Molly Hooper aveva scelto Medicina per tanti, tanti motivi: il desiderio di salvare vite, il voler mettere al servizio del mondo il suo spirito altruistico, il poter essere — nel suo piccolo — utile agli altri.
E poi, su ogni cosa, c'era stata senza dubbio quella irrazionale voglia di sconfiggere la Malattia così da evitare che un'altra bambina con le trecce e i grandi occhi scuri piangesse al funerale di sua madre.
Tra una pagina e l'altra del manuale di Biochimica, Molly Hooper si immaginava col camice bianco e il defibrillatore, calata nel marasma della medicina d'urgenza e intenta a dare direttive sicure che strappassero un altro filo del destino alle lame affilate delle Parche.
Un sogno.
Ma i sogni, si sa, non sempre tengono conto di chi siamo realmente.
Crescendo capì che non sarebbe mai riuscita a diventare un dottore canonico — troppa ansia da gestire, troppa fretta da sopportare, il pericolo costante di dover comunicare a qualcuno che suoi cari non ce l'avevano fatta — ma comprese anche che avrebbe potuto far del bene in altro modo (un modo meno attivo, certo, ma non per questo più disprezzabile): poteva agire nelle retrovie, così come era sempre stata abituata a fare.
Sovvertire il sistema, invertire il ciclo: dal decesso alla vita, e non viceversa.
La morte in quanto tale non l'aveva mai spaventata perchè, in realtà, ogni fine è un inizio, e Molly questo lo aveva sempre saputo. 
Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma.
Da lì a specializzarsi in anatomia patologica il passo era stato breve.
Molly era diventata una scienziata brillante, nonostante l'aspetto dimesso e la voce troppo spesso incerta, e aveva ormai votato la propria vita al suo lavoro a tratti monotono ed ordinario.
Tuttavia quella scintilla di pura azione, quel brivido che solo i veri medici provano ogni giorno, non l'aveva mai lasciata del tutto indifferente.
Forse era stato quello, il motivo del successo della sua amicizia con l'unico consulente investigativo al mondo: l'essere costantemente in contatto coi rischi del mestiere, con la sregolatezza del genio e con l'imprevedibilità della vita.
O forse, in accordo al suo spirito pateticamente romantico, era stato solo merito di quegli occhi verdi da gatto, che riuscivano a rimescolarle lo stomaco ogni volta.
Ogni. Maledettissima. Volta.

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Molly Hooper aveva scelto Medicina per tanti, tanti motivi, eppure adesso, a distanza di anni, l'unica Malattia per la quale cercava davvero di trovare una cura risiedeva stabilmente al 221B di Baker Street.
Tentava disperatamente di trovare un rimedio al suo amore insano, morboso e assolutamente non corrisposto.
Provava a combatterne i sintomi (pupille dilatate, tachicardia, sudorazione improvvisa, balbuzie clonica) e a liberarsene per sempre.
Molly Hooper cercava di guarire definitivamente, ma non lo voleva.
Non davvero.
Perchè la sua Malattia, in fin dei conti, corrispondeva alla sua Cura.
E perchè non sarebbe mai stata più la stessa senza quegli occhi verdi che si divertivano a metterle in disordine il cuore ogni volta.
Ogni. Maledettissima. Volta.