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Autore: _Joanna_    19/12/2018    1 recensioni
Mentre si avvicinava, la luce delle candele danzava tra le pieghe del suo mantello, risalendo l'alta, snella figura del Signore Oscuro, finché non illuminò il volto più orrendo che Megan avesse mai visto.
Più simile a un teschio animalesco che a un viso umano, con la pelle bianca e sottile, quasi trasparente, Voldemort era il ritratto della Morte.
-
Qualcosa di scuro e denso, un liquido, scintillava alla luce della luna.
Era sangue.
«È giusto questo?» chiese di nuovo l'uomo, afferrando uno dei cadaveri che giaceva per terra.
Megan lo riconobbe, era Ron Weasley, pallido e inequivocabilmente morto.
«E questo? E questo?» continuò, ripetendo lo stesso gesto ancora e ancora.
Erano tutti morti.
No, non morti, erano stati uccisi.
Tutti quanti.
L'aria ora era ammorbata da un tanfo insopportabile, putrido.
Era l'odore della morte.
«Hai visto che cosa hai fatto?».
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom Riddle/Voldermort | Coppie: Draco/Pansy, Harry/Pansy, Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Da VII libro alternativo
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7.7


Capitolo VI


Il Patto






Dal momento che le finestre della stanza erano state sbarrate, il sonno di Megan non venne disturbato dai raggi del sole.

Quando aprì gli occhi, la camera era immersa nella semioscurità e Megan fece fatica a capire dove si trovava.
Si rigirò nel letto e il dolore ai muscoli e alle articolazioni le ricordò gli avvenimenti della sera prima.
Era nella villa di Voldemort, che la stava addestrando per prepararla al compito che aveva accettato.
Con fatica, si costrinse ad alzarsi.
Raccattò i vestiti che aveva gettato sul pavimento la notte precedente, e li sbatté con le mani per togliere la polvere.
Si rivestì in fretta, quindi uscì dalla stanza e scese di sotto.
Aveva una gran fame, ma non sapeva dove trovare da mangiare.
A dire la verità, non sapeva neanche se ci fosse cibo nella casa e se Voldemort avesse bisogno di nutrirsi.
Vide la porta del salotto, dove era stata la sera prima, aperta e decise di entrare.
Voldemort non c'era.
Un movimento alle sue spalle la fece voltare di scatto.
«Desideri qualcosa?» disse Peter Minus, guardandola con i suoi occhietti acquosi. Aveva lo stesso atteggiamento deferente che teneva con suo padre; era strano, ma indubbiamente piacevole, pensò Megan.
«Ho fame» rispose stupidamente Megan, cercando poi di darsi un tono.
Codaliscia si limitò a fissarla, sbattendo le palpebre un paio di volte, come un idiota che non capisce quello che gli altri gli dicono.
Poi, con un gesto distratto, agitò la bacchetta e due grosse focacce e un bricco di succo di zucca comparvero dal nulla, e rimasero a fluttuare a mezz'aria.
Forse, in quella casa, c'era davvero una cucina.
Megan prese il cibo e, senza ringraziare, si avviò lungo il corridoio, cominciando ad addentare una delle soffici focacce.
Uscì sulla veranda, e il vento freddo le frustò il viso. Il sole era già alto nel cielo; dovevano essere all'incirca le dieci del mattino.
Sulla sinistra, poco lontano dalla porta d'ingresso, notò un basso tavolino traballante e una sedia a dondolo rosa dai tarli.
Appoggiò con attenzione il bicchiere di succo sul tavolino, ma non si azzardò a sedersi.
Decise di dare un'occhiata al giardino.
Si rese immediatamente conto che la proprietà era immensa. La villa, su tre piani, si estendeva tanto in altezza quanto in larghezza, e il giardino che la circondava era ugualmente vasto.
Un tempo, quando ancora la proprietà era abitata, doveva essere stata la casa più bella del villaggio, probabilmente la residenza del ricco notabile del posto.
Decise di abbandonare la relativa stabilità del vialetto ghiaioso e prese a camminare sul prato fradicio e irregolare, punteggiato qua e là da cumuli di neve non ancora disciolta, residuo dell'ultima nevicata.
Svoltò l'angolo della villa e vide un piccolo orto, ormai abbandonato; poco oltre, c'era un grosso cespuglio di rovi e maonie.
Sul retro, un grande olmo, ora spoglio, torreggiava su alcune panchine di ferro battuto; ad uno dei grossi rami pendeva una vecchia corda, umida e sfibrata. Quando si avvicinò, notò poi tra il fango altri pezzi di corda e una grande asse di legno marcio: i resti di una rudimentale altalena.
Fece il giro completo della casa e, quando ritornò davanti all'ingresso, aveva terminato anche la sua colazione.
Non aveva molta voglia di rientrare, ma con il solo maglione il freddo cominciava ad essere insopportabile.
Trovò il bicchiere di succo dove l'aveva lasciato; era gelido. Ne bevve alcuni sorsi e rientrò in casa.
Salì di nuovo le scale fino al piccolo salotto al primo piano e notò la lunga coda del grosso serpente, Nagini, che faceva capolino dalla porta; Voldemort era nella stanza.
Si avvicinò con cautela e vide suo padre accarezzare amorevolmente la testa del serpente, che se ne stava per metà acciambellato sul pavimento, il resto del corpo flessuoso attorcigliato intorno alla poltrona.
Voldemort stava mormorando qualcosa che Megan, da quella distanza, non riuscì a cogliere.
Nagini si accorse della sua presenza e si voltò verso di lei.
«Ah, eccoti qui» sibilò Voldemort, tornando poi a rivolgersi al serpente.
Il lungo rettile scivolò per terra e strisciò fuori dalla stanza.
Quando le passò accanto, le rivolse un'occhiata colma di disprezzo.
“Che idiota che sono, i serpenti non provano sentimenti come il disprezzo” si disse, ma mentre lo pensava ebbe la sensazione che quello che valeva per gli altri serpenti, non si poteva applicare a Nagini. Ignorò il brivido che le percorse la schiena e avanzò.
Voldemort nel frattempo si era alzato in piedi, la bacchetta stretta tra le lunghe dita pallide.
«Riprendiamo il tuo addestramento» disse e Megan sfilò prontamente la bacchetta dalla tasca.
«Cominciamo con qualcosa di semplice» continuò Voldemort «Prova con l'Expelliarmus».
Megan fece una smorfia indignata. «Conosco già perfettamente quell'incantesimo, è tempo perso».
Voldemort atteggiò le labbra inesistenti in un ghigno sprezzante. «Dimostramelo» la invitò.
Megan rinsaldò la presa sulla bacchetta e si preparò a lanciare l'incantesimo. «EXPELLIARMUS!» gridò.
L'incantesimo raggiunse Voldemort, che agitò la bacchetta con un movimento pigro, indolente, come se volesse scacciare una mosca fastidiosa.
La bacchetta di Megan tremò furiosamente, poi, con un brutale strattone, sfuggì alla sua presa.
«Direi che non lo conosci poi tanto bene» disse Voldemort, in tono irrisorio.
Megan lo ignorò e andò a riprendere la sua bacchetta, che era rotolata sotto una delle poltrone.
«Di nuovo» la incalzò Voldemort.
Megan strinse maggiormente la presa sulla bacchetta e si preparò a scagliare l'incantesimo di disarmo.
«EXPELL-» cominciò a gridare, ma Voldemort la interruppe subito. Megan si bloccò, con la bacchetta sospesa a mezz'aria e la bocca spalancata. La richiuse e attese che Voldemort parlasse.
«Questo è un incantesimo banale e inutile» spiegò «Qualunque mago sa contrastarlo, a meno che non sia completamente incapace».
Megan avrebbe voluto ribattere che, se era così inutile, non aveva senso perdere tempo a eseguirlo, ma Voldemort continuò «Se vuoi avere qualche possibilità contro il tuo avversario, non devi pronunciare la formula. Anzi, non devi farlo mai».
«Non abbiamo ancora iniziato con gli Incantesimi Non Verbali…» disse Megan, ma Voldemort la interruppe di nuovo «Imparerai ora» disse «Riprova con l'incantesimo di disarmo e non pronunciare la formula ad alta voce».
Megan annuì e si mise di nuovo in posizione di attacco. All'inizio fu difficilissimo, e Megan si accorse che stava usando la maggior parte delle sue energie e della sua concentrazione nel tentativo non muovere le labbra.
Alla fine riuscì a scagliare l'incantesimo, che Voldemort ostacolò con la stessa noncuranza di prima.
Andarono avanti per qualche minuto, e tutti i suoi tentativi si scontrarono con la blanda, ma impietosa resistenza di Voldemort e fallirono.
Megan capì che doveva usare un'altra strategia.
Strinse forte la bacchetta tra le dita e si preparò per un altro round. Questa volta non avrebbe fallito.
Sollevò la bacchetta in aria e gridò «IMPEDIMENTA!»
Voldemort era ovviamente troppo abile per farsi cogliere alla sprovvista, e cambiò rapidamente posizione, per contrastare l'incantesimo. Dovette credere che Megan, colma di frustrazione, avesse tentato quello sciocco attacco a sorpresa, ma non era così.
Megan interruppe a metà il movimento della bacchetta, ed eseguì il gesto per scagliare l'Expelliarmus Non Verbale.
La mano di Voldemort tremò per un momento, quindi perse la presa e la bacchetta di tasso disegnò un ampio cerchio nell'aria; Megan l'afferrò al volo, con un espressione di trionfo.
«Non male» commentò Voldemort a denti stretti «Furbo, ma quando i tuoi avversari ti avranno osservata un paio di volte, non si lasceranno di certo sorprendere dal tuo trucchetto».
Megan sentì il sorriso soddisfatto morirle sul viso. Restituì la bacchetta al proprietario e attese nuove istruzioni.
«Ora proviamo con un altro incantesimo Non Verbale, scegli tu quale» disse Voldemort.
Questa volta Megan non voleva fallire.
Rifletté un momento e le venne in mente una Fattura Non Verbale che aveva letto su uno dei libri presi in prestito dai ragazzi di Durmstrang.
A Hogwarts si imparavano alcune Fatture, benché in molti le considerassero un po' troppo oscure; ma quelle che studiavano a scuola erano molto semplici e tutto sommato innocue, anche se irritanti.
Quelle che si eseguivano a Durmstrang, invece, erano più complesse e potenzialmente pericolose.
Ne scelse una, molto simile alla Fattura Ustionante, ma decisamente più dannosa.
Voldemort intanto attendeva, all'erta.
Megan si concentrò, tentando di scagliare l'incantesimo. Per un po', non accadde nulla, poi sentì una vibrazione percorrerle il braccio armato, e capì che stava funzionando.
Anche Voldemort avvertì la stessa cosa e si preparò a erigere un generico Scudo di protezione.
All'ultimo istante Megan puntò in basso.
Evidentemente, il Signore Oscuro non si aspettava quella mossa, e quindi la Fattura non incontrò quasi resistenze. Infranse l'invisibile barriera e colpì alle gambe, quasi rasoterra.
Per un attimo, Megan pensò di aver fallito.
Poi Voldemort vacillò e cadde con un tonfo sulle ginocchia. La veste nera era stata lacerata e nell'aria si diffuse presto l'odore della carne bruciata.
Megan si fece avanti con cautela.
Voldemort sollevò lo sguardo su di lei: era furioso.
Agitò la bacchetta e Megan credette che stesse per attaccarla; invece, il Lord Oscuro puntò la bacchetta su di sé, nel punto in cui lei l'aveva colpito, e cominciò a disegnare ampi cerchi nell'aria.
Qualche istante più tardi si rialzò tranquillamente.
«Di nuovo» ringhiò.
Megan si affrettò ad obbedire.
Ora che aveva cominciato a esercitarsi in quel modo, si chiedeva come avesse fatto a sopravvivere fino a quel momento.
Non solo stava imparando in poche ore quello che mai avrebbe appreso in sette anni a Hogwarts, ma stava scoprendo un nuovo lato di sé: duellare era decisamente eccitante.
Andarono avanti per quelle che parvero ore, ma Megan non riuscì più a colpire il suo avversario.
Poi, dopo innumerevoli assalti andati a vuoto, Megan cominciò a notare che suo padre preferiva contrattaccare piuttosto che difendersi, costringendo lei a erigere continuamente gli Scudi.
Decise di imitarlo.
Scagliò uno Stupeficium, quindi si preparò a lanciare di nuovo la Fattura Ustionante; Voldemort, colto di sorpresa, venne investito in pieno.
Se avesse saputo prima quello che sarebbe accaduto, Megan non l'avrebbe mai fatto; Voldemort si rialzò dolorante, la stessa espressione furente, che aveva avuto la prima volta che era stato colpito, dipinta sul volto scheletrico; ma questa volta, non lanciò nessun incantesimo di guarigione su di sé.
Sollevò la bacchetta in aria, quindi l'abbassò con un movimento simile a una sferzata.
Fu come essere colpiti da una frusta infuocata; Megan venne scagliata all'indietro e perse i sensi.

*

Quando si svegliò, scoprì di trovarsi in quella che era diventata la sua camera nella villa di Voldemort.
La stanza era immersa nell'oscurità, quindi Megan non poteva sapere quanto tempo fosse rimasta priva di sensi.
Sollevò la testa e tentò di mettersi a sedere, ma una fitta lancinante al petto quasi le tolse il respiro.
Che diavolo era successo?
Quasi come a voler rispondere alla sua domanda silenziosa, la porta si aprì di colpo e Minus sgattaiolò all'interno, reggendo un candela, che appoggiò sul comodino accanto al suo letto, dove, poté vedere, erano state sistemate alcune boccette, bicchieri e innumerevoli bende.
Scostò leggermente le coperte di lato, e si accorse che non indossava più i suoi vestiti.
Una semplice veste di lino fungeva da camicia da notte e, sotto di essa, un intricato insieme di bende le fasciava il petto, dalla spalla sinistra all'inguine destro.
Megan sollevò lo sguardo su Minus, che aveva cominciato a trafficare con le fiale sul comodino; il pensiero che quell'essere l'avesse spogliata e toccata ovunque con quelle mani, le stesse mani che avevano impugnato la bacchetta e avevano scagliato la Maledizione che si era portata via la vita di Cedric, la faceva inorridire.
Minus si voltò in quel momento e la fissò sorpreso; quindi le porse un bicchiere che odorava di medicinale.
«Bevi» le ordinò.
«Che cos'è?» ringhiò lei, cercando di lasciare trapelare tutto il suo disprezzo.
«Bevi» ripeté lui.
Megan avrebbe voluto volentieri rovesciargli il bicchiere in faccia, ma il solo gesto di allungare il braccio le provocò un dolore atroce. Rimase immobile con la mano tesa a mezz'aria e, alla fine, non poté fare altro che afferrare il calice che Minus le tendeva. Con qualche difficoltà lo portò alle labbra; il liquido fumante aveva un sapore tremendo e bruciava da morire, ma Megan si sforzò di mandare giù l'intera dose.
Poi Minus le porse un altro bicchiere, ma questa volta Megan non tentò neppure di opporsi. Di certo non avrebbe avuto senso avvelenarla, si disse, e, mentre osservava Codaliscia lasciare la stanza, sentì le palpebre farsi di colpo pesanti, e in istante scivolò in un sonno profondo.

*

Si risvegliò qualche ora più tardi.
Si mosse leggermente, per tirarsi un po' più su sul cuscino, ma, di nuovo, fu un errore. Una fitta lancinante le tolse il respiro e Megan non riuscì a soffocare un gemito.
In quell'istante, la porta della camera si spalancò e Minus entrò nella stanza, reggendo una tazza di tè e un piatto di sandwich al salmone.
Appoggiò il tutto sul comodino ed estrasse una nuova candela dalla tasca, accendendola con un colpo di bacchetta.
«Mangia» le disse in tono secco, quindi, senza darle il tempo di dire qualcosa, ritornò sui propri passi e si richiuse la porta alle spalle.
Megan si tirò ancora più su, puntellandosi sui gomiti, e cercando di ignorare il male al petto.
Che Fattura le aveva lanciato Voldemort? Non conosceva nulla che provocasse dei danni del genere, e non aveva idea di se e quando si sarebbe completamente ristabilita.
Era stato davvero crudele con lei, pensò, e la ragione era piuttosto ovvia: aveva voluto punirla.
La stava addestrando, non solo a combattere, ma anche a rispettarlo.
Megan doveva sempre ricordare chi aveva davanti: il mago più oscuro e malvagio del mondo, che aveva l'abilità e la volontà di distruggerla in qualunque momento, se lei gli avesse disobbedito.
Forse aveva sempre avuto ragione Harry: non c'era altro che odio e cattiveria nel cuore di Voldemort che, se ai suoi nemici appariva spietato e crudele, la ragione doveva essere molto semplice: lo era davvero.
E lei si era alleata con lui.
Si era soltanto illusa; Voldemort aveva l'aspetto di un mostro perché era un mostro, e che Megan fosse sua figlia cambiava ben poco le cose.
O forse era abituato da troppo tempo a comportarsi in quel modo, e non conosceva altri modi per imporre rispetto e disciplina.
Megan decise che quella era la spiegazione più logica; ricordava che i cattivi della storia, per quanto crudeli, avevano sempre un atteggiamento gentile e affettuoso nei riguardi di una moglie, di un amico, o di un fratello.
La vita è fatta di grigi, alcuni più scuri, altri più chiari, si disse.
Voldemort non poteva fare eccezione, forse si era semplicemente orientato verso una sfumatura molto cupa.
Finì di bere il suo tè e addentò di mala voglia uno dei panini; dopo il primo boccone, capì che mangiare era decisamente troppo doloroso, e lo mise da parte.
Sul comodino c'era una bottiglia etichettata “Pozione Sonno Senza Sogni”; la prese, quindi la stappò.
Sapeva che l'abuso poteva essere pericoloso, ma decise che, in quella circostanza, non poteva di certo far male. Ne versò due dita nel bicchiere e la mandò giù d'un fiato.
Si sdraiò di nuovo e pensò che fosse il caso di spegnere la candela, quando le palpebre le divennero pesanti e si addormentò di nuovo.

*

Questa volta il dolore si insinuò nella sua mente prima ancora che riuscisse a svegliarsi.
Aprì gli occhi e si guardò intorno. La candela si era un po' consumata, ma non potevano essere passate più di un paio di ore.
Tentò di mettersi a sedere, e fu sorpresa nello scoprire che non era più un'operazione così impossibile; il dolore era rimasto, sordo e pulsante, ma sopportabile.
La fasciatura, però, le prudeva in modo insopportabile, ma decise di resistere alla tentazione; non aveva ancora idea di che cosa le avesse fatto Voldemort, e non voleva rischiare di peggiorare le cose.
Era sveglia da neanche cinque minuti, quando udì dei passi nel corridoio; qualche istante più tardi, Minus comparve sulla soglia, reggendo un vassoio di lucido argento, riccamente decorato.
Megan si chiese come facesse l'ex ratto a sapere quando era sveglia. Poi, un pensiero orribile le attraversò la mente, e capì che forse lui la spiava, magari in forma di Animagus.
Intanto Codaliscia aveva guadagnato il centro della camera; si avvicinò a lei e le posò delicatamente il vassoio sulle ginocchia.
Megan fissò per un momento la sua cena, quindi non riuscì a trattenersi e sbottò «Non sono mica malata!»
Non aveva mangiato nulla da quella mattina, ma adesso si sentiva molto più affamata e in forze di quanto non lo fosse stata nel pomeriggio. Aveva sperato in una cena un po' più sostanziosa, invece capì che si sarebbe dovuta accontentare del cibo che aveva davanti: una zuppa d'orzo fumante, del pane e un piatto di piselli e carote bollite.
Minus, che si era limitato ad ignorare il suo commento, le voltò le spalle, fece Evanescere i resti dello spuntino del pomeriggio, quindi prese a trafficare con i medicinali sul comodino.
Una volta terminata l'operazione, si rivolse a lei «Quando finisci di mangiare, metti il vassoio per terra e prendi le Pozioni» le disse, accennando ai due bicchieri che aveva preparato.
Megan, che aveva la bocca piena di carote, si limitò a scoccargli un'occhiata piena d'odio e disprezzo; Minus ebbe la buona grazia di fingersi contrito.
Si avviò di nuovo verso la porta, quindi si fermò e si voltò a guardarla; sembrava sul punto di dire qualcosa, poi cambiò idea e uscì in fretta.
Megan terminò la sua cena, poi prese le Pozioni, spense la candela e si infilò per bene sotto le coperte.
Di nuovo, il sonno non si fece attendere.

*

Si svegliò molte ore più tardi, o forse era ancora notte fonda, Megan non poteva saperlo; le finestre erano sbarrate, e precludevano la vista del mondo esterno.
Si rigirò nel letto, quindi si mise a sedere e prese a cercare a tentoni la bacchetta; una volta trovata, la puntò in direzione del comodino, concentrandosi per lanciare l'incantesimo di Incendio senza pronunciare la formula. Con sua grande sorpresa, ci riuscì al primo tentativo, e la flebile fiammella della candela guizzò allegra, rischiarando quella parte della stanza.
Megan ammiccò alla luce per momento, quindi si guardò intorno; la prima cosa che notò fu che il vassoio era sparito. Era la prova che qualcuno, Minus, era entrato nella camera mentre lei dormiva.
Il pensiero la fece sentire a disagio.
Come a voler confermare i suoi sospetti, sentì la porta aprirsi e, un attimo dopo, Codaliscia fece capolino, reggendo in mano lo stesso vassoio della sera prima, questa volta colmo di cibo per la colazione: tè e caffè fumanti, una focaccina croccante, due ciambelle alla crema, alcune fette di pane tostato, un bicchiere di succo, burro e un vasetto di marmellata alle fragole; forse aveva voluto farsi perdonare per l'esigua cena che le aveva servito.
Megan si avventò sul cibo senza dire una parola.
«Come stai?» le chiese Codaliscia, dopo un lungo silenzio.
Megan non rispose; non aveva alcuna intenzione di scambiare convenevoli con quell'essere che tanto disprezzava.
Minus l'osservò per un momento, quindi si avvicinò al suo letto e afferrò le coperte per scostarle.
Megan, con uno strillo soffocato, si ritirò di scatto, facendo ribaltare il vassoio.
Il movimento, troppo brusco, le provocò un dolore indicibile al petto e Megan non riuscì a reprimere un gemito di sofferenza.
«Il Signore Oscuro mi ha chiesto occuparmi della tua guarigione» spiegò Codaliscia.
Il fatto che Voldemort si fosse preoccupato di lei bastò a calmarla.
Forse non era senza cuore, dopotutto.
«Sto benissimo, grazie» disse Megan, sprezzante.
Minus la guardò perplesso; la reazione di Megan doveva aver tradito le sue parole.
«Allora puoi alzarti?» chiese il ratto.
Megan annuì.
Mise da parte quel che restava della colazione, scostò le coperte e cercò di mettersi a sedere.
Fu un errore.
Si bloccò a metà del movimento, i lineamenti del volto distorti in una smorfia di dolore. Ma il suo orgoglio ebbe la meglio; con un ultimo sforzo, riuscì a slanciare le gambe oltre il bordo del letto. Si sentiva come una bambina, esausta per aver compiuto un'impresa sovrumana, che per gli altri era semplice e naturale come respirare.
Appoggiò i piedi sul tappeto, si puntellò sulle mani, quindi finalmente si sollevò, barcollando pericolosamente.
Codaliscia le mise le mani sulle spalle e delicatamente la risospinse sul letto.
«Devi restare qui ancora qualche giorno» sentenziò Minus.
Megan annuì avvilita, poi ricordò qualcosa che la riempì di panico: lei doveva tornare a casa subito! William e i suoi genitori sarebbero tornati quella sera, e lei doveva farsi trovare a casa al loro arrivo. Non aveva detto a nessuno dove era andata e non si sentiva ancora pronta a confessare la sua decisione.
Certo, Voldemort avrebbe potuto informare suo padre da un momento all'altro, ma comunque non voleva che i suoi genitori lo venissero a scoprire da soli, riempiendosi di ansia e di apprensione per lei.
«Devo andarmene adesso» disse Megan, ma Codaliscia scosse la testa.
Ora si sentiva una prigioniera.
Cercò di calmarsi, pensando che la scuola sarebbe cominciata presto, e Voldemort non poteva impedirle di tornare a Hogwarts: la sua assenza avrebbe destato i sospetti di Silente, e forse anche del Ministero.
Poi, però, capì che quella non era affatto una garanzia: suo padre era un Mangiamorte, quindi Voldemort avrebbe potuto obbligarlo a trovare a una giustificazione qualunque per spiegare il mancato ritorno di Megan, dire che era malata, per esempio.
Si sentì invadere dalla paura, quindi dalla rabbia. Quanto era stata ingenua!
Minus nel frattempo se n'era andato, ma Megan era troppo concentrata sui suoi pensieri per farci caso.
Con la coda dell'occhio vide il vassoio ormai vuoto, giacere sul letto. Lo prese e lo usò, a mo' di specchio, per guardare il suo riflesso: aveva un aspetto pietoso in quel momento, con i lunghi capelli neri in disordine, ribelli, le occhiaie profonde e il viso pallido.
Lo gettò da parte, con sdegno; si sentiva così oppressa e frustrata, ed essere inchiodata in quel letto, in quella stanza semibuia certo non l'aiutava.
Impugnò la bacchetta e la puntò contro la finestra sbarrata, per aprirla.
Lanciò un incantesimo Non Verbale, ma tutta la sua rabbia sembrò concentrarsi in quell'unica azione: le assi di legno esplosero in milioni di schegge, i chiodi saltarono e le vecchie imposte vennero divelte dai cardini, rovinando al suolo.
Una ventata d'aria gelida irruppe nella stanza, seguita dalla luce pallida e chiara del mattino.
“Complimenti, Meg” si disse, sarcastica.
Ripose la bacchetta accanto a sé, quindi allungò il braccio per spegnere la candela ormai inutile.
Doveva trovare una soluzione, ma più ci pensava, più vedeva la sua situazione disperata.
Doveva chiedere di vedere Voldemort? O doveva trovare un modo per andarsene via e basta? E come?
Anche ammesso che fosse riuscita a ignorare il dolore, non era sicura di essere in grado di percorrere il corridoio, scendere le scale e uscire senza essere vista.
Poi avrebbe dovuto affrontare una faticosa discesa verso valle e anche allora, che cosa avrebbe fatto?
Non aveva idea di dove si trovasse.
La sera del suo arrivo era troppo nervosa all'idea di quello che stava per fare, che non aveva proprio pensato di chiedere a Lucius dove l'avesse portata. Stavano andando da Voldemort, e quella per lei era stata l'unica informazione importante.
Sapeva che la Materializzazione aveva dei limiti, quindi non potevano aver lasciato la Gran Bretagna. Questo restringeva le possibilità ad appena un centinaio di migliaia di luoghi.
Poteva essere dovunque, a decine di chilometri da Londra; magari era addirittura più vicina a Hogwarts che a casa.
Il giorno prima, quando era uscita all'aperto, non aveva notato grosse differenze climatiche, ma questo non significava nulla; e comunque, anche se fosse stata un'esperta, non si sarebbe certo preoccupata di riconoscere la vegetazione o di determinare le condizioni del meteo.
Naturalmente, una volta giunta ai piedi della collina, avrebbe potuto chiedere agli abitanti del villaggio, anche a costo di sembrare una sbandata, ma in ogni caso non aveva abbastanza denaro Babbano per pagare un mezzo di trasporto.
Aveva però qualche falce d'argento, che avrebbe potuto usare per salire a bordo del Nottetempo, ma non voleva correre il rischio di attirare i sospetti di qualcuno del mondo magico.
Forse Will aveva ragione, pensò: lei soffriva davvero di manie di persecuzione.
Non poteva credere di essere stata così stupida da non prevedere una cosa del genere.
Ora si sentì invadere dall'angoscia.
Ne aveva avuta anche quando era arrivata, ma quella si era dissolta in fretta davanti alle rassicurazioni di Voldemort, e alla prospettiva eccitante dell'addestramento.
Si era sentita forte, e quella sensazione era stata sostenuta dalla decisione che aveva preso; aveva accettato di unirsi a Voldemort e si era messa completamente nelle sue mani, senza preoccuparsi delle conseguenze, sicura della sua nuova posizione.
Si era arroccata sul suo piedistallo, ed era stata vittima della sua stessa arroganza.
“Perché devi fare sempre di tutto una tragedia?” si disse. Nessuno la stava maltrattando e Minus non le aveva detto che sarebbe dovuta restare per sempre.
Ma il pensiero che i suoi genitori, non trovandola a casa, venissero a sapere tutto la riempiva di panico, non del tutto motivato.
Stava ancora riflettendo, cercando un modo per convincere Voldemort a lasciarla andare quello stesso giorno, quando Codaliscia ritornò.
«Il Signore Oscuro vuole vederti» disse avanzando «Tieni» le disse, tendendole i vestiti che erano stati appoggiati sulla vecchia sedia traballante; Megan osservò Minus, che non diede alcun cenno di volersi allontanare. Riluttante, cominciò a vestirsi davanti a lui.
Quando ebbe finito, Codaliscia la guidò fuori dalla stanza.
Per la prima volta. Megan notò che Minus aveva un comportamento educato e gentile con lei, diverso dal patetico atteggiamento servile che riservava a Voldemort; in effetti, sembrava mosso dal sincero desiderio di aiutarla.
Forse, pensò Megan, si sentiva in colpa per aver ucciso Cedric.
Tuttavia, aveva sempre considerato Minus un individuo abietto, vile e crudele, incapace di provare sentimenti come la vergogna o il rimorso; aveva consegnato i genitori di Harry, i suoi migliori amici, a Voldemort, quindi come poteva dispiacersi per aver ucciso un ragazzo che neanche conosceva?
Non aveva molto senso interrogarsi al riguardo, comunque; dopo una faticosa discesa giù per la rampa di scale, finalmente raggiunsero il salottino al primo piano.
Voldemort era seduto sulla sua poltrona, ma non vi era traccia del serpente.
Megan sospirò di sollievo.
Codaliscia la lasciò sulla soglia e scomparì tra le ombre del corridoio.
Megan avanzò. Ora che era si era alzata e aveva mosso qualche passo non era così difficile muoversi, anche se la sua postura era un po' ingobbita, e le sembrava di avere un macigno attaccato al collo.
Si fermò davanti a Voldemort, accanto alla poltrona che aveva occupato la sera del suo arrivo.
Quella volta, lui l'aveva invitata ad accomodarsi, e non era sicura di potersi sedere senza il suo permesso; Voldemort, inoltre, non l'aveva ancora degnata di uno sguardo.
Finalmente, quando il silenzio si era protratto così a lungo da diventare imbarazzante, Voldemort sollevò la testa e la fissò, quasi sorpreso di vederla lì.
Atteggiò la bocca in un sogghigno, quindi le indicò la poltrona; fu un sollievo per lei abbandonarsi contro lo schienale, anche se sapeva che la parte difficile non era ancora cominciata.
«Vedo che stai meglio» disse Voldemort, senza smettere di puntare il suo sguardo indagatore su di lei; Megan era a disagio adesso.
«Allora riprendiamo l'addestramento» propose Voldemort, alzandosi.
Megan scosse la testa e tentò di assumere un'espressione e un tono chiari e decisi. «No, devo tornare a casa» disse.
Voldemort tornò a sedere.
«Davvero? La scuola non riprenderà che tra qualche giorno» disse calmo.
«Non avevo comunque intenzione di fermarmi a lungo» cominciò, ma Voldemort la interruppe, con uno strano ghigno, che Megan non riuscì a interpretare.
«Credevo volessi che ti addestrassi» disse lui «O pensavi di riuscire a imparare tutto in una notte?»
«E tu pensi di potermi insegnare in una settimana?» ribatté Megan.
Di nuovo, lo strano sogghigno si disegnò sul volto scheletrico del Lord Oscuro.
Megan, improvvisamente, percepì un vago senso di oppressione, poi sentì una grande quantità di sentimenti esploderle dentro all'unisono: ansia, paura, apprensione, esaltazione, tutto quello che aveva provato nelle ultime ore.
Poi comprese: Voldemort stava applicando la Legilimanzia su di lei.
Questa volta era riuscita a cogliere chiaramente l'intrusione di Voldemort tra i suoi pensieri; la sera in cui era arrivata, aveva provato una strana sensazione, ma nulla di più, e l'unica prova dell'avvenuta irruzione nella sua testa era stata la prontezza con cui Voldemort aveva compreso i suoi dubbi e le sue emozioni.
Potevano esserci solo due spiegazioni a quel fatto: o Voldemort era dotato di una grande empatia, cosa di cui lei dubitava, o lui le aveva letto nel pensiero; la soluzione corretta non poteva che essere la seconda.
Ad ogni modo, Megan non ne era certo felice: sapeva che cosa stava accadendo, certo, ma non aveva comunque i mezzi per difendersi.
Che cosa stava cercando Voldemort? Voleva scoprire il motivo per cui era tanto ansiosa di andarsene? Avrebbe capito subito che Megan voleva nascondere la sua nuova alleanza con il Signore Oscuro e avrebbe voluto sapere il perché.
E qual era il perché?
Con una stretta allo stomaco, Megan comprese che Voldemort avrebbe potuto scoprire tutto.
Suo padre non era affatto il seguace fedele che lui credeva.
Naturalmente, era tornato quando il Signore Oscuro aveva richiamato a sé i suoi Mangiamorte, ma aveva comunque chiarito la sua intenzione di tradirlo e di raccontare tutto a Silente; era stato proprio suo padre, no il suo padre adottivo, a dirglielo, e adesso lei avrebbe potuto consegnare quelle informazioni a Voldemort, mettendo a rischio tutte le persone a cui voleva bene.
Era stata una sciocca a non averci pensato prima: la sua mente era completamente indifesa e vulnerabile agli attacchi di Voldemort.
E la sua testa era una vera e propria miniera di informazioni, non solo sulla sua famiglia, ma anche su Harry, l'Ordine… Forse Voldemort aveva già scoperto molto da quando era arrivata, e voleva che restasse ancora qualche altro giorno solo per avere il tempo necessario a sondare la sua mente per intero.
Ma alla fine, di che cosa si preoccupava?
Non aveva forse accettato di schierarsi dalla parte di Voldemort? Non doveva niente all'Ordine, e, quanto a suo padre, all'uomo che l'aveva cresciuta, bé, era stata solo colpa sua.
Lui aveva fatto una scelta, si era unito ai Mangiamorte, salvo poi cambiare idea.
Aveva imboccato una strada, ma a metà del cammino si era fermato, si era voltato indietro, ed era ritornato sui propri passi, fermandosi al bivio, incapace di prendere una posizione chiara e indiscutibile.
Alla fine era stato proprio Voldemort, inconsapevole, a indicargli una terza via, fornendogli  l'opportunità di aggirare il problema che lui non aveva avuto la forza di affrontare: gli aveva affidato un compito, che gli aveva permesso di fuggire e che l'aveva tenuto lontano dalla guerra e dai suoi sensi di colpa per molto tempo.
Ma alla fine, dopo più di sedici anni di calma e pace, i peccati del passato erano tornati a bussare alla sua porta, e ancora una volta suo padre si era tirato indietro davanti alle proprie responsabilità. Si era disposto ai margini dei ranghi dei Mangiamorte, e aveva gettato Megan nelle fauci del mostro, mettendola in prima fila. Le aveva assicurato che avrebbe risolto tutto, che avrebbe chiesto aiuto a Silente, ma di nuovo si era limitato a promettere e basta. Erano passati mesi, e lui non si era ancora riscosso da quel torpore inerte e forse non l'avrebbe mai fatto; sarebbe rimasto a guardare, spettatore di una partita che avrebbe dovuto giocare, se non per se stesso, almeno per i suoi figli.
Ma, dopotutto, Megan e William non erano figli suoi, non davvero.
Vincent Parker aveva scelto il suo destino; Megan, invece, non aveva avuto questa possibilità.
Lei era la figlia di Voldemort e non poteva concedersi il lusso di non prendere una posizione.
Se si fosse schierata contro il Signore Oscuro, la sua vita sarebbe stata costantemente in pericolo; se avesse deciso di unirsi a lui, come già aveva promesso, forse sarebbe stata costretta a commettere un'infinita di crimini, ma sarebbe stata relativamente al sicuro da lui.
E qual era la scelta migliore, più furba?
Valeva la pena combattere contro Voldemort, contrastarlo per evitare che facesse che cosa poi? Conquistare il mondo e farlo sprofondare in un'era di cupo terrore e violenza? Quelli erano i piani dai cattivi dei romanzi, non certo la realtà.
Voldemort bramava il potere, questo era vero, ma cosa c'era di male nel voler affermare la supremazia della pura stirpe magica?
Le politiche dei Babbanofili avevano reso il loro mondo fragile, debole; Voldemort voleva assumere il controllo sulla comunità magica inglese, poi forse avrebbe allargato i suoi orizzonti oltre i confini della Gran Bretagna.
Ma non aveva parlato di stermini di Babbani o altre cose folli.
Disprezzava i Babbani e i Nati Babbani, ma non avrebbe mai commesso un genocidio tanto inutile, dal momento che lui ricavava la fonte della sua superiorità proprio da questa importante differenza.
Se poi tutto questo si scontrava contro la volontà di Silente e i suoi, era evidente che qualche atto di violenza sarebbe stato necessario, ma a quel punto non si poteva più parlare di crudeltà gratuita.
Ma, anche ammesso che Megan avesse deciso di stare dalla parte di Harry, valeva davvero la pena di rischiare la vita per qualcuno che non aveva fiducia in lei? Avrebbe potuto combattere cento battaglie, ma per i “buoni” lei sarebbe sempre rimasta la figlia di Voldemort.
Anzi, probabilmente l'avrebbero tenuta sotto costante controllo, temendo che la stessa pericolosa natura del padre potesse risvegliarsi anche nella figlia.
In fondo, non poteva biasimarli.
E non poteva neanche biasimare il padre che l'aveva cresciuta e che si era limitato a fare la scelta più furba e che gli aveva creato meno problemi.
Anche lei lo avrebbe fatto, solo che la sua posizione non le avrebbe consentito di restarsene in disparte.
Poco male, Megan detestava l'inattività.
Stava ragionando su tutto questo, quando percepì di nuovo, ancora più chiaramente, la presenza di Voldemort nella sua mente.
Forse non aveva più molto da nascondere, ma non voleva tollerare oltre quell'intrusione.
Ricordò di aver letto qualcosa, a proposito della Legilimanzia, in uno dei libri presi in prestito da Durmstrang.
C'era un paragrafo, rammentò, che parlava dell'Occlumanzia, una branca della Legilimanzia: se usata correttamente, l'Occlumanzia poteva proteggere la mente del mago, agendo come uno scudo contro gli attacchi esterni.
Si trattava di un'arte molto complessa e il testo non era molto specifico, e forniva solo alcune indicazioni molto generali.
Megan sapeva che non sarebbe riuscita a bloccare l'invasione di Voldemort, che era un Legilimens molto abile, ma decise comunque di fare un tentativo, basandosi su ciò che ricordava.
Il paragrafo diceva, se non si sbagliava, di svuotare la mente, e questo aveva senso, anche se farlo non era molto semplice.
Megan si sforzò di non pensare a niente, ma non era facile imporre alla propria mente una disciplina tanto innaturale.
Immaginò allora i suoi ricordi fluire lentamente all'esterno, come tanti fili argentati e fibrosi, e li gettò via.
Non fu una buona tattica, perché la presenza di Voldemort si fece ancora più intensa e avida.
Provò un altro sistema.
Visualizzò un cassetto, molto grande, in cui stipò tutti i suoi ricordi, le sue esperienze, le sue emozioni. Lo chiuse e si convinse che se avesse distrutto la chiave nessuno avrebbe mai più potuto riaprirlo.
Stava per farlo, quando un altro ricordo dei suoi studi schizzò fuori da quel cassetto immaginario.
Qual era la prima regola della Legilimanzia, la condizione necessaria perché un mago potesse insinuarsi nei pensieri di un altro e rovistare indisturbato tra i ricordi e le emozioni della sua vittima? Il contatto visivo.
Megan si concentrò su Voldemort, che teneva il suo sguardo sanguigno fisso su di lei, le pupille verticali dilatate dallo sforzo, certamente non troppo grande, di penetrare la sua mente. Megan cercò di interrompere il contatto, ma i suoi occhi erano incatenati a quelli del Lord Oscuro.
Tornò a concentrarsi sui suoi sforzi per chiudere la propria mente.
Visualizzò di nuovo l'immagine di prima, il cassetto, i faldoni che rappresentavano i suoi ricordi, la chiave. Se ne disfò, ma per un attimo non accadde nulla.
Poi all'improvviso provò una sensazione di liberazione, e fu solo perché ora era svanita che Megan si accorse della tremenda pressione che Voldemort aveva esercitato su di lei fino a quel momento.
Tornò a fissare il Signore Oscuro, anche se ormai non si sentiva più costretta a farlo; lui aveva una strana espressione, sembrava irritato, anzi furioso, ma anche, suo malgrado, impressionato.
Megan non sapeva quanto tempo fosse durata l'intrusione di Voldemort, minuti o forse solo qualche istante.
Si sentiva esausta, adesso, e si accorse solo allora che aveva il respiro corto e irregolare, la gola arida e le unghie delle mani conficcate nel sottile rivestimento dei braccioli.
Allentò la presa e pian piano riprese a respirare normalmente.
Voldemort fremeva di rabbia.
Aveva scoperto tutto allora?
Si alzò di scatto e prese a misurare la stanza a grandi passi, quindi si fermò di colpo, scosse la testa e riprese a camminare.
Megan non osava dire una parola.
Dopo un paio di minuti, finalmente Voldemort si bloccò al centro della stanza, le rivolse uno sguardo di gelido furore e sibilò «Come hai fatto?»
Megan non aveva idea di che cosa stesse parlando.
«Come hai fatto?» ripeté Voldemort, in tono pericolosamente alterato.
Megan era nervosa e spaventata, ma trovò comunque il coraggio di dire «Come ho fatto a fare cosa?»
Voldemort proruppe in una risata fredda e senza gioia, improvvisa e terrificante.
Poi notò il suo sguardo sinceramente confuso e si ricompose «Davvero non te ne sei accorta?»
Megan si strinse nelle spalle e scosse la testa come a ribadire che lei non sapeva a che cosa lui stesse facendo riferimento.
Voldemort puntò i suoi occhi sanguigni su di lei, e rimase in silenzio. Poi parve convincersi della sua sincerità e disse «Chi ti ha insegnato l'Occlumanzia?»
Megan sgranò gli occhi «N-nessuno» balbettò «Ho solo letto qualcosa su un libro» continuò, cercando di dare alla sua voce un tono meno patetico e spaventato.
Voldemort parve rilassarsi nell'udire quella risposta. «Allora questo spiega come mai la tua tecnica è tanto imprecisa».
Aveva detto imprecisa, non inefficace, quindi aveva davvero funzionato? Ma  aveva tentato di respingere gli assalti di Voldemort solo all'ultimo momento, prima si era lasciata trasportare dai propri pensieri, pensieri che Voldemort doveva aver percepito, a meno che… Quanto si poteva restare lucidi durante un attacco mentale di quella portata?
Megan cominciò a sentirsi euforica; il Signore Oscuro non era riuscito a fare breccia  nella sua mente, non aveva scoperto nulla di importante. Poteva scegliere lei che cosa rivelargli e cosa invece tacergli e questo la fece sentire forte e importante. Non era una sprovveduta, dopotutto.
Voldemort tornò a sedere. Non doveva essere piacevole per lui non riuscire a penetrare le difese rozze e grossolane di una ragazzina.
Megan, conscia del proprio potere e forte del fatto che Voldemort avrebbe saputo solo ciò che lei voleva che sapesse, si sentì molto più tranquilla.
«Non ho detto a nessuno che sarei venuta qui» confessò. Voldemort non poté fare altro che ascoltare. «Lo farò, naturalmente, ma non adesso» continuò.
Voldemort annuì, una strana espressione grave sul volto pallido e tirato.
«Che cosa dovrò fare, una volta tornata a Hogwarts?» chiese Megan.
Il Lord Oscuro non rispose subito. Forse aveva avuto altri piani per lei, ma quell'ultima scoperta aveva cambiato tutto.
«Devi riguadagnarti la fiducia di Potter» disse alla fine «E trovare un modo per portarlo al Ministero».
Megan annuì, chiedendosi se sarebbe stata in grado di riuscirci.
«Puoi andare» la congedò Voldemort.
Megan si alzò, mentre il Signore Oscuro chiamava Minus.
L'ex ratto comparve immediatamente sulla soglia, come se fosse rimasto a origliare dietro la porta per tutto il tempo. A Megan questo non dispiacque; voleva che Codaliscia si rendesse conto di chi aveva di fronte, e la temesse come temeva il suo padrone; forse, un giorno, avrebbe avuto modo di pareggiare i conti con lui e vendicare Cedric, e voleva che Minus vivesse nella paura costante.
«Riportala a casa» ordinò Voldemort, quindi lasciò la stanza senza aggiungere altro.
Codaliscia le offrì un braccio grassoccio, che Megan afferrò; ormai non provava più repulsione nel toccarlo, ma solo un freddo disprezzo, quasi indifferente; Minus non meritava di più.
Di nuovo, avvertì la spiacevole sensazione di venire schiacciata da un peso spaventosamente grande, e si chiese se, con l'abitudine, la Materializzazione smettesse di far sentire maghi e streghe spossati e nauseati.
Apparvero in un stretto vicolo ai margini della Brighton Road, la strada principale del sobborgo di Biggin Hill, nel distretto di Bromley a sud di Londra. I Parker vivevano lì, in una grande villa un po' fuori mano, all'estremità opposta rispetto al piccolo aeroporto,  circondata da un bel parco, con alberi e un piccolo laghetto.
Quando Megan si voltò, Minus era già sparito. Lasciò il vicolo e si incamminò verso casa. La ferita che le aveva inflitto Voldemort continuava a pulsare, ancora di più ora che era stata costretta a Materializzarsi, ma non ebbe troppe difficoltà a percorrere il breve tragitto verso la villa.
Erano da poco passate le undici, quindi la maggior parte degli abitanti era al lavoro, a Londra o nei dintorni, o a scuola, perciò le vie erano quasi del tutto deserte.
Passò accanto alla Ridgeway Primary School, la scuola elementare che lei e William avrebbero dovuto frequentare, prima di ricevere la loro lettera di ammissione a Hogwarts.
I loro genitori avevano però optato per un'educazione privata, esattamente come accadeva in tutte le famiglie di maghi.
Tuttavia, a quel tempo, lei e suo fratello erano soliti frequentare l'unico parco del paese e avevano stretto, per così dire, amicizia con alcuni bambini Babbani; ma ormai erano passati tanti anni e, probabilmente, loro non l'avrebbero neanche più riconosciuta.
Il sole splendeva alto nel cielo sereno, ma l'aria era comunque fredda e pungente; Megan accelerò il passo, per quanto le fosse possibile.
Percorse l'ultimo tratto di strada, quindi oltrepassò le siepi divisorie e raggiunse il vialetto ghiaioso, ai margini del quale svettava il cartello che avvertiva i passanti che, da quel punto, si entrava in una proprietà privata; a circa cento metri di distanza, alto e maestoso, si ergeva il cancello che permetteva di accedere al parco e alla villa.
Megan lo aprì con un colpo di bacchetta, quindi percorse l'ultimo tratto del vialetto ed entrò in casa.
I suoi genitori non sarebbero arrivati prima di molte ore, così decise di andare a fare una doccia e poi salire in camera e dormire un po'; non voleva che intuissero qualcosa, e sapeva fin troppo bene di avere uno aspetto tutt'altro che fresco e riposato.

*

La sua famiglia tornò quella sera, intorno alle sei.
Megan si fece trovare sul divano in salotto, con una coperta stesa sulle gambe, un libro di narrativa Babbana aperto in una mano, una tazza di tè fumante nell'altra.
I suoi non sospettarono nulla e Megan esalò un sospiro di sollievo quando si richiuse la porta della sua camera alle spalle, dopo aver finito di cenare in normale tranquillità insieme agli altri, ascoltando interessata il resoconto della loro breve vacanza.
Erano di buon umore, quindi Megan preferì aspettare per raccontare il proprio di resoconto.
“Domani” decise “Domani confesserò tutto”.




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