«Sei
diversa, oggi».
Aidra
alzò lo sguardo per puntarlo
verso Isryl. Pensosa, inclinò la testa di lato.
«Dici?»
Il ragazzo
annuì. «Parli senza passione.
Due giorni fa il tuo tono di voce era caldo, oggi sembri…
spenta». Fece una
pausa. «Si vede che hai la testa da un’altra
parte».
Aidra lo
fissò. Davvero era così facile
da leggere? Sbuffò, nascondendo un principio di sorriso, e
iniziò a
giocherellare con il bordo della tunica.
«C’entra
la tua sparizione di ieri?»
l’incalzò ancora il biondo.
«Sì»
ammise, arrendendosi. Parlarne le
avrebbe fatto bene, forse; una caratteristica di Isryl che
l’aveva colpita era
proprio la sua capacità di ascoltare. «Si tratta
di Odrik».
Lui alzò gli occhi al cielo, scuotendo la testa; Aidra gonfiò le guance, indispettita da quella reazione.
«Metà
degli abitanti di
Lytho
ti guarda con occhi
diversi, sussurra alle tue spalle» disse Isryl, riportando
gli occhi su di lei,
«eppure la cosa sembra non toccarti. Odrik è il
tuo amico, giusto? Quello che
ho visto al fiume». Il suo sguardo si fece curioso.
«Ti turba più lui
dell’ostilità di un villaggio? Forse avrei dovuto
aspettarmelo».
«Non
mi sono ostili» replicò Aidra,
riuscendo meno convinta di quel che avrebbe voluto. Incrociò
le braccia. «È
solo che non capiscono».
«Non
vogliono capire, piuttosto» la
contraddisse asciutto Isryl. Distolse lo sguardo, puntandolo dove,
oltre gli
alberi, sarebbe stato possibile scorgere Lytho. «Vedono il
diverso e
preferiscono serrare gli occhi, invece di provare a comprenderlo.
Rigettare ciò
che non si conosce è molto più
semplice».
Quelle parole la
colpirono, ne avvertì
la crudele verità. Pensò a Odrik e strinse con
più forza la stoffa. «Non sono
tutti così» protestò, cercando il suo
sguardo.
Lui sorrise
triste, staccandosi dal
tronco contro cui si era poggiato tutto quel tempo. «No?
Allora cosa
ti preoccupa?».
«Non
mi piace mentirgli».
«Non
farlo».
Aidra
sgranò gli occhi. Quasi le venne
da ridere, mentre si chiedeva se non avesse sentito male.
«Sei lo stesso Isryl
di due giorni fa o lui ha un gemello e non lo sapevo?».
Isryl scosse la
testa. «L’hai già
gridato al mondo, perché non dirlo al tuo amico?
Sinceramente, mi stupisce».
Diede uno sguardo in alto. «So quanto sia brutto mentire a
qualcuno di
importante».
Aidra lo
fissò, sorpresa da quella
frase amara che aveva tutto il sapore di una confessione. Si chiese a
cosa si
riferisse, ma non fece in tempo a domandarlo.
«Inizia
a far buio, devo tornare».
Forse non
sarebbe neanche stato giusto.
Annuì. «Andiamo» mormorò,
avviandosi.
Dire la
verità a Odrik… certo non un
consiglio che si sarebbe aspettata da Isryl, ma se fosse stato
così semplice
l’avrebbe già fatto.
Percorsa da un
brivido, si abbracciò
per scaldarsi un po’. Strinse con forza gli avambracci e
scosse la testa; basta, si disse.
Doveva finirla di
compiangersi, pensare ad altro. Recuperò la distanza
guadagnata dal biondo,
decisa a non farsi lasciare indietro.
~
Odrik aveva uno
strano presentimento. Aveva
perlustrato un po’ tutto il villaggio, in cerca di Aidra, ma
c’era qualcosa di
insolito – definire cosa,
di preciso, non era semplice. Era stata una somma di vari, piccoli
dettagli. Si era sentito osservare mentre correva a casa di Aidra, uno
degli
apprendisti del falegname l’aveva addirittura fermato per
chiedergli dove fosse
la sua amica. Non era praticamente mai successo, prima, e non poteva
proprio
dire d’essersi dispiaciuto nel dovergli rispondere che non lo
sapeva. Era vero,
ma non era certo che la risposta sarebbe stata diversa se anche non lo
fosse
stato.
Ad aggiungersi
allo strano
atteggiamento degli abitanti, che parevano tutti sul chi va
là molto più del
solito, aveva intravisto un’ombra aggirarsi per i vicoli
intorno alla casa di
Ai. Presto scomparsa dietro un angolo, era riuscito a scorgerne a
stento la
sagoma, ma era bastato: la mantella che indossava, d’un rosso
acceso, non passava
proprio inosservata. Difficilmente poteva appartenere a qualcuno di
Lytho, con
tutta probabilità si era trattato di un forestiero. Ma cosa
faceva proprio lì?
Immobile accanto
alla quercia che tanto
spesso l’aveva visto giocare con Aidra, Odrik si disse che
doveva trattarsi di
un mercante. Chi altri poteva essere? Con tutto ciò che si
era ritrovato a
dover fronteggiare negli ultimi giorni stava diventando paranoico.
C’era
sicuramente una spiegazione logica a tutte le stranezze che credeva di aver notato quella mattina.
Fissò
il grande albero, indeciso. La
sera che aveva visto Aidra rientrare con Isryl, era lì che
erano apparsi,
aggirando il tronco. Si sporse oltre di esso e scoprì che
nascondeva un
sentiero. Avrebbe dovuto seguirlo? Probabilmente l’avrebbe
portato dalla
ragazza, ma non era certo che lei avrebbe voluto essere disturbata, a
quel
punto.
Si
voltò, valutando se tornare indietro
– come spiegarlo a sua madre? –, quando dalla
strada principale sbucarono due
figure. Indossavano mantelli identici a quello che aveva scorto poco
prima, era
impossibile non riconoscere il colore. Poco dopo, furono raggiunti da
una terza
figura, ammantellata proprio come loro, che uscì da una
stradina laterale.
Non riusciva a
togliersi dalla testa
che fossero troppo appariscenti per dei mercanti. Passando sopra le sue
esitazioni, si decise e imboccò il sentiero oltre la
quercia. Non voleva che
gli sconosciuti, chiunque fossero, lo notassero – non sapeva
spiegarsi il
perché, ma la loro apparizione improvvisa, unita alla strana
atmosfera calata
su Lytho, lo metteva a disagio.
Cercando di
scrollarsi quella
sensazione di dosso, si avviò alla ricerca di Aidra.
~
Un paio di passi
fuori dal bosco, e
Aidra scorse una figura venir loro incontro. Una che conosceva bene.
«Od?»
mormorò, troppo stupita per
formulare un pensiero coerente.
«Non
è da solo» constatò invece Isryl,
sussurrando al suo fianco. Lo vide irrigidirsi e seguì il
suo sguardo: aveva
ragione, oltre Odrik poteva scorgere tre figure sfocate in lontananza.
Come
aveva fatto a non notarle subito?
La sagoma al
centro si staccò dalle
altre; aveva iniziato a correre. In meno di un minuto raggiunse
– e superò –
Odrik, sotto gli sguardi increduli di Aidra e Isryl.
Incerta su come
reagire, si voltò verso
il biondo, sperando che avesse le idee più chiare delle sue.
Non fece in tempo
ad aprir bocca, però.
Isryl la
spintonò di lato, evitandole
per un soffio d’essere colpita dalla figura che, ora poteva
distinguerla bene, corrispondeva a un ragazzo. Carnagione scura
– non quanto quella di Odrik –, avvolto in
un mantello rosso ma a capo scoperto, a colpirla maggiormente fu il suo
pugno.
Era circondato dal fuoco, ma non sembrava stesse bruciando. Il ragazzo
non
tradiva la minima traccia di dolore; la fissava emanando rabbia. Aidra
deglutì,
chiedendosi cos’avesse fatto per attirarsi tanto astio. Non
aveva mai visto
quel ragazzo in vita sua, prima di quel momento.
Recuperò
il proprio equilibrio,
squadrandolo circospetta. «Chi sei?»
domandò. Colse Isryl alzare gli occhi al
cielo, ma aveva altro a cui pensare. Non voleva battersi con uno
sconosciuto
senza sapere nemmeno il perché.
Vide lo sguardo
del moro saettare
indietro, verso i suoi compagni. Erano ancora lontani, diversamente da
Odrik
che li aveva infine raggiunti e fissava sconvolto la scena. Lo vide
muovere la
bocca, ma non colse le sue parole.
«Come
ti è saltato in mente?» percepì
distintamente il sibilo del ragazzo, ora vicinissimo. Fece per
ritrarsi,
ma lui riuscì ad afferrarle il polso.
Con la mano
avvolta dalle fiamme.
Lo stupore la
paralizzò, mentre un’assurda
sensazione di serenità l’invadeva. Non
provò dolore al contatto, il fuoco non
la bruciò.
Durò
solo un secondo. Lo sconosciuto le
lasciò andare il braccio; la sua espressione, se possibile,
si rabbuiò
ulteriormente. Lo vide stringere il pugno e alzò un braccio,
richiamando un po’
d’acqua, chiedendosi se avrebbe tentato nuovamente di
colpirla.
Solo allora
prestò attenzione alle
espressioni di Isryl e Odrik, che avevano osservato tutto. Era
disperazione, in
quella del biondo? Il suo amico d’infanzia sembrava in stato
di shock, lo
sguardo puntato sul suo braccio – nel punto dove il palmo
infuocato del ragazzo
avrebbe dovuto imprimere un segno che, tuttavia, non c’era.
«Sei
davvero tu» sentì sillabare al suo
misterioso assalitore. Si era scostato di un paio di passi, le dava le
spalle.
«Perché… Ha!».
«Aidra,
immagino?»
La mora non si
voltò, decisa a non
perdere di vista il moro un solo istante. Rintracciò la
proprietaria della
nuova voce con la coda dell’occhio: una ragazza con i capelli
raccolti e un
mantello identico a quello del ragazzo. Mai vista prima, anche lei
– né il
ragazzo al suo fianco, su cui notò lo stesso identico
abbigliamento degli altri
due.
«L’hai
attaccata?» inquisì l’ultimo arrivato
con voce severa. «Che avevi in testa, Malek?»
Aidra si
ripeté mentalmente il nome. Le
suonò aspro; pensò si adattasse bene al ragazzo
che pareva odiarla. Questo non
reagì, non si girò nemmeno verso i suoi compagni.
«È lei» disse soltanto, come
se quelle due parole gli costassero uno sforzo.
«Chi
siete, cosa volete da lei?» intervenne
Odrik. Doveva essersi un po’ ripreso dalla sorpresa, ma Aidra
non voleva
pensare alle spiegazioni che le avrebbe chiesto più tardi.
Anche perché non ne
aveva: non sapeva davvero perché il fuoco non
l’avesse bruciata, non le
risultava di essere ignifuga. Non a meno
di mutarsi, ma non l’aveva fatto.
«Vogliamo
solo parlare un po’» rispose
la ragazza, facendo oscillare la lunga coda biondo cenere.
«Abbiamo sentito di
quel che hai fatto contro i banditi. Complimenti, non
dev’essere stato semplice
– oppure sì?»
Dopo un ultimo
sguardo a Malek, che d’un
tratto si era come
spento e sembrava realmente inoffensivo, Aidra lasciò
ricadere il globo d’acqua
che aveva richiamato e si voltò a fronteggiare gli altri
due. Isryl assisteva
muto, in piedi alle sue spalle.
«No,
naturalmente non è stato affatto
facile» affermò. Aveva ripetuto quella stessa
frase talmente tante volte in
quei giorni che riuscì a suonarne davvero convinta.
«È stato un lavoro di
squadra, senza gli altri Arche non sarei mai riuscita».
Avvertì
lo sguardo di Odrik su di sé,
più bruciante di quelli dei due sconosciuti, ma non si
scompose. Non poteva
permetterselo. «Non mi avete ancora detto chi
siete».
«Studenti
di Mens». Aidra sobbalzò, non
si era aspettata che fosse Isryl a rispondere. «Sembrate un
po’ giovani per
essere reclute».
«Ci
conosci?». La bionda pronunciò la
domanda con un tono divertito, genuinamente curioso. Si fece avanti.
«Non
sembri di qui, in effetti».
«Ho
viaggiato un po’» replicò Isryl
asciutto. «L’Accademia è piuttosto
nota».
«L’Accademia?»
ripeté Aidra, tentando
di assimilare la portata dell’informazione. Mirel le aveva
accennato qualcosa
al riguardo.
«Già!»
confermò la ragazza, fermandosi
dov’era, a pochi passi dalla mora. «Ti piacerebbe
unirti a noi? Il talento
davvero non ti manca».
«Ai»
la chiamò Odrik, avanzando a sua
volta – subito imitato dal terzo studente.
«Siete
venuti qui solo per questo?
Reclutare un’Arche? Non vi sapevo così
disperati» dichiarò Isryl, sempre
immobile alle sue spalle. La frase suonò beffarda, ma Aidra
pensò che fosse
teso. Quei ragazzi lo preoccupavano? Certo, ragionò spiando
torva verso Malek,
la prima impressione non era stata proprio positiva.
Quest’ultimo
si era girato nuovamente a
guardarla, ora. La rabbia aveva ceduto il posto a
un’espressione per lei
indecifrabile. Tornò a concentrarsi sulla bionda, che aveva
ripreso a parlare, continuando
tuttavia a controllarlo con la coda dell’occhio.
«Non
ci muoviamo certo per ogni Arche» sottolineò,
ignorando la frecciata. «Ma andiamo, una cupola? Non si sente
davvero tutti i
giorni».
Avrebbe giurato
d’aver sentito uno
sbuffo provenire da Malek, a quell’uscita.
«Verrai
con noi?»
~
Malek fissava
combattuto la ragazza, in
un misto di scoramento e irritazione. Doveva avere più o
meno la sua età, ma
sembrava molto più ignara. Prima, quando l’aveva
testata con il suo elemento,
non pareva aver compreso. Era a conoscenza della sua stessa
identità,
perlomeno? Probabilmente sì, valutò, visto come
aveva negato le insinuazioni di
Siana.
Doveva aver
vissuto una vita
perfettamente normale, fino a poco tempo prima. Finché non
l’aveva gettata via
con quell’esibizione che non riusciva a spiegarsi. Ascoltando
le parole dei
sorveglianti, aveva sentito montare la rabbia per quel gesto
incosciente.
Accecato, si era detto che era responsabile della sua sorte, si era
attirata
quella sciagura – che comunque non avrebbe potuto evitarlo.
Era stato tentato
di lasciar perdere, di piegarsi del tutto agli ordini. A cosa avrebbe
giovato
opporsi, in ogni caso? La ragazza si era rovinata da sé.
Eppure…
non capiva. Era stata davvero
solo ingenuità? Studiava la sua espressione fiera e
preoccupata al tempo
stesso, e veniva roso dal dubbio. La disperazione che l’aveva
assalito dopo
averla testata aveva spento, o quantomeno affievolito, la sua furia.
Era tornato al
punto di partenza,
paralizzato nella ricerca di una via d’uscita che,
però, non sembrava esserci.
A riscuoterlo fu
la domanda incalzante
di Siana. La ragazza avrebbe risposto di sì? Sarebbe caduta
anche lei nelle
mani di Kotuno, condannata a non poter più lasciare la sua
prigione? Forse non
sarebbe stata fortunata come lui,
ma
avrebbe fatto la fine di Amok. A ben pensarci, era lo scenario
più probabile –
solo pensarlo gli procurò una spiacevole, ma familiare,
fitta al petto.
Non
aspettò di sentire la risposta.
Innalzò un muro di fiamme che divise lui, l’Ela e
il suo compagno dagli altri
tre e si slanciò verso di lei come per colpirla, ignorando
le proteste sgomente
che arrivavano dall’altra parte del divisorio.
Come aveva
previsto, lei lo parò. Si
sporse oltre la sua spalla e sussurrò:
«Perché ti sei esposta a quel modo?
Perché una cupola?»
Ci sarebbero
stati milioni di altre
cose da dire, ma aveva bisogno di una risposta. Doveva capire per chi
stava
rischiando quel poco che aveva, esattamente.
Fu spinto via
senza ricevere ciò che bramava.
Lei l’osservava confusa. Esasperato, valutò i
rischi, mentre la striscia di
fuoco si chiudeva a cerchio intorno a loro. Purtroppo aveva dovuto
coinvolgere il
ragazzo biondo nella manovra, tagliarlo fuori non era stato possibile;
era troppo
vicino. Avrebbe visto anche lui, ma aveva realmente importanza? La sua copertura era
bruciata da tempo, ormai.
Mettendo a
tacere i dubbi, mutò. Fu
solo per un attimo – e anche così gli
costò non poco –, ma bastò
perché l’espressione
della ragazza si trasformasse. Vide i suoi occhi spalancarsi, ma non la
lasciò
elaborare. Corse nuovamente verso di lei, stavolta
l’atterrò. L’altro ragazzo
non si intromise, forse troppo sconvolto da ciò che aveva
visto per reagire
efficacemente.
«Sei
come me», lo raggiunse il sussurro
della ragazza.
«Rispondimi»
le sibilò in risposta.
«Non potrò mantenere le fiamme ancora per
molto».
«La
cupola?» ripeté lei, con una vena
di dubbio nella voce. «Era l’unico modo per
proteggere tutti».
L’ingenuità
di quelle parole lo bloccò,
impedendogli di formulare una risposta. Fu lei a continuare:
«Perché stai
facendo tutto questo?»
«Scappa.
Devi andartene da qui»
sussurrò lui dritto nel suo orecchio, ignorando la
domanda. Si rialzò
lentamente, senza smettere di fissarla, e annullò le fiamme.
Non appena furono
sparite del tutto, Siana lo raggiunse, un brillio strano negli occhi.
«Che
significa, Mal?»
«Verificavo»
affermò lui, senza
spostare lo sguardo. «Non sembra poi tanto portata per il
combattimento».
Poteva immaginare lo scetticismo negli occhi della plasmante anche
senza
vederlo effettivamente.
La mora si
rialzò sotto il suo sguardo
attento. Che aspettava? Doveva correre subito, forse mutandosi sarebbe
riuscita
a seminarli. Kotuno non sarebbe stato affatto contento, ma avrebbe
inventato
una scusa, avrebbe… si adombrò.
Sapeva benissimo
che non avrebbe mai
funzionato.
«Ai,
stai bene?» sentì la voce
preoccupata del ragazzo che aveva involontariamente finito per condurli
da lei;
lo vide accostarsi a lei.
Aidra si
scrollò la polvere dai vestiti
e alzò lo sguardo, più acceso che mai, a
ricambiare il suo. Perché non
scappava? Non sembrava neppure spaventata.
La vide
stringere un pugno e correre
verso di lui, determinata a colpirlo. Era completamente impazzita?
Non lo raggiunse mai. Si sbilanciò, crollando rovinosamente a terra. Malek fece per muovere un passo, ma perse l’equilibrio e si ritrovò accanto a lei. Soffocò un’imprecazione stupita.
Il terreno stava
tremando, sotto di
lui. Girò il volto in cerca di Rod, sospettando uno scherzo
di cattivo gusto da
parte dell’Arche, ma dovette ricredersi. Il compagno aveva le
mani sulle
orecchie, il volto deformato da una smorfia di dolore.