Rabbia.

Cieca, insolente, violenta.

Basta una scintilla per farla divampare nei cuori di chi vi è disposto per natura, con tale trasporto da consumare rapidamente ogni fibra del corpo, ogni briciolo di ragione.

E lui, sfortunatamente, ne era facilmente soggetto.

Aveva avuto problemi a gestirla fin da quando ne avesse memoria, ma la ragione per cui quel sentimento avesse iniziato a consumarlo proprio gli era sfuggita.

Riusciva a identificare, tuttavia, ciò che alimentava quell'incendio che gli bruciava nel petto, sotto le ciglia, lungo le braccia.

Urla mal contenute, parole crudeli, poi una voce, alta e calda ma tremante.

Aveva provato a farle uscire dalla sua mente affondando il viso nel cuscino, coprendosi le orecchie con le mani, ma era tutto inutile.

Forse un po' di musica lo avrebbe aiutato, le urla di qualche band metal avrebbero sovrastato quelle dei due amanti in cucina, ma era tutto inutile. Il suo telefono era lì, abbandonato sul tavolo nella stanza in cui si stava consumando quel violento litigio, e lui era fin troppo saggio per abbandonare camera sua.

Non avevano mai avuto rispetto per la sua persona, alla fine, e non si sarebbero fermati per lui.

Non lo avevano mai fatto.

Dalle urla non era riuscito a comprendere un granché. Le voci tendevano a sovrapporsi, roche e spezzate, le parole si accavallavano troppo velocemente per far sì che lui potesse effettivamente cogliere ogni dettaglio di quella conversazione, tuttavia non ci mise molto a comprendere quale fosse stata la miccia che avesse fatto esplodere quell'ennesima bomba.

Distinse poco chiaramente un “puttana”, uno “stronzo” e, infine, “nel nostro letto”.

Fu abbastanza.

Ripensò a quanto avesse gioito la prima volta chele aveva sentite uscire dalla bocca della donna, in modo quasi paradossale.

Ricordava di averla sentita piangere, e di come persino le sue guance si fossero bagnate di lacrime per la prima volta dopo quasi dieci anni. Percepiva tutto il dolore di quella donna, la disperazione, aveva intravisto il suo esile corpo accasciarsi sul pavimento nascosto dietro la porta, e sentì il proprio cuore scivolare sul pavimento freddo accanto al suo.

Poi la gioia. La consapevolezza che un tradimento sarebbe bastato a farle aprire gli occhi. A farle capire che dietro i limpidi occhi azzurri del compagno di nascondesse nient'altro che egoismo e cattiveria, che a lui non sarebbe bastato averla, che l'avrebbe divorata, poco a poco-

Ma nulla.

Lei lo aveva perdonato.

Ancora.

Ancora e ancora.

E la speranza si era spenta in lui, lasciando posto solo alla rabbia.

Nagumo Haruya stava lentamente venendo consumato dalle fiamme, pensò ironico.

Eppure non gli dispiaceva per nulla, bruciare.

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Angolo dell'autrice.
Salve a tutti!
Un po' di mesi fa, mentre aspettavo la messa in onda del primo episodio di Ares, mi è tornato in mente il mio passato oscuro da tredicenne con una connessione ad internet e la mancata supervisione di un genitore e, di conseguenza, tutte le storie che avevo incautamente pubblicato. Tra cui la base di questa. E così, presa da una malinconica nota di nostalgia, ho deciso di prendere la fiction originale e di riscriverla attuando un labor limae sia a livello stilistico (duh!), sia di trama.
E quindi così è nato il mio Nagumo Haruya no Monogatari. 
Se vi ho incuriositi, se riconoscete in questo capitolo la storia originale (cosa che dubito ma okay) o altro commentate!
Vi ringrazio per la lettura, 
Myon

ps: sì, sto capitolo è minuscolo ma è solo l'introduzione, quindi reggetemi pls