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Autore: PitViperOfDoom    29/12/2018    0 recensioni
Midoriya Izuku è sempre stato considerato strano. Come se non fosse abbastanza essere un debole quirkless, doveva pure essere debole, quirkless, e pure strano.
Ma in realtà, la parte "strano" è l'unica veritiera. È determinato a non rimanere un debole e, a dispetto di quello che è scritto sulla carta, non è veramente quirkless. Anche prima di incontrare All-Might ed ereditare il potere dello One For All, Izuku non è quirkless.
Anche se nessuno gli avrebbe creduto se lo avesse raccontato.
{The Sixth Sense AU}
Genere: Dark, Generale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: All Might, Izuku Midoriya, Ochako Uraraka, Shouto Todoroki
Note: AU, Traduzione, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Note traduttrice: con questo capitolo chiudo la mia produzione per l'anno 2018. Essendo l'ultimo dei capitoli pronti che mi ero messa da parte, per il prossimo aggiornamento dovrete aspettare un pochino. Dal prossimo capitolo YUTS entrerà nel pieno della trama e diventerà ancora più godibile! Non vedo l'ora. 
Come al solito fate sapere cosa ne pensate! Buon 2019 a tutti!



 
Capitolo 6

 
 
Ci sono poche cose a questo mondo più imbarazzanti di incrociare il tuo insegnante mentre stai facendo la spesa.

Toshinori lo sapeva perché anche lui era stato un adolescente e sapeva perfettamente che a quell’età avrebbe desiderato un quirk dell’invisibilità come prevenzione nel caso avesse mai incrociato, per esempio, Gran Torino al negozietto all’angolo.

Quindi non aveva assolutamente nessuna intenzione di mettere il giovane Midoriya in una situazione del genere. Come poteva sapere che il suo studente e successore avrebbe passato il primo weekend dell’anno scolastico visitando gli stessi grandi magazzini di Toshinori?

Aveva solo intenzione di prendere un paio di cose al piano terra. I prezzi erano buoni e l’assortimento era migliore di quello di un negozio all’angolo. Era un viaggio semplice e veloce; doveva esserlo, se voleva riuscire a farlo nella sua vera forma.

Le persone gli cedevano il passo quando potevano. Non che lo stupisse: anche senza il vomito sanguinolento la gente tendeva a essere presa in contropiede dalla sua figura emaciata. Possedeva il tipo di aspetto che le madri indicavano ai loro figli, sussurrando loro dei pericoli di non mangiare le verdure.

I precedenti sei anni gli avevano insegnato molto riguardo alla sua capacità di ignorare le persone.

Nonostante tutto, mentre si metteva in fila dietro alla coda più breve, non stava ignorando i dintorni abbastanza da perdersi una familiare zazzera di capelli verdi che era apparsa agli estremi del suo campo visivo. Qualche cassa più in là, il giovane Midoriya aveva gli occhi puntati sulla sua fila e non lo aveva visto. Toshinori non riusciva a vedere la sua faccia, ma pareva che stesse fissando il vuoto. Lo faceva spesso.

E se andasse a salutarlo? Toshinori voleva parlare con lui a tu per tu sin dalla conclusione dell’esercizio Hero VS Villain, ma non ne aveva ancora avuto l’occasione. Anche dopo sei mesi di monitoraggio del suo allenamento intensivo, Toshinori non aveva mai realizzato quanto fosse sfuggente. E quella era la conferma: il giovane non aveva mai saltato un allenamento semplicemente perché non ci aveva mai provato. Era esattamente dove voleva essere.

Sarebbe stato  strano avvicinarlo in quel momento? Toshinori esitò; il ragazzo aveva l’insana abitudine di urlare istintivamente il suo nome senza pensare ad eventuali testimoni.

Gli andrò incontro all’uscita, decise, e nel momento in cui aveva completato quel pensiero arrivò alla fine della coda.

Aveva appena finito di pagare le sue cose quando ci fu un po’ di trambusto nell’altra fila. C’era un uomo che cercava di pagare la sua spesa, ma sembrava che stesse avendo problemi a comunicare alla cassa. Il cliente gesticolava, apparentemente ignorando quello che il cassiere stava cercando di dirgli o fraintendendolo… Toshinori non riuscì a capirlo da quella distanza. Mentre si spostava per lasciar posto alla persona dietro di lui, continuò a guardare e a chiedersi quale fosse il problema.

E poi Midoriya fu lì, insinuandosi tra la folla per raggiungere la cassa. Si avvicinò cautamente, agitando la mano per attirare l’attenzione del cliente. Sotto gli occhi di Toshinori, Midoriya aspettò finché il cliente non lo guardò; poi fece una serie di gesti con le mani.

Il sollievo sul viso del cliente fu palese. Gesticolò in risposta, e il tutto si trasformò in una conversazione silenziosa tra i due. Midoriya si girò, disse qualcosa al cassiere, segnò qualcosa all’uomo, e continuò a fare avanti e indietro tra i due, fungendo da mediatore per la loro conversazione.

Beh. Toshinori aveva pensato che il ragazzo avrebbe smesso di sorprenderlo, ma sembrava che Midoriya avesse ancora qualche asso nella manica.

Il cliente finì la sua transazione e si prodigò in una serie di gesti entusiasti che Toshinori immaginò fossero sentiti ringraziamenti. Midoriya rispose e si girò per tornare al suo posto in fila, ma il cliente successivo sorrise e gli indicò di passargli davanti. Toshinori vide il suo studente arrossire per i complimenti mentre lo assecondava. Non aveva molto da comprare e sembrava impaziente di sgattaiolare timidamente via dalla gratitudine del cassiere. Uscì, e quando alzò la testa incontrò gli occhi di Toshinori.

Toshinori si irrigidì in previsione di un eventuale saluto urlato, ma con suo grande sollievo Midoriya si bloccò all’ultimo secondo. Invece di chiamarlo, il ragazzo strinse la bocca e lo avvicinò con un timido saluto.

“Era linguaggio dei segni?” chiese Toshinori quando fu a portata d’orecchio.

“Oh! Hai, uhm, lo hai visto?”

“Sì.”

“Sì, era, uhm…” Midoriya si strinse nelle spalle. “Era sordo e aveva problemi a parlare con il cassiere, quindi… sì. Cosa ci fai qui?” Sbatté le palpebre prima di fare retromarcia. “V-voglio dire, non è che tu non abbia lo stesso diritto di venire qui di tutti gli altri, voglio dire, è un luogo pubblico e un bel negozio e non intendevo- Sono solo sorpreso di vederti e-“

“Calmati, ragazzo mio.” Toshinori gli diede una leggera pacca sulla spalla. “Una fortunata coincidenza, tutto qui. Sto solo facendo un po’ di spesa. E tu?”

“Oh, uh, mia mamma mi ha mandato a prendere delle cose.” Midoriya sollevò la sua busta. “Avevamo bisogno di nuovi stracci per la cucina. Dovrei, uhm, anche andare sul tetto.”

Toshinori inclinò la testa. “Ai ristoranti?”

“Negozio per animali.” Disse Midoriya. “Mi, uh, serve del cibo per gatti.”

“Ah. In questo caso, ragazzo mio, ti darebbe fastidio se ti accompagnassi?”

“Cosa? Voglio dire, n-no, per niente. Certo.” Midoriya si girò e aspettò che Toshinori si adattasse al suo passo; poi entrambi si diressero verso gli ascensori.

“Se posso chiedere…” disse Toshinori. “Dove hai imparato il linguaggio dei segni?”

“Oh, è solo una cosa che ho… imparato da piccolo.” La voce di Midoriya si affievolì, a disagio, e non aggiunse nient’altro.

“Ah.” Sembrava metà della risposta. Forse sarebbe stata necessaria un po’ più di persuasione per scoprire il resto della storia. “Beh, suppongo che tutti abbiamo le nostre passioni. Io ogni tanto mi dedico al giardinaggio.”

Midoriya alzò lo sguardo, la sorpresa stampata in faccia. “Davvero? Tu?”

“Non essere così sorpreso, ragazzo mio.” Toshinori ridacchiò. Fece una pausa, inclinando pensosamente la testa. “Per gli eroi, è bene avere qualcosa del genere. Una parte della nostra vita che non ha niente a che fare con il lavoro. Ci esauriremmo, altrimenti. Qualcuno impara dei lavoretti artigianali, o impara delle lingue per il semplice piacere di farlo. Per me sono fiori sui davanzali, del basilico fresco in un vaso, quel genere di cose. Mi distrae. Sorridere non può risolvere ogni cosa, dopotutto.”

Midoriya fece un suono per indicare che stava ascoltando, ma a parte quello era silenzioso. Si rigirò tra le dita le maniglie della borsetta di plastica; poi, finalmente, parlò di nuovo. “Davvero è lo fanno tutti gli hero?”

“Certo. Present Mic ha il suo show radiofonico. Aizawa prende in affidamento i gatti dei rifugi – ma io non ti ho detto nulla, eh.”

Quello strappò una risata a Midoriya, e un po’ della tensione nelle sue spalle sembrò dissolversi. “Beh, c’è stato-“ Si mordicchiò il labbro, cercando le parole giuste. “Quando avevo sette anni ho attraversato una strana fase dove non volevo parlare. Ero molto timido quindi- insomma, mia mamma non voleva spingermi a parlare se non volevo, quindi si è procurata dei libri sul linguaggio dei segni e abbiamo imparato insieme.” Si illuminò un pochino. “Ogni tanto è ancora molto utile, per esempio se siamo in un luogo confusionario, oppure se ci dividiamo in un supermercato. È meglio di urlare da un capo all’altro del negozio.”

Raggiunsero gli ascensori e Toshinori premette il pulsante per salire. Midoriya quasi inciampò mentre si fermava. Rimbalzò un pochino sui talloni e tormentò di nuovo le maniglie della busta.

“Uhm,” cominciò. “Posso incontrarti di sopra? Io prendo le scale.”

“Fino al tetto?”

“Beh, sì.” Midoriya sorrise. “Non posso tralasciare l’allenamento per le gambe, giusto?”

Toshinori sbatté le palpebre, poi gli scappò un’altra risata. “Sei davvero ossessionato.” La porta dell’ascensore si aprì, ma Toshinori la ignorò e si girò invece verso l’entrata delle scale. “Andiamo, allora.”

“Oh! Uhm, sei sicuro che tu…” Midoriya trotterellò per raggiungerlo.

“Non ti preoccupare per me.” Una volta che la porta si fu chiusa dietro di loro, Toshinori attivò il suo quirk. “Non ho fatto alcuna azione eroica oggi. Ho ancora parecchio tempo.”

“Oh, bene.” Midoriya sembrava sollevato.

“In verità è una fortuna che ti abbia incontrato.” Disse Toshinori. One For All rendeva nove piani di scale una quisquilia. “Speravo di poterti parlare.”

“Okay.” Disse Midoriya, cautamente. “Di cosa?”

“L’esercizio del secondo giorno di scuola.” Rispose Toshinori. “Ero un po’ preoccupato, se devo essere onesto.”

“D-davvero?” la cautela si era trasformata in vero e proprio nervosismo. “Come mai?”

Toshinori ponderò se allungare la minestra ancora un po’ e spingerlo a parlare da solo, ma quella scalinata vuota non sarebbe durata all’infinito. “Ho notato che ti sei bloccato all’inizio.” Disse. Sperava di non suonare troppo critico, non voleva imbarazzare il ragazzo fino a farlo tacere.

“Oh.” Midoriya guardò il muro mentre salivano gli scalini. “Quello.”

“E, nel caso non lo sapessi, potevo sentire tutto quello che vi stavate dicendo.” Aggiunse Toshinori. “Anche se sapevo che tu e il giovane Bakugou eravate conoscenti, non sapevo che aveste quella sorta di trascorso.”

“Sì, b-beh, è tutto qui.” Balbettò Midoriya. “Sono trascorsi. Nuova scuola, nuovo inizio, nuove persone. Va bene, è solo…”

“Recovery Girl me le ha cantate mentre eri addormentato.” Ammise Toshinori.

Quella volta Midoriya si girò verso di lui, gli occhi spalancati. “Mi dispiace molto, non intendevo-“

“Non è colpa tua, ragazzo mio.” Lo rassicurò Toshinori. “In realtà è mia, e lei aveva ragione. Avrei dovuto fermare quel match prima che tu ti ferissi in quel modo.”

Midoriya fece un verso vago e spostò di nuovo l’attenzione verso il pavimento.

“La ragione per cui non l’ho fatto è stata… beh, sembrava che tu dovessi dimostrare qualcosa.” Continuò Toshinori.

“Oh.” Disse Midoriya. Lo diceva spesso.

“Dovevi?”

“Fare cosa?”

“Dimostrare qualcosa?” chiese Toshinori. “Sei riuscito a trasmettere quello che volevi dire?”

“Uhm, forse?” Midoriya si strinse nelle spalle. “Non lo so. Penso di sì. Oppure l’ho fatto incazzare ancora di più. Non penso- voglio dire, non posso-“ sospirò, frustrato. “Non è qualcosa che posso aggiustare. E anche se potessi, non ce la farei in un giorno. Ci sono semplicemente troppe cose che sono andate nel verso sbagliato.”

“Vorresti, ehm, insomma.” Toshinori si tirò mentalmente un calcio per essersi impappinato. “Vorresti parlarne o…?”

“In realtà no.”

“Va bene” non era sicuro se dovesse sentirsi deluso per essere stato allontanato in quel modo, o preoccupato di quanto sembrava essere a disagio il giovane Midoriya. “Sappi solo che se lo vorrai, sono disposto ad ascoltare.”
 
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“Allora, linguaggio dei segni, uh?”

Izuku non rispose ad alta voce ma annuì, e la signora Shimura esalò un pensieroso “Huh.”

“Potrei impararlo anche io, allora.” Disse lei. “Renderebbe più facile per te parlarmi senza farti scoprire.”

“Posso essere silenzioso.” Mormorò, muovendo la bocca il meno possibile. Passò il dito sul contorno delle scatolette di cibo per gatti finché non trovò la marca giusta. All Might, di nuovo nella sua vera forma, era momentaneamente distratto dai conigli. Rei era appiccicata al fianco di Izuku, occhieggiando la signora Shimura con cauta condiscendenza.

“Buon per te. Allora, come vanno le cose?”

“Beh…” Izuku mise una confezione di scatolette nel suo cestino. “Sto cercando di comprendere One For All, come mi ha detto di fare. Mi sto allenando ad attivarlo, e quello riesco a farlo senza problemi. Ma non posso farci niente. Non ci ho provato.” Le lanciò una veloce occhiata. “È sicura che non ci sia niente che può dirmi che potrebbe aiutare?”

“Non spetta a me, ragazzino.” Gli disse dolcemente la signora Shimura.

“Glielo sto chiedendo, però. Lo sto chiedendo a lei.”

Un sospiro. “Senti, ragazzino, io semplicemente… semplicemente non posso. Non sarebbe giusto.” Prima che Izuku potesse chiederle cosa intendeva, aggiunse: “Voglio dire, il tuo vero maestro è proprio lì.”

“Quando chiedo a lui non capisco.” Mormorò Izuku. “È talmente bravo che non deve nemmeno provarci. Semplicemente... per me non funziona nello stesso modo.” Un colorato giocattolo con le piume catturò la sua attenzione e Izuku lo prese dallo scaffale per poi avviarsi verso la cassa.

“Non è colpa tua, ragazzino.” Lo rassicurò la signora Shimura. “Stai imparando. E anche lui.”

Izuku lanciò un’occhiata ad All Might, corrugando la fronte. All Might, imparare? Sa che, a logica, All Might doveva essere stato uno studente ad un certo punto. Ma era un fatto troppo lontano nel passato e, ferito o meno, era il top hero e era molto più potente di tutti gli altri. Il pensiero che lui avesse bisogno di imparare qualcosa sembrava quasi assurdo.

“Anche un vecchio cane può imparare nuovi trucchi.” Disse la signora Shimura, come se gli avesse letto nel pensiero. “Penso che voi due abbiate molto da insegnarvi a vicenda.”

“Pensavo che avesse detto che non era vecchio.” Sussurrò Izuku, e sorrise quando la sua battuta le strappò una risata.
 
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La seconda settimana di scuola passò. Iida e Yaoyorozu, da poco eletti rappresentanti di classe, ogni tanto erano esitanti riguardo i loro doveri, ma Iida specialmente si trovava a suo agio come un pesce nell’acqua. Dentro di sé, Izuku era contento: per quanto avesse desiderato quel ruolo, era sicuro che Iida avrebbe fatto sicuramente un lavoro migliore del suo.

Innanzitutto, Iida non era neanche lontanamente distratto quando lui. Non fissava allegramente i muri quando avrebbe dovuto prestare attenzione in classe. Non borbottava fra sé e sé cose che non avevano nulla a che fare con i problemi di matematica sulla lavagna. Non guardava il vuoto sorridendo e ridendo sotto i baffi per battute che gli tornavano in mente.

Ovviamente, neanche Izuku lo faceva. E non era per niente colpa sua se tutti pensavano il contrario.

“Midoriya. Ehi, Midoriya!” Non era che a Izuku non piacesse Kirishima; Kirishima era una delle persone più gentili che conoscesse, probabilmente. (O era segretamente uno stronzo oppure un santo, a giudicare da come desiderava stare intorno a Bakugou, senza nessun particolare motivo.) Ma Rei era testa a testa con un altro fantasma che gironzolava nella classe in una gara per vedere chi riusciva a fare la faccia più grottesca e Izuku non riusciva a staccare gli occhi dalla scena. Fu solamente quando Kirishima lo colpì scherzosamente alla nuca con il libro di letteratura moderna di Cementoss che si ricordò dov’era.

Riscuotendosi dal suo sogno a occhi aperti, Izuku riuscì finalmente a distogliere lo sguardo sbattendo le palpebre, confuso. “Huh?”

“Oh grazie a Dio, pensavo che ti avessimo perso.” Kirishima sorrise. “Stavi dormendo con gli occhi aperti o cosa?”

“No. Stavo solo guardando la gente.” Izuku lanciò un’altra occhiata ai fantasmi. Narita, il fantasma che stava sfidando Rei, mutò e riuscì a far sciogliere e sgocciolare la sua faccia come se fosse la cera di una candela. Rei rise e lo imitò. Qualche altro fantasma si era riunito allo spettacolo e tutti risero quando Narita continuò piegando la testa in un angolo grottesco, gorgogliando un urlo.

“Davvero?” chiese Kirishima.

“È un passatempo come un altro.” Aveva finito quasi tutti i compiti. Aizawa gli aveva assegnato un’ora nell’aula studio mentre lui discuteva alcune cose con un altro docente, e continuava ad essere evasivo riguardo cosa fosse in programma per la settimana. Izuku ci scommetteva che era qualcosa di grosso.

Kirishima si grattò la nuca. “Beh sì, ma di solito non si fa in uno spazio pubblico con degli sconosciuti?”

Uno dei fantasmi che stava guardando le pagliacciate di Narita e Rei si allontanò ridacchiando per vomitare due polmoni di acqua sul pavimento. Il grido di divertimento di Rei fece sfarfallare una delle luci fluorescenti. “… A me basta.” Disse Izuku.

“Devi star morendo di noia, amico.”

“Non è così male.” I partecipanti sembravano giunti ad un pareggio; Rei avrebbe probabilmente vinto con alcune delle smorfie che faceva quando Bakugou era nelle vicinanze, ma Izuku ipotizzò che si stesse divertendo troppo per essere così seria.

Narita lo sorprese a guardare e lo salutò con la mano. Izuku non contraccambiò, ma abbozzò un piccolo sorriso. Ad essere sincero, Izuku era curioso nei riguardi di Narita; molti fantasmi alla Yūei erano semplicemente di passaggio, davano un’occhiata per far scemare un po’ la monotonia della vita nell’aldilà, e poi se ne andavano di nuovo; ma Narita sembrava fosse lì dal primo giorno di scuola. Izuku ricordava di averlo visto partecipare al test di valutazione dei quirk, e da quel momento lo aveva visto quasi ogni giorno. Non era l’unico fantasma che Izuku aveva visto ciondolare nella classe – la signora Kitayama ogni tanto lo veniva a trovare, sgocciolando per terra acqua che nessun altro poteva vedere – ma lui era quello che Izuku aveva visto più spesso.

Era difficile non notarlo. Narita era più giovane della maggior parte dei fantasmi che Izuku vedeva; sembrava un ragazzo al terzo anno delle scuole superiori, volendo esagerare. E a parte quello, era uno di quei fantasmi che non sentiva il bisogno di cambiare aspetto. Il foro di proiettile sul lato della sua testa era visibile in quel momento come probabilmente lo era il giorno in cui lo aveva ucciso.

Arrivò l’ora di pranzo e Izuku stava ancora guardando Narita che faceva il buffone per la classe. Non era per niente preoccupato dalla sua presenza; era uno dei fantasmi più innocui e tranquilli che avesse mai visto. Era solo interessato alla sua storia. Ma non c’era mai un buon momento per una chiacchierata e lui non conosceva il linguaggio dei segni come Rei.

Era uno sveglio, però. Fu Narita ad approcciare Izuku, nel corridoio. “Ehi, vieni da questa parte.” Disse, fluttuando poco più avanti. “Vuoi parlare, giusto? Te lo leggo negli occhi.” Izuku annuì. “Dai, allora. Questo posto ha un sacco di punti dove la gente non passa molto spesso. Penso che facciano al caso tuo.”

Izuku sorrise, grato, e seguì il fantasma con la sempre presente Rei alle calcagna. Narita li portò a fare un tortuoso percorso nei corridoi, fino a fermarsi in una quieta nicchia fuori dalla portata di occhi indiscreti. Rei si staccò dal suo fianco per gironzolare un po’ e guardare i volantini colorati e gli annunci attaccati alle bacheche.

“Non ho bisogno di nulla, se è questo che stai per chiedere.” Disse Narita. Izuku sbatté le palpebre per la sorpresa e Narita si strinse tra le spalle, sorridendo. “Alcuni dei fantasmi hanno detto che chiedevi quello. Io sono a posto, però. Non ho bisogno del tuo aiuto.”

“Ne sono felice.” Disse Izuku. “Immagino… di essere semplicemente curioso. Eri uno studente della Yūei?”

Narita rise. “Io? Nah. Il mio quirk mi permetteva di rendere di nuovo commestibile del cibo scaduto. Che era perfetto per, sai, tenere il frigo sempre fresco. Non era molto adatto per fare l’hero.”

“Oh.” Izuku inclinò la testa, squadrando Narita curiosamente. “Cosa c’è di così speciale in questa scuola da farti rimanere, allora?“

“Non è la scuola.” Narita scosse la testa. “Non sono nemmeno qui per tutto il tempo. Sono solo dove c’è anche Eraserhead.”

“Aizawa?” Izuku sbatté gli occhi. Di tutte le risposte che si era aspettato, quella non era contemplata. “Lo conoscevi quando eri vivo’”

“No. Non l’ho nemmeno mai incontrato. Diavolo, è sempre sfuggente e odia essere perseguitato dai media; non avevo nemmeno mai sentito parlare di lui.” Narita si picchiettò la tempia, dove un piccolo buco rotondo colava ancora sangue. “Vedi questo? Non è il foro di un proiettile. Sono stato trascinato in un vicolo mentre stavo tornando a casa da scuola. Quel maledetto bastardo aveva degli artigli lunghissimi, ti ci trapanava il cranio.” Narita tremò, e per la prima volta da quando Izuku lo aveva incontrato, il suo atteggiamento solare venne meno. “Quel tizio aveva dei seri problemi. Era così che si sballava.”

“Dev’essere stato orribile.” Disse Izuku, perché non c’era null’altro che poteva dire che non fosse offensivo o banale, e l’ultima opzione era generalmente la più preferibile.

“Non è stato il mio mercoledì sera preferito, lo ammetto.” Narita si strinse nelle spalle. “Allora ho preso a seguire questo tizio in giro per un po’, cercando di perseguitarlo in qualche dannato modo. Non ha funzionato, ma ha fatto sì che io fossi lì quando Eraserhead lo catturò. Sicuramente la cosa più figa che io abbia mai visto. Quanto volevo avere il mio cellulare.”

“Quindi… segui il professor Aizawa perché ha sconfitto l’uomo che ti ha ucciso?”

“In parte.” Il sorriso di Narita si addolcì. “Vedi… quella notte… quel tizio stava per attaccare mia sorella.” Izuku non poté evitare di trattenere il respiro. “Ero quasi certo che mi avrebbe raggiunto, capisci? Ma poi Eraserhead è apparso dal nulla e ha fatto il culo a quel bastardo. E voglio dire – lo ha fatto diventare un tutt’uno con la strada.” Alzò le spalle. “Poi lo ha appeso a una scala anti incendio per i gioielli e si è preso cura di Kanon mentre stava avendo un attacco di panico, finché non è arrivata la polizia. Se n’è andato nell’istante in cui si è calmata ed è stata presa in custodia dai paramedici. Era troppo scossa per ringraziarlo. Credo che lo rimpianga ancora.” Un’altra alzata di spalle. “Quindi, ho pensato… Non ho nulla di meglio da fare, giusto? Se gli sto intorno è probabile che ci riesca io per lei. Voglio dire, salva così tante persone e sconfigge così tanti villains che probabilmente non se ne ricorderà nemmeno, ma comunque. Mi farebbe sentire meglio.”

“Sicuro che non vuoi che glielo riferisca io?” offrì Izuku.

“Nah. Grazie, però. Io e la signora Kitayama vogliamo farlo da soli, vero signora Kitayama?” Gli occhi completamente bianchi di Narita guardarono improvvisamente dietro Izuku; girò la testa per trovare la fradicia signora Kitayama a fluttuare alle sue spalle.

“Oh cielo, stiamo parlando del signor Eraserhead?”

“Anche lei vuole ringraziarlo?” disse Izuku.

“Beh, sì. Circa. È un po’ diverso da Narita. Io l’ho incontrato… in qualche modo.” Corrugò la fronte e giocherellò con le dita, evidentemente a disagio. “Beh. Credo che mi abbia vista morire.”

Il cuore di Izuku sprofondò.

“La mia macchina era nell’acqua. Un villain stava attaccando e aveva distrutto il ponte mentre stavo guidando. Si è tuffato per salvarci proprio mentre la macchina si stava riempiendo d’acqua, ma la mia cintura si è inceppata e- beh. Ce l’ha messa tutta. So che l’ha fatto.” Le spalle della signora Kitayama si abbassarono, ma poi le raddrizzò di nuovo. “Ma! Mio figlio era nel sedile posteriore. Stava per compiere cinque anni quando la macchina è affondata. Quest’anno ha cominciato le scuole medie, ed è grazie al signor Eraserhead che è riuscito a farlo. Ma non poteva salvarci entrambi, pover’uomo, e credo che gli pesò molto all’epoca.”

“…Wow.” Izuku si sentiva gonfio di… qualcosa. Era un’emozione che non riusciva bene a identificare. Ammirazione? Simpatia? Rispetto? Forse una combinazione delle tre?

“In più è super discreto, no?” disse Narita. “Se ne va sempre prima che qualcuno riesca a ringraziarlo. Quindi persone come noi… Potremmo aspettare la nostra occasione, capisci?”

“Non so per certo se c’è qualcosa di cui ha bisogno, o addirittura qualcosa che desidera.” Disse la signora Kitayama. “Ma prima che io vada, vorrei fargli sapere che… che quello che è successo per me ormai è passato. Quindi anche se non è molto conosciuto, almeno saprà che è apprezzato.”

“Quando arriverà il suo momento.” aggiunse Narita.

Per un momento un’immagine apparve nella mente di Izuku; del professor Aizawa, l’insegnante che lo aveva quasi espulso il primo giorno, stagliarsi davanti a lui pallido e smunto, gli occhi tetri e bianchi invece di arrossati. Izuku chiuse gli occhi e scosse la testa per scacciare l’immagine.

“Prima o poi accadrà.” Gli ricordò Narita. “Se tutto va per il verso giusto non succederà per un bel po’ di tempo, ma succederà. Tutti muoiono, ragazzo.”

“Sì.” Izuku fece un respiro profondo, sperando di calmare l’annodarsi del suo stomaco. “Lo so. È stato bello parlare con voi due. Grazie.”
“Perché mai?” chiese la signora Kitayama.

“Sono solo… felice che il mio professore sia quel tipo di persona.” Izuku sorrise nonostante il groppo di tristezza che si formava nel suo petto ogni volta che i fantasmi gli raccontavano le loro storie. “Sono contendo che sia il tipo di persona che i fantasmi vogliono aspettare solo per poterlo ringraziare.”

“Ahhh, sparisci.” Narita lo spinse amichevolmente. “Prima che mi faccia venire le carie ai miei denti inesistenti con tutta questa sdolcinatezza.”

Sorridendo, Izuku lo accontentò. Rei lo seguì a qualche passo di distanza, lasciandolo a combattere con l’improvvisa e indesiderata immagine di Aizawa come fantasma. Non era un pensiero piacevole. Sul cammino per la mensa, Izuku pensò a quell’immagine, forzandola fuori dalla sua mente finché si offuscò abbastanza da riuscire, infine, a spazzarla via.

Aizawa era un pro, in ogni caso. Se era rimasto underground e aveva avuto successo per tutta la sua carriera allora ovviamente era forte e intelligente ed era fortunato a imparare tanto da lui quanto da All Might. Aizawa non aveva bisogno che Izuku si preoccupasse per lui.

E poi, il giorno dopo era mercoledì e c’era qualcosa di grosso e interessante che bolliva in pentola.

Se le voci erano vere, poteva addirittura essere un campo di allenamento.
   
 
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