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Autore: Crilu_98    21/12/2018    1 recensioni
La fame ed il freddo invernale non sono nemici che l'uomo possa sconfiggere da solo. Ma il prezzo che gli dei chiedono in cambio della salvezza è molto alto: i nati di quella primavera maledetta saranno tutti consacrati a Mamerte, sanguinario e crudele dio della guerra.
Tra di loro, Sattias è il più gracile, il meno abile, per nulla carismatico; tuttavia, quando giunge il momento di partire verso la terra che è stata loro promessa, è lui che il picchio di Mamerte sceglie come guida.
In un viaggio pieno di pericoli, profezie ed incontri inaspettati, Sattias dovrà ricorrere a tutta la sua astuzia per tenere al sicuro le persone che ama: perché nel loro mondo ci sono poche certezze, ma una di queste è che gli dei non ripongono mai la loro fiducia nell'uomo sbagliato.
Genere: Avventura, Guerra, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana
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Sattias si chinò ad osservare il cadavere steso sul carro con il petto agitato da sentimenti contrastanti: spogliato dell’armatura e delle armi, Diomedas non sembrava più la reincarnazione di Mamerte.
Era solo un vecchio canuto con la pelle fragile e rugosa, segnata dalle cicatrici di mille battaglie. Etrilia aveva ricomposto il volto sfigurato dalla lancia in un’espressione di pace impescrutabile e sugli occhi erano state poggiate due monete di ferro, alla maniera dei Greci.
Il giovane re contemplò quei freddi e beffardi dischi argentati per qualche altro istante, prima di far segno al conducente di poter partire: nel siglare l’accordo di pace gli abitanti di Ankón avevano preteso che il corpo del guerriero venisse loro restituito e Sattias non aveva avuto nulla da obiettare a quella richiesta.
Si avviò zoppicando verso i resti del suo villaggio, osservando con mestizia le mura ormai completamente bruciate e la sua amata capanna distrutta:
“Quasi un anno di lavoro perduto!”
Anche Laktéa stava osservando assorta le rovine, accarezzandosi distrattamente il ventre, ma quando lo vide venirle incontro le sue labbra si aprirono in un sorriso.
“Onore a Sattias, l’ammazzadei!” ridacchiò, usando l’appellativo che Pileius aveva coniato un paio di sere prima mentre era del tutto ubriaco.
“Oh, andiamo…” borbottò il ragazzo, imbarazzato.
“Ci hai salvato, Sattias, lascia che gli altri lo raccontino. Diomedas è morto e i suoi guerrieri non torneranno più a minacciare le nostre case, ma non ti illudere: avremo altri nemici e altre guerre da combattere.”
“Lo so” replicò lui, scuro in volto “Che senso ha tutto questo, secondo te? Perché vincere per poi dover lottare ancora ed ancora, fino a che, come Diomedas, non saremo troppo vecchi e stanchi per sconfiggere il nostro nemico?”
La ragazza gli prese il viso tra le mani e lo costrinse ad alzare lo sguardo verso l’eschio, miracolosamente scampato al fuoco:
“Se c’è un senso, lo conoscono solo quegli dei in cui io e te non crediamo. Ma guarda bene: eccolo lì, il motivo per continuare a lottare.”
Tra le fronde che dondolavano pigramente nella brezza Sattias riuscì a scorgere il profilo di un nido: sopra di esso un picchio verde si godeva il primo sole di primavera ed aspettava, paziente, che le sue uova si schiudessero.
 
Licios, figlio di Sattias, era venuto al mondo di notte dopo lunghe ore di travaglio, mettendo a dura prova il corpo di sua madre. Ma osservando Laktéa che stringeva orgogliosamente a sé quel piccolo fagotto, Hiccia non poté far altro che concludere che forse ne valeva davvero la pena.
Il villaggio festeggiava le mura appena ultimate, ma lei se ne stava in disparte ad osservare il vino che scorreva a fiumi, e pensava alla vita che si era scelta.
Si chiese cosa ne sarebbe stato di lei quando le forze l’avrebbero abbandonata e chi, tra i Piceni, si sarebbe fatto carico di una vecchia cocciuta e scorbutica; con un sospiro frustrato, poggiò il capo contro la parete di una capanna.
Sattias aveva insistito affinché fossero tutte ricostruite in pietra per evitare gli incendi e per fortuna avevano scoperto, non troppo lontane da lì, cave di roccia bianca, abbastanza calcarea da poter essere scavata ma non abbastanza da essere rovinata dalla pioggia. Il risultato era che quel modesto villaggio, in pochi mesi, si era trasformato in una città degli dei: i Piceni si erano addirittura guadagnati il rispetto di Ankón, ora loro alleata.
Tuttavia la ragazza non riusciva a reprimere un brivido quando, durante i suoi viaggi, si ritrovava a passare davanti al santuario che i greci avevano costruito sulle ossa di Diomedas.
“Cosa fai qui, tutta sola?”
La voce di Pileius alle sue spalle la fece sobbalzare. Il bacio che si erano scambiati prima dello scontro sembrava ormai appartenere al mondo dei sogni e anche se Hiccia rievocava spesso il sapore delle sue labbra aveva imparato ad evitare la sua compagnia il più possibile.
“Riflettevo” mormorò.
Lui annuì, come se avesse capito, e nascose a fatica un sorriso, posando gli occhi cangianti sul piccolo Licios che si agitava tra le coperte in cui era stato avvolto:
“Un bambino vivace. Deve aver preso da Laktéa”
Hiccia si lasciò sfuggire una risata:
“Hai ragione, Sattias non è mai stato così vispo!”
“Anch’io vorrei che i miei figli somigliassero alla loro madre…” continuò lui, come se non l’avesse sentita.
“Ah… Sì?”
“Sì. Diventerebbero molto forti, veloci e coraggiosi.”
“Ed indisciplinati e testardi. No, non sarebbe una buona idea!”
Lui si strinse nelle spalle con un sorriso astuto:
“Penso di essere abbastanza buono e caritatevole per entrambi, tu che dici?”
Rimasero a fissarsi in silenzio per qualche istante, poi Hiccia scosse la testa, esasperata.
“Per tutti gli dei, Pileius!” sibilò tra i denti prima di alzarsi sulle punte e baciarlo, sentendo riecheggiare una risata nella gola del ragazzo.    
Sopra l’eschio, il picchio verde chiuse gli occhietti tondi e si accoccolò meglio nel suo nido: la sua gente non avrebbe avuto bisogno di lui per molto, molto tempo. 




E con un immenso ritardo, ecco anche l'epilogo! Sorry xD

  Crilu
   
 
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