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Autore: moira78    24/12/2018    5 recensioni
Questa storia è il sequel di "Dove volano i miei desideri".
Le coppie sono formate ormai, gli anni passano e le cose cambiano per tutti, nel bene e nel male. La nuova generazione di artisti marziali di Nerima si è appena affacciata al mondo e già dovrà affrontare nuove sfide.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le ombre del destino.'
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Cap. 9: RABBIA
 
"Devi concentrarti, adesso. Raccogli tutte le tue energie e fai confluire il tuo qi nell'indice".
 
Akari aggrottò le sopracciglia, guardandosi il dito come se da esso dipendesse la sua vita. La mano le tremava. Non sapeva se fosse per la vicinanza di Ryoga o se per lo sforzo di fare quello che le aveva appena detto.
 
"Ora prova a toccare questa pietra, pensa che vuoi farla esplodere".
 
Piantò il dito ma alla piccola roccia che avevano preso per allenarsi non accadde nulla. Akari sospirò e rilassò le spalle: "Non ce la farò mai, forse avevi ragione tu: non è per me".
 
Ryoga le si inginocchiò accanto: "Non dire sciocchezze, non ho mai affermato niente del genere! Ora riproviamo".
 
Akari annuì e si predispose a ritentare. Non sapeva se voleva davvero imparare quella tecnica. Sapeva solo che voleva stare vicina a Ryoga il più possibile, anche se era sbagliato. Lui non si sarebbe innamorato di nuovo di lei. Non avrebbe mai tradito la cuoca di okonomiyaki tra le braccia della quale, qualche anno prima, era stata proprio lei a gettarlo. No, era sbagliato. Sarebbero finiti insieme comunque, lei aveva solo accelerato le cose.
 
E se invece la sua lontananza avesse minato i loro rapporti? Se allenandosi con lei Ryoga stesse rivalutando i propri sentimenti? Forse se continuava a stargli accanto e gli faceva capire quanto tenesse a lui qualcosa sarebbe cambiato. Ma Ukyo sarebbe potuta tornare da un momento all'altro. Senza pensarci glielo domandò, di getto.
 
"Cosa?". Ryoga sembrava confuso.
 
"Ti ho chiesto quando tornerà Ukyo".  Abbassò lo sguardo, vergognandosi ma nello stesso tempo desiderosa di saperlo.
 
Quando pensò che ormai non avrebbe più risposto, lui invece parlò: "Deve prolungare il soggiorno perché le hanno offerto di studiare le ricette francesi e italiane, quindi dovrà spostarsi ancora. Pare che abbiano scoperto le sue doti culinarie, così...". Ryoga fece spallucce e Akari avvertì il suo dolore come fosse tangibile.
 
In quel momento la odiò. Odiò Ukyo per averle promesso di farlo felice e poi essere andata così lontana da lui. Non lo aveva abbandonato ma gli stava facendo del male.
 
Istintivamente, toccò la pietra che andò in mille pezzi con un'esplosione sonora.
 
"Ce l'hai... ce l'hai fatta! Ci sei riuscita!", esclamò il ragazzo che amava, sorridendole. Sorrideva grazie a lei, era soddisfatto dei suoi risultati molto più di quanto fosse orgoglioso per la sua fidanzata.
 
"Sì, ci sono riuscita grazie a te!", gli disse sorridendogli a sua volta e buttandogli le braccia al collo con l'intento di baciarlo di nuovo. Lui però fece una cosa inaspettata: si spostò, afferrandola saldamente ma tenendola a distanza di braccio.
 
"Ora riprovaci, dai", le disse come se niente fosse accaduto. Di nuovo, come se non stesse per baciarlo. Akari ripensò a Ukyo e fece esplodere una seconda pietra.
 
                                                                                              ***
 
"La mia bambinaaaaaa!". Il piagnisteo di Soun Tendo andava avanti da mezz'ora, tanto era il tempo che avevano impiegato a caricare il carrettino di legno con le loro poche cose.
 
Akane si tappò le orecchie: "Papà, non vado a trasferirmi in Cina, andremo qui vicino, te l'ho spiegato!", disse per almeno la quindicesima volta.
 
"Ma non state bene qui? Cosa vi manca?". Akane serrò le labbra a quella domanda. Fin da quando avevano annunciato che sarebbero andati ad abitare in un'altra casa, sua moglie aveva sempre tergiversato sulla reale motivazione. Nonostante tutto, non voleva ferire i sentimenti di suo padre.
 
"I figli non sanno mai apprezzare gli sforzi dei loro genitori, sono degli ingrati", s'intromise Happosai.
 
"Stai zitto, vecchiaccio!", lo ammonì Ranma. Non conveniva caricare troppo Akane o sarebbe esplosa malamente, prima o poi. Anche lui era arrivato al colmo della sopportazione, dopotutto.
 
"Il maestro ha ragione, Ranma. Vi abbiamo offerto la stanza più bella della casa e vi siete rifiutati di darci un erede. Ora, per di più, ve ne andate come due fuggiaschi, cosa dovremmo...". Scoccò un'occhiata di fuoco a suo padre che raramente dava ragione ad Happosai.
 
"Adesso basta". Il tono di Akane sembrava controllato, ma vibrava di una rabbia repressa e ribollente. Ranma si affrettò a rispondere per lei.
 
"Ci state sempre alle calcagna, come fossimo macchine sforna-eredi e non esseri umani, come dovremmo sentirci?!".
 
"Che impudenza, come se non ti avessi dato tutto, da mia figlia alla mia palestra!", sbottò Soun riprendendosi magicamente dal pianto.
 
"Tu non gli hai dato nulla!", scattò Akane e Ranma capì che non l'avrebbe più fermata. Pazienza, se l'erano cercata. "Sono stata io a decidere, perché nessuno, neanche mio padre può impormi le cose! Ho scelto io di sposare Ranma e non tu con le tue idee antiquate del matrimonio combinato. Lavoriamo nella tua palestra perché noi amiamo le arti marziali. Se avessi voluto fare la ballerina o il medico me ne sarei andata con Ranma molto tempo fa!".
 
Soun se ne stava lì, con gli occhi spalancati cercando di capire se sua figlia, che ora urlava a pieni polmoni, fosse o meno posseduta da un demone. Ranma incrociò le braccia e rimase calmo, comunicando così che era d'accordo con lei su ogni singola parola.
 
"Le vostre imposizioni", sillabò fuori controllo, "mi hanno stancata! Avremo un figlio quando lo decideremo, se lo decideremo. Se vorrà lavorare nella tua dannata palestra dopo di noi lo farà, altrimenti gli lascerò fare ciò che desidera. Perché sarà libero, libero come l'aria, mi hai sentito? E se non ti sta bene riprenditi pure il dojo, mi cercherò un lavoro altrove! Ma farò la mia vita, la nostra vita senza più. Una. Singola. Interferenza. Senza più i vostri occhi da falco puntati su di noi come fossimo i vostri burattini! Andiamo, Ranma!".
 
Lui rimase per un attimo fermo, sopraffatto suo malgrado da tutto quell'impeto, poi tirò su il carrettino e si avviò senza alcun cenno di saluto. Akane lo precedette a passo di marcia e Ranma si concesse solo un ultimo sguardo agli occhi spalancati di suo padre, Soun e Happosai, domandandosi se avrebbero mai rimesso piede a casa.
 
                                                                                              ***
 
 
Ono Tofu era assolutamente convinto che la storia del rapimento fosse superata. O meglio, lo era stato fino a quella mattina, quando il telegiornale aveva riportato la notizia del suicidio, in cella, di una giovane detenuta che era stata arrestata per prostituzione, rapimento di minori e un breve periodo nel traffico di stupefacenti.

Kasumi era rimasta gelata davanti alla televisione che avevano installato all'ingresso dello studio, con un'espressione spaventata sul volto, poi aveva spento velocemente: "Oh, che sbadata, ho dimenticato di portare i bambini a fare una passeggiata stamattina: c'è un così bel sole!". Nonostante il tono spensierato, aveva avvertito una nota stonata nella sua voce e dal canto suo non era riuscito a replicare nulla, perché era sconvolto.

Non avrebbe mai voluto la morte di nessuno, nemmeno di Mayumi. Si era impiccata al montante del letto a castello che divideva con un'altra detenuta, in quel momento fuori per l'ora d'aria, usando un lenzuolo. Il cronista si era lanciato nel racconto dei particolari del suicidio con una voce monotona e distaccata che sembrava raccontare di un evento senza alcuna importanza.

Sobbalzò allo squillo del telefono e rimase sorpreso quando udì la voce di sua madre: "Oh, caro, hai sentito? Terribile,vero?".

"Sì, mamma, è davvero brutto quello che le è accaduto. Nonostante il male che ci ha fatto meritava un'altra possibilità", disse bisbigliando come se si trovasse a una veglia funebre.

Avevano parlato per un po', ricordando gli eventi che avevano portato quella donna malvagia nelle loro vite. Sua madre si era detta dispiaciuta per aver sbagliato clamorosamente persona e anche per aver contribuito, forse indirettamente, all'infelicità della stessa Mayumi.

"Non colpevolizzarti di nulla, mamma: una come lei si sarebbe comunque rovinata da sola e non avrebbe mai potuto essere felice". Riattaccò il telefono pensando che forse, dopo qualche anno di galera, poteva anche cambiare registro e trovare la sua strada. Ma non ne era poi tanto sicuro.

Però ora non aveva tempo di compiangere quella triste vita che aveva deciso di interrompere in malo modo i suoi giorni sulla terra. Doveva parlare con Kasumi non appena fosse rientrata, perché ora aveva la certezza che ci fosse ancora qualcosa di irrisolto tra loro due.
 
                                                                                                              ***
 
Ryoga rilesse la lettera di Ukyo altre tre volte prima di decidere di riporla in un cassetto. La sua parte preferita era la fine: "ti amo, testone". Quella frase gli strappava spesso un sorriso, anche quando gli parlava al telefono, le rare volte in cui riusciva a chiamarlo. Glielo ripeteva spesso quando litigavano e poi facevano pace.

La frase che non gli piaceva era quella che conteneva il numero di settimane che avrebbero ancora dovuto passare divisi. Non sopportava più la sua lontananza e doveva capire cosa volesse esattamente da lui Akari. Si era reso conto del suo tentativo di baciarlo di nuovo, e aveva cercato ancora di fare finta di nulla. Ma prima o poi avrebbe dovuto affrontare la realtà.

La sua Akari stava cercando di riconquistarlo approfittando della lontananza della sua fidanzata, che i kami lo perdonassero per quel pensiero cattivo. Forse lei stessa soffriva per essere diventata così diversa dall'Akari di un tempo, ma era compito suo riportarla sulla retta via.

E quello sarebbe stato l'allenamento più importante, per lei.

Le avrebbe parlato chiaro, ormai non aveva più dubbi in merito. Se poi avesse voluto rimanere ad allenarsi non le avrebbe assolutamente rifiutato nulla, ma senza alcuna falsa speranza. Scese le scale con decisione e rimase per un attimo senza parole.

Lei era di spalle, i lunghi capelli legati in una coda, e stava cuocendo degli okonomiyaki: dall'odore sembravano deliziosi. "U... Ucchan?", la chiamò prima di poterselo impedire. Quando lei si voltò sorridendogli capì che il suo errore era stato grossolano, anche perché lei era seduta sul dorso del fedele Katsunishiki e aveva dei lineamenti completamente diversi da quelli di Ukyo.

Se rimase offesa dal sentirsi chiamata col nome di un'altra non lo diede a vedere, sorrise anzi ancora di più: "Ti sto preparando degli okonomiyaki, caro, non è difficile come pensavo! Credo di essere abbastanza brava da aiutarti nel locale e...".

"Akari", la interruppe, "dobbiamo parlare". Il sorriso svanì dal volto della ragazza.
 
                                                                                                              ***
 
Nabiki udì ogni singola parola della sorella, che stava gridando come se volesse far crollare le pareti con la forza della voce.  Con un sorrisetto malizioso, annuì anche se lei non poteva vederla. Aveva fatto bene a farsi sentire e un giorno di quelli sarebbe passata nella sua nuova casa per tessere le lodi di ciò che aveva detto.

Anche lei amava la sua famiglia ma non sopportava le imposizioni, solo che era sempre stata molto più indipendente di Akane e soprattutto non doveva ereditare la palestra. Meno aspettative significava meno gatte da pelare, anche se con la storia della gravidanza e la sorella minore lontana si aspettava che suo padre tornasse all'attacco con la questione "matrimonio con lo stolto che ha osato metterti in questo stato prima di sposarti".

Sarebbe stata una bella lotta... e a proposito di lotta, cos'erano quei rumori concitati e quelle voci che sentiva provenire dal piano inferiore? Akane aveva fatto marcia indietro per finire il suo discorso, forse? Si affacciò dalla finestra della sua camera e ciò che vide le fece alzare gli occhi al cielo.

"Oh, no... fine della tranquillità", si disse contrariata, cominciando a scendere le scale.

Arrivò appena in tempo per vedere suo padre sferrare un pugno in pieno volto a Tatewaki. Era raro vederlo realmente in collera e dal sangue che vide schizzare doveva esserlo parecchio, specie dopo il "saluto" ricevuto da Akane.

"Me lo merito, signor Tendo, ma vorrei comunque vedere Nabiki non appena lei avrà finito con le sue rimostr...". Si interruppe quando l'uomo lo afferrò per il bavero, stringendo così forte da strozzarlo con il colletto.

"Sono qui. Papà, non c'è bisogno che lo uccidi, non vale la pena farsi arrestare per omicidio di primo grado". Suo padre lo gettò a terra come fosse un sacco dell'immondizia e le chiese perché diavolo fosse scesa.

Kuno approfittò di quel momento per parlarle: "Nabiki, ci ho ripensato. Nostro figlio non deve rimanere senza una famiglia stabile, quindi ci sposeremo. Ho già organizzato...".

"No", disse sorprendendo persino se stessa.

Soun, che stava cominciando ad assumere un'espressione di sollievo, voltò lo sguardo verso di lei e Nabiki si preparò a una nuova disputa. Non ne aveva voglia, voleva solo dormire, ma temeva di non avere molta scelta.

"Dico, siete impazzite tutte quante? Prima Akane mi urla contro e ora tu rifiuti di sposarti nelle condizioni in cui ti trovi?". La voce del padre vibrava come se avesse da dire ancora molte cose, ma Nabiki non lo lasciò continuare.

"Oggigiorno molte donne allevano i figli da sole o li danno in adozione, cosa che intendo fare io. Quindi non c'è assolutamente bisogno che sposi un uomo che mi ha rifiutata".

"Io non ti ho rifiutata senza un motivo, Nabiki, ti ho ben spiegato che...", tentò Tatewaki.

"Tu sta' zitto!", lo ammonì all'unisono con suo padre.

"Non puoi declinare così le tue responsabilità! Ah, fortuna che almeno Kasumi è stata assennata, non riconosco più né te, né Akane! Cosa penserebbe tua madre? Se ci fosse lei le cose andrebbero molto diversamente!".

Quello era un colpo basso. Nabiki strinse le labbra, improvvisamente avvertiva uno strano affanno e il petto si sollevava con pesantezza a ogni respiro: "Nostra madre", sillabò con la stessa rabbia della sorella, "ci avrebbe comprese molto più di te".

Registrò l'espressione di suo padre che divenne costernata e poi triste. Lo vide cadere in ginocchio mentre Genma e Happosai gli correvano vicino. Tatewaki rimase inebetito. Il tutto durò solo qualche secondo, ma per Nabiki Tendo fu abbastanza: girò i tacchi e se ne tornò da dove era venuta, giurando a se stessa che sarebbe scesa al piano di sotto molto più raramente del solito, d'ora in avanti.
   
 
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