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Autore: queenjane    16/12/2018    2 recensioni
Fu il fondatore di una dinastia nelle terre dell'Est, la Russia fu il suo altrove. Era un guerriero, un pirata, un amante leggendario. Aveva gli occhi di ambra e miele. Si chiamava Felipe de Moguer, nelle battaglie conquistò titoli e onori, diventando il principe Rostov-Raulov, una fenice multiforme, come la sua discendente, Catherine Raulov.
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Epoca moderna (1492/1789)
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- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
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Felipe rifletteva, meditabondo, poteva essere ed in effetti era, tempo di bilanci e riflessioni.
La sera era abbastanza tranquilla, non pareva che il giorno dopo avrebbero combattuto contro Bonaparte, il Corso che si era fatto imperatore, da alcuni definito l’Anticristo e pretendeva di conquistare il mondo, o tentava.
Come una specie di malia, che incitava a continuare, a pretendere di più ancora.
Lui del resto ben lo sapeva, per personale esperienza.
Era nato illegittimo da una breve relazione di suo padre, Xavier Fuentes, nato nel 1738, poco più di un ragazzino quando lui era venuto al mondo e lo aveva riconosciuto, assegnandogli un patronimico.
Ma non Fuentes, quello sarebbe stato pretendere troppo. Fuentes .. le cui origini famigliari risalivano a stare cauti al 732, anno in cui  Carlo Martello sconfisse gli Arabi e uno dei suoi compagni d’arme, un Fuentes, appunto costruì il primo nucleo del’avito castello di Ahumada, sui Pirenei.
Ottenuto il titolo di marchesi, avevano vegliato sui confini, in tempi di pace e di guerra, vigilando contro gli Arabi e onorando i re spagnoli.
 Erano a Granada ai tempi della reconquista, un Fuentes era salpato con Cortes alla conquista del Sud America.
Viaggiatori, diplomatici, uomini di chiesa, politici, erano stati finanche vicerè del Perù e di Milano, quando sull’impero di Spagna non tramontava il sole.
Usavano appellarsi i signori delle montagne.
Lui era Felipe Juan Moguer, Moguer che fu il primo appellativo dei signori di Ahumada, poi due fratelli, sotto Carlo Magno, combatterono con valore e lui assegnò al primo il titolo di marchese, il secondo ne ebbe un altro, fu padrone successivamente  di ricche terre, ma scelse di chiamarsi Fuentes, per differenziare.
Verso il Mille, il ramo di Ahumada aveva una ragazza Moguer, la sola erede, che sposò un Fuentes, ricongiungendo i due tralci, da allora vi furono solo i Fuentes.
Che tornavano in quel ragazzino, Moguer, il suo cognome rispecchiava quelle origini e che sarebbe cresciuto fino a diventare un uomo in cui i difetti erano superati dagli innumerevoli pregi.
Un guerriero. 
Come Enrico di Normandia, illegittimo aveva conquistato il trono inglese, lui aveva conquistato il suo posto nel mondo.
A circa 15 anni era andato in Russia, approfittando che suo padre svolgeva le funzioni di ambasciatore ad interim nelle terre del Grande Nord, così lontane dai cieli nativi della Spagna che era davvero un altro mondo, un nuovo mondo, cercando di inventarsi il futuro.  Era una sorta di “ibrido” ben addestrato, che conosceva le lingue, i cavalli, la scherma e le buone maniere, dotato di una strepitosa avvenenza fisica.
La tensione serpeggiava, bevve un sorso di vino, se chiudeva gli occhi e il vento lo toccava era di nuovo giovane, vigoroso.
Ricordò, cercando di distrarsi, altri giorni, altre battaglie.
Come quella di Cesme in Anatolia, contro i turchi, al cui esito vittorioso la zarina Caterina II gli aveva tributato il titolo di conte Rostov.
Era per meriti personali, il pettegolezzo che l’imperatrice russa se lo fosse portato a letto era una mera maldicenza
Cesme, nell’estate 1770,…  24 navi turche contro 20 russe, fire ships, assalti diretti, arrembaggi, sullo stile dei pirati.
Aveva poi raccontato di essersi sentito sdoppiato, di avere combattuto a mani nude, neanche badava ai fischi e ai sibili. Si era messo un corsetto imbottito, sotto la camicia, con larghe maglie di metallo, una precauzione contro le pallottole e le armi da taglio, se la cavò giusto con alcune ferite leggere.
Furore, il figlio del dio della guerra, un Fuentes di sangue e non di nome, un’altra leggenda.  Oppure si muoveva o sennò toccava a lui morire, esperienza che non aveva voglia di fare subito. Rombi, fatica fisica, l’odore di ferro del sangue, a un certo punto non sentiva più nulla per i rimbombi dei cannoni, tre giorni pieni.

E, dopo, l’aria del mare Egeo era veramente bella, respirata a pieni polmoni. La lettera arrivò quando avevo appena diciassette anni e mezzo.
Orlov aprì la busta, scorse i fogli e sorrise.. “Monsieur..”A CHI DICEVA?
 “Monsieur le Comnte de Rostov ..
“Eh?”Non fui molto intelligente, lo ammetto, ma non capivo a chi si riferissero, la battaglia era finita sola da una settimana e ancora non ci sentivo tanto bene.
“Svegliatevi, ragazzo … e leggete qui”Questo era Orlov, un briccone di vecchia data, un furbo di tre cotte
 “Avete ricevuto un encomio e questo è il vostro titolo, sperando vi piaccia, l’ha coniato la zarina” le ginocchia, cortesi, mi sostennero. Non ero più un bastardo, un ramingo, quella era la mia rivalsa “ E siete stato nominato cavaliere dell’ordine di santa Caterina”

“Felipe, leggete e credete” ero un novello San Tommaso.
Avevo da compiere 18 anni.
Potevo essere fiero di me.. nel 1774, durante l’ultima battaglia della sesta guerra contro i turchi, rimediai una sciabolata sul fianco, ulteriori encomi e la carica di capitano di fregata della marina, io che ero nato in mezzo alle montagne ..
 
E altri viaggi, ingaggi, missioni e pericoli, sposo due volte, la prima con Elisabeth Raulov, nata nel 1758, figlia di uno dei sostenitori dell’ascesa imperiale di Caterina, che si era quindi presa cura di lei, che le aveva dato una raffinata ed ulteriore educazione, quando la ragazza era rimasta orfana.. le piacevo, avrebbe fatto gola a molti impalmarla, il marito sarebbe diventato ipso jure principe, aggiungendo il cognome Raulov al suo. Ed era molto avvenente.. Il buon senso, il desiderio della ragazza di sposarsi con il giovane iberico, il placeat della zarina conducevano in quella direzione, tranne che mi sentivo un pezzo di agnello pronto per lo spiedo, da vendere al migliore offerente.. Molti avrebbero voluto essere al mio posto, tranne me. E un nobile, per prassi, non si sposa per amore, quanto per inclinazione, accordi tra i genitori, non disperdere patrimoni.. era il giugno 1778 quando ci sposammo, non mancai al mio dovere, l’anno dopo mi aveva dato una coppia di gemelli, un bimbo e una bimba.
La scusa ufficiale erano gli incarichi diplomatici ed in marina, allenare nuove reclute, stando via a mesi, se non a stagioni intere, ero un baro, una spia, un pirata ed un avventuriero, tante definizioni e nessuna precisazione, ero solamente io.
Che scordai ogni teoria, vantaggio o convenienza, quando nel 1788 trovai l’amore della mia vita quando avevo smesso di pensarci..
Anche sposarci fu una battaglia, rifletto ora, anche se è trascorso quasi un quarto di secolo dai giorni del nostro incontro..
Mia inopinata alleata fu Ella, anche lei si era innamorata a sua volta,in quegli anni ognuno aveva avuto le sue liaisons..   io non mi ero mai convertito al credo ortodosso in cui il nostro matrimonio era stato celebrato.. Escamotage su escamotage, alla fine fummo liberi entrambi l’uno dall’altra.
.. eravamo stati in America, là erano nati Enrique ed Isabelle.
E di nuovo la Spagna ed i suoi cieli, Ahumada ed i Pirenei..
E Napoleone, che aveva conquistato la penisola iberica, insediandovi suo fratello Giuseppe, era stato sfibrato dalla resistenza..
Si guardò le mani, era tornato a combattere, per la prima volta le armate del Corso erano state sconfitte dalla resistenza iberica, la appellavano la “guerriglia” e .. Il Corso aveva costretto il re  e suo figlio ad abdicare a Bayonne, contando su una rapida risoluzione, così non era stato.. Nonostante le vittorie era stato costretto a tornare a Parigi, nel gennaio 1809, per gli intrighi dell’Austria e quelli interni della Francia.. Lasciando parte dell’esercito, la resistenza era continuata.. Si combatteva casa per casa o giù di lì, il ricordo della resistenza delle truppe di Madrid, fucilate dai francesi, gli faceva ancora male (1). E non si mollava..
Respirò a fondo, la mite aria di settembre lo circondava come ai tempi della sua giovinezza tornò a respirare, lunghe e avide sorsate.
Il giorno seguente, russi e francesi si sarebbero scontrati a Borodino, nei dintorni di Mosca, sarebbe stato un combattimento all’ultimo sangue. Si era ripresentato, suo figlio Rostov-Raulov combatteva a fianco dello zar Alessandro II, gli aveva chiesto di ritornare, era sempre un ufficiale di Santa Madre Russia e .. sta bene, aveva detto.
Iniziò a scrivere a sua moglie, i fogli si accumulavano, la sua grafia era sottile e ordinata, ogni tanto si fermava a sorbire un bicchiere di sherry (iberico come lui fino all’ultima stilla) “… 1812. Caro amore mio, ti scrivo alla vigilia della battaglia.. (..) Ti sento vicina (… ) Rievoco la prima volta che ti vidi,  tra le mani reggevi  un mazzo di fragranti giacinti, i fiori del dolore, per la mitologia della antica greca, il profumo del miele dei petali e il sale della pelle, appena più forte di quello di una mandorla. No, non sono mai stato un poeta e tu mi hai reso tale (…) Se non dovessi tornare, sappi che ti amo, che ti ho amato sempre e che l’ultima immagine che porterò con me sarà il tuo viso.. Sempre tuo, Felipe
 
 
  1. Goya, nel 1814, dipinse due celebri quadri sulla resistenza delle truppe spagnole, “Il 2 Maggio 1808” ed “Il 3 Maggio 1808”  
   
 
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