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Autore: Luana89    23/12/2018    0 recensioni
«Shùra se ti butti lì dentro e stai almeno un minuto ti darò diecimila dollari, parola di Misha» non piansi sentendo nuovamente quelle parole a distanza di anni, mi feci semplicemente forza sorridendo.
«La tua parola non vale un cazzo, ma voglio fidarmi. Accetto». Scoppiammo a ridere entrambi guardandoci per un lungo istante, fu Misha a riprendere ancora una volta il discorso.
«Quindi adesso temi che la tua anima possa congelarsi?» sorrisi sghembo scrollando le spalle.
«Sono ancora alla ricerca della mia anima, la troverò al quinto soviet probabilmente, mi aspetta rinchiusa in quello specchio da vent’anni ormai. Ah, prima che dimentichi ..sei carino quando sorridi, fallo più spesso». Mi spinse contrariato e imbarazzato.
«Shùra, cosa mi porterai dal tuo viaggio? Mi aspetto almeno un cazzo di regalo». Mi fissò seriamente.
«Non saprei, cosa vorresti?». Scrollai le spalle, nei nostri conti vi erano adesso trenta milioni di dollari, non c’era nulla che non potessi donargli.
«Portami l’orizzonte»
Quando tutto sembrava essersi concluso ecco che le carte tornano a mescolarsi. Shùra e Misha dissero addio alla bratva, ma la bratva aveva davvero detto loro addio?
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Gli occhi di Aleksandr si posarono su di me e lì restarono per un tempo che mi parve infinito, come mio fratello sembravo subire parecchio il suo ascendente, forse per quell’aura lievemente despota che si portava dietro o per il trascorso che io stessa avevo vissuto sulla mia pelle. Se oggi ero una donna libera lo dovevo anche a lui.
«Non sento Misha da una settimana, ne sai qualcosa?» Sentii Sophia trattenere il respiro mentre si affaccendava a ripulire la tavola, avrei voluto aiutarla ma qualcosa sembrava frenarmi, sentivo le mie gambe piene di piombo.
«Irina dobbiamo parlare.»
«Non sento Misha da una settimana.» La mia voce sembrava monotona come un loop infinito dopo averlo ascoltato per ore consecutive.
«La bratva ci ha ritrovati.» un piatto si frantumò a terra, vidi Shùra scattare in piedi correndo dalla moglie ad aiutarla. La mia testa invece sembrava essersi improvvisamente svuotata, la sentivo leggera. Troppo leggera. Ciò che successe dopo lo ricordo confusamente, come se un dio dispettoso si fosse divertito a portare avanti il nastro della mia giornata. Senza rendermene conto ero seduta sul divano, una tazza di tè tra le mani, due ore dopo.
«Cosa pensi di fare?» Lo fissai attentamente, lui era Shùra doveva avere un piano.
«La prima cosa è convincere Misha a tornare da Las Vegas. Quel demente pensa sia meglio stare divisi, io penso invece che sarà la nostra condanna.» non riuscivo a fissare Sophia nonostante fosse accanto a lui. Eleazar interruppe quel momento decidendo di svegliarsi, e fu allora che restammo soli.
«Dimmi la verità Shùra ..cosa vuoi fare?». Mi sporsi verso di lui, sentivo le lacrime pronte a sbucare fuori.
«Se la situazione dovesse richiederlo non potrò fare altro.. Irina, voglio solo che tu e Sophia restiate al sicuro». Portai una mano contro la bocca soffocando un singhiozzo, non potevo credere alle mie orecchie.
«Sei un padre adesso e un marito. Come pensi che potrebbero.. come pensi che potrebbero vivere senza di te?» Il mio tono disperato sembrò scuoterlo da dentro e per un istante la sua maschera di compostezza di sgretolò.
«Promettimi che qualsiasi cosa succeda resterai qui al sicuro con loro.» era l’unica promessa che avrei provato a mantenere. E per ironia fu la prima che vidi frantumarsi sotto i miei occhi.
 
 
Era passata una sola settimana dalla mia cena in casa Belov, il ticchettio dei miei tacchi si confondeva con il frastuono della metropoli. Il modo in cui piombarono su di me mi fece pensare di avere immaginato tutto mentre sentivo la lama del coltello poggiarsi sul mio collo.
«Una parola. Un grido. Qualsiasi cosa e sei morta Irina Volkova.» I miei occhi azzurri fissarono la sagoma a pochi centimetri da me, non riuscivo invece a visualizzare l’uomo che mi teneva ferma.
«C’è una persona che vorrebbe discutere con te, Dimitri Cernenko ti manda i suoi ossequi.» Il sorriso bonario fu l’ultima cosa che vidi prima che l’oscurità mi portasse con se.

 
 
 

Shùra

 
 
«Fammi capire, il tuo capo non si presenta a lavoro da tre giorni e tu non fai un cazzo?» il tipo rossiccio dall’aria stralunata scosse il capo nervosamente, un altro battito di palpebre da parte sua e gli avrei cavato quei cazzo di occhi con le mie stesse dita.
«Ha- ha lasciato un biglietto.» Inarcai un sopracciglio sollevando il palmo della mano, il ragazzo corse a prendermi il biglietto cedendomelo. Lo lessi velocemente accartocciandolo tra le mie mani.
«Se dovesse chiamare Misha, il fratello, digli di chiamare me.» La scrittura sul biglietto non era di Irina, e questo poteva voler dire solo una cosa: l’avevano presa.
 

 

Dimitri

 
 
La palla andò in buca nell’istante in cui la porta del mio ufficio venne spalancata, fissai Roman ancora chino sul panno verde in attesa.
«Hanno chiamato i ragazzi, la donna è qui e chiedono dove tenerla.» mi grattai la tempia e la mia espressione insofferente sembrò spaventarlo, mi piacque.
«Portatela nella solita camera del motel, e prendetele ogni effetto personale, voglio il suo cazzo di cellulare sulla mia scrivania entro dieci minuti.» Lo vidi annuire e accingersi a uscire. «Ah Roman, quasi dimenticavo.. se qualcuno di voi osa, e dico osa, anche solo respirarle addosso io vi uccido tutti strappandovi le budella. E tu sai che ne sono capace vero?»
«Si. Ma so che è parecchio aggressiva..» sbuffai stringendo la stecca tra le mani.
«Non me ne frega un cazzo se Yuri la prende a ceffoni, hai capito perfettamente cosa intendo dire io.» ci fissammo attentamente prima che sparisse dalla mia vista. Divertirsi con le ragazze, o i ragazzi, era una routine per tutti. Ma non con lei, non volevo la toccassero. Se c’era qualcuno che doveva metterle le mani addosso, quello ero io. Immaginai la faccia di Misha e sorrisi.
 
Rintracciare il numero di telefono del fratello fu qualcosa di estremamente semplice, cambiava spesso numero, e l’ultimo era ancora in uso. La mia mente partorì un piano, le cose perverse a me erano sempre piaciute, non traevo godimento dall’uccidere semplicemente qualcuno, era la sofferenza a stimolare ogni mia più piccola terminazione nervosa. Composi il numero attendendo la risposta dall’altro capo.
 
— Irina.
— Sono biondo e non ho gli occhioni blu.
— Ascoltami bene sacco di merda-
— No, ascoltami tu. Mi conosci Misha, pensi che esiterei a entrare nella sua stanza e ucciderla nel modo più atroce?
— Non toccarla Dimitri, non toccarla o giuro che ti uccido.
— E fammi vedere, uccidimi grand’uomo. Ma prima, i soldi.
— Non ne ho più, ho dilapidato tutti i trenta milioni, fottiti.
— Tua sorella sostiene il contrario.
— …
— Facciamo così, parliamone con calma che ne pensi?
— Io ti apro il culo con molta calma.
— Domani a mezzanotte, ti mando le coordinate del palazzo, se non ti presenti Irina e ogni fottuto mobile del posto salteranno in aria.
— Tu sei un fottuto maniaco di merda.
— Arrossisco. A presto Misha.
 
 
Il punto era che io non sapevo se Irina avesse o meno i soldi, era più un’intuizione la mia che volevo trovasse conferma. Misha non avrebbe mai parlato di sua iniziativa, la sorella poteva forse essere più malleabile? Mi auguravo fosse meno cogliona del parente quantomeno. Yuri interruppe le mie elucubrazioni mentali facendomi cenno di seguirlo.
«Si è calmata?» Indossai la giacca con noncuranza.
«Per un cazzo. Lo vedi il mio occhio? Ottimo, perché quella puttana mi ha dato una testata.» Scoppiai a ridergli in faccia e questo sembrò irritarlo ancora peggio.
«Mi state diventando un branco di checche inutili.»
«Col cazzo. Penso non avesse assaggiato abbastanza schiaffi nella sua vita, ho provveduto personalmente.» Sospirai avviandomi verso la berlina dai vetri oscurati.
«Se me l’hai sfregiata farò lo stesso a tua sorella Marina.»
 

 

Irina

 
 
La mia mandibola dolorante era solo l’ultimo dei miei pensieri. ‘’Rieducazione’’ così l’aveva chiamata l’uomo sulla quarantina prima di schiaffeggiarmi con violenza al mio ennesimo gesto di ribellione. Ricordavo la mia infanzia passata con quell’uomo, lo stesso che avrebbe voluto vendermi e farmi diventare una puttana. Pensavo di essermi lasciata tutto alle spalle, perché adesso? Perché adesso, quando la mia vita aveva assunto un senso e il mio problema maggiore era mandare soldi a Misha cercando di convincerlo a non sprecarli ai casinò? Chiusi gli occhi e mi immaginai in Arizona, era la meta preferita di Misha, Shùra e Sophia. Mi avevano portato con loro soltanto pochi mesi prima, adesso sembrava essere passata un’eternità. La sabbia sotto ai piedi, il caldo torrido, le imprecazioni di mio fratello. Eleazar così piccolo e indifeso, Shùra sempre calmo mentre guidava l’auto portandoci in giro e infine Sophia, così materna e bizzarra. La mia famiglia.
«Irina.» Una voce calda, rovente oserei dire, sferzò la pelle incandescente del mio viso tumefatto. Aprii gli occhi trovandomi davanti un angelo nel pieno della sua dannazione. Solo così avrei potuto descrivere colui che mi si presentò come: Dimitri Cernenko.
Sputai vicino alle sue costose scarpe fissandolo con astio beccandomi una risata da parte sua.
«Sono desolato per il trattamento lievemente.. brutale». La parola ‘’brutale’’ mi fece accapponare la pelle, avevo come l’impressione che per lui quei lividi fossero ben poca roba. Il quarantenne dall’aria stizzita mi fissava truce vicino la porta. Non spiccicai parola. Sapevo che qualsiasi cosa l’avrebbero usata contro il mio Misha, e Dimitri parve comprendermi mentre afferrava una sedia che trascinò di fronte la mia prendendo posto.
«Non sei obbligata a parlare, devi semplicemente ascoltarmi.» ascoltarlo? Ascoltare cosa. Sembrò leggermi negli occhi sorridendo. «Misha verrà qui presto, ma .. non per te, o almeno non credo.» Aggrottai la fronte, mi prendeva in giro? «Gli ho detto di aver trovato anche Shùra, ho mentito lo ammetto ma lui non lo sa.»  
«Sei un bastardo.» La mia voce rabbiosa sembrò colpirlo.
«Sembra che almeno la lingua sia ancora intatta. Facciamo un gioco Irina, solo io e te.» mi afferrò il mento con due dita, più provavo a divincolarmi più la presa si serrava divenendo dolorosa. «Chi sceglierà Misha? Te, o lui? Suppongo lo scopriremo domani.» Lo vidi alzarsi come se avesse improvvisamente perso interesse per me.
«Perché non mi uccidi e basta?» La sua schiena contratta restò voltata.
«Perché non è nel tuo destino. Non ancora almeno.» Desiderai restasse con me, non volevo affrontare la solitudine e la disperazione di quella camera. Non da sola almeno. Il seme del dubbio adesso divorava le mie membra, sembrava aver colpito il punto più nascosto della mia debolezza: chi avrebbe scelto Misha? La sorella che non aveva mai avuto, o l’uomo alla quale era più legato?
 
«Vuoi bene a Shùra?»
«Lui è la mia metà, senza di lui non esisto.»
 
 
 

Misha

 
 
La mia vita era diventata un fottuto incubo. Irina era nelle mani di Dimitri, il boia della bratva, la stessa persona che al solo passaggio faceva urlare di disperazione i muri. L’avevo visto in azione, l’avevo visto far piangere sangue alle sue vittime, per lui non aveva importanza la razza, il sesso, l’età. Non aveva pietà, non la conosceva, era come una macchina indistruttibile che si cibava di morte. E la mia Irina era lì con lui. Il mio cuore si sgretolò pezzo dopo pezzo. Dovevo chiamare Shùra? Per dirgli cosa? Sarebbe venuto mollando Sophia incinta ed Eleazar?
Il cellulare squillò in quel preciso momento, riconobbi il numero e la tentazione di non rispondere fu grande ma cedetti. Lo facevo da più di vent’anni.
 
 
— Misha dove cazzo sei.
— Ascoltami bene.
— No, ascoltami tu.
— Per quale cazzo di motivo devo essere sempre io ad ascoltare voi. Shùra-
— Irina è scomparsa.
— Lo so..
— Misha, no..
— Resta dove sei, e non venire, la risolverò da solo.
— Non esiste, tu sai chi è Dimitri. Non puoi farcela da solo.
— Mi faccio risentire io.
— MISHA PORCA PUTTANA NO.
 
 
Chiusi la comunicazione bloccando il numero. Era l’unico modo per non cedere alla tentazione, era bravo quel bastardo di Shùra con la sua voce suadente e sicura, mi avrebbe convinto come un allocco e avrei tenuto anche lui sulla coscienza. Avevo fatto una promessa a Sophia, dovevo mantenerla e tenere suo marito il più lontano possibile da loro. Il telefono squillò ancora, stavolta non esitai.
 
— Dove cazzo sta Irina figlio di puttana.
— Ti ho mandato le coordinate del palazzo, a mezzanotte e non un minuto più tardi.
 
 
Affogavo nella consapevolezza di aver fallito nel mio intento. Avevo un unico scopo, quello che mi ero prefissato sin dall'inizio; proteggere Irina.
La sanità mentale era diventata il mio inferno, mentre la pazzia era diventata il rifugio che conservavo nei sogni.
Un messaggio sul display del cellulare, che quasi avevo frantumato il giorno prima, mi ricordava che dalle mie azioni sarebbe dipeso tutto.
I sette piani di scale sembrarono esser diventati ventisei, la luce fioca della stanza all'ultimo piano sembrava illuminare quel rottame di posto in cui mi trovavo. Sembrava volermi dare un barlume di speranza, di volontà, ma il mio respiro sembrava quasi cessare all'eventualità che niente sarebbe andato come speravo.
Non vi era nessuna porta dinanzi all'uscio freddo, nessuno respiro aldilà dell'arco, non un solo rumore; era tutto troppo silenzioso. Sollevai il viso, non vi era anima viva.
Era una trappola.
Mi guardai attorno, le mani afferrarono le ciocche, già scompigliate, dei capelli, come per cercare invano una soluzione. Cosa accidenti voleva ottenere Dimitri?
 
 

Dimitri
 

Non mi bastava ammazzarlo, io volevo distruggerlo pezzo dopo pezzo. E per farlo dovevo togliergli ogni cosa, e fu per questo che diedi a Misha l’indirizzo sbagliato, mentre con tutta tranquillità io e Irina lo osservavamo dal palazzo di fronte. La sua immagine nei monitor appariva ben definita, così come la sua faccia disperata mentre si guardava attorno non trovando nulla. Fissai la ragazza legata a una sedia, andandole dietro per poi chinarmi, aveva un odore dolce e intenso.
«Ha scelto Shùra, era prevedibile in fondo no?» I suoi occhi pieni di lacrime non mi commossero.
«Cos’è che vuoi adesso? Un applauso?»
«Voglio vendetta, tu no?» mi fissò stranita mentre estraevo un piccolo telecomando avente un singolo bottone rosso al centro, indicando il monitor. «Quel palazzo è pieno di dinamite, premilo e salterà in aria assieme a Misha. Non premerlo e resterai nelle mie mani, per cosa poi? Per qualcuno che ti ha scartato come la peggiore delle inutilità?» Ammetto che inventarmi la presenza di un finto Shùra nel palazzo era stata un’idea al di sopra dei miei standard, me ne compiacevo davvero. La vidi fissare il telecomando, glielo porsi con un mezzo sorriso.
«Premilo Irina.» La mia voce risuonò nella stanza vuota e abbandonata, le sue dita afferrarono l’oggetto carezzando il bottone rosso. Che scelta avrebbe preso?
  
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