Crossover
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Autore: Registe    21/12/2018    4 recensioni
Tredici guardiani. Tredici custodi del sapere.
Da sempre lo scopo dell'Organizzazione è proteggere e difendere il Castello dell'Oblio ed i suoi segreti dalle minacce di chi vorrebbe impadronirsene. Ma il Superiore ignora che il pericolo più grande si annida proprio tra quelle mura immacolate.
Questa storia può essere letta come un racconto autonomo o come prologo della serie "Il Ramingo e lo Stregone".
[fandom principale Kingdom Hearts; nelle storie successive lo spettro si allargherà notevolmente]
Genere: Fantasy, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Anime/Manga, Videogiochi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Ramingo e lo Stregone'
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Capitolo 24 - Vexen (VIII)





Xigbar





L’estratto di lijada ribolliva sommessamente. Soddisfatto, Vexen si adagiò sulla sedia più vicina (una bella sedia girevole con lo schienale alto che si era procurato in un mondo avanzato), e osservò le sottili volute rossicce che si sprigionavano dal liquido nella provetta.
Aveva avuto l’accortezza di prendere l’antidoto almeno venti minuti prima di iniziare il lavoro: la lijada era un sonnifero talmente potente che bastava respirarne i vapori per cadere vittima dei suoi effetti. Vexen aveva aggiunto al distillato tre milligrammi di polvere lienaar per contrastare l’estrema volatilità dell’estratto (altrimenti il sonnifero sarebbe evaporato ancora prima di poter essere versato nel cibo) e quindici milligrammi di nileomilina per amplificarne ulteriormente gli effetti. Neanche il sistema immunitario di un licantropo sarebbe stato in grado di resistere. Vexen non aveva mai avuto occasione di studiare il n. VII come avrebbe desiderato, ma i pochi campioni di sangue raccolti durante i controlli medici che il Superiore imponeva alla propria famiglia gli avevano fornito dati sufficienti.
Era certo dell’efficacia del suo sonnifero. Le sue creazioni si rivelavano sempre infallibili.
Trascorso il tempo necessario, Vexen spense la fiamma e trasferì il liquido in un’ampolla che sigillò ermeticamente. Dieci dosi, di cui quattro destinate al solo Saïx.
Ora non restava altro che aspettare che Larxen o Axel fossero di turno in cucina. Vexen li avrebbe accompagnati in ogni caso: non aveva un briciolo di fiducia nella loro capacità di dosare correttamente il sonnifero. Il complotto poteva anche essere un’idea di Marluxia, ma la verità pura e semplice era che senza l’aiuto dello scienziato quelle tre teste calde non avrebbero neanche saputo da dove cominciare la loro patetica rivolta. In effetti, si chiese perché non avesse pensato a fare tutto da solo molto tempo prima. Si sarebbe risparmiato anni di litigi e frustrazioni inutili.
Le frustrazioni, fortunatamente, stavano per avere fine. Giorni, forse ore, e il potere del Castello dell’Oblio sarebbe stato suo, totalmente e senza confini. Gli girava la testa a pensare alle possibilità che si sarebbero spalancate di colpo, alla libertà improvvisa, intossicante, illimitata. A cominciare dalle piccole cose di tutti i giorni: forse quella era l’ultima volta che doveva ripulire da solo provette e strumentazione dopo un esperimento. Da tempo desiderava un assistente che alleviasse la parte più umile e faticosa del suo lavoro, ma nessuno degli attuali abitanti del Castello possedeva le competenze necessarie a muoversi in un laboratorio senza causare cataclismi. Zexion lo aiutava sempre volentieri, ma lo scienziato non se la sentiva di caricarlo eccessivamente con compiti da servitore.
 
Narratore: “Attento a desiderare qualcosa troppo intensamente: potrebbe avverarsi!”
 
Finita la pulizia degli strumenti si sfilò i guanti di plastica e stiracchiò le dita con soddisfazione. Ripose la fiala con il sonnifero in una dispensa che chiuse con un lucchetto, e fece scivolare la chiave al sicuro nella tasca del soprabito. Ed ecco, puntualissima, la vibrazione nell’aria che annunciava il ritorno di Zexion tramite un portale oscuro. Aveva preferito tenerlo lontano mentre manipolava la lijada. Considerata la potenza dell’estratto, era probabile che nemmeno l’antidoto tenesse l’olfatto del ragazzo al riparo dai suoi effetti.
“Voltati lentamente, bastardo.”
Non era la voce di Zexion.
“Xigbar? Sei di nuovo ubria… “
Girandosi ne colse dapprima lo scintillio, una frazione di secondo. Sussultò nel ritrovarsi la canna del fucile di Xigbar puntata a pochi centimetri dal cuore.
L’arma, viola, affusolata ed elegante, non tremava nella mano del suo proprietario. La presa del n. II era salda, l’unico occhio color ambra lucido e determinato, le linee del viso scarno dure come appena scolpite nella pietra.
Non aveva bevuto.
Vexen si accorse di essere lui a tremare.
Lo sa.
Fece del suo meglio per darsi un contegno stupefatto e oltraggiato, raddrizzando la schiena ed ergendosi in tutta la sua considerevole altezza: “Levami immediatamente quell’affare di dosso. Se è uno scherzo non lo trovo affatto… “
La canna del fucile premette contro la sua tunica, soffocandogli subito qualsiasi protesta nella gola.
“È inutile che continui a recitare. Anche perché non ne sei capace. Sappiamo tutto. Quindi adesso vieni con me e spieghi bene questa storia del complotto guardando il Superiore dritto negli occhi, o giuro che ti ci porto a calci in culo.”
Non aveva mai visto una tale furia sul viso di Xigbar. Aveva sempre considerato i n. II e III come i buffoni di corte di Xemnas, beoni e re delle battute sconce con il quoziente intellettivo di una mazza da golf. I lunghi anni di quiete gli avevano fatto dimenticare che Xigbar e Xaldin erano, prima di ogni altra cosa, soldati addestrati alle armi fin dalla più tenera età. Deglutì, rimpiangendo di non avere la parlantina sciolta di Marluxia.
“Aspetta, Xigbar… “ sollevò le mani con i palmi aperti bene in vista. Il battito accelerato del suo stesso cuore gli martellava fin dentro il cervello. “Non so chi ti abbia detto cosa su di me, ma… ci conosciamo da anni. Non posso credere che abbiate dato peso alla prima calunnia che… “
“Ah, ci conosciamo? Davvero? Io conosco solo un vecchio rompipalle che guarda tutti dall’alto in basso, schifa noi altri neanche fossimo merda di cane spiaccicata e non parla mai con nessuno. Perciò non mi stupisce affatto che hai deciso di farci fuori. Probabilmente per te le nostre vite valgono meno dei microbi sotto il tuo microscopio.”
Vexen tentò di indietreggiare, ma urtò con le spalle contro la credenza in cui aveva nascosto il sonnifero. Se solo non l’avesse chiusa a chiave…
“Ma perché… perché pensate che voglia tradirvi? Vi giuro che non c’è niente di vero!”
Le probabilità di riuscire ad aprire un portale prima che Xigbar gli sparasse, a quella distanza, erano pressoché nulle. La canna del fucile brillava minacciosa, mettendo a dura prova la sua capacità di ragionare lucidamente.
“Vuoi davvero saperlo?” Il viso del n. II si aprì in un ghigno beffardo. La guancia sinistra, solcata da una vecchia cicatrice frastagliata, sembrava specchio e parodia di quel sorriso.
“Indovina chi è arrivato tutto terrorizzato dal Superiore a raccontarci una simpatica storiella di complotti e tradimenti? Esatto: il n. VI.”
Vexen sentì il sangue defluirgli dal viso e dalle guance come se qualcuno lo avesse risucchiato.
“Ha persino provato a difenderti, poverino. Ha detto che ti hanno costretto. Il Superiore ha i suoi bravi dubbi, però. Io invece non ci credo per niente.”
“No… non può essere… non è vero… “
Appoggiò tutto il peso alla credenza, le gambe molli e pesanti come se fossero fatte d’acqua. Il sorriso di Xigbar era più appuntito della canna del suo fucile, e faceva dieci volte più male.
“Che c’è?” La verità doveva leggerglisi in faccia ormai, ma non aveva più importanza. “Qualcuno non aveva messo in conto la ribellione del ragazzino? Com’è che dite voi cervelloni? Una variabile impazzita? È un miracolo che il n. VI sia cresciuto un essere umano decente, considerato chi ha avuto come esempio.”
La mano libera di Xigbar si mosse appena, richiamando l’oscurità di un portale al suo comando. Gli indicò il varco con una parodia di inchino: “Prego. Prima gli anziani.”
“Xigbar… ti supplico, io… “
“Risparmia il fiato e la dignità. Ti sto dando la possibilità di andare dal Superiore camminando sulle tue gambe. Non sprecarla.”
Vexen giunse le mani davanti a sé. Era un bene che la sua voce suonasse così debole: “Lasciami almeno spiegare… “
Il suo indice sfiorò appena la canna del fucile, ma fu sufficiente.
Il ghiaccio si propagò in un istante, e anche se Xigbar fu rapido a premere il grilletto il proiettile magico rimase bloccato, sfrigolò all’interno della canna e scoppiò come un petardo, lasciando a entrambi appena il tempo di scansarsi.
Xigbar bestemmiò e fece sparire l’arma danneggiata, stringendosi la mano dolorante. Vexen scartò di lato e allontanò l’altro con uno spintone approfittando della differenza di altezza. Mise nel colpo di gomito tutta la forza e la rabbia che aveva in corpo, liberandole con un grido disperato. Corse dall’altro lato del laboratorio, evocando a sua volta un portale. Un luogo sicuro, lontano dal Castello dell’Oblio, dove a nessuno sarebbe mai venuto in mente di cercarlo…
Le tenebre lo accolsero rassicuranti, e Vexen si lasciò cadere nel loro abbraccio.
E per poco non si ruppe il naso contro lo spigolo di uno scaffale di ferro.
Nel tentativo di mantenere l’equilibrio si aggrappò al primo appiglio che riuscì a trovare, facendo oscillare paurosamente lo scaffale. Un’intera fila di ampolle rovinò fragorosamente al suolo, spargendo liquidi ovunque e trasformando il pavimento in un pantano scivoloso e costellato da frammenti di vetro.
Si rimise in piedi a fatica. Qualcosa di vischioso gli colava lungo la guancia destra, giù per il collo e fin dentro la tunica. L’odore aspro del succo di haralia gli pizzicò le narici. Quantomeno non era tossico o velenoso. Ma il sollievo fu di breve durata.
Xigbar lo teneva di nuovo di mira con il fucile – l’altro fucile – e si godeva divertito la scena, in piedi nel luogo esatto in cui fino a un attimo prima si trovava il portale aperto da Vexen.
Lo scienziato si rese conto di trovarsi a troppi metri di distanza da quel punto per essere semplicemente scivolato.
“Dèi ladri.”
Aveva sottovalutato il potere di elementale dello spazio di Xigbar. Il n. II poteva teletrasportare se stesso e altri oggetti o persone in qualsiasi punto compreso nel suo campo visivo a una velocità incredibilmente superiore a quella di un comune portale oscuro. Non ebbe neanche un secondo per reagire: Xigbar sparì e riapparve in un lampo a pochissimi centimetri da lui.
Fu investito dal suo alito pesante di cibo speziato mentre l’altro lo afferrava per il davanti della tunica e gli assestava un pugno in piena faccia. Vexen rotolò a terra tra i pezzi di vetro, portando una mano allo zigomo che già si gonfiava a vista d’occhio. Rimase per qualche attimo intontito a fissare il palmo della mano, gocciolante di un misto di sangue e succo arancione di haralia. Una minuscola scheggia di vetro si era infilata proprio sotto l’indice. Il punto dove Xigbar lo aveva colpito pulsava e bruciava da morire, e aveva l’impressione che dal viso il calore si diffondesse in ondate roventi per tutto il corpo.
Troppo calore.
Se ne accorse un attimo prima del n. II, e l’istinto lo fece rannicchiare a terra, incurante del vetro e dei liquidi potenzialmente pericolosi.
Percepì su ogni centimetro di pelle l’esplosione bruciante di calore. Davanti alle palpebre chiuse lampeggiarono fiammate bianche e rosse mentre il grido di dolore di Xigbar riempiva il laboratorio.
Udì un tonfo sordo, poi il calore si affievolì. Una forte puzza di bruciato ora sovrastava qualsiasi altro odore proveniente dalle ampolle rotte sul pavimento. Vexen aprì gli occhi.
Xigbar era riverso su un fianco, e l’odore di bruciato proveniva da lui. L’oggetto circolare e irto di punte conficcato nella sua schiena era uno dei chakram del n. VIII.
“Tu… bastardo… “
Xigbar urlò quando Axel si avvicinò a passi rapidi e gli sfilò il chakram dal corpo. La tunica del n. II era bruciata in più punti, la pelle al di sotto rossa e ricoperta di vesciche. Il dolore che provava doveva essere indicibile.
Eppure, in qualche modo, aveva ancora la forza di parlare: “Axel… il ragazzino… non ci aveva detto che anche tu… pezzo di… “
Sollevò una mano tremante, raccogliendo una flebile luce di energia magica attorno alle dita. Faticosamente, la sagoma del suo fucile iniziò di nuovo a prendere forma.
Axel gli piantò il chakram dritto nella gola.
I rantoli del n. II che soffocava nel proprio sangue durarono pochi secondi, ma a Vexen sembrarono protrarsi all’infinito nel silenzio assoluto del laboratorio.
Non era così che doveva andare. Adesso avrebbero avuto tutto il resto dell’Organizzazione alle calcagna. Avrebbero dovuto lasciare il Castello. E Zexion…
Afferrò la mano tesa di Axel e si rimise in piedi traballando.
“Wow. Sei uno schianto, n. IV.”
La battuta disinvolta non riusciva a celare il tremito della voce e il respiro affannato. Gli occhi del n. VIII erano dilatati, sfrecciavano tutto intorno al laboratorio come quelli di un animale braccato.
“Non sprecarti a ringraziare, mi raccomando. Venivo per dirti che Larxen è di turno stasera in cucina, ma… come cazzo ti sei fatto scoprire?”
“Siamo stati traditi” sibilò Vexen con filo di voce. Aveva la tunica bagnata, strappata e ricoperta di frammenti di vetro. Sentiva dolore in almeno dieci punti diversi del corpo. Evocò del ghiaccio e lo premette delicatamente sullo zigomo contuso: gli pareva che la metà destra del viso stesse andando a fuoco.
Ma tutto questo era niente, niente in confronto al vuoto gelido che sentiva spalancarsi dentro di sé.
“Da chi?” Il tono di Axel era pressante. “Xigbar ha parlato di un ragazzino… possibile che… “
Vexen lo fulminò prima che potesse arrivare a una qualsiasi conclusione da solo.
“Ci ha spiati e ha riferito tutto al Superiore. Il n. XIII ci ha traditi, Axel.”
  
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