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Autore: Axel Knaves    14/12/2018    0 recensioni
Un patto di sangue involontariamente stretto e un'invocazione fatta per scherzo, portano Eva Rossi a condividere il suo appartamento con Helel (a.k.a. Lucifero) e Azrael (a.k.a. Morte).
Ma cosa potrebbe mai andare storto quando condividi la vita e la casa con la Morte, che entra nei bagni senza bussare, e il Diavolo, che ama bruciare padelle?
Eva non potrà fare altro che utilizzare le sue armi migliori per sopravvivere a questa situazione: il sarcasmo e le ciabatte.
~Precedentemente intitolata: Bad Moon Rising e Strange Thing on A Friday Night
~Pubblicata anche su Wattpad
Genere: Comico, Demenziale, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Nonsense | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
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[14]» Batto le mani, schiocco le dita «[14]

 

EVA’S POV

La prima cosa che vidi appena aprii gli occhi furono i tratti netti, ma allo stesso tempo dolci, di Azrael.
L’Angelo era sdraiato su un fianco accanto a me, sveglio. Un braccio era intrappolato sotto la mia testa, costretto a fare da cuscino; la mano libera, invece, mi stava accarezzando lentamente i capelli.
Gli occhi erano concentrati a studiare ogni centimetro del mio volto, come se il giovane angelo stesse cercando di imprimersi nella mente ogni singolo particolare, e le labbra erano distorte in un sorriso che lasciava trapelare l’affetto che l’angelo provasse nei miei confronti.
Non era insolito che mi svegliassi a quella vista: da quando ero stata aggredita nel parco giochi, una sera sì e l’altra pure, non riuscivo a dormire a causa degli incubi. Dopo aver scoperto che l’unico modo di farmi dormire era quello di rimanermi accanto tutta la notte, Azrael aveva iniziato a controllare che dormissi ogni sera e se vedeva che stavo avendo un incubo si metteva sotto le coperte con me e mi abbracciava fino al mio risveglio.
«Un altro incubo». Dissi, sfregando gli occhi per scacciare il sonno. La mia non era stata una domanda, la presenza dell’angelo non poteva significare nient’altro.
L’uomo dai capelli e occhi scuri annuì semplicemente dopo che il sorriso che aveva fino a poco prima si fu trasformato in una smorfia di dispiacere.
Sospirai. Quando se ne sarebbero andati?
Azrael, senza dire una parola, fece aderire le sue labbra alla mia fronte per poi cingermi la vita con il braccio libero e stringermi a sé, nascondendo il volto nei miei capelli.
«Non preoccuparti degli incubi», mi disse nell’orecchio mentre il suo respiro sul collo mi fece venire brividi e pensieri poco casti. «Ci sarò sempre io qua a proteggerti».
Risposi all’abbraccio stringendomi ancora di più, se possibile, contro il petto vestito di lui, cercando di nascondere le lacrime che avevano deciso di bagnarmi le pupille.
«Che ore sono?» Chiesi, cambiando argomento mentre mi crogiolavo nel petto ampio dell’angelo e cercavo di non pensare a certe cose che si sarebbero potute fare in un letto con un’altra persona.
Il suo odore di fresco e limone riusciva o a mettere pace a ogni molecola del mio corpo, facendomi quasi dimenticare dei pericoli che correvo ogni volta che uscivo dal mio appartamento, o semplicemente riusciva a mandare in subbuglio ogni singolo ormone nel mio organismo lasciandomi imbarazzata dei miei stessi pensieri ed istinti.
«Cinque alle dieci». Mi rispose lui, il respiro che continuava a solleticarmi il collo non era di certo di aiuto alla mia mente appena svegliata.
Cercai di calmarmi pensando a quanto Azrael mi stava scompigliando i capelli e a quanto ci avrei messo a pettinarli da lì a pochi minuti.
Era una cosa odiosa avere i capelli ricci a volte.
«Ugh». Mi lamentai. «Tra poco Hel ci verrà a chiamare. Non voglio alzarmi».
«Il solito bradipo». Ridacchiò lui nei miei capelli.
«Parla l’orso perennemente in letargo». Risposi ruotando gli occhi al cielo.
«Allora dovresti stare attenta», disse e sentii il suo sorrisetto beffardo contro il mio orecchio, «potrei mordere se mi svegliassero». Aggiunse con un tono tutt’altro che ingenuo e sentii le guance diventare rosse miserabilmente per colpa di tutte le immagini che mi avevano occupato la mente.
Per la barba di Odino!
Se questa situazione fosse andata avanti il mio cuore non sarebbe stato in grado di reggere ancora per molto.
«Ehi piccioncini annidati!» Arrivò l’urlo di Helel dalla cucina. «È ora di svegliarsi! E se non siete fuori da quella stanza in cinque minuti vi vengo a tirare io giù dal letto: nudi o no!»
Mentre il petto di Azrael iniziò a vibrare della sua risata, le mie guance divennero ancora più rosse di prima e una strana voglia di nascondermi sotto il letto, mi assalì improvvisamente.
«Dai vado», disse Azrael, «così intrattengo Hel mentre tu puoi andarti a lavare». Mi baciò la fronte ed in un istante fu fuori dalla stanza.
Rimasi ancora qualche minuto sdraiata tra le coperte a contemplare l’odore dell’angelo che era rimasto intrappolato tra le fibre di cotone. Quasi mi spaventai di me stessa quando compresi come quel piccolo gesto fosse diventato parte della mia routine mattutina.
Sentendomi a un bivio tra l’essere una maniaca e una pervertita mi alzai, con il volto per l’ennesima volta in fiamme quella mattina, e mi fiondai in bagno dove mi attendeva una bisognosa doccia fredda.
Quando i capelli furono ben impregnati di acqua chiusi il rubinetto e iniziai a massaggiare la cute con lo shampoo. La mia mente si rilassò sotto i continui movimenti circolari e in un batter d’occhio fui riportata all’incursione che era avvenuta il week-end precedente.
Ma a dispetto di ciò che pensavano tutti quest’ultimo attacco non mi aveva spaventata, anzi aveva solo fatto nascere in me un’immensa furia rivolta verso il demone di nome Erezel, che i miei coinquilini mi avevano spiegato essere l’artefice di tutto.
Questo demone non aveva semplicemente cercato di uccidere me, aveva cercato di uccidere la mia famiglia.
Aveva cercato di toccare quell’idiota di Davide, aveva quasi aggredito mia sorella e aveva quasi preso le vite di entrambi i miei genitori in un unico istante; davanti ai miei stessi occhi.
Dalla gola mi nacque un ringhio che lasciai uscire e dovetti dare un pugno contro le piastrelle della doccia per calmare la furia omicida che mi era salita addosso.
Non ero sicura di come il futuro stesse messo per me e i due angeli con cui abitavo; ma di una cosa ero certa: avrei ucciso Erezel con le mie stesse mani, mai ne avessi avuto l’occasione.
Riaprì il rubinetto e, mentre l’acqua batteva persistente contro la mia pelle, la mente mi tornò alla sera dell’attacco, a come quel singolo evento avesse affetto la mia famiglia in modo irriparabile…

Mi accorsi di star involontariamente muovendo la gamba a causa dell’ansia quando Azrael mi mise una mano sul ginocchio, così che il tallone rimanesse incollato al tappeto.
Eravamo seduti tutti attorno al tavolo della cucina; mia madre, mio padre e Davide di fronte a me, Azrael alla mia destra ed Helel - che aveva in grembo mia sorella e le cingeva gentilmente la vita con un braccio - alla mia sinistra.
Anche se l’angelo della morte, che ora mi stava offrendo un sorriso di incoraggiamento, aveva riparato l’intero salotto con uno schiocco di dita avevamo deciso di spostarci in cucina.
A dispiacere di mio padre e mio fratello, Serena non aveva dato neanche l’impressione di volersi allontanare dal Diavolo e quando quest’ultimo l’aveva fatta sedere sul suo grembo, lei non aveva obbiettato.
Mia madre era bianca quanto la tovaglia della tavola, lo stesso valeva per Davide. Anche se mio padre aveva di nuovo un colore roseo in faccia, le sue spalle erano innaturalmente rigide e nel collo si potevano benissimo vedere le vene fuori uscire.
Erano già passati una decina di minuti da quando ci eravamo seduti al tavolo e avevo finito di spiegare chi fossero in realtà Helel ed Azrael e come fossimo finiti a vivere insieme.
Il silenzio che si era creato mi stava uccidendo lentamente.
«Ci stai dicendo che loro sono il Diavolo e la Morte?» Chiese finalmente mio padre, anche se il suo tono era basso, cupo, quasi un ringhio.
«Sì». Pigolai, abbassando il capo e trovando stranamente interessanti le punte delle mie scarpe.
«E che non è la prima volta che sei aggredita?» Chiese ancora.
«Sì». Ripetei.
Il mio cervello quasi non comprese ciò che successe in seguito alla mia risposta. Un attimo prima mio padre era seduto composto di fronte ad Azrael, l’attimo dopo era in piedi, busto allungato sul tavolo, con le mani avvolte attorno al colletto dell’angelo della morte.
«È COLPA VOSTRA!» Stava urlando a squarcia gola. «EVA È LA MIA BAMBINA! MALEDETTI MOSTRI!»
In un attimo fui in piedi, le mani che tentavano di dividere mio padre dal mio coinquilino mentre mia madre e Davide cercavano di tirare in dietro mio padre.
«Giacomo!» Stava urlando mia madre, scioccata dal comportamento del marito.
«LA VITA È QUELLA DI MIA FIGLIA!»
«Papà lascialo andare!» Cercò di ordinargli mio fratello.
«Non è colpa loro!» Esclamai strattonando un polso di mio padre con tutta la forza che avevo, riuscendo finalmente a dividerlo dal colletto di Azrael.
«No», la voce ferma e profonda di Azrael fece zittire tutti. «Ha ragione tuo padre».
Tutti gli occhi erano puntati sul ragazzo dagli occhi neri, pieni di rimorso in quel momento.
Azrael, che fino a quel momento non aveva mosso un dito sotto la morsa di mio padre, si mise dritto e con estrema facilità liberò la maglietta dal pugno stretto di mio padre, per poi sistemarsi il capo di abbigliamento.
Dopo di che l’angelo si voltò verso di me e fece sì che le mie mani scivolassero via dal polso di mio padre.
«Una figlia non dovrebbe mai usare la sua forza fisica sul proprio padre a causa di un estraneo». Disse, rivolgendomi un piccolo sorriso.
«Tuo padre ha ragione». Ritornò poi al discorso originario, senza staccare gli occhi dai miei. «È colpa nostra se sei stata attaccata tutte queste volte...»
«A...» Cercai di interromperlo, ma il suo sguardo intenso mi disse che era meglio tacere.
«Anche se non è colpa nostra l’essere bloccati in questa casa e l’essere legati a te; è colpa nostra l’esserci affezionati così tanto a te da renderti un bersaglio per i nostri nemici».
Azrael si fermò un attimo, avvolgendomi il viso con le sue mani ampie per potermi asciugare le lacrime che non mi ero accorta di star versando.
Infine tornò a guardare mio padre che, seppur ancora alterato, aveva superato la fase omicida.
«Ma al cuore non si può comandare». Continuò l’angelo della morte e sentii le sue mani lasciare il mio volto per andare a stringere le mie. «Non volevamo mettere in pericolo vostra figlia, ma Eva è una ragazza straordinaria, era impossibile non affezionarsi. Ci rendiamo conto della situazione in cui si trova ora per colpa nostra… Ma posso promettervi che non dovete temere nulla: pur di proteggerla saremmo disposti a morire».
Sentii nuove lacrime bagnarmi il volto a quelle parole e, cercando di trattenere i singulti, strinsi la mano di Azrael provando a trasmettergli tutti i sentimenti che provavo per lui con quell’unico gesto; l’angelo me la strinse a sua volta.
Non ero mai stata amata in quel modo, con tale lealtà e non ero sicura se potevo amarlo nello stesso modo. Ero sicura, però, che ci volevo provare.

Quando entrai in cucina trovai i due fratelli seduti al tavolo, uno di fronte all’altro, che si contemplavano con sguardo truce; in mezzo a loro, sul tavolo, un piatto con un singolo pancake.
Non ho ancora abbastanza caffè in circolo per affrontare certe cose. Pensai comprendendo che stava per scoppiare una mini terza guerra mondiale nella mia cucina.
«Prima che litighiate: mi sto per fare dei pancake, ne devo fare anche per v—», mi voltai così da guardarli in faccia: entrambi i fratelli erano in piedi, forchetta contro forchetta, mentre l’ultimo pancake stava roteando per aria.
Con una lentezza assoluta vidi il pancake essere richiamato a terra dalla forza di gravità fino a posarsi sul mio zaino, abbandonato il giorno prima vicino alla porta della cucina.
«Seriamente ragazzi?!» Esclamai, scocciata.
I due angeli abbassarono lentamente le forchette e si rimisero seduti, il capo chino.
«Scusa Eva». Dissero in coro.
Scossi la testa e tornai verso i fornelli.
«Come vi stavo chiedendo prima: mi sto mettendo a fare altri pancake, ne volete?» Chiesi mentre tiravo fuori la farina dalla dispensa, imprecando che questa casa fosse costruita per giganti.
«Sì, grazie». Rispose Helel, stavo aspettando la risposta di Azrael, mentre mi allungavo verso il barattolo dello zucchero, quando una mano da dietro di me lo prese al posto mio.
«Ho mai detto di no a del cibo?» Mi chiese l’uomo dagli occhi neri contro l’orecchio.
Involontariamente trattenni il fiato alla vicinanza dell’angelo, sperando che quest’ultimo non sentisse gli urli di disperazione dei miei ormoni.
«Vorrei fare colazione senza vomitare arcobaleni, Azrael». Interruppe, per piacere delle mie ginocchia che erano  a qualche secondo dal cedere rovinosamente, la voce dell’angelo più anziano dal tavolo.
Azrael sbuffó e si allontanò da me, lasciandomi finalmente respirare come Ra comanda. Presi un bicchiere d’acqua e bevvi, cercando di calmarmi.
«Parli, parli», sentii il fratello minore riprendere quello maggiore, «ma se ci fosse qui Serena faresti la stessa cosa».
Io e Helel avemmo la stessa reazione: il liquido che stavamo bevendo ci andò di traverso e iniziammo a tossire in modo così violento da sputare ovunque sulla cucina e sul tavolo.
«Azrael!» Urlò disperato Helel, incrociando i miei occhi quando mi girai per trovare una spiegazione al commento.
«Cosa c’entra mia sorella in tutto questo ed Helel cosa le vorrebbe fare?!» Esclamai sconcertata da tutto ciò che il mio cervello stava pensando.
Helel mi guardò, bianco in volto, con la tazza di caffè a mezz’aria tra il tavolo e la sua bocca. Senza battere ciglio o staccare gli occhi da me, il Diavolo alzò lentamente il braccio e schioccò le dita.
Per un attimo la mia vista fu totalmente oscurata e tutto ciò che riuscii a vedere furono le tenebre, l’attimo successivo mi ritrovai con i piedi sul tappeto del corridoio del mio piano e gli occhi incollati al numero inchiodato alla porta del mio appartamento.
Il mio cervello riuscì a connettere cosa era appena successo solo quando il lungo sospiro di Azrael, alla mia destra, mi riportò alla realtà: Helel ci aveva appena teletrasportati fuori dal mio appartamento.
Guardandomi le gambe notai come fossi in pigiama… Non esattamente liscia come il culetto di un bambino.
«Oh, merda!» Esclamai prima di lanciarmi sulla maniglia della porta, cercando di aprire il meccanismo che mi avrebbe portato alla salvezza. «Dai! Dai! Dai! Apriti! Apriti! Apriti!»
«Eva lascia perdere, non la puoi aprire da fuori», mi disse l’angelo della morte. «Quel coglione ha eretto una barriera magica lungo il perimetro di tutto l’appartamento; neanche io posso entrare».
Sentii le lacrime di panico pungermi gli occhi mentre incrociavo lo sguardo con le iridi nere di Azrael.
«Non sono proprio presentabile, devo ritornare in casa». Disse lentamente, i nervi tesi e gli occhi sempre più sgranati.
«Eh?» Mi chiese semplicemente lui, con un’espressione da bamboccio.
Chiusi gli occhi e cercai di trattenermi dallo sbattere ripetutamente la testa contro la porta mentre piangevo.
Perché gli esseri maschili più stupidi li devo tutti incontrare io? Mi chiesi disperata.
«A», dissi espirando lentamente, cercando di non sfogare su di lui il panico che mi stava viaggiando tra le vene, «sono in pigiama e non sono esattamente depilata». Sibilai l’ultima parola e gli feci cenno con la testa alla mie gambe.
«Ah!» Esclamò senza particolare perturbazione, dopo aver guardato dove stavo indicando. «Tutto qui il problema?»
Lo guardai esterrefatta e con la bocca aperta, letteralmente.
Ma io lo uccido, per Anubis.
«Uff». Sbuffò lui prima che potessi completamente reagire. «A volte voi donne siete davvero incomprensibili!» Aggiunse scuotendo la testa e schioccando le dita.
Un brivido mi percosse la schiena e il momento successivo mi ritrovai addosso una maglia e un paio di jeans strappati, il cappotto e le all star ben allacciate.
E… Quasi svenni quando lo notai: non avevo più neanche un pelo.
«Ma... Cosa...»
«Va bene così, giusto?» Mi chiese allora l’angelo che avevo di fronte. Alzai lo sguardo su di lui e trovai che anche lui era cambiato in una maglietta e un paio di jeans, la sua solita giacca in pelle era sganciata.
«Tu… Che...» Scossi la testa per riattivare i neuroni. «Mi hai appena fatto una ceretta istantanea e indolore con uno schiocco di dita?» Chiesi ancora scioccata dalla scoperta.
L’angelo fece spallucce e poi si diresse verso le scale. Quando notò che ero ferma, si voltò nuovamente verso di me.
«Ho scelto qualcosa di sbagliato?» Mi chiese. «Forse la maglietta non ti piace?»
«Azrael...» Dissi lentamente, la vena sul lato destro della fronte mi stava pulsando incontrollabile.
«E… Va?» Vidi il ragazzo muoversi indietro di qualche passo, ovviamente spaventato dall’aura assassina che stavo emanando.
«Azrael mi stai dicendo che per mesi mi hai sentito urlare di dolore in bagno, mentre facevo la ceretta, quando avresti potuto farmela tu in qualsiasi momento istantaneamente e indolore
«Mi metto a correre?» Chiese lui avvicinandosi ancora di più alle scale del palazzo.
«VOLA!» Urlai prima di corrergli dietro.
Adesso gli faccio sentire io cos'è una vera ceretta, bastardo di un angelo!

 

†Angolo Autrice†

Ebbene sì! Nuovo capitolo pubblicato dopo così poco tempo! Sono felicissima di essere riuscita a pubblicarlo proprio oggi, perché oggi è una giornata importante: ebbene oggi è il compleanno della mia Beta <3 Quella ragazza che ha sofferto con me ogni singolo blocco dello scrittore, ma che non si è mai persa d'animo e mi ha continuato ad incitare ricordandomi come gli mancassero i miei personaggi e le loro disavventure!
Quella ragazza speciale oggi compie vent'anni e credo che dedicarle questo capitolo sia il minimo che io possa fare.
Ti voglio bene A <3
Ma ritornando a cose serie! Capitolo 14, filler che serve per gettarci finalmente nella parte finale della storia! Prossimi capitoli credo siano tra quelli più lunghi di tutta la storia e sicuramente quelli che terranno tutti voi sulle spine.
La storia sta voglendo verso la sua fine e non so quanto io sia pronta. Il capitolo 16 è stato scritto e in quattro o cinque capitolo la storia arriverà al suo termine.
Spero che abbiate la voglia di rimanere con Azrael, Eva ed Helel fino alla fine, perché io non vorrò proprio mollare.
Alla prossima!

Axel Knaves

   
 
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