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Autore: Jordan Hemingway    05/01/2019    1 recensioni
Una città di cacciatori. Una faida secolare tra Gilde rivali. Una creatura che può essere avvicinata solo in sogno, due nemici giurati uniti da un incantesimo sbagliato e una coppia di impostori pronta a tutto pur di salvarsi la pelle.
Se i sogni si mischiano alla realtà tutto diventa possibile.
La storia partecipa al contest indetto da E.Comper sul sito, ‘Cronache di Cacciatori’
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cap. 6 Hold my heart

 

 

“Dobbiamo sbrigarci.” Il corvo sfregò gli artigli sul corno di Tales. “Prima che Princeps Johannes decida di procurarsi da sé una Medusa.”

“Puoi smetterla di appollaiarti sulle mie corna?” Il Minotauro agitò una mano senza risultato, il corvo rimase ben saldo sulla sua testa. “Tra le grotte e i tuoi artigli sono piene di graffi” si lamentò.

“Quando partirete?” Cecilia – o meglio uno dei corvi che erano parte di lei – lo ignorò e iniziò ad affilarsi il becco sull’altro corno.

“Fra tre giorni: siamo riusciti a preparare tutto nei tempi stabiliti.”

“Non appena sarete fuori da Colle Storto metà delle Schiere vi attaccheranno a sorpresa: approfittane per tornare di sotto e aiutarmi con Valdemar e Corin.”

La giornata era particolarmente luminosa: il cielo terso si stendeva sopra Colle Storto e le sue vie di ciottoli mentre il Minotauro camminava verso il palazzo del Sindaco. Più che camminare era un salire e scendere file di scalinate erose per il troppo utilizzo, che si inerpicavano tra gli edifici spuntati nei posti più improbabili. Davanti a lui, a una certa distanza, Corin e Petyr erano immersi in una discussione tecnica su meriti e svantaggi dei vari tipi di caccia alle Sfingi. Era stato facile rallentare per permettere a Cecilia di ragguagliarlo sulle ultime novità dal Picco.

“Cacciatori,” commentò Cecilia indicando con la punta dell’ala le due Luci, “non capirò mai le loro regole. Che bisogno c’è di avvisare il Sindaco per una semplice spedizione?”

“Senza il permesso del Sindaco non possiamo partire per Chiras.” Questa era stata la spiegazione del Guercio quando Tales gli aveva rivolto la stessa domanda quindi il Minotauro si limitò a ripetere la frase.

“Burocrazia.” Il corvo scosse la testa. “L’unico vero nemico comune.”

“Monco!” Petyr si era girato verso di lui. “Smetti di parlare agli uccelli e allunga il passo: non abbiamo tutta la giornata.”

“Ha passato una notte difficile” spiegò Tales mentre Cecilia si alzava in volo. “Incubi per il troppo bere.”

“Lo capisco benissimo.”

 

 

Il palazzo del Sindaco si notava immediatamente per due cose: l’assenza di altri edifici tutt’attorno – a differenza di ogni altra parte di Colle Storto, dove ogni muro era addossato a scale, portici o altre mura – e per la serie di teste e crani impalati che decoravano la facciata principale.

“I trofei delle caccie migliori vengono offerti al Sindaco,” spiegò Corin davanti all’espressione di Tales, che pur avendo sentito parlare di quelle decorazioni le vedeva di persona per la prima volta. “Il Guercio non ti ha mai fatto passare da queste parti?”

“E chi ne ha avuto il tempo?” Borbottò quest’ultimo.

I tre passarono sotto il portico d’ingresso e salirono per varie rampe di scale fino a una stanza ingombra di carte e pergamene.

Furono accolti dalle parole di un uomo striminzito che continuò a scrivere sui suoi registri senza alzare la testa: “Nome, Gilda di appartenenza e dettagli sulla caccia.”

“Anche per me è un piacere, vicesindaco.” Corin si guardò intorno. “Vedo che avete ampliato gli archivi.”

“Troppe caccie in questa città, troppi permessi” borbottò il vicesindaco. “E troppi tagli al personale.”

A un cenno di Corin Petyr estrasse un mazzo di carte e lo posò sul tavolo, dove centinaia di fogli come quello aspettavano di essere registrati.

Corin si inchinò, facendo attenzione a non far volare via qualche documento. “Con permesso, vicesindaco, vi auguriamo buon lavoro.” Tales notò una certa urgenza nella voce del suo comandante.

“Corin Lance delle Luci Grigie?” Tuonò una voce dalla stanza accanto. “Vieni qui ragazzo! Vieni a salutare il tuo Sindaco!”

“Ci risiamo.” Il Guercio sospirò e fece segno a Tales di seguire Corin.

“Che cosa vuole il Sindaco dal comandante Lance?”

“Una coltellata nello stomaco, se non smetterà di chiamarlo ragazzo.” Fu il pronostico del Guercio.

Anche gli uffici del Sindaco erano colmi di scartoffie: il Minotauro si domandò quale potesse essere il collegamento tra tutta quella burocrazia e la relativa mancanza di morale dei cacciatori a Colle Storto.

“Corin!” Il Sindaco, un colosso che pareva appena uscito da una battaglia, cercò di alzarsi dalla propria scrivania con il risultato di rovesciarla e spargere a terra le decine di documenti in attesa di firma.

“Passa sempre troppo tempo tra ogni tua visita.”

Il comandante si inchinò lievemente. “Le Luci Grigie sono una Gilda molto impegnata, Sindaco.”

“Lo so bene, lo so anche troppo bene!” Il Sindacò indicò il bailamme di carte attorno a lui. “Metà di questi sono permessi per voi e per le Schiere di Rayla.” Scrollò le spalle. “Ho sentito dire che c’è stata qualche rissa di recente.”

“Voci, solo voci” assicurò Corin spalleggiato dall’annuire furioso del Guercio e di Tales.

“Voglio sperarlo,” il tono del Sindaco divenne meno gioviale, “altrimenti sarei costretto a prendere provvedimenti e tu sai che non mi piace, Corin, non mi piace doverlo fare. Eppure devo farlo: Colle Storto non resterebbe in piedi nemmeno per un pomeriggio senza uno Statuto.”

“Ne siamo tutti consapevoli.” Corin strinse le labbra in un sorriso. “Potete stare tranquillo, Sindaco.”

“Bene, bene.” Il Sindaco onorò Corin di una poderosa pacca sulla spalla. “Un vero peccato però che tra le Luci e le Schiere ci siano tutti questi dissapori. Se le due Gilde migliori di Colle Storto collaborassero…”

“Temo sia impossibile.”

“Davvero?” Il Sindaco assunse un’aria sconfortata. “Per molto tempo ho sperato che tu, cresciuto assieme a Mastro Sael, avresti potuto mediare.”

Corin si irrigidì. “Crescere un bambino e tenerlo prigioniero per usarlo come scudo protettivo in un incantesimo sono due cose diverse.”

“Uhm, sì, in effetti,” bofonchiò l’altro, “anche se a quel tempo nessuno sapeva che cosa avesse in mente Mastro Helga per Rayla.” Sospirò. “Ricordo ancora voi due che giocavate a rincorrervi per le scalinate che portano al Picco.”

“Se avete finito con i permessi, vostra Eccellenza, noi toglieremmo il disturbo” intervenne il Guercio prima che Corin, livido in faccia, potesse replicare.

“Certo, certo!” Il Sindaco si riscosse dalla sua rievocazione. “Fatevi dare i moduli da compilare per quando tornerete dalla caccia. È stato un piacere Corin: cerca di passare più spesso” li congedò sollevando da terra la scrivania rovesciata e tornando al suo lavoro.

“Da bere.” Furono le prime parole di Petyr una volta usciti dal palazzo alle calcagna di Corin. “Prima che il comandante decida di porre fine al Sindaco e al suo Statuto.”

 

 

Questa volta la dimensione onirica aveva preso la forma dei ricordi rubati a Cecilia. Le librerie e i mappamondi erano dove lei si aspettava di vederli e sicuramente anche i titoli dei libri sarebbero stati quelli che era abituata a notare nel mondo reale. Tuttavia, a differenza della volta precedente e della realtà, ad attenderla sul pavimento non c’era la sorella con un libro in mano e gli occhiali sul naso, bensì la Medusa.

“Stai cercando di mettermi a mio agio o solo di entrare nella mia testa?” Cecilia si lasciò cadere per terra a gambe accavallate. “Perché ti avverto, Rayla ha migliorato le sue prestazioni: la pozione di oggi era imbevibile.”

“Credi davvero che la magia dei sogni possa tenerti al sicuro? Se lo volessi potrei aprirti e rovinare per sempre la tua mente.”

“Quindi perché non lo hai ancora fatto?”

La Medusa si passò le mani attorno alle ginocchia. “Ho tutto il tempo che voglio per decidere quando distruggerti.”

“Ma non lo hai ancora fatto” fece notare Cecilia. “Forse perché sono la prima a rivolgerti la parola in – quanto? Anni, decenni, secoli?”

“Ti dai troppa importanza.”

“Detto da chi ha appena affermato di potermi aprire la testa e manipolarmi a suo piacimento.”

Con uno sbuffo di irritazione la Medusa si alzò. “Potrei farlo proprio adesso.”

“Provaci.”

Le due donne si fissarono in silenzio.

“Credo di capire perché hanno mandato te a cercarmi” dichiarò infine la Medusa.

“Perché sono incredibilmente abile e coraggiosa intendi?”

“Perché sei incredibilmente stupida.” Fu la replica. “Nessun essere dotato di buon senso si metterebbe a discutere con una Medusa nella sua tana.”

“Devo contraddirti, ma credo che questa sia casa mia.” Cecilia indicò lo spazio attorno a loro e la Medusa represse un gesto di stizza.

“È così perché io voglio che abbia questa forma.” Le pareti si sfaldarono. All’improvviso si trovarono in un deserto, attorniate da una tempesta di sabbia. “Posso decidere qualunque cosa, creare qualunque cosa, mi basta sognarla.”

“Mentre la realtà è diversa, vero?”

La tempesta si intensificò. “La realtà… La realtà è quello che ho dovuto subire.” La voce della Medusa era amara. “Tradita da chi credevo mi fosse amico. Che cosa ne puoi sapere tu?”

“Saresti sorpresa.” Cecilia aveva perso la sua solita espressione allegra, ma la Medusa continuò senza ascoltarla: “Che cosa ne sai del dolore che si prova a essere trasformati in un mostro?” Le sue sembianze cambiarono e il suo viso divenne grigio, gli occhi rossi: serpenti le partivano dal cranio calvo e si sollevavano sibilando sulla sua testa. “Vedersi rifiutata dalla famiglia, cacciata come una bestia feroce.” Lasciò cadere le braccia, simili a rami secchi, lungo i fianchi. “Perdere il proprio nome.”

Si scostò quando Cecilia cercò di avvicinarsi. “Lasciami in pace: ci sono altre creature come me, vai da loro. Se sarai fortunata potrai trovare qualcuna disposta a lasciarsi catturare, qualcuna di giovane e non rassegnata al proprio destino.”

Cecilia inspirò lentamente. “Tu invece hai accettato questa sorte?” Domandò seria. “O ti sei lasciata sconfiggere da essa?”

“Non puoi capire.”

“Ci sto provando!” Sbottò la faerie. “Ma hai ragione: non riuscirò mai a capire perché qualcuno si rassegni a un destino del genere. Se mi si presentasse la minima possibilità di liberarmene io la afferrerei subito. Tu ti limiti a piangere su te stessa.

“Stai passando il limite.”

“È tempo che qualcuno lo passi!” Cecilia fronteggiò la Medusa. “Devi reagire. Non importa da quanto tempo tu sia qui, reagisci!” Sentì la familiare morsa allo stomaco e maledisse la brevità della durata della pozione.

“Come posso reagire se sono bloccata in un incubo?”

“Ricordi ancora il tuo nome?”

Con un certo sforzo la Medusa pronunciò qualcosa a bassa voce.

“Helena.”

“Un bel nome.” Cecilia sorrise e si preparò a svegliarsi. “A presto Helena.”

 

 

La notte era calata ma né Petyr né Corin accennavano a volersi alzare dal tavolo della locanda.

“Mastro Valdemar non sarà contento,” mormorò Tales posando l’ennesimo boccale.

Con uno schiocco di dita Gerda – ufficialmente mandata a cercarli ma che ne aveva approfittato per unirsi alla bevuta – ordinò un altro giro. “Rilassati. Per una volta non morirà nessuno.” Si versò altro vino dalla nuova brocca e riempì poi il boccale del Minotauro.

“Com’è possibile bere così tanto con un corpo così piccolo?” Si lasciò sfuggire Tales che, abituato a reggere molto più degli umani in quanto Minotauro, non si capacitava ancora della quantità di vino che Gerda aveva ingollato come fosse acqua fresca.

“Ti sembro una ragazzina?” Gli rispose lei alzandosi con un sorriso molto esplicito. “Posso dimostrarti il contrario.”

“Mettiti a sedere prima di rovesciare qualcosa.” Le ordinò il Guercio con voce impastata e calò una mano sulla sua spalla per riportarla sullo sgabello.

Irritata la cacciatrice si liberò dalla sua stretta. “Dovresti rilassarti anche tu: perché non spendi la tua paga per farti scaldare il letto, Petyr?” Indicò il fondo della locanda, dove alcune donne truccate pesantemente ammiccavano verso di loro.

Ritirando la mano come se fosse rimasto scottato il Guercio la fissò con l’unico occhio rimastogli. “Me lo domando anch’io.” E alzatosi si diresse con passo storto verso quella direzione per poi sparire con una delle prostitute al piano di sopra.

Gerda lo seguì con lo sguardo. “Deve essere un miracolo: mi ha ascoltato davvero.” A Tales sembrò che la voce le tremasse leggermente, ma forse era solo un effetto dell’alcool.

“Credi che ti aspetterà in eterno?” Corin non aveva alzato gli occhi dal suo bicchiere da quando erano entrati. “Mentre tu passi le notti con chiunque ti interessi?”

La cacciatrice alzò le spalle. “Capo, non capisco di che cosa tu stia parlando. Il Guercio passa le sue notti al bordello da quando è sbarcato dalla sua nave per unirsi alle Luci” chiarì in tono aspro.

“Puoi far finta di non capire, Gerda Rei.” Lo sguardo di Corin era indecifrabile per Tales. “Ma in tal caso non rimanere delusa quando lui decide di andare a puttane.”

“Tempo di far ritorno al quartier generale.” Gerda si scostò dal tavolo senza più guardare il comandante. “Con il vostro permesso, capo.” E uscì dal locale.

“Che cosa è successo tra quei due?” Si arrischiò a chiedere Tales dopo un lungo silenzio.

Corin scosse la testa. “A Gerda piace far perdere la testa agli uomini, mentre Petyr non è disposto a perderla nemmeno se avesse davanti la Dea Rossa.”

“La Dea Rossa?”

“Dimenticavo che tu non sei del posto.” Corin finì il contenuto del suo boccale. “La dea Rossa è la patrona delle prostitute di Colle Storto.” Indicò un’effige appesa accanto al bancone. “La creatura più bella su cui un uomo – o una donna – possa posare gli occhi. Lunghi capelli rossi, sguardo di fuoco, corpo caldo e accogliente…”

Il vino aveva reso Tales audace. “Come Mastro Sael” concluse.

Il comandante sembrava perso in una sua visione personale. “Già, proprio come…” Si interruppe.

“Era vero quel che diceva il Sindaco oggi?” Insistette il Minotauro. “Che voi e Mastro Sael siete cresciuti assieme?”

“Se è vero?” Corin, tornato alla realtà, sputò le parole come se fosse veleno. “Oh, è tutto vero: sono stato cresciuto da Mastro Helga, la maestra di Rayla e capo delle Schiere. Ero un orfano e credevo quella fosse la mia famiglia. Sarei dovuto essere il comandante di Rayla, il suo cacciatore più fidato, dicevano tutti. Tutti d’accordo nel mentire a un ragazzino.” Si fermò per un istante.

“Quando Rayla – Mastro Sael – fu abbastanza grande da poter recitare incantesimi complessi,” riprese, “Mastro Helga mi portò nella sua stanza e mi disse di stare tranquillo, che avrebbe fatto male ma che sarebbe finito tutto subito: ricordo un dolore così grande da farmi svenire e al risveglio mi ritrovai incatenato in una prigione. Non potevano rischiare che il loro prezioso Mastro si facesse uccidere per causa mia.”

“C’è una cosa che non capisco.” Tales parlò lentamente. “Secondo l’incantesimo se voi morite, capo, lei muore con voi e viceversa. Questo non implica che non possa essere uccisa da qualcun altro: non la rende immortale. Che senso ha fare un incantesimo del genere?”

“Mastro Helga deve aver avuto intenzione di completarlo in seguito: sono riuscito a fuggire prima che ciò accadesse.”

“In che modo?”

Il comandante non rispose.

“Rimane comunque strano. Più che un incantesimo di difesa sembra una promessa d’amore.”

Corin alzò gli occhi e quel che Tales vi lesse lo indusse a non aggiungere altro.

“Si è fatto tardi: rientriamo.”

 

 

Cecilia iniziava ad abituarsi alla sensazione che la pervadeva entrando nel reame dei sogni: muoversi e darsi un corpo ormai erano diventate azioni scontate, l’incertezza dovuta alla mancanza della realtà era scomparsa.

Quella era la realtà almeno fino a quando non si fosse svegliata.

“Helena.” Questa volta si trovavano di nuovo in riva al lago dove Cecilia l’aveva trovata la prima volta.

“Perché non ti arrendi?” Le domandò l’altra fissando le acque tranquille. “Lasciami in pace.” Le sue sembianze erano di nuovo quelle della ragazza bruna e pensosa.

“Come vuoi.” Cecilia si sedette accanto a lei. Ormai anche questo era diventato un’abitudine. “Questa era casa tua?” Indicò il lago e il prato tutt’attorno.

“Può darsi.”

Le nuvole scorrevano nel cielo creato dalla Medusa, bianche e soffici come quelle reali.

“Sembra un bel posto: mi piacerebbe vederlo davvero.”

L’altra strinse le mani attorno alle ginocchia. “Non so nemmeno se esista ancora. Questo è tutto quello che mi rimane.”

“Quando questa storia sarà finita lo cercherò per te” promise la faerie d’impulso, causando la risata amara di Helena.

“Andresti alla caccia di un sogno?” Chiese sarcastica.

“Non è quello che facciamo tutti?” Fu la replica. “Cercare una creatura come te, un modo per spezzare un incantesimo finito male… Alla fine è solo un modo come un altro per inseguire i propri sogni.”

“Anche distruggere una vita?”

Calò il silenzio.

“È stato rapido?” Cecilia colse uno stelo e iniziò a intrecciarlo.

Helena strinse le labbra. “No,” mormorò. “Lui voleva che io provassi dolore per molto tempo.”

“Lui chi?”

“Ha importanza ora?” La Medusa chiuse gli occhi.

“Perché a te?”

“Perché mi amava.” La risposta lasciò Cecilia senza parole. Gettò lo stelo e afferrò Helena per le spalle.

“Come può averti fatto una cosa del genere se ti amava?”

“Tu evidentemente non sai che cosa sia capace l’amore.” Helena la fissò con sarcasmo. “Ha voluto essere certo che io fossi parte della sua vita, ad ogni costo. In un certo senso ci è riuscito.”

“Che cosa significa?”

“Niente che ti riguardi.” Le mani di Cecilia erano ancora sulle spalle della Medusa. Helena non accennò a volersi liberare dalla stretta.

“L’amore non è questo,” affermò la faerie con sicurezza.

“Allora torna nel tuo mondo.” Fu la replica. “Nel mio non troverai niente che corrisponda a quello che tu definisci amore.”

“Tu lo amavi?”

La testa di Helena si avvicinò a quella di Cecilia.

“Non più.”

Le sue labbra erano morbide, il suo corpo contro quello della faerie era caldo come se fosse reale, la sua mente aperta come un fiore sbocciato.

Forse la realtà è sopravvalutata, fu l’ultimo pensiero razionale di Cecilia.

 

N.d.A.; Soundrtrack del capitolo qui: https://www.youtube.com/watch?v=uCTWBHP6lV0

  
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