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Autore: Carme93    30/12/2018    1 recensioni
Avete presente Conan, il piccolo e geniale detective?
Avete presente il film Seventeen again con Zac Efron?
Avete mai immaginato che cosa potrebbe accadere se anche il grande Harry Potter, il Salvatore del Mondo Magico, si ritrovasse un giorno a ritornare un ragazzino di dodici anni e calcare nuovamente i corridoi di Hogwarts in compagnia dei figli? E se questo li permettesse di conoscerli ancora meglio?
James e Albus sono pronti ad aiutare il padre a risolvere il nuovo caso e a farlo tornare adulto. Voi siete pronti a seguire le loro avventure?
(Storia ispirata proprio dal cartone e dal film sopracitati).
Genere: Fluff, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Ginny Weasley, Harry Potter, James Sirius Potter, Un po' tutti | Coppie: Arthur/Molly, Harry/Ginny, Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
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Capitolo dieci
 
«Non ho capito».
Tutti dicevano sempre a Harry che era un genitore paziente, anche troppo viste tutte le monellerie di James, che peggioravano terribilmente se veniva spalleggiato da Rose e Fred e divenivano totalmente pessime se collaborava la piccola, e tutt’altro che innocente, Lily. Quella sera, però, la sua tanto decantata e, probabilmente criticata, pazienza sembrava essersi dileguata come la neve al sole.
«Papà, non ho capito» ripetè James, probabilmente ritenendo che non avesse sentito la prima volta.
«E manco io» sbuffò Harry sconfitto. Erano ore che lavoravano sui compiti di Trasfigurazione e tutti i buoni propositi iniziali erano completamente spariti. Il giorno dopo avrebbe supplicato Victoire di trovare qualche ora da dedicare a James, perché lui di certo non ce l’avrebbe fatta, nonostante le minacce fin troppo esplicite di Ginny. Lui li avrebbe pure controllati i figli e, a maggior ragione, aiutati e sostenuti, ma i compiti di Trasfigurazione… se non fosse stato per Hermione, lui e Ron sarebbero rimasti al primo anno!
«E come facciamo?» insisté James. A quanto pareva la Macklin lo spaventava parecchio e come dargli torto? «Non puoi darmi un galeone da dare a Danny? Uno solo e domani mattina mi detta qualcosa da scrivere».
«Assolutamente no» ribatté Harry con fermezza. «A Baston non darai più neanche uno zellino, ne abbiamo già parlato».
«Allora, mi farò dare del torrone sanguinolento o dalle pasticche vomitose da Fred».
«No, questa non è mica una soluzione».
«Bene, allora vuoi spiegarglielo tu alla Macklin perché non ho fatto i compiti. Di nuovo!».
«No» rispose frettolosamente Harry.
«Vedi, neanche tu pensi che si possa parlare con lei!».
«Non sono mica stupido» borbottò il più grande.
«Siete ancora svegli?».
Albus, con il pigiama verde smeraldo, scelto personalmente da Ginny perché s’intonava con i suoi occhi, e un maglione di nonna Molly, li fissava dall’ultimo gradino che portava ai Dormitori maschili. Dopo un momento d’incertezza, li raggiunse vicino al caminetto.
«Non sono tutti secchioni come te che finiscono i compiti in due secondi» borbottò James contrariato.
«Non ci metto due secondi a fare i compiti» ribatté infastidito Albus.
«Non credo sia il caso di litigare, io e Jamie abbiamo già fin troppi problemi» sospirò Harry. «Perché non dormi?».
Il ragazzino si strinse nelle spalle. «Rose è un po’ giù di corda e non so come aiutarla».
«E ci credo, zia Hermione è venuta qui e le ha fatto il macello!» commentò James.
«Si riprenderà» tentò di rincuorarlo Harry gentilmente.
«Con la faccia tosta che ha» brontolò James. Harry gli lanciò un’occhiataccia, ci mancava soltanto che i due fratelli litigassero.
«Se la mia presenza non è gradita, me ne vado» sbottò sostenuto il più piccolo.
«Non è che non sia gradita, è inutile» dichiarò James facendogli la linguaccia.
«Bene» replicò Albus, «non vedo l’ora che vi arrivi un’altra strillettera di mamma».
«Al!» lo richiamò Harry indignato. «James!». Il figlio maggiore aveva dato mostra dei suoi insulti migliori contro il fratellino. «Albus non è divertente, io e tuo fratello ci stiamo provando sul serio! La Macklin parla in modo troppo difficile, chi la capisce è bravo! Nemmeno la McGranitt era così poco chiara ai miei tempi» lo rimproverò. «E James, quel linguaggio non mi piace».
«Diteglielo, allora» disse Albus, questa volta con tono basso e cortese.
«Non capisco di che parli» replicò Harry interdetto. Dire che cosa a chi?
«Alla professoressa Macklin. Ditele che non avete capito».
L’espressione orripilata di James era uno spettacolo, ma Harry non poté godersela, sicuro di averne assunta una speculare.
«Perché mi guardate in quel modo? Io l’ho fatto, alla seconda lezione».
James saltò giù dalla poltrona e cominciò a tastare il braccio del fratello. Albus indignato se lo scrollò di dosso. «Ma che fai?».
«Sei vivo!» ribatté l’altro scioccato.
Harry si passò una mano sul volto stanco e rise.
«Papà, hai bevuto?» chiese James sorpreso. «Hai capito che ha fatto, Al? Allora il Cappello non era pazzo quando lo ha smistato a Grifondoro! Oh, Al! Sono così fiero di te».
Harry rise ancora vedendo i tentativi di James di abbracciare Albus e quest’ultimo cercare di sfuggirgli in tutti i modi.
«Sì, ho capito» rispose accondiscendente Harry.
«Ho pensato che zia Hermione avrebbe fatto così» borbottò Albus imbarazzato.
«Siamo veramente fratelli?» mormorò James al padre.
«Al cento per cento» sbuffò Harry divertito.
«Ok, allora, da buon fratello, vai tu a parlare con la Macklin per noi» ne approfittò immediatamente James.
Albus strabuzzò gli occhi.
«James, ma che dici» intervenne Harry.
«Invece sì, ognuno deve fare la sua parte! Io mi occupo del diversivo, tu perquisisci le camere degli insegnanti e Al ci salva dalla Macklin».
«Va bene, lo farò» assentì Albus.
Harry si sentì davvero meschino nel lasciare andare il figlio minore senza averla dissuaso, ma James lo mise a parte del suo piano per il giorno seguente e non gli rimase che ascoltarlo. Dov’era Ginny quando aveva bisogno del suo consiglio?
«Ti posso garantire fino a un’ora e mezza. Non di più» concluse James.
«Sì, è perfetto» assentì Harry distrattamente con il pensiero ancora ad Albus.
 
 
Il giorno dopo Harry non riuscì a parlare con Albus a colazione, ma fu il figlio a cercarlo durante l’intervallo.
«Tutto ok?» gli chiese notando le guance più rosee del normale e gli occhi luccicanti.
«Sì, sì tranquillo» ribatté il ragazzino senza guardarlo in volto.
«Come no, quel cretino di Jaiden l’ha spinto nella neve e gliene ha messa un pugno nella divisa» raccontò Rose indignata, ignorando l’occhiataccia del cugino. «Come ho potuto essere amica di uno stupido Serpeverde arrogante non lo so».
Alastor borbottò «Eri cotta di lui», ma nascose le sue parole dietro un finto colpo di tosse. Rose lo fulminò.
«Come osi?».
Albus, mentre i due battibeccavano, sussurrò all’orecchio del padre: «Ho parlato con la professoressa stamattina. Ha detto che siete più sciocchi di quanto pensasse e che vi aspetta dopo le lezioni nel suo ufficio».
Harry si sforzò di sorridere e ringraziarlo, ma non era per nulla felice di fare lezioni extra con quella donna. Era James ad averne bisogno, non lui! Insomma tutta quella teoria non gli serviva per il suo lavoro!
«Ehm, sei ancora vivo» commentò, sentendosi proprio come James. Che la pozione iniziasse a fare effetto anche sul suo cervello?
Il ragazzino fece una smorfia, ma non sembrò turbato dalla battuta, anzi sorrise leggermente in risposta. «La Macklin abbaia, ma devi fare qualcosa di veramente grave perché morda».
«Meglio così» borbottò Harry.
«Posso fare qualcos’altro per aiutarti?» gli chiese Albus, lanciando un’occhiata nervosa agli amici: Rose non aveva ancora alzato le mani su Alastor, per cui andava tutto bene. «Vuoi aiuto per la perquisizione?».
«No» rispose fermamente Harry. Da una parte egli stesso non sapeva che cosa cercare, dall’altra non avrebbe mai permesso ad Albus di mettersi in situazioni potenzialmente spiacevoli che, emotivamente, avrebbe avuto difficoltà a gestire. James era bravo a districarsi dai guai in cui si cacciava senza remore e, comunque, se mai il diversivo fosse andato storto non avrebbe permesso che si assumesse la responsabilità: aveva pure il corpo di un dodicenne, ma era ancora un adulto! «Non avresti dovuto neanche parlare con la professoressa al posto nostro. Ha ragione a dire che siamo terribilmente sciocchi. Non ci si può nascondere sempre dietro qualcuno. Più passa il tempo, più divento infantile, peggio di quanto lo sia stato anni fa».
«James non si nasconde dietro nessuno e nemmeno tu. Se ci fosse stato uno di voi fuori nel parco, ora Jaiden non sghignazzerebbe, invece io non ho avuto il coraggio di farlo. Con la Macklin è stato facile, i professori non possono farti del male, no? E se lo fanno, passano dalla parte del torto. Io davanti a Jaiden sono scappato» mormorò affranto il ragazzino.
«Perché?».
«Non lo so» ammise Albus. «Forse avevo paura delle conseguenze, sai la solita storia che se reagisci sei ugualmente colpevole e poi, Brooks conosce molti incantesimi. Nemmeno i Corvonero del primo anno riescono a eguagliarlo. L’incantesimo di Levitazione o il Lumos non avrebbero fatto molto contro di lui, no?».
«No» concesse Harry. «Magari posso insegnarti l’Exsperlliamus, dubito che McBridge ve lo insegnerà mai».
«Davvero? Così potrei almeno difendermi!» esclamò felice Albus.
Harry annuì e gli sorrise. «Facciamo domani sera, ok? Mi sa che questa giornata sarà sufficientemente lunga, che ne dici?».
«Certo. Buona fortuna per il tuo piano».
«Grazie» sussurrò Harry. 
 

Sufficientemente lunga. Aveva detto così, no? Ma avrebbe fatto meglio a dire sufficientemente stressante. James si era rifiutato di dirgli che cosa aveva architettato se non che si sarebbe servito dei Tiri Vispi Weasley. L’immagine di Fred e George che scappavano da Hogwarts dopo aver creato un diversivo per lui, lo tormentava da giorni. Scosse la testa e scacciò i ricordi. Non c’era la Umbridge, doveva stare tranquillo e, soprattutto, concentrarsi.
Comunque James gli aveva promesso circa un’ora e mezza e di certo non poteva perdere tempo. Per prime controllò le camere di Neville, Vitious e quella che la Preside metteva a disposizione di Lumacorno quando si trovava al castello. Naturalmente non credeva che potessero essere i colpevoli, ma un’indagine scrupolosa era suo dovere.
Nella camera di Rüf non trovò nulla, per essere precisi non sembrava neanche che vi vivesse qualcuno. D’altronde si trattava di un fantasma.
Perplesso lo lasciò la stanza della professoressa Campbell, una donna snob e arrogante, titolare della cattedra di Astronomia. Le camere personali solitamente rispecchiavano l’indole del proprietario e dopotutto i vestiti e i trucchi sparsi su letto, sedie e poltrone, probabilmente lo facevano, ma non c’era neanche un vago riferimento all’Astronomia. Vero era che non aveva colto la minima passione in lei per la scuola e per l’insegnamento, la maggior parte dei suoi allievi la odiava. Gli toccò spostare vesti vaporose e colorate, che Ginny, fortunatamente, non si sarebbe mai sognata di indossare, e cercò anche in un portagioie strapieno di gioielli, alcuni di oro dei folletti. Aveva sempre creduto che un insegnante non guadagnasse così tanti soldi.
Altrettanto disordinata si rivelò la stanza della Jones. Se solo qualcuno fosse entrato lì dentro prima, non sarebbe stato necessario lo scherzo di James per smascherarla: parrucche, cerone e vestiti da uomo e da donna era disseminati ovunque, quasi che l’armadio fosse esploso. Un poster della stessa Jones in veste di Capitano delle Holyhead Harpies lo fissava truce da una parete. Una donna deliziosa, non c’era che dire. Ginny aveva trovato divertente scrivere un articolo sul fatto che era entrata a Hogwarts sotto false spoglie e aveva inviato una scatola di cioccorane al figlio maggiore.
Quella della Macklin lo sorprese enormemente, al contrario del suo studio, sebbene fosse sempre semplice e frugale, rilevava una personalità diversa dalle apparenze: vi erano foto di bambini, di una famiglia che un tempo doveva essere stata felice. Harry, naturalmente, aveva fatto ricerche su ogni professore e aveva scoperto che la donna aveva perso tutta la sua famiglia a causa di Voldermort e dei Mangiamorte. Non c’era nulla che non andasse in quella camera, se non il peso delle ingiustizie della vita.
La camera di Ernie Mcmillan era proprio come se la sarebbe aspettata: perfettamente ordinata, i libri di pozioni e di incantesimi su alcune mensole e le foto di famiglia sparse un po’ dappertutto. Proprio come nel sul ufficio quindi.
La perquisizione delle camere di McBridge, di Alicia Spinnett, insegnante di Antiche Rune, Lucretia De Mattheis, di Aritmanzia, di Justin Finch-Fletchley, Babbanologia e la Cooman si rivelò altrettanto inutile.
Seccato e stanco guardò l’orologio e si rese conto che erano passate più di due ore! Si era distratto e aveva perso la cognizione del tempo! Agitato controllò la Mappa del Malandrino e con sorpresa si rese conto che la gran parte della Scuola si trovava nel parco o stazionava nella Sala d’Ingresso. Che diavolo aveva combinato James?
Si affrettò a raggiungere la Sala d’Ingresso e, man mano che si appropinquava, le voci chiassose e furibonde aumentarono. Accelerò il passo, turbato. Gli studenti all’entrata ridevano con le lacrime e correvano da una parte all’altra, qualcuno azzardava delle foto all’esterno. Harry li superò e oltrepassò il portone di quercia. Lo spettacolo che lo accolse aveva dell’assurdo. Decisamente James aveva superato i suoi zii e i Malandrini. Non sapeva se essere fiero del figlio o preoccupato per il suo futuro, ma era difficile rimanere seri vedendo la McGranitt che incespicava in una sostanza vischiosa, il volto rosso e furibondo.
«È melassa. Vieni!» gli gridò un ragazzino di Tassorosso del primo anno, beccandosi un’occhiataccia dalla Preside.
Era quasi la fine di gennaio, perciò faceva un freddo terribile e, sotto lo sguardo omicida della Preside, Harry scoppiò a ridere. James era stato capace di bloccare tutta la Scuola.
Naturalmente i professori, o quanto meno la McGranitt, Vitious, la Macklin e la De Mattheis, sembravano conoscere un controincantesimo efficace, ma a quanto pareva non riuscivano a farlo su larghi spazi, anche perché c’erano gli studenti da liberare e non erano molto collaborativi.
Le sue perquisizioni erano state un buco nell’acqua, ma James era riuscito a far ridere lui e tutta la Scuola. Il suo scherzo sarebbe stato ricordato per anni! Dopotutto c’era ancora gente che nominava i gemelli Weasley!
 

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«Un grande, James!» strillò Tylor Jordan.
«Shhh» sibilò Danny Baston. «Vuoi farci beccare?».
«Ma di che hai paura? James è il padrone della Scuola!».
James gonfiò il petto orgoglioso. Tutti i compagni sapevano che era stato lui a fare lo scherzo di quella mattina, ma i professori non avevano avuto modo di dimostrarlo, per cui l’aveva passata liscia. E Fred, Fred Weasley, il suo idolo, si era complimentato definendo la sua impresa epocale!
«Il padrone della Scuola?» commentò una voce, facendoli sobbalzare.
«Oh Merlino, ragazzi mi avete fatto venire un infarto!» sospirò James, riconoscendo gli amici di sua cugina Victoire.
«Scusa» rispose il più alto di tutti con un leggero sorriso.
James sorrise a sua volta, conosceva da anni Joey Andrews, un mezzogigante adottato da un cacciatore del Portree Pride; Jeremy Hansen, Prefetto di Grifondoro; Robin McLaughlin; Damian Miller, giocatore di Quidditch, famoso per la sua arroganza e presunzione, di solito non si accompagnava agli altri e, in effetti, li stava fissando con un ghigno pericoloso ben stampato in volto e, infine, Jacopo Hoffman, Caposcuola di Serpeverde.
«Suvvia, si stava scherzando» tentò Danny, ben sapendo che né Hansen né Hoffman erano indulgenti nell’ottemperare ai loro compiti.
«Oh, sicuro. Avanti prendiamoli» trillò Damian Miller, felice come una Pasqua.
«Ehi, ehi che cosa…?» strillò James, mentre Joey Andrews se lo caricava di peso sulle spalle. Miller prese Tylor e gli altri tre si trascinarono Danny a fatica.
«Che intenzioni avete?» chiese indignato, Danny. «Lo sapete chi è mia madre?».
«Sì, è la stessa persona che questa mattina mi ha dato una E» rispose l’unico Serpeverde del gruppo minimamente turbato dalla minaccia del più piccolo.
«E suo padre è Harry Potter» tentò Tylor indicando James, che a dirla tutta odiava che venisse ricordato a convenienza e per ‘atterrire’ gli altri. Anche questa minaccia cadde nel vuoto.
«Correremo il rischio di incorrere nella sua ira» ribatté ironico Damian Miller, volgendosi proprio verso James, che serrò i pugni pronto a difendersi.
«Che volete da noi?» ringhiò il piccolo Potter.
«Darvi una lezione» rispose Jacopo Hoffman. «Avanti, muoviamoci. Ci sono anche professori di ronda».
James tentò di divincolarsi e colpire, ma Robin e Damian lo bloccarono, mentre Jacopo gli sfilava la divisa dalla testa e si premurava di girarla al rovescio prima di rimettergliela. Danny e Tylor, fumanti di rabbia ma impotenti, subirono la stessa sorte.
«Allora, ora lo trovate divertente?».
«Ve la faremo pagare per quest’umiliazione!» sbottò Tylor.
«Lo dirò a mia madre e perderete le vostre spille» sibilò Danny, indicando Jacopo e Jeremy.
«Eppure quando l’avete fatto a Fulton Collins, l’avete trovato divertente» commentò Jacopo mellifluo.
James lo fissò per un attimo e poi distolse lo sguardo: in quel momento si vergognò parecchio del suo comportamento. E loro, a differenza degli amici di Victoire, avevano preso in giro il Serpeverde del primo anno, raccontandogli brutte storie sulla sua Casa e su come sarebbe finito male anche lui. Fissò le scarpe e ignorò le rispostacce degli amici. Quando li vide dirigersi fuori dall’aula, senza essere fermati dai più grandi, fece per seguirli, ma Joey lo fermò.
«Allora non vieni?» lo chiamò infastidito Danny.
«Vi raggiungo in Sala Comune» replicò certo che la voglia di girare per la Scuola di notte fosse passata anche a loro. Poi si rivolse a Joey in attesa.
«Vic ti vuole parlare» disse quest’ultimo, dopo che Damian Miller si congedò affermando di essersi divertito.
James sgranò gli occhi quando sua cugina apparve dal nulla. «Incantesimo di Disillusione. Comodo quasi quanto il tuo Mantello» disse ella a mo’ di spiegazione.
«Ce l’ha chiesto lei di farvi questo scherzetto» disse sempre Joey. «Nessun rancore spero».
James scosse la testa e batté il cinque agli amici di Vic, che li lasciarono soli.
«Certo, non posso dire che mi sia dispiaciuto» ghignò Jacopo Hoffman, prima di augurare loro la buonanotte.
«Ehi» disse allora il ragazzino, non sopportando il silenzio creatosi nell’aula.
«Ehi» replicò Victoire aprendosi in un leggero sorriso. «Stai bene con questo nuovo look».
James fece una smorfia e annuì, conscio di meritarselo.
«Me l’ha chiesto zia Ginny, comunque» lo informò la cugina. «E mi sono fatta aiutare dai miei amici. Ha detto che avevi bisogno di essere vittima di qualcuno dei tuoi scherzetti per sentire che cosa si prova».
«Mi dispiace».
Victoire annuì e gli diede una pacca sulle spalle. «Andiamo a letto, io non sono di ronda stasera e, se ci beccano, finiremo entrambi nei guai».
«Ma Tylor e Danny faranno la spia, sicuramente. Vorranno vendicarsi e finirai, comunque, nei guai» ribatté James, profondamente mortificato: Victoire era un’ottima studentessa e non voleva che rovinasse la sua carriera scolastica proprio gli ultimi mesi e per colpa sua.
«Oh, secondo me non lo faranno o dovranno spiegare molti dei loro comportamenti e che cosa ci facevano in giro a quest’ora. Dubito che la professoressa Spinnet sarebbe molto clemente nei confronti del figlio, se sapesse quello che combina. E non avranno il coraggio di sfidare Joey, sono spaventati da lui solo perché è un mezzogigante e alto più di due metri. Stupidi, è un pezzo di pane! E comunque, non ti preoccupare, se mai finissi nei guai per questa storia non sarebbe la fine del mondo, tua mamma mi ha promesso che in caso avrebbe parlato lei con i miei e con il professor Paciock, per cui ne uscirei molto meglio di voi».
«Meglio così» commentò James, sollevato.

In Sala Comune Harry li stava aspettando e li sorrise immediatamente.
«Fareste bene ad andare a letto voi due» consigliò immediatamente Victoire. «Buonanotte, Barney. Buonanotte, Jamie».
«Buonanotte» replicarono i due ragazzi e James le diede un bacio sulla guancia, grato per quello che aveva fatto per lui quella sera.
«Niente più atteggiamenti da prepotenti» disse soltanto Harry quando rimasero soli.
James annuì. «Promesso».
   
 
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