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Autore: Old Fashioned    22/12/2018    15 recensioni
Berlino, fine anni '20. Una bella ma (forse) ingenua ragazza, Cordula Kerschbaumer, arriva nella Capitale con l'intenzione di diventare una famosa artista di varietà. Una volta giunta in città, la fanciulla trova un impiego come ballerina al celebre night club Schatztruhe, anche detto Truhe (= scrigno). Peccato che una volta lì si scontri con Regine, una vecchia gloria del cabaret, ormai quasi in disarmo ma molto decisa a non lasciarsi mettere i piedi in testa dall'ultima arrivata.
Prima classificata al contest Villains against Heroes indetto da missredlights sul forum di EFP, a pari merito con "Ha i capelli d'oro degli Æsir", di Shilyss. Premio "Miglior Villain".
Genere: Commedia, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Salve a tutti/e! Ecco un altro capitolo della nostra vicenda fiabesca trasportata nella Berlino di fine anni ‘20. Ringrazio come sempre tutti quelli che mi stanno seguendo e faccio un ringraziamento speciale a chi mi ha anche lasciato il suo parere!^^





Capitolo 3

Cordula fece una bracciata di tutti i suoi abiti di scena, poi raccolse anche la biancheria, le scarpe e tutto il resto e si diresse con entusiasmo verso il camerino con la porta ornata da una grande stella dorata.
Mentre cercava di abbassare la maniglia col gomito, l’anta si schiuse e sulla soglia comparve Regine. “Hai preso tutto, cara?” s’informò la cantante.
La ragazza si immobilizzò all’istante, con l'impressione di essere appena stata investita da una folata d'aria gelida, poi piegò la testa all’indietro per riuscire a guardarla in faccia. “Credevo che non ci fosse nessuno,” balbettò.
L’altra annuì con un sorriso che sembrava quello di un caimano. “E invece come vedi ci sono io.”
Cordula deglutì. “Forse… è meglio che me ne vada?” propose.
Oh, ma no. Assolutamente no. D’ora in poi, questo sarà il tuo camerino.” Regine si scostò per farla passare. “Vieni avanti, tesoro. Metti le tue cose nell’armadio.”
La più giovane fece un cauto passo all’interno, quasi aspettandosi che da un momento all’altro una tagliola le si chiudesse sulla caviglia. “E tu?” chiese poi.
Oh, io mi adatterò, non preoccuparti.”
Davvero?”
Ma certo, in fondo a me basta poco per stare bene. Ah, sta’ attenta al tavolino del trucco: traballa un po’.”
Sotto lo sguardo attento di Regine, Cordula si fece avanti e appoggiò la bracciata di vestiti sul divanetto. Poi alzò gli occhi sulla cantante, come aspettandosi che le desse la sua approvazione.
L’altra si limitò a un sobrio cenno del capo. “Ora vado,” la informò poi. “Mi raccomando, attenta al tavolino: potrebbe succedere un incidente quando meno te l'aspetti.”
La ragazza rimase sola nella stanzetta e nonostante la temperatura estiva si trovò a rabbrividire. Per distrarsi dalla sensazione di freddo che il sinistro avvertimento le aveva lasciato addosso cominciò a sistemare gli abiti nel guardaroba, canticchiando frattanto la sua canzone: l’odio non è altro che amore non corrisposto.
Man mano che sistemava le sue cose, e che la stanza perdeva le connotazioni che vi aveva lasciato Regine per diventare sempre più sua, anche il timore reverenziale nei confronti della cantante la abbandonava: in fin dei conti, il signor König aveva scelto lei e le aveva affidato il numero più importante della serata. Questo voleva ben dire qualcosa.
In quel momento udì bussare alla porta.
Un brivido la attraversò al pensiero che fosse Regine che tornava, nonostante tutto quella sussiegosa megera non aveva ancora smesso di inquietarla, ma uno sguardo allo specchio bastò a fugare ogni timore: era giovane e bella e avrebbe presto fatto carriera. “Avanti!” gorgheggiò.
Sulla soglia comparve Florian, con un mazzo di rose in mano. “Come sta la stella del Truhe?” le chiese porgendoglielo.
Cordula giunse le mani e se le portò al petto. “Come sono belle,” sospirò sognante.
Mai belle quanto te,” le assicurò lui.
La ragazza abbassò lo sguardo. “Lo credi davvero?”
Ma certo!” le assicurò lui con calore.
Non è che lo dici solo per farmi contenta?”
Ma no, perché dovrei fare una cosa del genere?”
Lei si voltò verso lo specchio e si osservò critica. “Non lo so, forse non sono abbastanza bella per questo ruolo. Non ho abbastanza classe.” Abbandonò la contemplazione della propria figura e tornò a voltarsi verso il ragazzo. “Tu credi che io abbia classe?”
Ne hai da vendere, Cora,” le assicurò lui con calore, con lo sguardo che vagava sul suo generoso décolleté.
Più di quella là?”
Lo sguardo di Florian si manteneva fisso sulla sua scollatura. “Ovvio che ne hai più di lei.”
Ella sorrise. “Sei sempre così caro,” tubò. Poi, a voce più bassa: “Andiamo fuori a cena dopo lo spettacolo?”
Facciamo qualcosa anche adesso? Su quel bel divano magari?
Ma Florian! Io non sono quel genere di ragazza.

§

Cordula rientrò in camerino con le guance ancora in fiamme per gli applausi ricevuti. Per quanto ormai ogni sera riscuotesse successi, non era ancora riuscita ad abituarsi alla gente – perlopiù uomini, per la verità – che applaudiva proprio lei.
Quando si esibiva, era come se intorno al palco ci fosse un branco di pinguini: i signori, in nero, si assiepavano lì sotto mentre le signore si tenevano a maggiore distanza.
Florian aveva fatto accorciare ulteriormente la gonna del suo Dirndl e aveva fatto approfondire la scollatura della camicetta: si chiese se fosse per quello che tutti la guardavano.
Lo stupore interruppe il filo delle sue considerazioni: oltre ai soliti mazzi di fiori, sul tavolino da trucco faceva bella mostra di sé una scatola dall'aspetto elegante, larga e piatta, di un sobrio color crema, chiusa da un nastro rosso. Si avvicinò incuriosita, notando che essa aveva stampigliato sul coperchio, in eleganti caratteri dorati, il nome della migliore pasticceria della città, famosa perché fino a pochi anni prima aveva servito addirittura il Kaiser Guglielmo.
Afferrò un'estremità del nastro e tirò piano: il fiocco si sciolse docilmente, come invitandola a prendere visione del contenuto della scatola.
Sollevò titubante il coperchio e quando ciò che esso celava si rivelò ai suoi occhi, ella rimase a bocca aperta. Si trattava di praline: le più sontuose, fragranti, eleganti e costose che si potessero immaginare. Erano fatte senza dubbio del cioccolato più pregiato ed emanavano un profumo che letteralmente dava alla testa.
Cordula aspirò quell'opulento aroma socchiudendo gli occhi per il piacere e subito la mano le scivolò al ciondolo che portava al collo, come accadeva ogni volta che qualcosa la emozionava profondamente. Fatto questo si ricompose e si guardò intorno maliziosa. “Florian?” sussurrò. “È opera tua?” Emise un risolino.
Non ci fu risposta.
Cordula si guardò intorno di nuovo, cercando anche dietro le tende, ma dovette arrendersi all'evidenza: a parte lei, la stanza era vuota. Tornò allora alla scatola di cioccolatini e al suo interno trovò un biglietto che diceva: 'Con ardore.' Firmato: Erich.
Si rigirò perplessa fra le mani il piccolo rettangolo di cartoncino: non riconosceva né la grafia, né il nome del misterioso ammiratore, che però al contrario sembrava conoscere molto bene lei e i suoi gusti.
Prese tra le dita un magnifico cioccolatino fondente a forma di piccolo cuore, lucido come una pietra dura, e se lo mise in bocca: esso si spezzò scrocchiando e lasciò fuoriuscire un ripieno all'aroma di vaniglia e rosa. Cordula emise un mugolio di piacere.
In quel momento bussarono alla porta.
Ella sussultò col cuore in tumulto, come se fosse stata sorpresa a fare qualcosa di molto sconveniente. “Un momento!” disse precipitosamente, “Non sono presentabile!”
Da fuori, la voce di Florian chiese: “Nemmeno per me?”
Un momento!” ripeté Cordula. Chiuse la scatola, vi avvolse intorno il nastro e la fece scivolare nel cassetto assieme al cartoncino che la accompagnava. “Ora puoi venire!” disse a quel punto, sentendosi come se stesse nascondendo l'amante nell'armadio.

Nei giorni successivi, il misterioso Erich lasciò altri omaggi. Sempre cioccolatini, i più fini e costosi che la città potesse offrire. Una volta Cordula aveva trovato addirittura una scatola di praline Godiva, fatte venire apposta dal Belgio.
Nessuno sapeva chi li portasse. Prima di andare in scena non c'erano e quando lei tornava, al solito col volto acceso e il petto che si alzava e si abbassava per effetto del fiatone, la pregiata scatola era lì ad attenderla.
Più volte, certa che si trattasse di una specie di scherzo di Florian, aveva cercato di coglierlo sul fatto, ma invariabilmente il giovanotto si era dichiarato innocente e aveva presentato a supporto dell'affermazione alibi di ferro.
L'unica persona che ogni tanto aveva scorto nei dintorni del suo camerino era Regine, ma dubitava che fosse la vecchia gloria spodestata a lasciarle in dono cioccolatini di marca.
Le rimanevano solo congetture su chi fosse il misterioso Erich, congetture che puntualmente le toglievano il sonno, o lo riempivano di sogni eccitanti.
Poi una sera, mentre cantava, ebbe una strana sensazione, come di qualcuno che la fissasse con insistenza. Tutti la fissavano, naturalmente, dal momento che era diventata la stella del locale, ma quello sguardo pareva avere qualcosa in più. Era caldo, audace. Addirittura indiscreto. Le scorreva addosso come una sensuale carezza.
Era uno sguardo che Florian non le aveva mai rivolto.
Si girò in quella direzione e subito notò un uomo: alto, robusto, vestito in maniera assai elegante. Aveva interessanti occhi verdi, screziati di grigio.
I loro sguardi si avvinsero, Cordula ebbe un tuffo al cuore e quasi saltò una battuta della canzone, persa nella contemplazione di quel fascinoso ammiratore.
Non poteva che essere il misterioso Erich, subito ne fu certa. In un gesto istintivo si toccò il ciondolo che portava al collo e le parve che l'uomo annuisse, come se avesse compreso perfettamente la muta domanda che la stava assillando.
La ragazza rientrò in camerino ansante, col cuore in tumulto e la sensazione che stesse per succedere qualcosa di decisivo. Trovò sul tavolino una scatola sontuosa, fatta a cuore e tutta foderata di raso rosso. Le praline al suo interno avevano forme che non avrebbero consentito la loro esposizione in nessuna vetrina seria.
Oh,” disse semplicemente Cordula, fissando interdetta i licenziosi cioccolatini.
Dalla scatola cadde un biglietto. La firma era sempre quella del misterioso Erich, ma questa volta invece delle parole audaci vi erano un indirizzo e un orario.

Cordula rimase per lunghi minuti a fissare la missiva, tormentando frattanto il ciondolo che portava al collo. Che fare?
Allungò distrattamente una mano verso la scatola e ne trasse un raffinato cioccolatino fondente. Se lo infilò in bocca e prese a masticare adagio, socchiudendo gli occhi e piegando appena la testa all'indietro mentre lo gustava.
Dei colpi alla porta la fecero sussultare. Sussultò, inghiottì in fretta quello che ancora le era rimasto in bocca e disse: “Avanti!” La scatola sparì come sempre nel cassetto.
Entrò Florian.
Cordula si voltò verso di lui e aggrottò appena le sopracciglia: paragonato al misterioso Erich, dallo sguardo magnetico e dal fascino conturbante, il giovanotto le parve di colpo fatuo e sciocco: un bamboccio figlio di papà, né più né meno.
Abbassò gli occhi sul tavolino, nel cui cassetto il messaggio di Erich sembrava bruciare a tal punto che quasi ne avvertiva il calore sulla pelle.
La voce del ragazzo la riportò momentaneamente alla realtà: “Andiamo a cena al Kempinski stasera?”
D'istinto Cordula fu quasi tentata di accettare: si trattava di un ristorante molto elegante, che costava un sacco di soldi. Poi però ripensò a quello che c'era nel cassetto e rispose: “No, non mi sento tanto bene.”
Florian assunse un'espressione preoccupata e le chiese: “Che cos'hai?” Si avvicinò e fece per toccarla, ma lei si scostò. “Sono solo un po' stanca,” disse, aggrottando le sopracciglia infastidita.
Vuoi che ti accompagni a casa?”
Cordula rifletté velocemente: farsi accompagnare a casa e fingere di andare a dormire era probabilmente il modo più rapido per toglierselo di torno. Gli rivolse un sorriso. “Davvero lo faresti?”
Ma naturalmente,” rispose lui con slancio. “Non posso certo farti andare a casa da sola.”
Che caro. Ora esci, però, che devo cambiarmi.”
Una volta sola, Cordula sgusciò velocemente fuori dall'abito di scena, si infilò un tailleur e fece scomparire nella borsa la scatola di cioccolatini e il biglietto. Alla fine si diede due colpi di spazzola e una passata di rossetto, poi andò ad aprire la porta. “Sono pronta,” annunciò.
Oh, Cora, sei bellissima!” esclamò il ragazzo estasiato. “Sicura che non vuoi venire a cena?”
Lei fece il broncio. “Sei il solito insensibile: ti ho detto che non mi sento bene e tu pensi solo ad andare a cena.”
Florian assunse un'espressione contrita. “Scusa, io pensavo di farti un piacere.”
E secondo te, proporre di uscire a una persona che non sta bene sarebbe un piacere?”
No, Cora, io...”
È meglio che mi porti a casa, Florian.” Poi, dopo una pausa, in tono di velata minaccia: “Ne riparliamo domani.”

§

Una volta che fu nella sicurezza del suo appartamento, con la porta chiusa a due mandate, Cordula si pose di nuovo la fatidica domanda: che fare?
Riguardò il biglietto: non mancava molto all’orario che vi era scritto, aveva poco tempo per prendere una decisione. Osservò la grafia risoluta ma al tempo stesso elegante con cui erano stati vergati i caratteri e immaginò di sentire su di sé le mani che erano capaci di quella scrittura. Subito fu presa da un brivido e si aggrappò al ciondolo a forma di cuore come in mare aperto avrebbe afferrato un salvagente. “Erich,” mormorò rapita, rievocando lo sguardo di quegli occhi misteriosi, “Oh, Erich.”
Corse in camera lasciando cadere nel tragitto gli abiti uno dopo l’altro, si guardò allo specchio con addosso solo la biancheria, si raccolse i capelli assumendo pose provocanti.
Ripensò a quello che le aveva sempre raccomandato sua madre: certo, un bel marito era quello che ci voleva, era opportuno fare di tutto per trovare l’uomo giusto e sistemarsi. La ragione le diceva di seguire quel saggio consiglio, ma il cuore stava cedendo inesorabilmente di fronte al fascino del misterioso spasimante.
Abbandonò infine le mosse equivoche e si guardò con la pacatezza della decisione raggiunta: Florian non l’avrebbe mai saputo, sarebbe rimasto un suo segreto. Suo e di Erich.
Andò all’armadio e scelse un abito verde smeraldo che metteva in risalto le sue forme e il suo incarnato. Lo indossò mentre il senso di aspettativa per quello che sarebbe successo cresceva di attimo in attimo, poi andò al tavolino del trucco e prese a lisciarsi con la spazzola i capelli corvini.

Scese in strada titubante, col cuore che le galoppava nel petto e un tremito lieve che le percorreva le membra. Ogni volta che rievocava quello sguardo, il respiro le mancava ed ella si sentiva folle, posseduta, pervasa da una smania che non le concedeva tregua.
Si strinse nel soprabito leggero. Anche se era una notte d’estate, tiepida e profumata di tiglio, si sentiva le mani ghiacciate.
Nondimeno attese il taxi e quando la vettura le si fermò accanto, vi montò sopra con risolutezza. Temendo che al momento del dunque le tremasse la voce, si limitò a mostrare al conducente il biglietto con l’indirizzo.
La macchina si mise in movimento.
Cordula cercò di guardare fuori, ma nella fuggente luce dei lampioni non vedeva che tratti di marciapiede perlopiù deserti. Intuiva palazzi incombenti, in cui talvolta coglieva il rettangolo di luce di finestre ancora illuminate, ma perlopiù le facciate erano buie.
Poi la strada si fece più larga, ai lati di essa presero a scorrere file di alberi. Una frescura piacevole sostituì l’afa delle vie del centro.
La vettura si fermò. “Siamo arrivati, signorina,” disse il tassista.
Cordula si guardò intorno sbattendo gli occhi e per un attimo fu attraversata da una fitta di paura: si trovavano all’ingresso di un parco pubblico. Il cancello di ferro battuto, socchiuso, ricordava quello dei cimiteri di certe storie gotiche. Nell’aria c’era un gran silenzio, rotto solo dal frinire dei grilli e da un lontano scorrere d’acqua.
Dove siamo?” chiese.
Dove mi ha detto lei, signorina.”
Di nuovo, Cordula si guardò intorno senza risolversi ad abbandonare la vettura. Per quanto di giorno quel posto dovesse essere lindo e ben curato, col buio le pareva inquietante, gravato di ombre sinistre, pieno di rumori che le riempivano la schiena di brividi ghiacciati.
Stava per ordinare al tassista di tornare indietro quando un uomo alto e robusto, dal portamento elegante, comparve nel cono di luce di un lampione. Il cuore le balzò nel petto, di colpo dimenticò ogni proposito di fare ritorno a casa. “Erich,” sospirò.
Pagò la corsa e abbandonò con entusiasmo la rassicurante vettura nera. Nell'atto di muoversi verso il suo ammiratore le parve di aver appena abbandonato la sicurezza della costa per avventurarsi in acque profonde.
Sei un incanto,” la accolse l'uomo. “Cora?”
Lei rimase stupita. “Come fai a conoscere il mio soprannome?”
So molte cose di te.”

Jäger le diede cerimoniosamente il braccio e presero a camminare adagio per un vialetto immerso nel verde. “Dove siamo qui?” chiese lei con voce sommessa, forse ancora intimidita da tutta la situazione.
Lungo il Landwehrkanal. Mi piace venire qui di notte.”
Davvero? Perché?”
È tranquillo.”
La voce di Cordula suonò vagamente delusa: “Io pensavo che saremmo andati da qualche parte.”
Del tipo?”
Non so, a ballare?”
Jäger rallentò fino a fermarsi, quindi con gesto audace la strinse fra le braccia e sussurrò: “Non è certo ballare la prima cosa che mi viene in mente quando ti vedo.”
Lucidi d'emozione, gli occhi della ragazza brillarono in quella penombra come pietre preziose mentre il suo giovane corpo palpitava percorso da sconosciuti brividi. Per quanto decisamente non fosse un estimatore del genere femminile, l'uomo ci mise poco a capire perché Regine gli aveva ordinato di farla fuori.
Con una creatura così non si poteva venire a patti: ti entrava dentro. Ti scioglieva, in un certo senso. Con un solo sguardo stellante era in grado di farti sentire il suo Re, il suo Cavaliere, colui nel quale ella riponeva tutta la sua fiducia, incrollabilmente certa che mai il suo campione avrebbe potuto tradirla.
Mise la mano libera in tasca, strinse fra le dita il coltello a scatto. Da sopra la testa di Cordula, che anelante fremeva abbandonata contro il suo petto, si guardò rapidamente intorno: silenzio, nessuno in giro. Bastava afferrarla per i capelli, piegarle la testa all'indietro, affondare il coltello nel punto giusto, sfilarlo e buttarla nel canale. Ci avrebbero pensato l'acqua e la corrente, poi, a finire l'opera.
La lama baluginò nel buio.
Allo scatto dell'arma, la ragazza ebbe un sussulto. “Cos'è stato?” chiese.
Si girò tremando come un capriolo all'approssimarsi della muta e nel movimento colse il brillio sinistro dell'acciaio. “Cos'è?” ripeté spaventata. Cercò di farsi indietro.
Jäger l'afferrò per un braccio prima che riuscisse ad allontanarsi. “Sta' ferma!” le intimò brusco. Ella s'immobilizzò e rimase a fissarlo atterrita, ansante, con gli occhi lucidi e le labbra socchiuse. Nella penombra densa, il suo volto pallido di paura era come una chiazza di luce lunare.
Per un attimo, i due rimasero immobili a fissarsi, il coltello ancora alzato che incombeva minaccioso, poi le lacrime cominciarono a solcare il volto di Cordula, lasciando sulle sue guance piccole file di perle trasparenti. “Perché?” singhiozzò. Lo fissò angosciata.
Jäger distolse lo sguardo da quelle palpitanti gemme azzurre. “Qualcuno ti vuole morta.”
Chi? Chi può volermi morta?” fu l'accorata risposta. “Io non ho mai fatto male a nessuno.” Lo sguardo si fece smarrito, sgomento. “Non ho mai fatto del male a nessuno,” ripeté, “né potrei mai farlo, io voglio bene a tutti. Chi può volermi morta?”
L'uomo s'impose il distacco. Aveva visto ogni genere di scena, quando giungeva il momento fatidico: gangster incalliti che si mettevano a invocare la mamma, spiantati che promettevano ricchezze di ogni genere, matrone di specchiata moralità che si offrivano come prostitute da angiporto. Non gli era mai capitata, però, quella docile, rassegnata accettazione. Cordula non implorava, non cercava nemmeno più di scappare: attonita ma rassegnata, si sottometteva all'ineluttabile.
La lama ebbe un tremito.
La ragazza, spalle ingobbite, occhi incollati a terra, ebbe un lieve singhiozzo.
Jäger rievocò l'immagine di Regine, alias Mathias Bierkant, che con un sorrisetto compiaciuto gli ordinava di uccidere la sua rivale. “Lo sai chi è che ti vuole morta?” non poté fare a meno di chiederle.
Cordula smise di singhiozzare e alzò lo sguardo su di lui. Scosse appena la testa.
Sicura che non lo sai?”
La ragazza scosse di nuovo la testa, con tale energia che un paio di lacrime schizzarono sul volto di Jäger.
Hai pestato i piedi a Regine,” si decise allora a spiegare lui, “e per come la conosco, nessuno può farlo e sperare di uscirne indenne.”
Cordula trasecolò. “Regine?” ripeté smarrita. “Ma Regine è mia amica. È il mio modello, mi ha insegnato tutto.”
Ma le hai rubato la parte.”
Lo sgomento di Cordula si fece, se possibile, ancora più profondo. “Ma io credevo che lei fosse d'accordo, che avesse parlato lei con il signor König. Oh, povera me, perché ho accettato? Se avesi saputo che Regine non voleva cedermi la parte, sarei andata in qualsiasi altro locale, piuttosto. Sarei andata anche a lavare i piatti. Come faccio a chiederle perdono?”
Jäger scosse la testa. “Temo che ormai sia tardi.”
Cordula gli rivolse uno sguardo implorante. “Allora aiutami tu, ti prego, non voglio morire. Scapperò, ti giuro che scomparirò per sempre da Berlino, che Regine non sentirà mai più parlare di me.”
Jäger emise un sospiro, si mosse a disagio. Teoricamente, quelle erano scene che aveva già visto decine di volte. Scappo, vado via, ti giuro che nessuno sentirà mai più parlare di me, chiedo perdono... Per essere una dello spettacolo, quella Cordula avrebbe anche potuto tirare fuori qualcosa di meglio.
Eppure...
Eppure, per la prima volta nella sua carriera di assassino su commissione si sentiva un mostro, una bestia, un essere senza cuore.
Il coltello tornò nella tasca. Egli afferrò con forza la ragazza per le spalle e la costrinse a guardarlo in faccia. “Sta' zitta e ascoltami,” le intimò, rintuzzando brusco ogni suo tentativo di profondersi in ringraziamenti. “Dirò a Regine che ti ho uccisa e ti ho buttata nel Landwehrkanal, ma tu devi sparire stasera stessa, non devi mai più farti vedere da queste parti, hai capito?”
Ancora frastornata, Cordula si limitò ad annuire.
Dirò che ti ho uccisa,” ripeté Jäger, “quindi devi sparire per sempre, altrimenti ci andrò di mezzo anch'io, è chiaro?”
Sì, ho capito.”
Mi serve qualcosa da mostrare a Regine come prova che ti ho uccisa.”
Che cosa?” mormorò Cordula con un filo di voce, già temendo che l'uomo volesse portarle via un occhio o un orecchio.
Il tuo ciondolo a forma di cuore andrà benissimo.”
D'istinto la ragazza lo strinse in mano. “È la cosa più cara che ho,” disse con voce tremante.
Proprio per questo, Regine penserà che te l'ho tolto dopo morta. Coraggio, ne comprerai un altro più bello.”
Le lacrime ricominciarono a scorrere sul volto pallido di Cordula, tuttavia ella si slacciò la catenina e la porse a Jäger.
Molto bene,” apprezzò lui infilandoselo in tasca.
Sì, ma... come faccio a sparire?” balbettò a quel punto la ragazza fra i singhiozzi, “Dove posso andare?”
L'uomo fu tentato di circondarle le spalle con il braccio. “Ti accompagnerò in stazione, così potrai prendere il treno.”
I singhiozzi aumentarono. “Non ho soldi, non so dove andare.”
I soldi te li posso dare io,” rispose Jäger sbrigativo, ormai ansioso a sua volta di concludere quella scomoda vicenda. “Non puoi tornartene a casa tua, al tuo paese?”
No, a casa no. Non voglio far preoccupare i miei.”
Non hai nessun altro?”
Cordula non rispose.
Fu Jäger che alla fine prese in mano la situazione: era tardi, non c'era in giro anima viva. Poteva sperare che nessuno avrebbe notato che lasciava una ragazza in abiti eleganti all'Anhalter Bahnhof. “Sali in macchina,” le disse, “penserai a che treno prendere durante il tragitto per la stazione.”

§

Seduta sul treno per Bochum, con mani ancora tremanti Cordula estrasse dalla borsetta lo specchietto per il trucco e si guardò. La mancanza del suo ciondolo fu la prima cosa che le saltò all'occhio, facendo addirittura passare in secondo piano i capelli spettinati e il mascara sciolto dalle lacrime.
Tirò fuori dalla borsa una spazzola e cominciò a ravviarsi lentamente le ciocche corvine. Quando la pettinatura fu nuovamente in ordine, prese una piccola spugna e si sistemò anche il trucco sbavato.
A quel punto si abbandonò all'indietro contro lo schienale ed emise un lungo sospiro. Scosse la testa come per scacciare le immagini degli ultimi avvenimenti: si era già vista morta. Per fortuna Erich Jäger si era rivelato sensibile alle lacrime femminili come tutti gli altri uomini e alla fine aveva acconsentito a risparmiarle la vita, e sempre per fortuna si era bevuto la storia che gli aveva raccontato su Regine e sul numero centrale del Truhe.
Si chiese se davvero avrebbe dovuto rimanere lontana da Berlino, quindi dalla carriera e dalla fama, per sempre. Regine poteva ritirarsi dalle scene, magari, in fondo non era più tanto giovane. Oppure poteva anche morire.
In ogni caso, non sarebbe durata per sempre.
Si portò la mano al collo, solo per constatare che il suo beneamato cuore non c'era più.
Si chiese a quel punto se la pensione di zia Trude esistesse ancora.
Quando Jäger l'aveva lasciata in stazione, smarrita e spaventata a morte, non aveva fatto altro che guardare il tabellone dei treni in partenza alla ricerca di ispirazione. Alla fine, la scelta era caduta su quello diretto verso la Ruhr: a Gladbeck, vicino a Bochum, abitava una sorella di sua madre.
Non aveva mai saputo il perché e percome fosse finita là, in famiglia non si parlava volentieri della cosa, ma sapeva che con la guerra era rimasta vedova e aveva fatto di casa sua una pensione. Per vivere dava alloggio ai minatori che lavoravano nella vicina miniera di carbone.
Quello sarebbe stato probabilmente il posto migliore per nascondersi fino a che le acque non si fossero calmate.



   
 
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