, a parte tre eventi particolarmente gravi. Ci sono stati, innanzitutto, gli assalti a due castelli situati nelle campagne di Parigi. Gli aggressori, dei contadini probabilmente aizzati da alcuni esponenti della borghesia parigina, hanno messo a ferro e fuoco i manieri e massacrato chi vi abitava, invocando l’abolizione dei diritti feudali. I responsabili sono stati tratti in arresto e saranno processati. La notte in cui siete stata messa in salvo, poi, i pochi uomini da noi catturati sono stati sgozzati, nelle loro celle, da una mano ignota. Il fatto, di per sé, è molto grave anche se la loro testimonianza sarebbe servita a ben poco, dato che il Re non vuole celebrare un processo pubblico contro il cugino.
Come può André volermi ancora bene? – pensava Oscar – Sono stata innamorata di Fersen e, pochi mesi fa, l’ho rifiutato in un modo così reciso da non lasciare adito a ripensamenti….
Subito dopo, accorgendosi che Girodel la guardava interrogativamente, si riscosse.
– Perdonate la stanchezza Colonnello. Sono tutti fatti molto gravi, sia gli eccidi nei castelli sia l’assassinio dei prigionieri.
– E’ così, Comandante e le cose non vanno meglio sul versante della spia. Sebbene abbiamo tenuto la Contessa di Polignac sotto stretta sorveglianza, sul conto di lei è emersa soltanto una tenera amicizia col Duca d’Orléans e nulla di più. Siamo al punto di partenza, quindi.
Oscar stava ascoltando il suo secondo con espressione rabbuiata, quando un valletto, dopo avere bussato, entrò nella stanza, consegnò, con aria tetra, un foglio di carta al Colonnello e, poi, si ritirò.
– Oh, no! – esclamò Girodel, guardando costernato Oscar e abbassando, subito dopo, gli occhi, incapace di sostenere lo sguardo di lei – Dei contadini in rivolta hanno cinto d’assedio il Castello di Lille, Comandante….. Il Conte di Lille è stato ucciso…. Mi rincresce…. – aggiunse, poi, con un filo di voce.
Oscar puntellò le mani sui braccioli della poltrona sulla quale era seduta, guardando Girodel con gli occhi sbarrati. Un istante dopo, scattò in piedi e si precipitò fuori dalla stanza, senza proferire parola.
 
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Correva come una forsennata, Oscar, in equilibrio precario fra incubo e realtà, fra follia e lucidità, a tratti barcollando, a tratti sbandando, col cuore impazzito che le esplodeva nel petto e i polmoni prossimi al collasso. Dimentica di sé e di quanti, perplessi, la guardavano, fissava, allucinata, la verità a lungo negata che, coi suoi saettanti bagliori, la stava abbacinando.
La notizia della morte di André l’aveva colpita al cuore come un dardo e in testa come un maglio, facendo crollare fino alle fondamenta la fortezza di ipocrisie e di silenzi nella quale si era, a lungo, barricata.
Quelle brevi, ma acuminate parole l’avevano trafitta e straziata come una Vergine di Norimberga.
La consapevolezza di una perdita immensa e irreversibile, al pari di uno spietato carnefice, le aveva strappato le palpebre e immobilizzato la testa, costringendola a fissare il sole di agosto.
Amava André…. L’aveva sempre amato….
Questa terrificante epifania l’aveva travolta e annichilita, lasciandola, però, pienamente cosciente, affinché bevesse, fino in fondo, al calice della disperazione.
Lui non era più…. Mai più l’avrebbe rivisto…. Da sola avrebbe vagato per i sentieri impervi di quella stanza delle torture che gli uomini chiamano vita…. A piedi nudi, avrebbe camminato sui frammenti aguzzi della sua anima spezzata. Vermi striscianti avrebbero succhiato il sangue che ne sarebbe stillato e urlanti rapaci le avrebbero lacerato le carni e strappato gli occhi che, tanto, mai le erano serviti per vedere.
Era sola, terribilmente sola….
Giunta nelle scuderie, si diresse verso il suo cavallo, ma, per troppo stordimento, inciampò e si sorresse al corpo dell’animale. In ginocchio sulla paglia, iniziò a piangere disperata.
Tutto, adesso, aveva acquistato un senso. La morsa della solitudine che l’aveva stritolata, le emozioni suscitate dalle bizzarre frasi di Diane, le parole profonde e accorate della madre…. Tutti questi frammenti, che le erano sembrati delle monadi affidate ai venti del caso, si erano, invece, rivelati essere le tarsie di un mosaico che, dopo un iniziale e tumultuoso turbinio, avevano preso il posto che competeva loro sin dall’inizio, rivelando un semplice e naturale disegno.
Io ti amavo André, ti amavo davvero, con tutto il cuore…. Avrei potuto amarti già da molti anni, ma ho scoperto in me questo sentimento troppo tardi…. Se me ne fossi resa conto prima, avremmo potuto vivere insieme tanti momenti meravigliosi, momenti di amore intenso e travolgente, ma io non mi ero neanche resa conto dell’amore che tu nutrivi per me….. E’ questo che mi fa star male, che mi fa sentire terribilmente in colpa….
A cosa servono la fama e la gloria, se non c’è un’anima cara con cui condividerle? A cosa serve la libertà, se il cuore geme dalla disperazione e gronda lacrime di sangue?
Cos’era rimasto del vero soldato? Cos’era rimasto del semidio? Era rimasta una donna sola, denudata dell’epica e dell’innocenza e rivestita di disperazione e di follia.
 
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Rimasto solo nella stanza, il Colonnello de Girodel si prese la testa fra le mani, pensando alla gravità di ciò che aveva appena letto. Gli dispiaceva per André di cui aveva, da sempre, ammirato la rettitudine e la dignità e si doleva per Oscar che intuiva essere avvinta a quell’uomo da un legame molto più profondo di quanto ella stessa avesse consapevolezza. La reazione che aveva avuto pochi minuti prima ne aveva dato ampia testimonianza.
Messo da parte quel foglio, infausto messaggero di sventura, decise di dedicarsi all’incartamento relativo all’assedio dei due castelli, per tenere la mente impegnata con qualcosa di utile. Prese in mano la cartella contenente i fascicoli e se la mise davanti, ma, nel fare ciò, un piccolo oggetto tondo cadde da dentro e rimbalzò a terra. Girodel si chinò e lo raccolse, trovandosi, così, in mano un bottone di madreperla.
L’uomo, a quella vista, sbalordì mentre le tenebre si diradavano al progressivo sopraggiungere della luce. Rivide un gilet senza bottone…. Rivide un uomo enigmatico e anaffettivo che mai lo aveva guardato, se non con calore, perlomeno con simpatia…. Il cugino, quindi, aveva aperto la cartella e frugato fra i fascicoli…. Quando lo avevano incontrato, egli veniva proprio dalla direzione dell’ufficio…. Quante volte, a casa o nella reggia, lo aveva visto aggirarsi intorno alle sue cose, accampando questa o quella scusa e lui era stato tanto stolto da imputare tutto a un’innata invadenza?
Quanto era stato cieco! Quanto era stato ingenuo! Il Conte di Compiègne era la spia e lui, che aveva guidato le indagini, ne era stato, seppure involontariamente, il principale aiutante! Che assurda ironia! Che sorte beffarda!
Scattato in piedi, corse come una furia verso le scuderie e, da lì, a Palazzo Girodel, cavalcando con la foga di un dannato evaso dall’inferno, con gli occhi che dardeggiavano come saette e il vento che gli schiaffeggiava la faccia.
Giunto nell’atrio del palazzo, imboccò la monumentale scala di marmo e, nel giro di pochi attimi, la percorse fino in cima. Arrivato davanti alla stanza del cugino, ne spalancò la porta senza troppe cerimonie e si precipitò all’interno come un forsennato.
– Ma che maniere – esclamò, stizzito, il Conte di Compiègne, alzandosi di scatto dalla sedia – Bussare non è più di mo….
Neanche riuscì a terminare la frase che Girodel gli si avventò addosso e, afferratolo per il colletto della camicia, iniziò a strattonarlo.
– Siete un degenerato! Siete un uomo senza un briciolo di onore! Sin da quando eravamo bambini, avevo pensato…. mi ero illuso…. che foste soltanto un individuo fatuo e superficiale, ma non è così! Voi siete un delinquente! Voi siete un demonio! Vi siete alleato con i nostri nemici! Avete quasi consegnato alla morte Madamigella Oscar e, con ogni probabilità, siete anche responsabile dell’uccisione del Conte di Lille!
– Ma che diavolo state di….
Il Conte di Compiègne stava ancora improvvisando quell’abbozzo di difesa, quando Girodel tirò fuori dalla tasca il bottone di madreperla e glielo lanciò in faccia. L’altro chiuse istintivamente gli occhi e, quando li riaprì, vide a terra il monile e comprese.
Un mese dopo l’arrivo a Versailles per presenziare ai funerali di Charles Henri, il maggiore dei fratelli Girodel, il Conte di Compiègne aveva conosciuto il Duca d’Orléans e, accomunato a lui dagli stessi gusti in fatto di letteratura e di moda, non aveva tardato a stringerci amicizia. Entrato, in breve tempo, nel libro paga del Duca, non aveva esitato a sfruttare la vicinanza al cugino per fare la spia e sabotare molte delle missioni delle Guardie Reali, in cambio di una rendita mensile e della promessa che tutti i debiti in cui affogava sarebbero stati saldati. Il Duca lo aveva spesso esortato a consegnargli la testa di Oscar, ma il Conte, che non aveva abbandonato il progetto di sposarla, aveva sempre temporeggiato con successo e, quando il Duca gli aveva riferito che Saint Just avrebbe attentato alla vita del Generale de Bouillé, egli, nell’aiutarlo a sviare le Guardie Reali verso un altro obiettivo, aveva chiesto e ottenuto che anche l’altro passeggero della carrozza, il Generale de Jarjayes, fosse assassinato. In questo modo, Oscar sarebbe rimasta traumatizzata e lui avrebbe avuto gioco facile nel consolarla, nello sposarla e nell’appropriarsi dei beni di lei e nessuno lo avrebbe ostacolato, perché il Generale si sarebbe trovato sotto due metri di terra mentre André era già fuori dai piedi, a Lille. Grande era stato, pertanto, il disappunto del Conte nell’apprendere che il Generale, non soltanto si era salvato dall’attentato, ma ne era uscito praticamente illeso. Quando, poi, Oscar lo aveva rifiutato, aveva deciso di consegnarla agli sgherri del Duca, un po’ perché era diventata inutile e un po’ per vendicarsi.
– Siete un depravato…. Moralmente e umanamente infimo…. – proseguì Girodel – Ne sa qualcosa quel vostro amico d’infanzia, del quale seduceste senza scrupolo alcuno la fidanzata che fu costretta a ritirarsi in un convento!
Il Conte di Compiègne guardava il cugino con occhi carichi di odio senza provare la minima vergogna per i suoi crimini.
– Andate fuori da questo palazzo!! Andatevene via!! Non voglio che vi sediate a tavola con mia moglie!!!! Non voglio che mio figlio cresca accanto a un reprobo come voi!!!!
– Eh, no, caro Cugino, questo palazzo appartiene a vostro padre e non a voi…. Se non vi aggrada la mia compagnia, fate i bagagli e andatevene voi!
– E come credete che reagirebbe mio padre se sapesse che razza di individuo siete?! Andatevene spontaneamente altrimenti gli riferirò tutto e voi sarete completamente screditato!! Adesso, tornerò alla reggia e questa sera, al mio rientro, di voi, in questa casa, non dovrà essere rimasta neppure l’ombra!!
Pronunciate queste parole, uscì dalla stanza con la stessa rapidità con la quale vi era entrato, lasciando il Conte di Compiègne a maledirlo in tutte le lingue vive e morte.
 
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Cavalcava disperatamente, Oscar, verso l’orizzonte che si perdeva in un tramonto orchidea, arancio e oro.
L’anima vuota, il cuore in pezzi e la mente percossa da frammenti di pensieri aguzzi e convulsi che turbinavano in una ridda scomposta e ferivano ciò che urtavano.
I muscoli irrigiditi neanche più le facevano avvertire il dolore mentre gli occhi le bruciavano, forse per il vento o forse per le lacrime. Le lacrime amare del rimorso e della disillusione….
Galoppava, Oscar, verso la Francia del nord.
 
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La mattina dopo, una mano furtiva bussò agli appartamenti della reggia assegnati a Madame de Girodel.
– Avanti – disse la donna.
La porta si aprì, svelando le sembianze del Conte di Compiègne.
Madame de Girodel trattenne il fiato, perché il marito l’aveva informata dell’accaduto, ma, essendo da sempre avvezza a esercitare l’autocontrollo, riuscì a mantenere una relativa tranquillità.
– Perché impallidite, cara Cugina? Non ho la peste e non sono venuto a divorarVi – ironizzò quello, con un sorriso sarcastico e uno sguardo gelido.
– Scusatemi – si schermì lei – La tensione per le sorti del Delfino…. Il mio stato…. – aggiunse, poi, guardandosi il ventre.
– Poiché siamo due persone intelligenti – tagliò corto lui – Non mi dilungherò e non tenterò di giustificarmi o di raccontarVi storie lacrimevoli. Sono venuto qui unicamente per fare appello al Vostro buon cuore, che tutti conosciamo essere grande e per pregarVi di intercedere per me presso Vostro marito. Le mie mancanze sono enormi, ma a Voi mio cugino nulla rifiuta.
– Mi dispiace, Conte, ma non posso – rispose lei in un sussurrò e utilizzando il titolo nobiliare anziché il grado di parentela acquisita per rivolgersi all’interlocutore – Mi attribuite un ascendente che non ho. Quando mio marito prende una decisione importante, è irremovibile.
– Non assumete questo atteggiamento da donna irreprensibile e moralmente superiore, che non vi si addice – sibilò quello, cambiando, repentinamente, espressione e tono di voce – Siete o non siete la figlia del defunto Conte Jules Héracle de Chambord, noto, nel vostro borgo d’origine, per essere uno strozzino? Vostro padre si manteneva a galla prestando denaro a usura!! Non si contano gli orfani e le vedove che ha gettato in mezzo a una strada!!
Pronunciò queste parole con un livore incontenibile e, mentre le scandiva, agitava dei fogli di carta davanti al volto di lei, sempre più pallido e costernato.
– Leggete! – aggiunse, poi, porgendole quei fogli – Leggete questa lettera e, dopo averla letta, strappatela, bruciatela, fatene ciò che volete, tanto ne ho decine e decine uguali e anche più compromettenti!!
Madame de Girodel prese quei fogli con le mani tremanti, iniziò a leggerli e, a mano a mano che proseguiva nella lettura, gli occhi le si riempivano di lacrime.
Lei e la madre avevano sempre sospettato che il padre fosse dedito ad attività poco trasparenti, a causa di alcune stranezze nel comportamento di lui e delle voci che, in paese, erano tante e insistenti, ma nessuna delle due, per vergogna e timore, aveva voluto approfondire. Quando, poi, il Conte de Chambord era morto, moglie e figlia avevano preferito dimenticare e disfarsi delle carte di lui senza neanche leggerle e, da quel giorno, non avevano più parlato dei loro sospetti neanche fra di loro. Quando Mademoiselle de Chambord aveva conosciuto il Maggiore de Girodel, erano già passati più di dieci anni dalla morte del Conte e tutte quelle storie erano ormai stipate sotto strati di silenzio. Ritenendo che le nefandezze del padre fossero, ormai, sepolte con lui, non aveva avuto cuore di svelare al Maggiore quelli che, ai suoi occhi, erano rimasti dei semplici sospetti non suffragati da prove certe. Troppa era stata la paura di perderne la stima e la compagnia…. Quando, poi, lui si era dichiarato e le aveva chiesto la mano, lei non ci aveva pensato due volte e lo aveva accettato immediatamente come il più prezioso dei tesori…. Era stata debole e reticente e, ora, quella leggerezza stava per trascinare nel fango lei e, cosa ancora peggiore, anche il suo amatissimo marito…. Non se lo sarebbe mai perdonata….
– Ascoltatemi bene, Madame – disse il Conte, accantonando, anche lui, l’appellativo di “Cugina” – Da ora in poi, voi spierete mio cugino in vece mia e mi riferirete o io gli consegnerò le lettere.
– Vi prego, Vi supplico, non potete farlo! – singhiozzò lei, appoggiandosi alla spalliera di una sedia – Vi darò i miei gioielli…. Vi darò il mio denaro…. Vi imploro non per me, ma per il bambino che porto in grembo!!
– Non mi interessano i vostri gioielli, il vostro denaro e neanche le vostre grazie – aggiunse, poi, guardandola biecamente – e poco mi importa delle sorti del vostro infante. Mi interessa soltanto quello che vi ho detto. Credete che mio cugino vi perdonerà? Credete che accetterà una moglie del vostro calibro? Gli avete mentito! Gli avete taciuto la verità, se preferite, ma per lui è lo stesso! Conoscete vostro marito meglio di me! Credete davvero che Victor Clément l’integerrimo, Victor Clément il santo dividerà ulteriormente la mensa e il letto con una come voi? Vi do tempo fino a dopodomani a mezzogiorno e, poi, gli consegnerò le lettere.
Pronunciate queste aspre parole, le voltò le spalle e se ne andò.
Madame de Girodel si accasciò su una poltroncina, appoggiando un avanbraccio su un bracciolo e sorreggendosi la fronte con l’altra mano. Sì, conosceva bene suo marito…. Non le avrebbe mai perdonato quella reticenza…. Non sarebbe mai passato sopra a quella macchia con cui lei aveva offuscato l’onore dei Girodel…. Col tempo, forse, l’avrebbe capita e scusata, ma non l’avrebbe più voluta al suo fianco….
   
 
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